tag:blogger.com,1999:blog-42445787815837769382024-03-05T02:53:46.769-08:00Miryam MarinoMiryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.comBlogger2080125tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-39905333831848231552020-08-02T09:54:00.000-07:002020-08-02T09:53:59.998-07:00La morte<br />
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Chi non si è fatto delle domande rispetto al mistero della morte? “L'unica maestà che non vien meno”. Il medioevo ne ha esaltato l'orrore e la società contemporanea l'ha negata, ma il buddismo l'ha vista come un evento solenne e pieno di significato. La prima domanda che feci su questo argomento fu:“E' vero che come insegna il buddismo, la morte è un'esplosione di coscienza?”<br />
“Si è vero. Molteplici verità saranno chiarite”<br />
“Come sarà questo momento a livello emozionale? Spaventoso o fantastico?”<br />
“Fantastico e stupefacente, meraviglioso, esaltante, entusiasmante, portentoso.”<br />
“Che cos'è la morte?”<br />
“Sarai morta solo con il corpo ma la tua anima sarà viva e sarai ancora la persona che sei stata.”<br />
“Oltre l'anima anche la mente sopravviverà?”<br />
“Si sarà viva anche la tua mente ma non sarai ancora libera di avere un corpo fino a che non sarai all'altezza di ritornare ancora alla vita concreta della terra.”<br />
“Si soffre quando si muore?”<br />
“Non si soffre e non si deve pensare che la morte sia una sofferenza ma devi pensare che la morte sia una liberazione dalle ombre del corpo che sta andando a morire e non si deve pensare che sia una cosa brutta perché è invece una cosa bella per quello che riguarda la tua esperienza e sarai anche molto felice di essere stata ancora viva”.<br />
“Durante un'esperienza di uscita spontanea dal corpo fisico ho provato una grande angoscia nel sentire che una parte vitale di me mi stava abbandonando e si stava separando da me, la morte è questa angoscia di separazione?”<br />
“No, non si prova nessuna sensazione angosciosa e di distacco perché sei ancora in questo mondo e quando te ne vai, solo allora, guardandoti andare sei ancora tu che te ne vai e quindi non ti può capitare di essere distaccata da qualcosa.”<br />
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L'aldilà<br />
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“Dove si trova fisicamente l'aldilà?”<br />
“Si trova nella dimensione della più leggera delle vibrazioni e non è lontana dalla terra e dagli altri pianeti. E' così vicina che si può dire che i due mondi si toccano e che potrebbero anche compenetrarsi. I due universi possono coincidere e possono vivere nello stesso spazio ma ad una diversa vibrazione di intensità energetica e quindi è possibile che tu possa percepire le persone morte se riesci ad arrivare alla stessa vibrazione che hanno loro e puoi anche parlare con loro.”<br />
“Come si presenta lo spazio dell'aldilà? E' altrettanto bello quanto la terra?”<br />
“ E' uno spazio meraviglioso perché è più bello e più spettacolare della terra e anche degli altri pianeti.”<br />
“Come vive chi si trova in questa dimensione?”<br />
“ Loro sono estasiati di stare in quella dimensione e sono molto felici.”<br />
“Quando ci andrò la mia vita sarà finalmente più leggera?”<br />
“Si, avrai una vita più leggera e sarai veramente felice perché conosci la sofferenza e sarai in grado di apprezzare di più quello che avrai.”<br />
“Le persone defunte possono vedere i loro cari sulla terra?”<br />
“Loro possono vedere quello che fanno le persone sulla terra e sugli altri pianeti e possono anche intervenire in loro aiuto se questo viene richiesto.”<br />
“C'è un modo in cui i vivi possono comunicare con i morti?”<br />
“ C'è un modo ed è quello di essere come loro e cioè essere leggeri nei pensieri ed essere senza timore e tristezza e di essere così felici da riuscire a trovare la strada fino a loro.”<br />
“ Non molto tempo dopo che è morta mia madre l'ho rivista in un sogno in cui era felice e sorridente come non l'avevo mai vista in vita ed io ho pensato con stupore - allora non è vero che è morta! Lo sapevo che non era possibile, mia madre è viva! Come sta mia madre adesso?”<br />
“E' felice come tu l'hai vista in quel sogno perché non era un sogno ma era lei che veniva a rassicurarti di essere ancora viva”<br />
“ Nell'aldilà si possiede comunque un corpo?”<br />
“Si possiede un corpo sottile che non può essere visto e percepito dai vivi a meno che la persona viva non sia in grado di poter vedere la persona morta per via della sua alta gradazione di energia.”<br />
“ Questo corpo sottile è il corpo astrale?”<br />
“Non è il corpo astrale perché è un corpo che può durare all'infinito e non è deperibile come il corpo astrale.”<br />
“Come mai alcune persone nelle loro esperienze di premorte hanno visto l'inferno?”<br />
“Perché erano convinte che esiste l'inferno e allora la loro mente lo ha creato e glielo ha fatto vedere e glielo ha fatto sperimentare.”<br />
“Vuoi dire che la mente può creare l'inferno?”<br />
“No, non è così. Esiste comunque tutto quello che tu sai che esiste ma <br />
ci sono delle persone che riescono a suggestionarsi al punto da non vedere quello che esiste veramente ma solo i loro pensieri.”<br />
“ Il libro egiziano dei morti dà indicazioni al morente su come salvarsi dai mostri che popolano l'infinito ma queste malefiche creature esistono veramente?”<br />
“No non esistono affatto perché esse sono solo le forme pensiero negative delle persone che le hanno create e sono visibili solo a loro che le hanno create non ad altre persone. Si, è così, il libro egiziano dei morti dava istruzioni per poter arrivare alla meta senza essere vittima di forme pensiero ingannevoli.”<br />
“E' vero che l'aldilà è il doppio della terra, cioè il suo corpo astrale?”<br />
“ si è così e non devi avere dubbi su questo perché è lì che andremo dopo la tua morte fisica e staremo molto bene.”<br />
“Ma cosa farò una volta nell'aldilà? Come passerò il mio tempo?”<br />
“Potrai occuparti di qualche cosa che ti interessa e potrai fare delle cose che vorresti fare adesso e non puoi come quello di spostarti da un posto all'altro senza prendere mezzi e senza fare nessuna fatica. Sarà una vita felice perché non ci saranno più guerre e non ci saranno più conflitti e sarai in pace con te stessa e con la tua anima.”<br />
“E' vero che nell'aldilà ci sono vari livelli a secondo dell'evoluzione delle persone?”<br />
“Si è vero e tu andrai nel livello superiore perché te lo sei meritato e te lo sei meritato veramente.”<br />
“Sei sicura?”<br />
“Come puoi dubitare di quello che dico, io sono la tua anima e so bene quello che sto dicendo e tu non sei corretta se dubiti di me in questo modo.”<br />
“Il corpo astrale e l'anima sono la stessa cosa?”<br />
“ Si in un certo senso sono la stessa cosa ma non bisogna confondere l'uno e l'altra perché in effetti il corpo astrale è solo il veicolo dell'anima e quindi il corpo astrale non è eterno ma l'anima lo è perciò non bisogna confondere le due cose.”<br />
“ Alla morte del corpo fisico andrò nell'aldilà con il corpo astrale?”<br />
“ Si è così ma non per sempre perché quando finirà il ciclo delle rinascite tu avrai un altro corpo più sottile e andrai a un livello superiore e sarai una cosa sola con la luce ma non devi temere perché esisterai ancora come individualità e avrai tutta la tua decisionalità e potrai spostarti dappertutto come vorrai e non sarai obbligata ad avere una forma e potrai cambiare la tua forma come vorrai.”<br />
“Che tipo di vita sarà in questo mondo superiore?”<br />
“ Sarà una vita molto felice oltre ogni spiegazione e non sarai affatto spaventata ma sarai incommensurabilmente felice.”<br />
“Una volta mi hai detto che prima o poi non ci sarà più niente di noi perché noi saremo parte dell'uno e saremo parte della nuova opera, in quella vita che non sarà più secondo il solito modo di essere. Puoi spiegarti meglio?”<br />
“Si, ti spiego subito cosa volevo dire: noi andremo a un livello superiore e quello che morirà sarà solo il corpo astrale ma non lo spirito che invece sarà molto vivo e operante nell'universo e sarà molto libero di fare ciò che vuole e non ci saranno limiti al suo potere.”<br />
“Che differenza passa tra l'anima e lo spirito?”<br />
“Non c'è nessuna differenza sostanziale ma solo una differenza di grado. L'anima è più vicina a te come se fosse la tua stessa vita mentre lo spirito è più astratto e lo senti come se fosse in te e fuori di te, legato a tutto quello che esiste.”<br />
“Ogni pianeta dell'universo ha il proprio doppio astrale?”<br />
“Si è così, ogni pianeta ha il proprio doppio astrale ed ha il proprio aldilà e quindi ogni aldilà contiene delle creature che sono le prossime forme che ci saranno su ognuno dei mondi dove andranno a incarnarsi.”<br />
“Quindi ci sono aldilà sparsi per tutto l'universo?”<br />
“Si è così ci sono aldilà sparsi per tutto l'universo e ci sono forme di vita, le più varie possibili, in ogni spazio possibile.”<br />
“ Anche i mondi superiori sono sparsi per tutto l'universo?”<br />
“ No i mondi superiori sono unici e accoglieranno le creature evolute provenienti da ogni pianeta e da ogni esperienza possibile e andranno a vivere su quella dimensione dopo essere stati su ogni pianeta e aver fatto il giro di tutte le galassie e di tutto l'universo.”<br />
“C'è un intelligenza universale che presiede a tutto il funzionamento dell'universo?”<br />
“Si, c'è una mente universale che coordina tutto il funzionamento dell'universo ma non è come te lo puoi immaginare perché è in tutte le cose e informa tutto quello che esiste e che ti permette di essere viva e di mantenere la vita nell'universo.”<br />
“Potrebbe essere per esempio il “campo quantistico?”<br />
“Si è proprio lui e non ti devi lambiccare il cervello perché è più semplice di quello che sembra e sicuramente un giorno lo capirai certamente e ti sembrerà naturale.”<br />
“Tu mi hai parlato di un mondo superiore che raggiungeremo solo alla fine del ciclo delle rinascite, un mondo quindi dove non sei ancora stata e allora come fai a descriverlo? Qual'è la tua fonte?”<br />
“La mia fonte sono io stessa perché ogni anima viene alla luce con la conoscenza totale e solo quando si incarna se ne dimentica. Le anime nascono dalla luce stessa che le ha generate e poi possono andare a incarnarsi per fare esperienza della vita terrena e della vita degli altri pianeti”.Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-89535202175059633102020-07-21T06:00:00.001-07:002020-07-21T06:00:50.955-07:00L'anima degli animali<br />
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L'amore e il rispetto che ho sempre avuto per gli animali mi ha condotto a pensare che se gli esseri umani hanno un'anima a maggior ragione devono averla gli animali che ne danno sicuramente maggiore testimonianza, perciò una delle prime domande riguardò proprio questi nostri fratelli.<br />
“Gli animali hanno un anima individuale?”<br />
“Si gli animali hanno un anima individuale, ma gli insetti hanno un anima di gruppo e vanno a librarsi solo a prossima vita del gruppo a cui appartengono. La loro vita è prossima a quella delle piante e non sono più liberi di percorrere la loro evoluzione perché sono stati portati a vivere la loro vita altrove e non sono stati impartiti ordini a proposito”.<br />
“E gli animali più piccoli come lucertole, gechi, piccole ranocchie e serpentelli?”<br />
“Hanno un'anima individuale ma non hanno ancora una loro volontà e quindi sono ancora nello stadio della creazione di quelle creature che sono soggette alla volontà della specie. E' la specie che si prende cura di loro che non si sono ancora presi le loro responsabilità e quindi la loro anima è ancora molto lontana da quella degli animali più grandi che invece sono più consapevoli e sono più intelligenti.”<br />
“E i pesci?”<br />
“ I pesci hanno un'anima di gruppo come gli insetti e non sono consapevoli della loro vita”.<br />
“ Però non ci sono solo i pesci che nuotano in banco, i delfini, le balene e altri grossi pesci hanno sicuramente un'anima”<br />
“Si, loro si, perché sono evoluti e sono mammiferi e quindi sono diversi dagli altri pesci più piccoli”<br />
“So che in fondo agli abissi vivono le più strane e fantastiche creature marine, per caso vi sono anche sirene?”<br />
“No, non sono mai esistite le sirene ma sono esistite le fantasie umane che le hanno create per la loro gioia di vivere e per esaltare la bellezza del mare e della vita che così sembra ancora più fantasiosa e più bella di quello che è già”.<br />
“Gli animali si reincarnano come gli esseri umani? E possono reincarnarsi in un essere di una specie evolutiva superiore?” <br />
“Gli animali superiori possono reincarnarsi nella stessa specie o anche, a volte, quando sono molto evoluti, possono reincarnarsi in una specie superiore per evoluzione, ad esempio possono diventare anche esseri umani molto semplici e poi progredire fino all'evoluzione finale della specie”.<br />
“La mia gatta Pentesilea che era sicuramente un essere altamente evoluto potrebbe essersi reincarnata in una persona?”<br />
“Si potrebbe essersi reincarnata in una persona ma anche no, perché non è così scontato che un essere sia pronto a cambiare specie e potrebbe anche non volerlo e preferire rimanere nella stessa specie”.<br />
“Anche gli animali rinascono dopo aver programmato un loro piano di vita?”<br />
“Si è così e spesso i loro piani di vita sono anche più precisi di quelli umani.”<br />
“Ma secondo la legge dell'evoluzione gli animali dovranno prima o poi reincarnarsi in un essere di livello evolutivo superiore?”<br />
“Si arriveranno a incarnarsi a un livello evolutivo superiore ma non sempre e non in modo obbligato. Possono anche rimanere per sempre nella stessa specie.”<br />
“Mi hai detto che gli esseri umani devono evolversi e fare esperienza di tutti i pianeti esistenti, anche gli animali devono viaggiare per tutto l'universo?”<br />
“Si anche gli animali fanno le stesse esperienze degli esseri umani e possono viaggiare per tutte le galassie e per tutto l'universo ma non devono soffrire come gli esseri umani perché sono più innocenti e non hanno contratto tanti debiti karmici”.<br />
“Mi hai spiegato che alla fine delle incarnazioni quando gli esseri avranno fatto tutte le esperienze e avranno pagato tutti i loro debiti accederanno ai mondi superiori di eterna luce, vi accederanno anche gli animali?”<br />
“Si, possono accedere ai mondi superiori come gli esseri umani perché sono anche migliori e quindi il loro spirito può arrivare a giungere fino ai livelli più alti della spiritualità e possono diventare esseri di luce e curare gli esseri umani e anche i loro simili”.<br />
C'era ancora una cosa che volevo sapere e che riguardava un evento straordinario che mi era capitato di vivere. La mia gatta Kelima, nei confronti della quale avevo avuto un attaccamento enorme, almeno quanto il suo per me, era già scomparsa da alcuni anni senza che io avessi mai smesso di pensare a lei. Una notte mi resi conto che era nel mio letto come quando era viva e dormiva con me tra le mie braccia. Kelima si profuse in una quantità di coccole e bacini come faceva quando era viva e il fatto straordinario era che io, che ero sveglia e cosciente, sentivo il calore e il peso del suo corpicino e perfino l'odore buono della sua pelliccia. Insomma non era una visione giacché io sentivo tutta la sua fisicità e perfino l'umido dei suoi bacini. Successivamente sentii il respiro pesante di un uomo e poi la sensazione che un altro gatto si fosse arrampicato lungo la mia gamba. Furono questi sgradevoli particolari a indurmi ad accendere la luce e terminare l'esperienza. L'incredibile episodio mi aveva riempito di commozione anche se non sapevo spiegarmelo e tuttavia una convinzione interiore mi assicurava che Kelima era volutamente venuta da me. Posi alla mia anima queste domande:<br />
“Era veramente Kelima quella che è venuta da me? Questo vuol dire che è sopravvissuta? E come sta?”<br />
“Si era lei, è sopravvissuta e sta bene”<br />
“La rivedrò?”<br />
“Si la rivedrai”<br />
“Assieme a Kelima ho sentito il respiro di un uomo e un gatto che si arrampicava lungo la mia gamba, erano altre entità?”<br />
“Si sono venute altre entità perché lei per venire da te ha dovuto aprire un varco attraverso cui sono passate altre entità, erano la tua gatta Pentesilea e un uomo che non conosci e che è voluto uscire per andare a ritrovare il suo mondo passato e si è ritrovato da te”.<br />
“Pentesilea ci è rimasta male per il fatto che non le ho dato retta?”<br />
“No perché sapeva che tu non eri preparata a quella doppia visita”<br />
“Pentesilea sa che le voglio molto bene?”<br />
“Si lo sa e ti vuole bene anche lei. Voleva stare ancora con te ma non è dispiaciuta di non esserci riuscita perché sa che vi rivedrete e che starete ancora insieme”.<br />
“Quando è venuta Kelima io ero lucida e sveglia ma mi sentivo strana, ero nel mio corpo fisico oppure ne ero uscita e mi trovavo nel corpo astrale?”<br />
“ Sei uscita fuori dal corpo fisico e hai abbracciato la tua gatta mentre eri fuori dal corpo fisico e per questo tu la sentivi fisicamente perché anche tu eri fuori dal corpo fisico”.<br />
“Come mai se ero in astrale sono riuscita ad accendere la luce?”<br />
“ Quando hai deciso di concludere l'esperienza sei tornata prontamente nel corpo fisico.”<br />
Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-49627579678299771812020-07-05T05:47:00.002-07:002020-07-05T05:47:19.157-07:00Dialogo con l'animaDa quel momento in poi la scrittura automatica diventò un vero e proprio dialogo con l'entità che dichiarava essere ( e non ho motivo di credere che non lo fosse) la mia anima. Si avvicinava per me un periodo di impegni intenso e pieno di difficoltà che mi metteva in ansia e mi creava tensione. La scrittura automatica mi dava allora saggi suggerimenti: “Metti alla tensione un sigillo. Niente può ferire la tua anima. Nella mente nulla merita di essere preso sul serio. Senti nella testa l'unità nella speranza, leggera, sempre legge dell'universo. Leggeri, leggeri devono essere i pensieri.” Capitò anche che mentre ero impegnata nella seduta di scrittura automatica ricevetti la telefonata di un amico. Avevamo molte cose da dirci e mi trattenni al telefono più di quanto fosse opportuno. Poiché non avevo terminato la mia seduta provai a rimettere la matita sul foglio sperando di non dover aspettare un'altra mezz'ora prima che cominciasse a muoversi. Lo fece immediatamente, ma per rimproverarmi con asprezza l'interruzione. “Temetti dimenticare me. Letteralmente la tua anima. Non è bello. Meglio nessun contatto”<br />
Non me lo aspettavo, mi fece sorridere ma allo stesso tempo mi confermava che c'era veramente qualcuno che stava dialogando con me, che fosse un'entità esterna o una parte di me profonda e sconosciuta esigeva attenzione e rispetto. Chiesi scusa e mi fu risposto “Ti scuso ma che non si ripeta più”. E il tono categorico mi fece capire che chi stava dialogando con me non faceva sconti.<br />
Nelle sedute successive i messaggi della scrittura automatica si concentrarono soprattutto nel rimproverarmi di essere ancora troppo triste e di non “mettere gioia nella mente”. Mi suggerivano di riempire di stupore e di entusiasmo i miei pensieri e le mie speranze e mi facevano notare che mentre le mie mani erano impegnate nello svolgere un lavoro la mia mente era altrove e non facevo attenzione a ciò che stavo facendo, cosa che sembrava essere gravissima. Aggiungevano “Meno malinconia, la tua anima ne è rattristata”. Poiché mi stavo impegnando con tutte le mie forze ad uscire dallo sconforto queste affermazioni mi fecero arrabbiare e chiesi risentita in cosa secondo lei stavo sbagliando. La sua risposta fu “Nei tuoi impegni e nelle tue sensazioni stai sbagliando perché non stai mettendo gioia nella mente perché non stai facendo attenzione alle cose che fai. Metti qualche motivo di gioia nella mente”. Dopo una serrata diatriba e avendo rivendicato tutti gli sforzi che avevo fatto in quegli ultimi giorni, finalmente concesse “Si sei stata brava negli ultimi giorni ma non sei ancora riuscita a mettere gioia nella mente, sebbene sia riuscita a fare dei progressi, ma nelle prossime settimane otterrai ben altri risultati”. Nel salutare prima di chiudere la seduta chiesi se c'era ancora qualcosa che dovevo sapere e la risposta fu “Si devi sapere che sei importante per me e che sei importante per la Mente Universale”.<br />
Nel corso delle nostre discussioni la mia “anima” usava a volte anche espressioni sorprendenti riferite ad un'entità spirituale. Dopo una sua affermazione vagamente ironica chiesi di specificare meglio cosa aveva voluto dire e mi rispose “Era per fare un'ipotesi, sono già alla frutta se non mi capisci”.<br />
Mentre nelle prime sedute ponevo tra l'una e l'altra un bel po' di tempo, di solito circa un mese, successivamente i miei contatti con l'anima divennero pressoché quotidiani. Avevo creduto che fosse inopportuno disturbare questa entità interrogandola troppo spesso e che fosse irrispettoso porle domande che non appartenessero al regno della metafisica e della spiritualità. Un giorno però che ero disperata perché non trovavo più le chiavi di casa mi risolsi a rivolgermi a lei. Non appena poggiai la penna sul foglio questa cominciò a scrivere e le risposte alle mie richieste mi permisero di ritrovare le chiavi smarrite. Questo episodio sconcertante mi chiarì che potevo chiedere qualsiasi cosa, la più concreta e quotidiana ed avrei ricevuto una risposta. Non mi feci quindi più scrupolo di rivolgerle domande su tasse, bollette, appuntamenti medici e quant'altro, in particolare subissandola di domande sulla salute dei miei gatti che mi dava molti pensieri. Le risposte erano precise, sagge, e non c'era il minimo rimprovero per aver posto simili banali domande. Utilissimi furono i suggerimenti rispetto ai gatti. Non capivo perché il mio gatto con la stomatite si rifiutava di mangiare nonostante gli avessi appena praticato la puntura di cortisone, dopo averglielo chiesto la mia anima mi suggerì di portarlo subito dal veterinario perché aveva una grave infezione e abbisognava urgentemente di antibiotici, mi tranquillizzò anche rispetto all'anestesia assicurandomi che l'avrebbe sopportata. Il micio aveva infatti un brutto ascesso sotto il mento che non si vedeva e sebbene il veterinario mi avvertì che avrebbe dovuto anestetizzarlo ma non garantiva che si sarebbe svegliato date le sue precarie condizioni, si svegliò lucido e cosciente e pur essendo un micio assai nervoso si lasciò praticare due punture al giorno senza protestare, esattamente come mi aveva assicurato la mia anima. Dopo sette giorni non ne volle più sapere, ma la prescrizione del veterinario ne prevedeva dieci così chiesi nuovamente consiglio con la scrittura automatica e la risposta fu”il veterinario ha prescritto la cura per 10 giorni solo per precauzione, ma quello che ha fatto è sufficiente, non fargli più niente perché ha sofferto abbastanza e non è il caso di farlo ancora agitare. Rispetta la sua decisione perché lui ne sa più di te”. Fui colpita dalla considerazione e dalla rispettosa empatia con cui parlava del mio micio, ma in seguito ne capii la ragione quando indagai a fondo sulla vera natura degli animali. Ormai tutte le domande che mi erano girate in testa da quando avevo cominciato a pensare potettero essere formulate e il più delle volte trovarono le risposte. Gli argomenti rispetto ai quali discussi attraverso la scrittura automatica furono numerosi e vari ma i dialoghi che sto per esporre si possono configurare tra i più importanti e sorprendenti.<br />
Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-82596875648593726402020-06-25T07:43:00.000-07:002020-06-25T07:44:54.433-07:00<br />
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I capitolo DIALOGO CON L'ANIMA<br />
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Il mio primo incontro con la scrittura automatica risale a una sera di ottobre dell'anno scorso. Decisa a sperimentare questa tecnica perché mi mettesse in comunicazione con la trascendenza, mi posi davanti al foglio bianco con la penna in mano la cui punta era appena appoggiata sulla pagina. Drizzai la schiena come era scritto nelle istruzioni che avevo trovato in un libro e attesi. Attesi almeno mezz'ora senza che accadesse nulla. Cominciava a farsi strada in me il sospetto che la scrittura automatica non fosse una pratica adatta a tutti e che la penna non si sarebbe mai mossa da sola. Mi concentrai più intensamente aggiungendo una respirazione profonda e proprio quando stavo per gettare la spugna, ossia la penna, questa cominciò a muoversi per conto suo senza l'ausilio della mia volontà. Scrisse sul foglio solo delle righe e dei scarabocchi, ma il fatto stesso che la penna si fosse mossa davvero autonomamente fu sufficiente a riempirmi di entusiasmo. Dopo mi accorsi che alcuni di quegli scarabocchi assomigliavano a lettere il cui senso però mi sfuggì. La seconda volta che provai dovetti ancora una volta attendere una mezz'ora prima che la penna cominciasse a muoversi. Poi con mio grande stupore cominciò a volteggiare sul foglio con sicurezza. Solo quando si fermò vidi che aveva disegnato un cavalluccio marino nell'atto di nuotare. Il disegno era preciso e inequivocabile. Poi la penna si mise nuovamente in moto e questa volta produsse un pesce e un gatto che nuotavano uno in senso contrario all'altro e di seguito una persona nell'atto di tuffarsi. Il corpo era tratteggiato così bene che con tutta probabilità non sarei riuscita a disegnarlo con tanta precisione con i miei mezzi usuali. Era però privo di testa e fornito di ali, sicché ero indecisa se interpretare il soggetto come in volo o nell'atto di tuffarsi. Tracciò anche delle parole alcune delle quali riuscii a interpretare: “tenta di esistere dentro, interno anima. Fai alleggerire mai. Infinito fu e tu nessuna collera.” Il testo aveva tanto più senso in quanto avevo iniziato la seduta di scrittura automatica in preda alla rabbia per qualcosa che ora non ricordo. La terza prova aggiunse nuovo stupore a questa esperienza. La penna aveva cominciato a scrivere con ampi volteggi disegnando una grande farfalla che riempiva l'intero foglio e nella quale non faticai a ravvisare un simbolo dell'anima. Proseguì tracciando ripetutamente un otto allungato, il segno dell'infinito. L'insistenza della penna nel disegnare un otto sopra un altro a grande velocità e la forza con cui scavava la carta fu tale che il foglio rischiò di lacerarsi. Non mancò di aggiungere alcune parole “Cammineremo sempre tenendo fuori fiori nuovi. Resta inalterata serena con te stessa”. Fu a quel punto che decisi di porre delle domande dirette nella speranza di aprire un dialogo con quell'entità che non sapevo ancora chi o cosa fosse, anche se non ci speravo molto. Tentai: sopravviveremo dopo la morte? La risposta fu “Nella vita niente si perde una volta metti gioia nella mente”. Lo interpretai come un si e chiesi ancora : -in questa nuova vita saremo più felici?- La risposta fu “sicuro perché saremo curati” -e da chi saremo curati?- indagai e la riposta fu “esseri di luce” . La scoperta che l'entità evocata con la scrittura automatica rispondesse alle domande mi riempì di stupore e di entusiasmo, in seguito avrei scoperto che potevo rivolgerle ogni tipo di domanda, tanto su argomenti metafisici quanto su piccoli impicci della vita quotidiana trovando sempre una risposta puntuale e saggia.<br />
Una sera di dicembre, a pochi giorni dal natale mi trovavo a Calcata per una mostra che avevo organizzato assieme a mia cognata. L'argomento della mostra erano i gatti, passione che condivido con mia cognata che ne ha dipinti di molto belli. Essendo un orafa io avevo prodotto dei gattini in argento da usare come orecchini e ciondoli. Per esporre le nostre opere avevamo affittato un piccolo locale che se era bello esteticamente in compenso era gelido e sprovvisto di ogni tipo di riscaldamento. Le mie aspettative erano diverse da quelle di mia cognata che non aveva interesse a vendere i suoi quadri, io speravo di realizzare qualche guadagno e proprio per questo avevo scelto una data vicino all'evento natalizio. Purtroppo però le visite furono rare e le vendite ancora di più. Mentre passeggiavo avanti e indietro nel locale perché i piedi non mi si congelassero, pensavo con sconforto a tutte le difficoltà della mia vita e a quanto fosse mal ripagata tutta la dedizione, l'abilità e l'attenzione che mettevo nel mio lavoro. Avevo anche speso dei soldi per pagare la metà dell'affitto del locale e per quello della stanza dove sarei andata a dormire, senza recuperare neppure quelli. La sera, chiusa la piccola galleria mi avviai verso la mia camera. Faceva un freddo gelido e non avevo trovato niente da mangiare. Mentre abbracciavo il termosifone nella speranza di farmi arrivare un po' di calore pensai che per arrampicarmi lungo il pozzo del mio sconforto e risalire alla superficie potevo farmi dare qualche buon consiglio dalla scrittura automatica. Strappato un foglio di quaderno e tirata fuori dalla borsa una penna che ancora scriveva mi misi all'opera. <br />
Domandai in merito ad alcune faccende che mi stavano a cuore, tra cui se dovevo smettere di lavorare e dedicarmi completamente alla letteratura, ricevendone un si, alfine feci la domanda che davvero mi premeva. Chiesi: -Chi sei?- La risposta fu “Sono la tua anima, nella tenerezza mettere sapienza” e un bell'otto dell'infinito come firma. Dopo aver disegnato dei grandi otto a tutta pagina e avermi ripetutamente ammonito “Metti gioia nella mente”, frase che poi ripeté come un motivo conduttore tutte le volte successive, alla mia domanda -Sei davvero la mia anima?- rispose “Si sei in contatto con la tua anima e niente, niente ti può fare del male”.Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-57136365747691394212020-06-21T11:38:00.003-07:002020-06-21T11:38:45.830-07:00Premessa per un nuovo indirizzo del blogMi sento in dovere di dare qualche spiegazione sulla piega diversa che sta per prendere questo blog. Le persone che mi conoscono e che hanno letto questo blog, che ho trascurato da molto tempo, sanno che io sono da sempre una persona che difende i diritti umani e che è convinta che non possa esistere giustizia in assenza di pace. Sono stata un'attivista per quasi tutta la vita e i miei principi non sono mai cambiati, nè cambieranno in futuro. Per questo motivo il blog su cui sto scrivendo si è occupato della Palestina, e delle varie storture che esistono nel mondo. Gli argomenti che voglio cominciare a trattare però partiranno da diversi punti di vista, meno razionali e più spirituali. Avrei voluto aprire un blog a parte ma non ci sono riuscita perciò dovrò usare questo per questi nuovi argomenti. Premetto che sebbene io ritenga che l'intelletto sia indispensabile per orientarsi nella vita e per fare analisi, sono da sempre anche una persona molto spirituale. Per dieci anni ho studiato il misticismo della qabalah, sono un'esperta di sogni lucidi e fin dall'infanzia vittima di uscite astrali spontanee. Questi fenomeni mi hanno indotto a indagare un altro aspetto del reale, quello dell'invisibile. Negli anni della mia maturità ho sviluppato una sorta di chiaroveggenza che ho sempre avuto in modo latente ma che si è manifestata in modo inequivocabile solo in questi ultimi anni.L'aspetto più importante di questa chiaroveggenza è la mia capacità di mettermi in contatto con le anime dell'aldilà e questo è per me molto confortante giacchè ho perso delle persone care che erano dei pilastri della mia esistenza. La mia capacità mi consente di mantenere con loro dei contatti costanti e di ricevere comunicazioni importanti. Ci ho pensato a lungo e alla fine ho concluso che non potevo tenere solo per me queste cose e così ho scritto questo testo che si chiama "Alle porte dell'infinito" che è la storia di come è cominciata e come si è sviluppata la mia chiaroveggenza e contiene tutte le notizie che ho ricevuto durante le mie comunicazioni con l'aldilà. Sono convinta che i due universi quello fisico e quello astrale non siano antitetici nè incomunicabili, essendo noi tutti esseri multidimensionali.Pubblicherò questo testo a puntate e il prima post, che è quello che precede questo in oggetto è la prefazione scritta dalla mia migliore amica che è partita da questa terra nel settembre del 2017. In questo mondo che non dà nessun valore alle persone ma solo alle leggi di mercato la morte è da una parte un fatto banale dall'altra un evento che viene negato perchè fa troppa paura. Spero che leggere questo testo possa essere di conforto e di sollievo per chi lo leggerà, anche se dovesse prenderlo solo come una favola o come una metafora letteraria, il suo spirito ne sarà comunque confortato.Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-55481474177929995282020-06-21T10:55:00.002-07:002020-06-21T10:55:50.576-07:00Alle porte dell'infinito Prefazione<br />
NOTA DELL'AUTRICE<br />
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La seconda parte di questo testo è stato scritto in collaborazione con alcune anime dell'aldilà con cui sono in costante contatto. Si tratta quindi di un testo che scavalca gli ostacoli tra il mondo fisico e quello astrale dell'aldilà gettando un ponte tra i due mondi. Ho chiesto perciò a Rosanna che è stata sulla terra la mia più cara amica di scriverne la prefazione. Voglio ringraziare tutte loro per avermi assistito e partecipato alla stesura di questo libro. Ringrazio Rosanna, Sara, Maurizio, Franca, mio padre e mia madre e ringrazio anche il mio spirito guida che mi accompagna e mi guida da sempre nelle mie scelte di vita.<br />
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PREFAZIONE<br />
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Questo libro che parla di cose insolite e soprannaturali è stato scritto con la mia collaborazione e con la collaborazione di altre anime dell'aldilà con cui l'autrice è in contatto da tempo. Sulla terra siamo state molto amiche e lo siamo tuttora sebbene a tanta distanza. Ciò prova che quando si crea un vero rapporto di amicizia, di stima e affetto reciproco, neppure il passaggio a un altra dimensione è un ostacolo per la continuazione di quella amicizia. Con Miriam ho assistito alla nascita e allo svolgimento di questo testo e ho dato il mio contributo a scriverlo e di questo sono molto felice. Posso dire che anche la richiesta di Miriam a scrivere la prefazione è stata da me accolta con molta gioia perché è una ulteriore dimostrazione di come si possa lavorare insieme anche se si vive in due dimensioni diverse. E dico, si vive, perché noi qui nell'aldilà non siamo morti, ma siamo più vivi che mai e la nostra vita si svolge come una continuazione di quella terrena, ma a un livello molto più alto di consapevolezza e perciò quello che facciamo ha la possibilità di influenzare anche alcuni comportamenti della terra, cosa a cui ci dedichiamo costantemente per migliorare il livello di consapevolezza e per elevare le vibrazioni della terra ma prestiamo attenzione anche alla nostra evoluzione e perciò ci dedichiamo a migliorare tutte le nostre capacità e a far crescere la nostra consapevolezza e la nostra compassione. Queste due cose sono fondamentali per fare in modo che il mondo e il suo destino siano ancora dotati di futuro. Oggi il mondo terreno sta giungendo a un capolinea per come affronta le cose e i vari problemi in modo egoistico e arrogante e sta facendo in modo che la natura sia assoggettata alle leggi di mercato e alle aspirazioni dei potenti per i quali conta solo il denaro e i loro fatturati. Questo ha prodotto una grande sofferenza per la terra, per gli animali che ci vivono e per la biodiversità, ma anche per intere popolazioni che soffrono la fame e la mancanza d'acqua, che è fondamentale per vivere. Il mondo sta correndo verso la sua autodistruzione perché gli uomini non hanno capito che l'egoismo non porta al loro benessere ma porta alla morte, intesa come l'estinzione di specie animali e vegetali e delle risorse necessarie per vivere perciò non può continuare così e qui nell'aldilà si stanno prendendo delle decisioni che riguardano la terra e la possibilità per la terra di essere salvata. Questa salvezza può avvenire solo se gli uomini collaboreranno per uscire dalla loro miseria morale altrimenti non sarà più possibile per noi fornire aiuto come abbiamo sempre cercato di fare e la Mente Divina prenderà provvedimenti molto drastici. La terra vedrà comparire giorni difficili e un grande cataclisma la investirà cambiando la sua fisionomia. Molte terre saranno inghiottite dalle acque e molti popoli saranno spazzati via. Ma la terra che resterà dopo questi sconvolgimenti sarà migliore perché non ci sarà più inquinamento e non ci sarà violenza e le persone che saranno sopravvissute, e saranno poche, perché poche sono quelle che nel mondo si battono davvero per il bene di tutti. Queste persone potranno garantire la continuità della vita sulla terra. Questo avverrà di sicuro tra non molti anni perché il mondo è giunto a un punto di non ritorno. Ma se gli uomini vogliono, possono ancora evitare questo sconvolgimento e la pandemia in atto può essere vissuta anche come un occasione per cambiare e per portare nel mondo maggiore giustizia e compassione. Il mondo deve comprendere il valore dell'umiltà e della fratellanza con tutti i suoi simili e anche della fratellanza con le altre specie animali perché questo è fondamentale per migliorare la vita. Il male che sempre viene fatto agli animali ricade sugli uomini come conseguenza del loro comportamento e di questo si devono rendere conto gli allevatori quando concentrano milioni di animali in modo intensivo creando grandi sofferenze in quelle creature dotate di anima e di intelligenza, ma anche producono disastrosi inquinamenti e inducono a distruggere foreste per porvi i loro allevamenti distruggendo nel contempo una preziosa risorsa per l'umanità perché eliminare le foreste significa togliere aria alla terra. Queste cose è tempo che gli uomini le capiscano e che i diretti responsabili mettano in atto radicali cambiamenti, altrimenti non resta che uno sconvolgimento colossale ed epocale della terra che si scuote di dosso tutti i mali che l'hanno afflitta. Bisogna che l'umanità capisca che la terra non è un loro possesso e che nessun dio l'ha data in loro possesso. La terra è un essere intelligente e pieno di divinità e non potrà essere oltraggiata a lungo.<br />
Io penso che questo libro possa portare chiarezza a molti e anche conforto, perché tanti sulla terra, conoscendo solo egoismo e cattiveria, pensano alla morte con paura. Sia perché è un campo ignoto e sia perché temono la loro fine definitiva, se sono non credenti o una punizione severa se credono in qualche religione. Questo libro può chiarire le loro idee sul fatto che non esiste morte in senso definitivo, ma solo un cambiamento di stato da un mondo fisico a un mondo astrale dove si vive, con un corpo più sottile, una vita attiva e meravigliosa e dove le anime sono rese sagge dalla conoscenza delle leggi dell'universo e non esiste punizione da parte di un Dio che non giudica, ma è dappertutto ed è soltanto amore e compassione. Tuttavia chi si è reso responsabile di gravi colpe si giudicherà da solo, perché sarà in grado di capire il vero danno che ha compiuto. E' meglio che gli uomini correggano i loro errori prima di partire per l'aldilà, dove questi errori provocheranno loro molta sofferenza. Io sono molto felice di aver potuto contribuire alla stesura di questo libro e mi auguro che possa essere uno strumento utile per portare consapevolezza e conforto a tante menti che ora sono confuse nel frastuono della civiltà moderna così assordante. <br />
Rosanna Leotta<br />
Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-3131290633069172702018-10-07T10:36:00.004-07:002018-10-07T10:36:54.214-07:00DOPO IL CATACLISMA<br />
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RACCONTO<br />
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I bambini sgranarono gli occhi e ammutolirono sgomenti alle parole del maestro. Olmo smise di giocare con le foglie e Gioia di accarezzare l'agnellino che si era avvicinato. L'aria era fresca e pulita e il sole scaldava piacevolmente accarezzando le testoline degli scolari seduti all'aperto. Stavano apprendendo il significato della parola guerra, una pratica usuale agli uomini prima del cataclisma. I piccoli allievi ascoltavano increduli il racconto di bombe e di missili lanciati dagli aerei sulle popolazioni civili inermi. Racconti di distruzione e di odio dove proprio i più vulnerabili, coloro che avrebbero dovuto essere protetti e amati venivano inesorabilmente schiacciati e annientati. All'umanità del dopo cataclisma le parole guerra, odio, sopraffazione, schiavitù, razzismo erano sconosciute, o per lo meno erano sconosciute ai più giovani, per gli altri, coloro che sapevano, avevano perso il loro senso ed erano scomparse dal linguaggio e dal vocabolario. Titanicus non avrebbe voluto rievocarle per i bambini, ma era il maestro di storia ed era suo preciso dovere portare alla loro conoscenza le ragioni che avevano prodotto il grande cataclisma che aveva spazzato i tre quarti del genere umano e sconvolto la faccia della terra. Erano passati solo 50 anni dall'evento, un tempo insignificante per la storia, ma la vita dei sopravvissuti era completamente cambiata. Scomparse erano le centrali nucleari, le basi militari e cessata la produzione di armamenti. Tutto l'ordine sociale era mutato. Non c'erano più organizzazioni statali, né eserciti, né banche. Non c'erano disuguaglianze né povertà né fame e né sete per nessuno. La nuova umanità, molto ridotta nel numero, viveva come una grande unica famiglia e spendeva le proprie energie per migliorare la propria esistenza e quella del pianeta. La produzione dei beni era studiata per soddisfare le necessità di tutti e non per il profitto. Non c'erano né ricchi né poveri. Ognuno contribuiva con la propria intelligenza e con le proprie capacità al benessere collettivo. La cultura, la conoscenza e la consapevolezza venivano promosse e auspicate e nessuno si sentiva inutile, impotente e infelice. Non c'erano carceri e non c'erano gabbie. Scomparsa la violenza era scomparso con essa ogni istinto delittuoso e gli animali, anch'essi ridotti nel numero, vivevano liberi seguendo la loro natura senza la minaccia incombente di essere uccisi e sfruttati. Anche le malattie erano scomparse, assieme all'inquinamento, alle emissioni di gas serra, alla contaminazione dell'aria e dell'acqua. La natura era rifiorita in tutto il suo splendore espandendo la sua bellezza e accrescendo la biodiversità di specie animali e vegetali. A causa della nuova conformazione delle terre il mare era dappertutto e questo rendeva il paesaggio ancora più stupefacente e meraviglioso. Non è che la gente fosse tornata a un sistema di vita semplice e primitivo. Ciò che era cambiato erano i valori e le priorità. Nessuno più desiderava di diventare ricco e di accentrare nelle sue mani più di quanto gli servisse per vivere e per essere felice. La tecnologia non era stata spazzata via, ma il suo uso era solo al servizio del miglioramento della vita di tutti. Titanicus era molto vecchio e ricordava ogni aspetto greve e doloroso del mondo che c'era stato prima. Un mondo in cui imperavano la menzogna e la calunnia usate dai potenti per sopraffare e distruggere intere popolazioni per i loro interessi egoistici. Un mondo in cui si scatenavano guerre e aggressioni da parte di chi aveva tutto per togliere perfino la vita a chi non aveva niente. Un mondo in cui la violenza dilagava in ogni suo aspetto e grado invadendo le menti e avvelenando le masse con l'invidia, il razzismo e l'ignoranza. Dove gli esseri umani vivevano una vita nella confusione e nell'ansia, controllati dai potenti e saturi di ingiustizia. Un mondo senza libertà. Ma c'era anche in quel mondo chi non accettava quelle regole, chi era disposto anche a morire pur di gridare la propria sete di libertà, di vita, pur di affermare la propria dignità e il proprio valore conferitogli dall'universo. Erano il sale della terra e proprio queste persone venivano calunniate e uccise. Una violenza senza fine e una disperazione continua affliggeva il mondo prima del cataclisma. Titanicus ricordava bene i sentimenti di impotenza, di rabbia di tristezza che aveva provato di fronte a tanta disumanità. La prepotenza e l'arroganza dei potenti non aveva limiti e non aveva limiti la loro crudeltà. Sicari ben pagati e organizzati crescevano come i funghi foraggiati dagli stati più violenti e ammazzavano, impiccavano e decapitavano donne e bambini, le madri con i loro figli. Ogni aspetto della società mondiale trasudava violenza e quando un popolo o uno statista cercava di andare controcorrente veniva represso o sostituito con un colpo di stato, oppure annientato con un bombardamento. Gli uomini si erano dati delle regole e delle leggi internazionali, ma nei fatti erano carta straccia e l'unica vera legge era quella del più forte, del più prepotente, del più canaglia. I peggiori tra loro avevano speso molte energie per organizzare un potente apparato atto a divulgare menzogne e per oscurare alle masse le loro malefatte e l'acquiescenza dei più completava l'opera. Ma se gli esseri umani erano ridotti a schiavi e cavie, inconsapevoli perfino di esserlo, la natura a sua volta veniva devastata e snaturata. Tutti i suoi prodotti generosi erano contaminati e distrutti. Perfino i semi diventavano proprietà privata. Le foreste erano rase al suolo per far posto ad allevamenti sterminati di animali che venivano torturati e uccisi, l'aria era tossica le acque inquinate, il pianeta soffocava ed era oppresso e circondato da una fitta nuvola nera di forme pensiero negative. Ma anche dai rottami delle varie navicelle e sonde spaziali che roteavano attorno ad essa con il concreto rischio di colpirla in qualsiasi momento. Mentre i potenti coalizzati, convinti di essere forti ed eterni, preparavano una nuova guerra mondiale con l'intento di usare le armi nucleari, le masse ignare di essere sull'orlo dell'annientamento esultavano per la vittoria della squadra di calcio per cui facevano il tifo. Fu a quel punto che la madre terra esplose in un terremoto mondiale scuotendosi di dosso i piccoli uomini come se fossero state pulci. Interi continenti furono ingoiati dalle acque, tsunami distrussero paesi, la furia della natura ridisegnò la faccia del pianeta. Le terre emerse quando si placò il cataclisma erano molto ridotte e altrettanto ridotto il numero degli esseri viventi sopravvissuto. <br />
Turbato dai ricordi il volto di Titanicus si era oscurato, poi guardò i fanciulli che ascoltavano le sue parole, i loro visi pieni di luce, erano la promessa del futuro. Prima del cataclisma era stato sicuro che non ci sarebbe stata nessuna speranza per l'umanità e che questa specie orgogliosa sarebbe stata così stupida da autodistruggersi trascinando nella sua catastrofe anche tutte le altre specie innocenti e la natura stessa, ma non era stato così. La Mente Universale aveva scelto di favorire l'impegno degli uomini saggi che avevano in tutti i modi cercato di arginare il disastro. Questa nuova umanità era cresciuta anche grazie ad essi, sviluppando capacità, sensi e intuizioni che la chiusura mentale degli uomini del passato non aveva mai avuto. Essi erano soliti usare nella loro quotidianità non solo la razionalità ma anche la fantasia, l'ispirazione, l'intuito ed erano pieni di entusiasmo e di stupore. I loro occhi non guardavano soltanto, ma vedevano e penetravano l'apparenza per giungere all'essenza delle cose. La loro spiritualità era elevata e il loro sodalizio con l'universo, di cui si sentivano parte, perfetto. Un sospiro di sollievo uscì dal petto di Titanicus, per quel giorno aveva istruito abbastanza i bambini sulle atrocità della storia passata della loro specie, perciò sciolse la riunione di studio e i piccoli tornarono a sorridere disperdendosi festanti.Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-38358078565145885382017-03-21T07:20:00.000-07:002017-03-21T07:20:06.192-07:00IL GRANDE GIOCO NUCLEARE IN EUROPA===================================================================================================================<br />
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Manlio Dinucci<br />
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Il siluro lanciato attraverso il New York Times – l’accusa a Mosca di violare il Trattato sulle forze nucleari intermedie (Inf) – ha colpito l’obiettivo: quello di rendere ancora più tesi i rapporti tra Stati uniti e Russia, rallentando o impedendo l’apertura di quel negoziato preannunciato da Trump già nella campagna elettorale.<br />
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Il siluro porta la firma di Obama, che nel luglio 2014 (subito dopo il putsch di Piazza Maidan e la conseguente crisi con la Russia) accusava Putin di aver testato un missile nucleare da crociera, denominato SSC-X-8, violando il Trattato Inf del 1987 che proibisce lo schieramento di missili con base a terra e gittata compresa tra 500 e 5500 km.<br />
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Secondo quanto dichiarano anonimi funzionari dell’intelligence Usa, ne sono già armati due battaglioni russi, ciascuno dotato di 4 lanciatori mobili e 24 missili a testata nucleare. Prima di lasciare l’anno scorso la sua carica di Comandante supremo alleato in Europa, il generale Breedlove avvertiva che lo schieramento di questo nuovo missile russo «non può restare senza risposta».<br />
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Taceva però sul fatto che la Nato tiene schierate in Europa contro la Russia circa 700 testate nucleari statunitensi, francesi e britanniche, quasi tutte pronte al lancio ventiquattro’ore su ventiquattro. E man mano che si è estesa ad Est fin dentro la ex Urss, la Nato ha avvicinato sempre più le sue forze nucleari alla Russia.<br />
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Nel quadro di tale strategia si inserisce la decisione, presa dall’amministrazione Obama, di sostituire le 180 bombe nucleari B-61 – installate in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), Germania, Belgio, Olanda e Turchia – con le B61-12: nuove armi nucleari, ciascuna a quattro opzioni di potenza selezionabili a seconda dell’obiettivo da colpire, capaci di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando. Un programma da 10 miliardi di dollari, per cui ogni B61-12 costerà più del suo peso in oro.<br />
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Allo stesso tempo gli Usa hanno realizzato in Romania la prima batteria missilistica terrestre della «difesa anti-missile», che sarà seguita da un’altra in Polonia, composta da missili Aegis, già installati a bordo di 4 navi da guerra Usa dislocate nel Mediterraneo e Mar Nero. È il cosiddetto «scudo» la cui funzione è in realtà offensiva: se riuscissero a realizzarlo, Usa e Nato terrebbero la Russia sotto la minaccia di un first strike nucleare, fidando sulla capacità dello «scudo» di neutralizzare la rappresaglia.<br />
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Per di più, il sistema di lancio verticale Mk 41 della Lockheed Martin, installato sulle navi e nella base in Romania, è in grado di lanciare, secondo le specifiche tecniche fornite dalla stessa costruttrice, «missili per tutte le missioni», comprese quelle di «attacco contro obiettivi terrestri con missili da crociera Tomahawk», armabili anche di testate nucleari. Mosca ha avvertito che queste batterie, essendo in grado di lanciare anche missili nucleari, costituiscono una violazione del Trattato Inf.<br />
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Che cosa fa l’Unione europea in tale situazione? Mentre declama il suo impegno per il disarmo nucleare, sta concependo nei suoi circoli politici quella che il New York Times definisce «una idea prima impensabile: un programma di armamenti nucleari Ue». Secondo tale piano, l’arsenale nucleare francese sarebbe «riprogrammato per proteggere il resto dell’Europa e posto sotto un comune comando europeo», che lo finanzierebbe attraverso un fondo comune. Ciò avverrebbe «se l’Europa non potesse più contare sulla protezione americana».<br />
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In altre parole: qualora Trump, accordandosi con Putin, non schierasse più le B61-12 in Europa, ci penserebbe la Ue a proseguire il confronto nucleare con la Russia.<br />
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(il manifesto, 14 marzo 2017)Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-11889909291906088892016-10-23T04:18:00.002-07:002016-10-23T04:18:42.458-07:00Il ruolo di Usa e Nato nel rapporto della Ue con la CinaAccademia di marxismo presso l’Accademia cinese di scienze sociali<br />
Associazione politico-culturale Marx XXI<br />
Forum Europeo 2016 / La “Via Cinese” e il contesto internazionale<br />
Roma, 15 ottobre 2016<br />
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Il ruolo di Usa e Nato nel rapporto della Ue con la Cina<br />
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Intervento di Manlio Dinucci<br />
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Vado subito al nodo della questione. Penso che non si possa parlare di relazioni tra Unione europea e Cina indipendentemente dall’influenza che gli Stati uniti esercitano sull’Unione europea, direttamente e tramite la Nato.<br />
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Oggi 22 dei 28 paesi della Ue (21 su 27 dopo l’uscita della Gran Bretagna dalla UE), con oltre il 90% della popolazione dell’Unione, fanno parte della Nato, riconosciuta dalla Ue quale «fondamento della difesa collettiva». E la Nato è sotto comando Usa: il Comandante supremo alleato in Europa viene sempre nominato dal Presidente degli Stati uniti d’America e sono in mano agli Usa tutti gli altri comandi chiave. La politica estera e militare dell’Unione europea è quindi fondamentalmente subordinata alla strategia statunitense, su cui convergono le maggiori potenze europee.<br />
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Tale strategia, chiaramente enunciata nei documenti ufficiali, viene tracciata nel momento storico in cui cambia la situazione mondiale in seguito alla disgregazione dell’Urss. Nel 1991 la Casa Bianca dichiara nella National Security Strategy of the United States: «Gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione - politica, economica e militare - realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana». Nel 1992, nella Defense Planning Guidance, il Pentagono sottolinea: «Il nostro primo obiettivo è impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti a generare una potenza globale. Queste regioni comprendono l'Europa occidentale, l'Asia orientale, il territorio dell'ex Unione Sovietica, e l'Asia sud-occidentale». Nel 2001, nel rapporto Quadrennial Defense Review – pubblicato una settimana prima della guerra Usa/Nato in Afghanistan, area di prmaria importanza geostrategica nei confronti di Russia e Cina – il Pentagono annuncia: «Esiste la possibilità che emerga in Asia un rivale militare con una formidabile base di risorse. Le nostre forze armate devono mantenere la capacità di imporre la volontà degli Stati uniti a qualsiasi avversario, così da cambiare il regime di uno Stato avversario od occupare un territorio straniero finché gli obiettivi strategici statunitensi non siano realizzati».<br />
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In base a tale strategia, la Nato sotto comando Usa ha lanciato la sua offensiva sul fronte orientale: dopo aver demolito con la guerra la Federazione Jugoslava, dal 1999 ad oggi ha inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre della ex Jugoslavia, tre della ex Urss, e tra poco ne ingloberà altri (a partire da Georgia e Ucraina, questa di fatto già nella Nato), spostando basi e forze, anche nucleari, sempre più a ridosso della Russia. Contemporaneamente, sul fronte meridionale strettamente connesso a quello orientale, la Nato sotto comando Usa ha demolito con la guerra lo Stato libico e ha cercato di fare lo stesso con quello siriano.<br />
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Usa e Nato hanno fatto esplodere la crisi ucraina e, accusando la Russia di «destabilizzare la sicurezza europea», hanno trascinato l’Europa in una nuova guerra fredda, voluta soprattutto da Washington (a spese delle economie europee danneggiate dalle sanzioni e controsanzioni) per spezzare i rapporti economici e politici Russia-Ue dannosi per gli interessi statunitensi. Nella stessa strategia rientra il crescente spostamento di forze militari Usa nella regione Asia/Pacifico in funzione anticinese. La U.S. Navy ha annunciato che nel 2020 concentrerà in questa regione il 60% delle sue forze navali e aeree.<br />
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La strategia statunitense è focalizzata sul Mar Cinese Meridionale, di cui l’ammiraglio Harris, capo del Comando Usa per il Pacifico, sottolinea l’importanza: da qui passa un commercio marittimo del valore annuo di oltre 5 mila miliardi di dollari, compreso il 25% dell’export mondiale di petrolio e il 50% di quello di gas naturale. Gli Usa vogliono controllare queste rotte in nome di quella che l’ammiraglio Harris definisce «libertà di navigazione fondamentale per il nostro sistema di vita qui negli Stati uniti», accusando la Cina (cito) di «azioni aggressive nel Mar Cinese Meridionale, analoghe a quelle della Russia in Crimea». Per questo la U.S. Navy «pattuglia» il Mar Cinese Meridionale. Sulla scia degli Stati uniti arrivano le maggiori potenze europee: lo scorso luglio la Francia ha sollecitato l’Unione europea a «coordinare il pattugliameto navale del Mar Cinese Meridionale per assicurare una regolare e visibile presenza in queste acque illegalmente reclamate dalla Cina». E mentre gli Stati uniti installano in Corea del Sud sistemi «anti-missile» ma in grado di lanciare anche missili nucleari, analoghi a quelli installati contro la Russia in Romania e prossimamente in Polonia, oltre che a bordo di navi da guerra nel Mediterraneo, il segretario generale della Nato Stoltenberg riceve il 6 ottobre a Bruxelles il ministro degli esteri sudcoreano, per «rafforzare la partnership della Nato con Seul».<br />
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Questi e altri fatti dimostrano che in Europa e in Asia viene attuata la stessa strategia. È il tentativo estremo degli Stati uniti e delle altre potenze occidentali di mantenere la supremazia economica, politica e militare, in un mondo in forte trasformazione, in cui emergono nuovi soggetti statuali e sociali. L’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, nata dall’accordo strategico cino-russo, dispone di risorse e capacità lavorative tali da farne la maggiore area economica integrata del mondo. L’Organizzazione di Shanghai e i Brics sono in grado, con i loro organismi finanziari, di soppiantare in gran parte la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale che, per oltre 70 anni, hanno permesso agli Usa e alle maggiori potenze occidentali di dominare l’economia mondiale attraverso i prestiti-capestro ai paesi indebitati e altri strumenti finanziari. I nuovi organismi possono allo stesso tempo realizzare la dedollarizzazione degli scambi commerciali, togliendo agli Stati uniti la capacità di scaricare il loro debito su altri paesi stampando carta moneta usata cone valuta internazionale dominante.<br />
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Per mantenere la loro supremazia, sempre più vacillante, gli Stati uniti usano non solo la forza delle armi, ma altre armi spesso più efficaci di quelle propriamente dette.<br />
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La prima arma: i cosiddetti «accordi di libero scambio», come il «Partenariato transatlantico su commercio e investimenti» (TTIP) tra Usa e Ue e il «Partenariato Trans-Pacifico» (TPP), il cui scopo non è solo economico ma geopolitico e geostrategico. Per questo Hillary Clinton definisce il partenariato Usa-Ue «maggiore scopo strategico della nostra alleanza transatlantica», prospettando una «Nato economica» che integri quella politica e militare. Il progetto è chiaro: formare un blocco politico, economico e militare Usa-Ue, sempre sotto comando statunitense, che si contrapponga all’area eurasiatica in ascesa, basata sulla cooperazione tra Cina e Russia, che si contrapponga ai Brics, all’Iran e a qualunque altro paese si sottragga al dominio dell’Occidente. Poiché i negoziati sul Ttip stentano a procedere per contrasti di interesse e per una vasta opposizione in Europa, l’ostacolo viene ora aggirato con l’«Accordo economico e commerciale comprensivo» (CETA) tra Canada e Ue: un Ttip camuffato dato che il Canada fa parte del NAFTA insieme agli Usa. Il CETA sarà probabilmente firmato dalla Ue il prossimo 27 ottobre, durante la visita del primo ministro canadese Trudeau a Bruxelles.<br />
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La seconda arma: la penetrazione nei paesi bersaglio per disgregarli dall’interno. Facendo leva sui punti deboli che in varia misura ha ogni paese: la corruzione, l’avidità di denaro, l’arrivismo politico, il secessionismo fomentato da gruppi di potere locali, il fanatismo religioso, la vulnerabilità di vaste masse alla demagogia politica. Facendo leva, in certi casi, anche su un giustificato malcontento popolare per l’operato del proprio governo. Strumenti della penetrazione sono le cosiddette «organizzazioni non-governative», che sono in realtà la longa manus del Dipartimento di stato e della Cia. Quelle che, dotate di ingenti mezzi finanziari, hanno organizzato le «rivoluzioni colorate» nell’Est europeo, e hanno tentato la stessa operazione con la cosiddetta «Umbrella Revolution» a Hong Kong, mirando a fomentare movimenti analoghi in altre zone della Cina abitate da minoranze nazionali. Le stesse che operano in America Latina, con l’obiettivo primario di sovvertire le istituzioni democratiche del Brasile, minando così i Brics dall’interno. Strumenti della stessa strategia sono i gruppi terroristi, tipo quelli armati e infiltrati in Libia e in Siria per seminare il caos, contribuendo alla demolizione di interi Stati attaccati allo stesso tempo dall’esterno.<br />
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La terza arma: le «Psyops» (Operazioni psicologiche), lanciate attraverso le catene mediatiche mondiali, che vengono così definite dal Pentagono: «Operazioni pianificate per influenzare attraverso determinate informazioni le emozioni e motivazioni e quindi il comportamento dell’opinione pubblica, di organizzazioni e governi stranieri, così da indurre o rafforzare atteggiamenti favorevoli agli obiettivi prefissi». Con tali operazioni, che preparano l’opinione pubblica all’escalation bellica, si fa apparire la Russia come responsabile delle tensioni in Europa e la Cina come responsabile delle tensioni in Asia, accusandole allo stesso tempo di «violazione dei diritti umani».<br />
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Un’ultima considerazione: avendo lavorato a Pechino con mia moglie negli anni Sessanta, contribuendo tra l’altro alla pubblicazione della prima rivista cinese in lingua italiana, ho vissuto una fondamentale esperienza formativa nel momento in cui la Cina – liberatasi appena quindici anni prima dalla condizione coloniale, semicoloniale e semifeudale – era completamente isolata e non riconosciuta dall’Occidente né dalle Nazioni Unite come Stato sovrano. Di quel periodo mi rimane impressa la capacità di resistenza e la coscienza di questo popolo, all’epoca di 600 milioni, impegnato con la guida del Partito comunista a costruire una società su basi economiche e culturali completamente nuove. Penso che tale capacità sia oggi ugualmente necessaria perché la Cina odierna, che sta sviluppando le sue enormi potenzialità, possa resistere ai nuovi piani di dominio imperiale, contribuendo alla lotta decisiva per il futuro dell’umanità: quella per un mondo senza più guerre in cui trionfi la pace indissolubilmente legata alla giustizia sociale.Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-13803891528284190832016-09-27T05:04:00.002-07:002016-09-27T05:04:05.814-07:00Psyop: operazione Siria L’arte della guerra<br />
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Psyop: operazione Siria<br />
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Manlio Dinucci<br />
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Le «Psyops» (Operazioni psicologiche), cui sono addette speciali unità delle forze armate e dei servizi segreti Usa, sono definite dal Pentagono «operazioni pianificate per influenzare attraverso determinate informazioni le emozioni e motivazioni e quindi il comportamento dell’opinione pubblica, di organizzazioni e governi stranieri, così da indurre o rafforzare atteggiamenti favorevoli agli obiettivi prefissi».<br />
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Esattamente lo scopo della colossale psyop politico-mediatica lanciata sulla Siria. Dopo che per cinque anni si è cercato di demolire lo Stato siriano, scardinandolo all’interno con gruppi terroristi armati e infiltrati dall’esterno e provocando oltre 250mila morti, ora che l’operazione militare sta fallendo si lancia quella psicologica per far apparire come aggressori il governo e tutti quei siriani che resistono all’aggressione.<br />
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Punta di lancia della psyop è la demonizzazione del presidente Assad (come già fatto con Milosevic e Gheddafi), presentato come un sadico dittatore che gode a bombardare ospedali e sterminare bambini, con l’aiuto dell’amico Putin (dipinto come neo-zar del rinato impero russo).<br />
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A tal fine sarà presentata a Roma agli inizi di ottobre, per iniziativa di varie organizzazioni «umanitarie», una mostra fotografica finanziata dalla monarchia assoluta del Qatar e già esposta all’Onu e al Museo dell’olocausto a Washington per iniziativa di Usa, Arabia Saudita e Turchia: essa contiene parte delle 55mila foto che un misterioso disertore siriano, nome in codice Caesar, dice di aver scattato per incarico del governo di Damasco allo scopo di documentare le torture e le uccisioni dei prigioneri, ossia i propri crimini (sull’attendibilità delle foto vedi il report di Sibialiria e l’Antidiplomatico).<br />
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Occorre a questo punto un’altra mostra, per esporre tutte le documentazioni che demoliscono le «informazioni» della psyop sulla Siria. Ad esempio, il documento ufficiale dell’Agenzia di intelligence del Pentagono, datato 12 agosto 2012 (desecretato il 18 maggio 2015 per iniziativa di «Judicial Watch»): esso riporta che «i paesi occidentali, gli stati del Golfo e la Turchia sostengono in Siria le forze di opposizione per stabilire un principato salafita nella Siria orientale, cosa voluta dalle potenze che sostengono l’opposizione allo scopo di isolare il regime siriano».<br />
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Ciò spiega l’incontro nel maggio 2013 (documentato fotograficamente) tra il senatore Usa John McCain, in Siria per conto della Casa Bianca, e Ibrahim al-Badri, il «califfo» a capo dell’Isis. Spiega anche perché il presidente Obama autorizza segretamente nel 2013 l’operazione «Timber Sycamore», condotta dalla Cia e finanziata da Riyad con milioni di dollari, per armare e addestrare i «ribelli» da infiltrare in Siria (v. il New York Times del 24 gennaio 2016).<br />
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Altra documentazione si trova nella mail di Hillary Clinton (declassificata come «case number F-2014-20439, Doc No. C05794498»), nella quale, in veste di segretaria di stato, scrive nel dicembre 2012 che, data la «relazione strategica» Iran-Siria, «il rovesciamento di Assad costituirebbe un immenso beneficio per di Israele, e farebbe anche diminuire il comprensibile timore israeliano di perdere il monopolio nucleare».<br />
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Per demolire le «informazioni» della psyop, ci vuole anche una retrospettiva storica di come gli Usa hanno strumentalizzato i curdi fin dalla prima guerra del Golfo nel 1991. Allora per «balcanizzare» l’Iraq, oggi per disgregare la Siria. Le basi aeree installate oggi dagli Usa nell’area curda in Siria servono alla strategia del «divide et impera», che mira non alla liberazione ma all’asservimento dei popoli, compreso quello curdo.<br />
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(il manifesto, 27 settembre 2016)Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-62668824401035075532016-09-07T05:54:00.002-07:002016-09-07T05:54:23.613-07:00Libia, la grande spartizione<br />
Libia, la grande spartizione <br />
Petrolio, immense riserve d’acqua, miliardi di fondi sovrani. Il bottino sotto le bombe<br />
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Manlio Dinucci<br />
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«L'Italia valuta positivamente le operazioni aeree avviate oggi dagli Stati uniti su alcuni obiettivi di Daesh a Sirte. Esse avvengono su richiesta del Governo di Unità Nazionale, a sostegno delle forze fedeli al Governo, nel comune obiettivo di contribuire a ristabilire la pace e la sicurezza in Libia»: questo il comunicato diffuso della Farnesina il 1° agosto.<br />
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Alla «pace e sicurezza in Libia» ci stanno pensando a Washington, Parigi, Londra e Roma gli stessi che, dopo aver destabilizzato e frantumato con la guerra lo Stato libico, vanno a raccogliere i cocci con la «missione di assistenza internazionale alla Libia». L’idea che hanno traspare attraverso autorevoli voci. Paolo Scaroni, che a capo dell’Eni ha manovrato in Libia tra fazioni e mercenari ed è oggi vicepresidente della Banca Rothschild, ha dichiarato al Corriere della Sera che «occorre finirla con la finzione della Libia», «paese inventato» dal colonialismo italiano. Si deve «favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che faccia appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi», spingendo Cirenaica e Fezzan a creare propri governi regionali, eventualmente con l’obiettivo di federarsi nel lungo periodo. Intanto «ognuno gestirebbe le sue fonti energetiche», presenti in Tripolitania e Cirenaica.<br />
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È la vecchia politica del colonialismo ottocentesco, aggiornata in funzione neocoloniale dalla strategia Usa/Nato, che ha demolito interi Stati nazionali (Jugoslavia, Libia) e frazionato altri (Iraq, Siria), per controllare i loro territori e le loro risorse. La Libia possiede quasi il 40% del petrolio africano, prezioso per l’alta qualità e il basso costo di estrazione, e grosse riserve di gas naturale, dal cui sfruttamento le multinazionali statunitensi ed europee possono ricavare oggi profitti di gran lunga superiori a quelli che ottenevano prima dallo Stato libico. Per di più, eliminando lo Stato nazionale e trattando separatamente con gruppi al potere in Tripolitania e Cirenaica, possono ottenere la privatizzazione delle riserve energetiche statali e quindi il loro diretto controllo. <br />
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Oltre che dell’oro nero, le multinazionali statunitensi ed europee vogliono impadronirsi dell’oro bianco: l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana, che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad. Quali possibilità essa offra lo aveva dimostrato lo Stato libico, costruendo acquedotti che trasportavano acqua potabile e per l’irrigazione, milioni di metri cubi al giorno estratti da 1300 pozzi nel deserto, per 1600 km fino alle città costiere, rendendo fertili terre desertiche.<br />
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Agli odierni raid aerei Usa in Libia partecipano sia cacciabombardieri che decollano da portaerei nel Mediterraneo e probabilmente da basi in Giordania, sia droni Predator armati di missili Hellfire che decollano da Sigonella. Recitando la parte di Stato sovrano, il governo Renzi «autorizza caso per caso» la partenza di droni armati Usa da Sigonella, mentre il ministro degli esteri Gentiloni precisa che «l'utilizzo delle basi non richiede una specifica comunicazione al parlamento», assicurando che ciò «non è preludio a un intervento militare» in Libia. Quando in realtà l’intervento è già iniziato: forze speciali statunitensi, britanniche e francesi – confermano il Telegraph e Le Monde – operano da tempo segretamente in Libia per sostenere «il governo di unità nazionale del premier Sarraj».<br />
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Sbarcando prima o poi ufficialmente in Libia con la motivazione di liberarla dalla presenza dell’Isis, gli Usa e le maggiori potenze europee possono anche riaprire le loro basi militari, chiuse da Gheddafi nel 1970, in una importante posizione geostrategica all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Infine, con la «missione di assistenza alla Libia», gli Usa e le maggiori potenze europee si spartiscono il bottino della più grande rapina del secolo: 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici confiscati nel 2011, che potrebbero quadruplicarsi se l’export energetico libico tornasse ai livelli precedenti.<br />
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Parte dei fondi sovrani, all’epoca di Gheddafi, venne investita per creare una moneta e organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana. Usa e Francia – provano le mail di Hillary Clinton – decisero di bloccare «il piano di Gheddafi di creare una moneta africana», in alternativa al dollaro e al franco Cfa. Fu Hillary Clinton – documenta il New York Times – a convincere Obama a rompere gli indugi. «Il Presidente firmò un documento segreto, che autorizzava una operazione coperta in Libia e la fornitura di armi ai ribelli», compresi gruppi fino a poco prima classificati come terroristi, mentre il Dipartimento di stato diretto dalla Clinton li riconosceva come «legittimo governo della Libia».<br />
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Contemporaneamente la Nato sotto comando Usa effettuava l’attacco aeronavale con decine di migliaia di bombe e missili, smantellando lo Stato libico, attaccato allo stesso tempo dall’interno con forze speciali anche del Qatar (grande amico dell’Italia). Il conseguente disastro sociale, che ha fatto più vittime della guerra stessa soprattutto tra i migranti, ha aperto la strada alla riconquista e spartizione della Libia.<br />
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(il manifesto, 3 agosto 2016)Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-66313868317701015282016-08-18T05:06:00.001-07:002016-08-18T05:06:23.526-07:00L’apartheid idrico israeliano asseta la Cisgiordania<br />
Zeitun<br />
Notizie e libri sulla Palestina<br />
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L’apartheid idrico israeliano asseta la Cisgiordania<br />
TOPICS:CisgiordaniaGazacoloniaccordi di Osloacqua<br />
Palestinesi si riforniscono d'acqua da una sorgente il 27 giugno nel villaggio di Salfit in Cisgiordania. Gli abitanti sono rimasti senz'acqua per giorni a seguito di cronici tagli nella fornitura perpetuati dalle autorità israeliane di occupazione che interessano molte parti del territorio. Nedal Eshtayah APA imagesPalestinesi si riforniscono d'acqua da una sorgente il 27 giugno nel villaggio di Salfit in Cisgiordania. Gli abitanti sono rimasti senz'acqua per giorni a seguito di cronici tagli nella fornitura perpetuati dalle autorità israeliane di occupazione che interessano molte parti del territorio. Nedal Eshtayah APA images<br />
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agosto 16, 2016<br />
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Electronic Intifada<br />
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Charlotte Silver – 1 agosto 2016<br />
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La mancanza d’acqua non è una novità per i palestinesi. Sia nella Striscia di Gaza occupata che in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, la fornitura di acqua che scorre nelle case palestinesi è rigidamente limitata od ostacolata da Israele.<br />
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Appena durante l’estate la temperatura sale, i rubinetti si prosciugano. Clemens Messerschmid, un idrologo tedesco che ha lavorato per due decenni con i palestinesi nel loro servizio idrico, chiama la situazione ” apartheid idrico”.<br />
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Quest’anno la giornalista israeliana Amira Hass ha pubblicato dati che provano che l’Autorità Idrica Israeliana ha ridotto la quantità di acqua distribuita ai villaggi della Cisgiordania.<br />
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In alcuni luoghi l’approvvigionamento è stato ridotto alla metà. I suoi dati contraddicono le smentite ufficiali che la fornitura d’acqua alle città e villaggi palestinesi sia stata tagliata durante l’estate, benché neanche questo sia una novità.<br />
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Quest’estate cittadine e piccoli villaggi sono rimasti fino a 40 giorni senza acqua corrente, obbligando quelli che se lo possono permettere a rifornirsi da cisterne d’acqua.<br />
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Quando Israele ha occupato la Cisgiordania nel 1967 ha anche preso il controllo dell’Acquifero Montano della Cisgiordania, la principale riserva naturale d’acqua del territorio.<br />
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Gli accordi di Oslo dei primi anni ’90 hanno concesso ad Israele l’80% delle riserve dell’Acquifero. I palestinesi avrebbero dovuto avere il restante 20%, ma negli ultimi anni hanno potuto avere a disposizione solo il 14%, in conseguenza delle restrizioni israeliane alle perforazioni.<br />
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Per garantire le necessità minime della popolazione, l’Autorità Nazionale Palestinese è obbligata a comprare il resto dell’acqua da Israele. Ma anche così, non è sufficiente.<br />
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Israele ha intenzione di vendere solo una limitata quantità di acqua ai palestinesi. In conseguenza di ciò, i palestinesi utilizzano molta meno acqua degli israeliani, e un terzo in meno rispetto alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Salute di 100 litri a testa al giorno per uso domestico, ospedali, scuole e altre istituzioni.<br />
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“Electronic Intifada” ha parlato della programmata scarsità d’acqua per i palestinesi in Cisgiordania con Clemens Messerschmid, che ha lavorato nel settore idrico in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza fin dal 1997.<br />
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Charlotte Silver: la causa della crisi idrica in Cisgiordania è la scarsità d’acqua nella zona? O la scarsità è programmata?<br />
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Clemens Messerschmid: Ovviamente non c’è scarsità d’acqua in Cisgiordania. Quello che noi soffriamo in conseguenza di questa scarsità indotta si chiama l’occupazione. Questo è il regime imposto ai palestinesi subito dopo la guerra del giugno 1967.<br />
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Israele governa attraverso ordini militari, che hanno il diretto ed intenzionale risultato di tenere i palestinesi a corto d’acqua. Non si tratta di una costante e graduale espropriazione come con la terra e le colonie, ma è stato fatto in un colpo solo grazie all’ordine militare n° 92 dell’agosto 1967.<br />
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La Cisgiordania possiede una vasta falda acquifera. Ci sono grandi precipitazioni a Salfit, nella Cisgiordania settentrionale, ora nota per restrizioni idriche particolarmente drastiche.<br />
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La Cisgiordania beneficia di un tesoro di acque sotterranee. Ma questo è anche la sua maledizione, perchè Israele l’ha preso di mira immediatamente dopo averne assunto il controllo.<br />
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Quello di cui abbiamo bisogno è semplice: pozzi freatici per accedere a questo tesoro. Ma l’ordine militare israeliano n° 158 proibisce rigidamente di scavare pozzi o qualunque altro lavoro di carattere idrico, comprese le sorgenti, condutture, reti, stazioni di pompaggio, pozze utilizzate per l’irrigazione, riserve d’acqua, semplici cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, che raccolgono la pioggia che cade sui tetti.<br />
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Ogni cosa è proibita, o piuttosto non “permessa”, dall’Amministrazione Civile, il regime di occupazione di Israele. Anche riparare o fare la manutenzione dei pozzi richiede permessi militari. E semplicemente noi non li otteniamo.<br />
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E’ semplicemente un caso di apartheid idrico – ben oltre qualunque altro regime del passato di cui io sia a conoscenza.<br />
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CS: Israele ha incrementato la quantità di acqua che vende ai palestinesi, ma non è ancora sufficiente ad evitare che i villaggi rimangano a secco. A parte il fatto che il controllo di Israele sulle risorse dell’Acquifero è un grave problema, perchè Israele non vuole vendere più acqua ai palestinesi?<br />
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CM: Innanzitutto Israele ha drasticamente ridotto la quantità di acqua a disposizione dei palestinesi. Ha vietato ogni accesso al fiume Giordano, che ora è letteralmente prosciugato nei pressi del lago di Tiberiade.<br />
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Inoltre Israele impone una quota sul numero di pozzi e nega metodicamente i permessi per le più indispensabili riparazioni dei vecchi pozzi dei tempi giordani – la Giordania ha amministrato la Cisgiordania dal 1948 fino all’occupazione israeliana -, soprattutto i pozzi per l’agricoltura. Ciò significa che il numero dei pozzi è costantemente in diminuzione. Ne abbiamo meno che nel 1967.<br />
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Ora, l’unica cosa che è aumentata è la dipendenza dall’acquisto di acqua dagli espropriatori, Israele e Mekorot, la società idrica pubblica israeliana.<br />
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Ciò è riportato continuamente nella stampa occidentale, perchè questo è il punto che Israele sottolinea: “Vedete quanto siamo generosi?”<br />
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Per cui, sì, da Oslo gli acquisti da Mekorot sono aumentati costantemente. Ramallah ora riceve il 100% della sua acqua da Mekorot. Neanche una goccia proviene da un solo pozzo che abbiamo noi.<br />
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La fornitura ai villaggi da parte di Israele non è stata fatta come un favore. E’ stata iniziata nel 1980 da Ariel Sharon, allora ministro dell’Agricoltura, quando è cominciata il rapido aumento della colonizzazione. La fornitura di acqua è stata “incorporata”, per rendere irreversibile l’occupazione.<br />
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Quello che più importa qui è l’apartheid strutturale, cementato e incastonato nel ferro di queste condutture. Una piccola colonia è rifornita attraverso grandi tubature di trasmissione da cui se ne dipartono altre più piccole per andare verso le aree palestinesi.<br />
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Israele è molto contento di Oslo, perchè ora i palestinesi sono “responsabili” della fornitura. Responsabili, ma senza un briciolo di sovranità sulle risorse.<br />
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La cosiddetta crisi idrica attuale non è affatto una crisi. Una crisi è un cambiamento improvviso, una novità o un punto di svolta durante lo sviluppo. La riduzione nella fornitura ai palestinesi è voluta, pianificata e accuratamente eseguita. La “crisi idrica estiva” è la più prevedibile caratteristica nel calendario dell’acqua per i palestinesi. E la quantità annuale di piogge o la siccità non hanno alcun rapporto con la presenza e le dimensioni di questa “crisi”.<br />
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Vorrei sottolineare che per quanto questo succeda regolarmente, in ogni singolo caso si tratta di una decisione consapevole di qualche burocrate e ufficio in Israele o nell’Amministrazione civile. Qualcuno deve andare sul campo e chiudere le valvole della deviazione verso il villaggio palestinese. Questo, come ogni estate, è stato fatto agli inizi di giugno. Da qui, crisi idrica in Cisgiordania.<br />
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CS: Quali fattori possono aver contribuito all’aggravamento di quest’anno nelle interruzioni della fornitura d’acqua?<br />
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CM: Sembra che la domanda [di acqua] delle colonie sia aumentata drasticamente dallo scorso anno. L’Autorità Israeliana per le Acque ha riscontrato una maggiore domanda dal 20 al 40%, che è molto significativa.<br />
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Alexander Kushnir, il direttore generale dell’Autorità per le Acque, la attribuisce all’espansione delle irrigazioni dei coloni sulle montagne melle colonie a nord della Cisgiordania, attorno a Salfit e a Nablus.<br />
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CS: Com’è possibile che la gente dell’attuale Israele sembri godere di un surplus di acqua da quando il Paese ha iniziato ad utilizzare la desalinizzazione, mentre la gente sotto occupazione in Cisgiordania è rimasta con così poca [acqua]? Si dice che anche i coloni israeliani abbiano riscontrato una riduzione nelle forniture idriche.<br />
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CM: E’ vero che per la prima volta Israele ha dichiarato qualche anno fa che ha un’economia con eccedenza d’acqua ed è interessato a vendere più acqua ai suoi vicini, a cui in primo luogo ha espropriato l’acqua.<br />
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I palestinesi stanno già comprando l’acqua che Israele ha rubato, ma, come segnalato, non in modo affidabile o in percentuali sufficienti.<br />
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Francamente non lo so. Perchè questo particolare, elevato ed aggravato desiderio di Israele di non vendere neppure acqua sufficiente alla Cisgiordania?<br />
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In alcune zone, come nella Valle del Giordano, l’acqua è attivamente utilizzata come uno strumento per la pulizia etnica. Fin dal primo giorno dell’occupazione l’agricoltura è sempre stata presa di mira.<br />
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Ma questa logica non si applica ai centri urbani palestinesi densamente popolati nella cosiddetta Area A della Cisgiordania [sotto totale controllo dell’ANP. Ndtr.], che stanno ancora lottando. Dopo 20 anni, mi lascia ancora perplesso.<br />
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E’ importante capire un altro elemento: Israele deve continuamente impartire una lezione ai palestinesi. Ogni fornitura di acqua, ogni goccia fornita deve essere intesa come un generoso favore, come un atto di pietà, non come un diritto.<br />
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Israele ha incrementato la vendita di acqua alla Cisgiordania da 25 milioni di m³ all’anno nel 1995 ai circa 60 milioni di m³ di oggi. Perchè non ne vende molta di più? Sicuramente dal punto di vista di una politica idrica oculata se lo potrebbe permettere – ha un enorme surplus.<br />
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Uno dei problemi materiali che posso riscontrare è quello del prezzo, e quindi il significato dell’acqua.<br />
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Israele vuole ottenere finalmente il prezzo più alto per l’acqua desalinizzata che vende ai palestinesi. Mentre si parla solo di qualche centinaio di milioni di shekel all’anno (qualche decina di milioni di dollari) – che per Israele non è molto -, Israele vuole chiudere una volta per tutte la discussione in merito ai diritti palestinesi sull’acqua.<br />
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Israele non chiede niente di meno che una resa totale: i palestinesi devono accettare che l’acqua sotto i loro piedi non appartiene a loro, ma per sempre agli occupanti.<br />
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Con la richiesta del prezzo intero per l’acqua desalinizzata, i palestinesi ammetterebbero ed accetterebbero una nuova formula.<br />
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Una parola sulla Striscia di Gaza: a differenza della Cisgiordania, Gaza non ha fisicamente un accesso possibile all’acqua. La circoscritta e densamente abitata Striscia non potrà mai essere autosufficiente. tuttavia Gaza non riceve simili forniture di acqua da Israele. Solo recentemente Israele ha iniziato a vendere a Gaza i 5 milioni di m³ all’anno stabiliti da Oslo. E’ stato adottato un piccolo aumento di facciata.<br />
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In un certo modo si potrebbe interpretare questo trattamento differenziato tra Gaza e la Cisgiordania come un’ammissione israeliana di un certo grado di dipendenza idrologica.<br />
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Israele riceve la maggior parte della sua acqua dai territori conquistati nel 1967, comprese le Alture del Golan, ma neppure una goccia da Gaza.<br />
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Dal punto di vista di una politica idrica oculata, Gaza non ha risorse da offrire a Israele. Ciò vale anche per la risorsa principale: la terra. Da qui un approccio molto diverso a Gaza fin da subito, nel 1967. Israele non dipende da Gaza da nessun punto di vista materiale. Fin da Oslo Israele ha chiesto a Gaza di rifornirsi da sola con i suoi mezzi, come attraverso la desalinizzazione dell’acqua di mare.<br />
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CS: In questo contesto, come si sono comportati i Paesi donatori? Hanno difeso gli standard minimi internazionali o hanno affermato e rafforzato il controllo israeliano sulle risorse idriche nella Cisgiordania occupata?<br />
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CM: Purtroppo nel secondo modo. Quando è iniziato Oslo, noi tutti ci siamo illusi che sarebbe iniziata una fase di sviluppo. Pozzi di cui era stata vietata la trivellazione per 28 anni sarebbero finalmente stati messi in funzione.<br />
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Abbiamo rapidamente imparato che Israele nei fatti non aveva mai voluto concedere “permessi…per espandere l’agricoltura o l’industria, che possano competere con lo Stato di Israele,” come l’allora ministro della Difesa Yitzhak Rabin disse nel 1986.<br />
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Quello di cui c’era bisogno allora e adesso – e tutti quanti lo sapevano – era una pressione politica per ottenere il minimo di permessi di perforazione garantiti dagli accordi tra palestini e israeliani. Questa pressione non c’è mai stata. L’Ue o il mio governo tedesco non hanno mai diramato una dichiarazione pubblica nella quale “deplorassero” o “si dispiacessero” per gli ostacoli nel settore idrico. E’ un vero scandalo.<br />
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Ma ancora peggio, qual è stata la risposta di noi occidentali a tutto ciò? Tutti i progetti finanziati dai donatori hanno addirittura abbandonato il settore vitale della perforazione di pozzi. L’ultimo pozzo finanziato dalla Germania è stato trivellato nel 1999.<br />
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Come per l’attuale cosiddetta crisi idrica, noi come donatori siamo ora impegnati a finanziare generosamente un’anacronistica distribuzione di acqua con cisterne ai centri urbani palestinesi tagliati fuori [dall’erogazione d’acqua] – adeguandoci e stabilizzando lo status quo dell’occupazione e dell’apartheid idrico.<br />
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(traduzione di Amedeo Rossi)Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-72842640442503527942016-07-14T13:40:00.002-07:002016-07-14T13:40:21.806-07:00Nato/Exit, obiettivo vitale L’arte della guerra<br />
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Nato/Exit, obiettivo vitale<br />
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Manlio Dinucci<br />
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Mentre l’attenzione politico-mediatica è concentrata sulla Brexit e su possibili altri scollamenti della Ue, la Nato, nella generale disattenzione, accresce la sua presenza e influenza in Europa.<br />
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Il segretario generale Stoltenberg, preso atto che «il popolo britannico ha deciso di lasciare l’Unione europea», assicura che «il Regno Unito continuerà a svolgere il suo ruolo dirigente nella Nato». Sottolinea quindi che, di fronte alla crescente instabilità e incertezza, «la Nato è più importante che mai quale base della cooperazione tra gli alleati europei e tra l’Europa e il Nordamerica».<br />
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Nel momento in cui la Ue si incrina e perde pezzi, per la ribellione di vasti settori popolari danneggiati dalle politiche «comunitarie» e per effetto delle sue stesse rivalità interne, la Nato si pone, in modo più esplicito che mai, quale base di unione tra gli stati europei. Essi vengono in tal modo agganciati e subordinati ancor più agli Stati uniti d’America, i quali rafforzano la loro leadership in questa alleanza.<br />
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Il Summit Nato dei capi di stato e di governo, che si terrà a Varsavia l’8-9 luglio, è stato preparato da un incontro (13-14 giugno) tra i ministri della difesa, allargato all’Ucraina pur non facendo essa parte ufficialmente della Nato.<br />
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Nell’incontro è stato deciso di accrescere la «presenza avanzata» nell’Europa orientale, a ridosso della Russia, schierando a rotazione quattro battaglioni multinazionali negli stati baltici e in Polonia. Tale schieramento può essere rapidamente rafforzato, come ha dimostrato una esercitazione della «Forza di punta» durante la quale un migliaio di soldati e 400 veicoli militari sono stati trasferiti in quattro giorni dalla Spagna alla Polonia. Per lo stesso fine è stato deciso di accrescere la presenza navale Nato nel Baltico e nel Mar Nero, ai limiti delle acque territoriali russe.<br />
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Contemporaneamente la Nato proietterà più forze militari, compresi aerei radar Awacs, nel Mediterraneo, in Medioriente e Africa.<br />
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Nella stessa riunione, i ministri della difesa si sono impegnati ad aumentare nel 2016 di oltre 3 miliardi di dollari la spesa militare Nato (che, stando ai soli bilanci della difesa, ammonta a oltre la metà di quella mondiale), e a continuare ad accrescerla nei prossimi anni.<br />
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Queste sono le premesse dell’imminente Summit di Varsavia, che si pone tre obiettivi chiave:<br />
«rafforzare la deterrenza» (ossia le forze nucleari Nato in Europa);<br />
«proiettare stabilità al di là dei confini dell’Alleanza» (ossia proiettare forze militari in Medioriente, Africa e Asia, anche oltre l’Afghanistan);<br />
«allargare la cooperazione con la Ue» (ossia integrare ancor più le forze europee nella Nato sotto comando Usa).<br />
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La crisi della Ue, emersa con la Brexit, facilita il progetto di Washington: portare la Nato a un livello superiore, creando un blocco militare, politico ed economico (tramite il Ttip) Usa-Ue, sempre sotto comando Usa, contrapposto all’area eurasiatica in ascesa, basata sull’alleanza Russia-Cina.<br />
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In tale quadro, l’affermazione del premier Renzi al forum di San Pietroburgo, «la parola guerra fredda è fuori dalla storia e dalla realtà, Ue e Russia tornino ad essere ottimi vicini di casa», è tragicamente grottesca.<br />
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L’affossamento del gasdotto South Stream Russia-Italia e le sanzioni contro la Russia, ambedue per ordine di Washington, hanno già fatto perdere all’Italia miliardi di euro. E i nuovi contratti firmati a San Pietroburgo possono saltare in qualsiasi momento sul terreno minato della escalation Nato contro la Russia. Alla quale partecipa il governo Renzi che, mentre dichiara la guerra fredda fuori dalla realtà, collabora allo schieramento in Italia delle nuove bombe nucleari Usa per l’attacco alla Russia.<br />
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(il manifesto, 28 giugno 2016) <br />
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Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-58842567752490113812016-06-04T05:47:00.001-07:002016-06-04T05:47:22.011-07:00Israele arresta 567 palestinesi nel mese di aprile<br />
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Creato: 15 Maggio 2016 <br />
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Israele arresta 567 Palestinesi nel mese di Aprile, il 22 % sono bambini<br />
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Pubblicato: 05 May 2016<br />
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Scritto da Samidoun: Palestinian Prisoner Solidarity Network<br />
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Organizzazioni dei Prigionieri Palestinesi come la Società dei Prigionieri Palestinesi, Addameer a Supporto dei Prigionieri, Associazione per i diritti umani e la Commissione affari dei prigionieri hanno reso noto in un rapporto importanti statistiche riguardanti la situazione generale dei prigionieri palestinesi nel mese di aprile 2016. Queste tre organizzazioni hanno raccolto e resi noti i seguenti dati.<br />
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567 palestinesi sono stati arrestati dalle forze di occupazione israeliane nel mese di aprile 2016, portando il numero degli arrestati dall'inizio della rivolta popolare del mese di ottobre 2015 a 5334 palestinesi. Il maggior numero di arresti sono stati fatti a Gerusalemme, dove gli arresti sono stati 213 di cui 60 minori; al-Khalil, dove gli arresti sono stati 120 i; seguita da 43 a Ramallah, 40 a Nablus, 38 a Betlemme, 35 a Qalqilya, 23 a Jenin, 12 a Tulkarem, 9 a Tubas, cinque in Salfit e quattro a Gerico; nella Striscia di Gaza, 25 sono stati arrestati, tra cui 20 pescatori a cui è stato sparato ed hanno subito un attacco in mare, due che passavano il confine di Beit Hanoun (Erez), e tre nei pressi del "confine" di Gaza.<br />
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Tra gli arrestati ci sono 123 bambini e 24 donne e ragazze (di cui 3 ragazze minorenni). 69 donne e bambine palestinesi sono imprigionate nelle carceri israeliane, tra queste 15 ragazze minorenni ; il numero totale di bambini nelle carceri israeliane rimane oltre 400. Ci sono più di 750 palestinesi detenuti in detenzione amministrativa e 700 detenuti malati. 133 ordini di detenzione amministrativa sono stati emessi nel mese di aprile, tra cui 97 rinnovi di detenzioni amministrative in corso.<br />
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Incursioni e politica di controllo nelle prigioni<br />
Il Prison Service di Israele usa unità speciali per fare regolarmente incursioni e controlli istigati dall'amministrazione penitenziaria ed utilizza questi come mezzi di punizione collettiva dall’arresto fino al rilascio. L'amministrazione penitenziaria inventa pretesti per fare questi attacchi, in cui i prigionieri sono sottoposti a trattamenti crudeli e disumani.<br />
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Queste unità speciali attaccano o fanno controlli senza preavviso, in modo da evitare che i prigionieri si preparino ad adottare misure precauzionali, di solito nelle prime ore del mattino e, a volte, nelle ore dopo la mezzanotte; a volte vengono fatti nel mezzo della giornata, anche durante i periodi di preghiera o durante iftar (pasto serale) nel Ramadan. L'obiettivo di queste incursioni è impaurire ed abusare dei detenuti; queste unità speciali fanno azioni provocatorie contro i prigionieri, tipo trascinare i detenuti fuori dalle camere, gridare loro in faccia, abusare verbalmente di loro, e confiscare documenti personali e foto di famiglia, creare situazioni di provocazione che vengono poi utilizzate per giustificare gli attacchi sui prigionieri stessi.<br />
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Nel mese di aprile, l'incidente dell’attacco alla sezione 14 nel carcere di Nafha è andato oltre il tipico processo di invasione/ispezione con pestaggio dei prigionieri. Questo incidente si è verificato dopo che le guardie hanno rifiutato a Akram Siyam e Muharreb Da'is l’uso del bagno. Questo fatto ha portato ad un alterco tra le guardie ed i prigionieri, durante il quale le unità armate hanno fatto irruzione nella sezione, hanno picchiato i prigionieri, spruzzato spray al pepe e gas lacrimogeni , portati via i prigionieri dalla sezione. Poi hanno riportato Da'is alla sezione e invaso di nuovo per riportarlo via. I prigionieri si sono opposti alla sua riconsegna e allora le guardie sono tornate in gran numero e con i cani, costretto tutti i prigionieri ad uscire dalle celle e li hanno presi a bastonate. Ci sono stati numerosi feriti, tra cui il detenuto malato Yousry al-Masri, che ha il cancro ed è stato picchiato con un bastone sul collo e nella sua zona del fegato.<br />
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L'amministrazione penitenziaria ha chiuso tutte le sezioni del carcere, e ha imposto sanzioni nella sezione 14, compresa la rimozione di apparecchi elettrici, la negazione delle visite familiari, e l'isolamento dagli altri detenuti.<br />
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Condizioni di isolamento<br />
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17 prigionieri sono isolati con il pretesto di "minaccia per la sicurezza dello Stato," senza prove che indichino in che cosa consista questa minaccia. Essi sono tenuti in celle d'isolamento per 23 ore al giorno, tranne un'ora di ricreazione durante la quale sono soli con le guardie. L'isolamento è dannoso per la salute mentale e fisica. Il servizio carcerario emette ordini per tenere i prigionieri in isolamento che possono essere estesi ogni sei mesi su pronunciamento del tribunale militare, sulla base di un dossier segreto non svelato né ai detenuti né ai loro avvocati.<br />
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Tra i prigionieri in isolamento vi sono Noureddine Amer, 34, da Qalqilya, in isolamento dal 21 settembre del 2013, in carcere dal 2 febbraio 2002, e sta scontando una condanna a 55 anni. Viene tenuto nel carcere di Eshel in una stanza di 3,5 m x 1,5 m con una toilette e una porta di metallo con una fessura per l'introduzione di cibo, e ha una finestra chiusa. Gli è consentita solo un'ora al giorno di ricreazione.<br />
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E 'stato tenuto in isolamento in carceri diverse: Ramon, Ashkelon, Megiddo, Shatta, Gilboa e Ayalon. Viene trasferito nel "Bosta" (veicolo destinato al trasporto dei prigionieri ai tribunali militari) ; i trasferimenti richiedere molte ore. I prigionieri trasferiti con i "Bosta" non possono guardare dai finestrini eh hanno mani e piedi ammanettati . Durante questi trasferimenti, Amer è accompagnato da forze speciali che spesso lo provocano e lo attaccano . Nel mese di luglio 2015, è stato picchiato da cinque guardie militari; il suo naso sanguinava ed aveva forti dolori ma non è stato medicato. I suoi effetti personali erano tutti sparpagliati, gli hanno detto di raccoglierli mentre era ammanettato.<br />
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Egli soffre di diverse patologie aggravate dal contesto di isolamento, tra cui la mancanza di respiro, il colesterolo alto, problemi articolari, forti mal di testa, e ulcere gastriche. Ha subito una frattura ad una mano otto anni fa nel carcere di Gilboa, non è stato curato e continua a soffrire oggi di dolori alla mano.<br />
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Da quando è stato messo in isolamento, gli sono state negate tutte le forme di comunicazione con la sua famiglia. Sua madre è anziana, soffre di cancro e ha avuto un ictus; egli ha appreso questa notizia solo attraverso le visite dei suoi avvocati. Tre dei suoi fratelli sono anche imprigionati; Nidal Amer è condannato all'ergastolo, Abdul Salam Amer a 20 anni, e Aysar Amer è tenuto in detenzione amministrativa da febbraio 2016.<br />
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Sistematiche torture e abusi durante la detenzione dei bambini<br />
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I bambini sono esposti a tortura sistematica, umiliazione e trattamento crudele fin dal primo momento dell'arresto. Questo è caratterizzato da incursioni nelle case a tarda notte, fatto da parte di unità speciali o da soldati sotto copertura che cercano di “sembrare arabi". In più subiscono un trattamento degradante durante l’arresto ed il trasferimento. Essi sono incatenati mani e piedi e bendati mentre vengono portati ai centri di detenzione o di interrogatorio dove sono direttamente esposti a maltrattamenti. Vengono percossi con le mani ed i piedi, viene imprecato ed urlato contro di loro per farli impaurire, o vengono messi in isolamento e in condizioni difficili in modo da essere sottoposti a pressione psicologica.<br />
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Tra i casi di prigionieri minori è quello di Mohammed Amarna, 17 anni , da Ya'bad vicino a Jenin, che è stato arrestato il 2 Marzo 2016 nella sua casa. Durante una visita legale all'interno del carcere, il suo avvocato ha confermato che Amarna era stato picchiato, insultato e maltrattato durante il trasferimento ad un centro di detenzione dove è stato bendato e con le mani legate dietro la schiena. È stato trattenuto per ore fuori, schiaffeggiato più volte in faccia da un soldato e da chi lo interrogava.<br />
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157 palestinesi detenuti in relazione ad attività sui social media<br />
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Il governo israeliano ha formato negli ultimi mesi la cosiddetta "Cyber Unit" allo scopo di intensificare le sue azioni penali contro i Palestinesi sui social media, in particolare Facebook.<br />
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Da ottobre 2015 ad aprile 2016, ci sono stati 157 casi di arresti sulla base di espressione e di opinione pubblicato su Facebook. Un certo numero di persone sono state incriminate per "incitamento", mentre altri hanno ricevuto l'ordine di detenzione amministrativa.<br />
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La maggior parte degli arresti sono stati fatti a Gerusalemme in quanto parte dell’obiettivo Palestinesi di Gerusalemme. Molti dei documenti esprimevano appoggio o solidarietà ai martiri palestinesi uccisi dalle forze di occupazione israeliane, o includevano la pubblicazione delle foto di martiri o prigionieri.<br />
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La soppressione della libertà di parola, di opinione e di espressione sui social media non è limitata ai casi di arresto, ma ha incluso anche il licenziamento dei palestinesi accusati dalle istituzioni a Gerusalemme o nelle zone della Palestina occupate nel 1948, o espulsioni forzate dalle città di residenza, in particolare Gerusalemme.<br />
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Battaglia degli stomaci vuoti<br />
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Durante il mese di aprile, alcuni prigionieri palestinesi sono stati impegnati in una serie di scioperi della fame individuali e collettivi per diverse ragioni. Sami Janazrah, 43, di al-Khalil, ha continuato lo sciopero della fame dal 3 marzo e Fuad Assi, 30, e Adib Mafarjah, 29, entrambi di Ramallah, hanno continuato il loro sciopero della fame dal 3 aprile. Tutti stanno facendo sciopero contro la loro detenzione amministrativa che non ha né accusa né processo.<br />
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Shukri al-Khawaja, 48 anni, di Ramallah, è impegnato in uno sciopero da un certo numero di giorni contro il suo isolamento continuato; decine di prigionieri in diverse carceri hanno lanciato scioperi di solidarietà con lui. Anche Abdullah Mughrabi, 24 anni, di Gerusalemme, fa sciopero da un certo numero di giorni perché è tenuto in isolamento.<br />
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Mahmoud Suwayta, 40, di al-Khalil, ha iniziato lo sciopero della fame da più di una settimana perché gli negano le visite del figlio da più di due anni; anche Iyad Fawajrah di Betlemme è impegnato in uno sciopero della fame a causa delle visite dei familiari.<br />
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Mansour Moqtada, 48, da Salfit, è impegnato in uno sciopero della fame parziale, a causa di condizioni di salute complicate e difficili, che esigerebbero una migliore assistenza medica. Anche Muhannad al-Izzat di Bethelehm è impegnato in uno sciopero della fame di 9 giorni per le cure mediche.<br />
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Due ex prigionieri nuovamente arrestati, Abdel-Rahim Sawayfeh e Mohammed Daoud, sono impegnati in scioperi della fame contro i loro nuovi arresti.<br />
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Inoltre, migliaia di prigionieri sono collettivamente impegnati in una protesta, rifiutando cibo opponendosi degli attacchi sui prigionieri nel carcere di Nafha.<br />
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Sito web : http://samidoun.ca/">http://samidoun.ca/<br />
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Samidoun: Rete di Solidarietà per i Prigionieri Palestinesi è una rete di organizzatori e attivisti, con base in Nord America, che lavorano per costruire la solidarietà con i prigionieri palestinesi nella loro lotta per la libertà.<br />
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http://www.alternativenews.org/english/index.php/news/1368-israel-arrests-567-palestinians-in-april-5334-from-october<br />
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Tradotto da Marina Maltoni per Associazione di Amicizia Italo-Palestinese FirenzeMiryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-46006549742482945642016-05-25T06:46:00.002-07:002016-05-25T06:46:46.713-07:00Strategia del golpe globale<br />
L’arte della guerra<br />
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Strategia del golpe globale<br />
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Manlio Dinucci<br />
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Quale colIegamento c’è tra società geograficamente, storicamente e culturalmente distanti, dal Kosovo alla Libia e alla Siria, dall’Iraq all’Afghanistan, dall’Ucraina al Brasile e al Venezuela? Quello di essere coinvolte nella strategia globale degli Stati uniti, esemplificata dalla «geografia» del Pentagono.<br />
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Il mondo intero viene diviso in «aree di responsabilità», ciascuna affidata a uno dei sei «comandi combattenti unificati» degli Stati uniti: il Comando Nord copre il Nordamerica, il Comando Sud il Sudamerica, il Comando Europeo la regione comprendente Europa e Russia, il Comando Africa il continente africano, il Comando Centrale Medioriente e Asia Centrale, il Comando Pacifico la regione Asia/Pacifico.<br />
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Ai 6 comandi geografici se ne aggiungono 3 operativi su scala globale: il Comando strategico (responsabile delle forze nucleari), il Comando per le operazioni speciali, il Comando per il trasporto.<br />
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A capo del Comando Europeo c’è un generale o ammiraglio nominato dal presidente degli Stati uniti, che assume automaticamente la carica di Comandante supremo alleato in Europa. La Nato è quindi inserita nella catena di comando del Pentagono, opera cioè fondamentalmente in funzione della strategia statunitense.<br />
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Essa consiste nell’eliminare qualsiasi Stato o movimento politico/sociale minacci gli interessi politici, economici e militari degli Stati uniti che, pur essendo ancora la maggiore potenza mondiale, stanno perdendo terreno di fronte all’emergere di nuovi soggetti statuali e sociali.<br />
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Gli strumenti di tale strategia sono molteplici: dalla guerra aperta – vedi gli attacchi aeronavali e terrestri in Iugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia – alle operazioni coperte condotte sia in questi che in altri paesi, ultimamente in Siria e Ucraina.<br />
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Per tali operazioni il Pentagono dispone delle forze speciali, circa 70000 specialisti che «ogni giorno operano in oltre 80 paesi su scala mondiale». Dispone inoltre di un esercito ombra di contractors (mercenari): in Afghanistan, documenta Foreign Policy, i mercenari del Pentagono sono circa 29000, ossia tre per ogni soldato Usa; in Iraq circa 8000, due per ogni soldato Usa.<br />
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Ai mercenari del Pentagono si aggiungono quelli della tentacolare Comunità di intelligence comprendente, oltre la Cia, altre 15 agenzie federali. I mercenari sono doppiamente utili: possono assassinare e torturare, senza che ciò sia attribuito agli Usa, e quando sono uccisi i loro nomi non compaiono nella lista dei caduti.<br />
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Inoltre il Pentagono e i servizi segreti dispongono dei gruppi che essi armano e addestrano, tipo quelli islamici usati per attaccare dall’interno la Libia e la Siria, e quelli neonazisti usati per il colpo di stato in Ucraina.<br />
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Altro strumento della stessa strategia sono quelle «organizzazioni non-governative» che, dotate di ingenti mezzi, vengono usate dalla Cia e dal Dipartimento di stato per azioni di destabilizzazione interna in nome della «difesa dei diritti dei cittadini».<br />
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Nello stesso quadro rientra l’azione del gruppo Bilderberg – che il magistrato Ferdinando Imposimato denuncia come «uno dei responsabili della strategia della tensione e delle stragi» in Italia – e quella della Open Society dell’«investitore e filantropo George Soros», artefice delle «rivoluzioni colorate».<br />
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Nel mirino della strategia golpista di Washington vi sono oggi il Brasile, per minare dall’interno i Brics, e il Venezuela per minare l’Alleanza Bolivariana per le Americhe. Per destabiizzare il Venezuela – indica il Comando Sud in un documento venuto alla luce – si deve provocare «uno scenario di tensione che permetta di combinare azioni di strada con l'impiego dosato della violenza armata».<br />
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(il manifesto, 24 maggio 2016)Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-68584491604323630642016-05-25T06:41:00.002-07:002016-05-25T06:41:26.430-07:00Le radici del conflitto:la Nakba palestinese come parte della più vasta “catastrofe” araba<br />
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16 maggio, 2016, Maan News<br />
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di Ramzy Baroud<br />
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Negli ultimi 68 anni, ogni 15 maggio, i palestinesi commemorano il loro esilio collettivo dalla Palestina . La pulizia etnica della Palestina per fare spazio a una ‘patria ebraica’ è avvenuta a prezzo di una implacabile violenza e di una continua sofferenza. I palestinesi fanno riferimento a questa esperienza che dura tuttora come”Nakba” o “Catastrofe”.<br />
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Tuttavia, la ‘Nakba’ non è semplicemente un caso palestinese, ma è anche una ferita araba che continua a sanguinare.<br />
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La “Nakba” araba è stata precisamente l’accordo Sykes-Picot del 1916, che ha suddiviso gran parte del mondo arabo tra le potenze occidentali in competizione tra loro. Un anno dopo, la Palestina è stata rimossa del tutto dalla questione araba e “promessa” al movimento sionista in Europa, dando luogo ad uno dei conflitti più duraturi della storia moderna.<br />
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Come è potuto accadere?<br />
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Quando il diplomatico britannico, Mark Sykes, all’età di 39 anni è deceduto a causa dell’epidemia di spagnola, nel 1919, un altro diplomatico, Harold Nicolson, ha descritto la sua influenza sulla regione mediorientale in questo modo:<br />
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“E’stato a causa del suo indefesso impulso e della sua perseveranza, del suo entusiasmo e della sua fede, che il nazionalismo arabo e il sionismo sono diventati due delle nostre cause di guerra di maggior successo.<br />
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“Retrospettivamente sappiamo che Nicolson ha parlato troppo presto. La caratteristica del”nazionalismo arabo” cui si riferiva nel 1919 era fondamentalmente diversa dai movimenti nazionalisti che hanno fatto presa in diversi paesi arabi negli anni ’50 e ’60. Lo slogan del nazionalismo arabo negli anni successivi fu la liberazione e l’indipendenza dal colonialismo occidentale e dai suoi alleati locali.<br />
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Il contributo di Sykes all’avvento del sionismo non ha nemmeno prodotto una maggiore stabilità. Dal 1948, il sionismo e il nazionalismo arabo sono stati in costante conflitto, provocando deprecabili guerre ed altrettanto continui spargimenti di sangue.<br />
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Tuttavia, il contributo duraturo di Sykes per la regione araba è stato il suo ruolo di primo piano nella firma dell’accordo Sykes – Picot noto anche come l’ accordo dell’Asia Minore, un centinaio di anni fa. Quel trattato infame tra la Gran Bretagna e la Francia, che è stato negoziato con il consenso della Russia, ha plasmato la geopolitica del Medio Oriente per un intero secolo.<br />
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Nel corso degli anni, le sfide allo status quo imposto dall’ [accordo] Sykes -Picot non sono riuscite a modificare radicalmente i confini arbitrariamente disegnati che dividevano gli arabi in “sfere di influenza” amministrate e controllate dalle potenze occidentali.<br />
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Eppure, la persistente eredità [dell’accordo] Sykes – Picot potrebbe eventualmente essere messa in dubbio sotto la pressione delle nuove violente circostanze, con il recente avvento di’Daesh’ e la creazione di una sua propria versione di confini altrettanto arbitrari che comprendono ampie zone della Siria e dell’Iraq, come nel 2014, in concomitanza con l’attuale discussione sulla divisione della Siria in una federazione.<br />
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Perché l’accordo Sykes Picot?<br />
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L’accordo Sykes-Pycot è stato firmato in conseguenza dei violenti avvenimenti che coinvolsero in quegli anni la maggior parte dell’Europa, dell’Asia, dell’Africa e del Medio Oriente.<br />
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Tutto è iniziato quando, nel mese di luglio del 1914, è scoppiata la prima guerra mondiale. L’Impero Ottomano immediatamente ha preso parte alla guerra, schierandosi con la Germania, in parte perché era consapevole del fatto che gli alleati – costituiti principalmente dalla Gran Bretagna, Francia e Russia – avevano l’ambizione di prendere il controllo di tutti i territori ottomani, che includevano anche le regioni arabe della Siria, della Mesopotamia, dell’Arabia, dell’Egitto e del Nord Africa.<br />
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Nel novembre del 1915 la Gran Bretagna e la Francia hanno avviato seriamente i negoziati, con lo scopo di dividere l’eredità territoriale dell’Impero ottomano nell’eventualità di una conclusione a loro favore della guerra.<br />
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Così, una mappa, disegnata con delle linee rette usando una matita Chinagraph, ha condizionato in gran parte il destino degli arabi, dividendoli in base alle varie ipotesi di appartenenze tribali e di confessioni religiose prese a casaccio.<br />
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La divisione del bottino<br />
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Mark Sykes è stato il negoziatore per conto della Gran Bretagna e François Georges Picot il rappresentante della Francia. I diplomatici convennero che, una volta che gli ottomani fossero stati sonoramente sconfitti, la Francia avrebbe ricevuto le zone contrassegnate con una (a), che comprendevano la regione del sud- est della Turchia, il nord dell’Iraq, la maggior parte della Siria e il Libano.<br />
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L’area ( b) è stata contrassegnata come territori sotto il controllo britannico, che includevano la Giordania, l’Iraq meridionale, Haifa e Acri in Palestina, e la fascia costiera tra il Mare Mediterraneo e il fiume Giordano .<br />
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Alla Russia, d’altra parte, sarebbero stati concessi Istanbul, l’Armenia e gli strategici stretti turchi.<br />
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L’improvvisata mappa consisteva non solo di linee, ma anche di colori, insieme a un linguaggio attestante il fatto che i due paesi consideravano la regione araba in termini puramente convenzionali, senza prestare la minima attenzione alle possibili ripercussioni del fatto di tagliare a fette intere civiltà aventi una multiforme storia di cooperazione e di conflitto.<br />
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L’eredità del tradimento<br />
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La prima guerra mondiale terminò l’11 novembre 1918, dopo di che ebbe inizio sul serio la divisione dell’Impero Ottomano .<br />
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Gli inglesi e i francesi estesero i [loro] mandati su entità arabe divise, mentre al movimento sionista venne concessa la Palestina, su cui tre decenni più tardi venne formato uno Stato ebraico .<br />
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L’accordo, che è stato accuratamente progettato per soddisfare gli interessi coloniali occidentali, ha lasciato dietro di sé un’eredità di divisioni, tensioni e guerre.<br />
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Mentre lo status quo ha creato una stabile egemonia dei paesi occidentali sul destino del Medio Oriente, non è riuscito invece a garantire un qualche grado di stabilità politica o a creare un sistema di uguaglianza economica.<br />
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L’accordo Sykes – Picot è stato siglato segretamente per un motivo preciso: era completamente in contrasto con le promesse fatte agli arabi durante la Grande Guerra. Alla leadership araba, sotto il comando di Sharif Hussein, era stata promessa, in cambio dell’aiuto agli alleati contro gli ottomani, la completa indipendenza dopo la guerra.<br />
<br />
Ai paesi arabi ci sono voluti molti anni e successive ribellioni per ottenere la loro indipendenza. Il conflitto tra gli arabi e le potenze coloniali ha determinato l’ascesa del nazionalismo arabo, che è sorto nel bel mezzo di contesti estremamente violenti e ostili, o più precisamente, come un loro risultato.<br />
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Il nazionalismo arabo potrebbe essere riuscito a mantenere una parvenza d’identità araba, ma è fallito nel produrre una risposta valida e unitaria al colonialismo occidentale.<br />
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Quando la Palestina – che fu promessa già nel novembre del 1917 [la dichiarazione Balfour, ndt] dalla Gran Bretagna come focolare nazionale per gli ebrei- è diventata Israele, ospitando per lo più coloni europei, il destino della regione araba a est del Mediterraneo è stato marchiato come il territorio del conflitto permanente e dell’antagonismo.<br />
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È qui, in particolare, che si percepisce soprattutto la terribile eredità dell’accordo Sykes – Picot in tutta la sua violenza, miopia e spregiudicatezza politica.<br />
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Cento anni dopo che due diplomatici, un britannico e un francese, hanno diviso gli arabi in sfere di influenza, l’accordo Sykes – Picot rimane una realtà pugnace ma dominante del Medio Oriente.<br />
<br />
Dopo cinque anni che la Siria è in preda a una violenta guerra civile, il marchio Sykes – Picot ancora una volta si fa sentire, in quanto la Francia, la Gran Bretagna, la Russia – e ora gli Stati Uniti – stanno prendendo in considerazione quello che il Segretario di Stato americano, John Kerry, ha recentemente definito il ‘ Piano B ‘ – cioè la divisione della Siria sulla base di linee religiose, probabilmente in accordo con una nuova interpretazione occidentale delle “sfere di influenza”.<br />
<br />
La mappa Sykes – Picot può anche essere stata un’ idea rozza disegnata frettolosamente nel corso di una guerra globale, ma, da allora, è diventata il principale quadro di riferimento che l’Occidente usa per ridisegnare il mondo arabo e per “controllarlo come desidera e come ritengono eventualmente opportuno.”<br />
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La ‘ Nakba ‘ palestinese, pertanto, deve essere intesa come parte integrante dei vasti disegni occidentali sul Medio Oriente di un secolo fa, quando gli arabi erano (e rimangono) divisi e la Palestina era (e rimane ) conquistata .<br />
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Ramzy Baroud è un giornalista accreditato a livello internazionale, scrittore e fondatore di Palestine Chronicle.com. Il suo ultimo libro è “Mio padre era un combattente per la libertà: la storia non raccontata di Gaza”Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-76186549201315758372016-05-10T14:40:00.001-07:002016-05-10T14:41:51.787-07:00L'ARTE DELLA GUERRA L’arte della guerra<br />
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Israele ed emiri nella Nato<br />
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Manlio Dinucci<br />
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Il giorno stesso (4 maggio) in cui si è insediato alla Nato il nuovo Comandante Supremo Alleato in Europa – il generale Usa Curtis Scaparrotti, nominato come i suoi 17 predecessori dal Presidente degli Stati Uniti – il Consiglio Nord Atlantico ha annunciato che al quartier generale della Nato a Bruxelles verrà istituita una Missione ufficiale israeliana, capeggiata dall’ambasciatore di Israele presso la Ue.<br />
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Israele viene così integrato ancora di più nella Nato, alla quale è già strettamente collegato tramite il «Programma di cooperazione individuale». Ratificato dalla Nato il 2 dicembre 2008, tre settimane prima dell’operazione israeliana «Piombo fuso» a Gaza, esso comprende tra l’altro la collaborazione tra i servizi di intelligence e la connessione delle forze israeliane, comprese quelle nucleari, al sistema elettronico Nato.<br />
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Alla Missione ufficiale israeliana presso la Nato si affiancheranno quelle del regno di Giordania e degli emirati del Qatar e del Kuwait, «partner molto attivi» che verranno integrati ancor più nella Nato per meriti acquisiti.<br />
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La Giordania ospita basi segrete della Cia nelle quali – documentano il New York Times e Der Spiegel – sono stati addestrati militanti islamici di Al Qaeda e dell’Isis per la guerra coperta in Siria e Iraq.<br />
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Il Qatar ha partecipato alla guerra Nato contro la Libia, infiltrando nel 2011 circa 5mila commandos sul suo territorio (come dichiarato a The Guardian dallo stesso capo di stato maggiore qatariano), quindi a quella contro la Siria: lo ammette in una intervista al Financial Times l’ex primo ministro qatariano, Hamad bin Jassim Al Thani, che parla di operazioni qatariane e saudite di «interferenza» in Siria, con il consenso degli Stati uniti.<br />
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Il Kuwait, tramite l’«Accordo sul transito», permette alla Nato di creare il suo primo scalo aeroportuale nel Golfo, non solo per l’invio di forze e materiali militari in Afghanistan, ma anche per la «cooperazione pratica della Nato col Kuwait e altri partner, come l’Arabia Saudita». Partner sostenuti dagli Usa nella guerra che fa strage di civili nello Yemen. Vi partecipa, con una quindicina di cacciabombardieri, anche il Kuwait.<br />
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A cui l’Italia fornisce ora 28 caccia Eurofighter Typhoon di nuova generazione, costruiti dal consorzio di cui fa parte Finmeccanica insieme a industrie di Gran Bretagna, Germania e Spagna. Un contratto da 8 miliardi di euro, il più grande mai firmato da Finmeccanica, nelle cui casse entra circa la metà. È stato firmato il 5 aprile in Kuwait dal ministro della difesa, Khaled al-Sabah, e dall’amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti.<br />
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Madrina dell’evento la ministra Roberta Pinotti, efficiente piazzista di armi (vedi la vendita a Israele di 30 caccia M-346 da addestramento avanzato). Gli Eurofighter Typhoon, che il Kuwait userà per fare stragi nello Yemen e altrove, possono essere armati anche di bombe nucleari: quelle in possesso dell’Arabia Saudita (vedi il manifesto del 23 febbraio). All’addestramento degli equipaggi provvede l’Aeronautica italiana, rafforzando «il fondamentale ruolo di stabilizzazione regionale svolto dal Kuwait».<br />
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Un successo della ministra Pinotti che, una settimana dopo aver venduto i cacciabombardieri al Kuwait, è stata insignita dall'Unione Cattolica Stampa Italiana con il Premio «Napoli Città di Pace 2016». Alla cerimonia, il cardinale Crescenzio Sepe ha definito quello della Pinotti «impegno al servizio della politica come forma più alta d’amore, che mette sempre al centro la tutela e la dignità della vita umana», proponendo perciò «il cambio di denominazione del Dicastero della Difesa in quello della Pace».<br />
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Che ne pensa Papa Francesco?<br />
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(il manifesto, 10 maggio 2016) <br />
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Sullo stesso argomento vedi La notizia su Pandora TV http://www.pandoratv.it/?p=7755Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-42151657267228035092016-03-09T13:59:00.002-08:002016-03-09T13:59:39.634-08:00l'italia e la Libiarenzi baschibludi Manlio Dinucci<br />
il manifesto, 8 marzo 2016<br />
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Nella commedia degli equivoci per il teatrino della politica, il primo attore Renzi ha detto che in Libia «l’Italia farà la sua parte», quindi – appena il Pentagono ha annunciato che l’Italia assumerà il «ruolo guida» – ha dichiarato: «Non è all’ordine del giorno la missione militare italiana in Libia», mentre in realtà è già iniziata con le forze speciali che il parlamento ha messo agli ordini del premier. Questi, per dare il via ufficiale, aspetta che in Libia si formi «un governo strasolido che non ci faccia rifare gli errori del passato».<br />
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In attesa che nel deserto libico facciano apparire il miraggio di un «governo strasolido», diamo uno sguardo al passato. Nel 1911 l’Italia occupò la Libia con un corpo di spedizione di 100mila uomini, Poco dopo lo sbarco, l’esercito italiano fucilò e impiccò 5mila libici e ne deportò migliaia. Nel 1930, per ordine di Mussolini, metà della popolazione cirenaica, circa 100mila persone, fu deportata in una quindicina di campi di concentramento, mentre l’aviazione, per schiacciare la resistenza, bombardava i villaggi con armi chimiche e la regione veniva recintata con 270 km di filo spinato. Il capo della resistenza, Omar al-Mukhtar, venne catturato e impiccato nel 1931. Fu iniziata la colonizzazione demografica della Libia, sequestrando le terre più fertili e relegando le popolazioni in terre aride. Nei primi anni Quaranta, all’Italia sconfitta subentrarono in Libia Gran Bretagna e Stati uniti. L’emiro Idris al-Senussi, m See more at: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/medio-oriente-e-nord-africa/26676-la-ricolonizzazione-della-libia#sthash.bUzZL6kc.dpufesso sul trono dagli inglesi nel 1951, concesse a queste potenze l’uso di basi aeree, navali e terrestri. Wheelus Field, alle porte di Tripoli, divenne la principale base aerea e nucleare Usa nel Mediterraneo.<br />
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Con l’Italia re Idris concluse nel 1956 un accordo, che la scagionava dai danni arrecati alla Libia e permetteva alla comunità italiana di mantenere il suo patrimonio. I giacimenti petroliferi libici, scoperti negli anni ‘50, finirono nelle mani della britannica British Petroleum, della statunitense Esso e dell’italiana Eni. La ribellione dei nazionalisti, duramente repressa, sfociò in un colpo di stato incruento attuato nel 1969, sul modello nasseriano, dagli «ufficiali liberi» capeggiati da Muammar Gheddafi. Abolita la monarchia, la Repubblica araba libica costrinse Usa e Gran Bretagna a evacuare le basi militari e nazionalizzò le proprietà straniere. Nei decenni successivi, la Libia raggiunse, secondo la Banca mondiale, «alti indicatori di sviluppo umano», con una crescita del pil del 7,5% annuo, un reddito pro capite medio-alto, l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria e del 46% alla terziaria. Vi trovavano lavoro oltre 2 milioni di immigrati africani. Questo Stato, che costituiva un fattore di stabilità e sviluppo in Nordafrica, aveva favorito con i suoi investimenti la nascita di organismi che avrebbero creato l’autonomia finanziaria e una moneta indipendente dell’Unione africana. Usa e Francia – provano le mail di Hillary Clinton – decisero di bloccare «il piano di Gheddafi di creare una moneta africana», in alternativa al dollaro e al franco Cfa.<br />
<br />
Per questo e per impadronirsi del petrolio e del territorio libici, la Nato sotto comando Usa lanciava la campagna contro Gheddafi, a cui in Italia partecipava in prima fila l’«opposizione di sinistra». Demoliva quindi con la guerra lo Stato libico, attaccandolo anche dall’interno con forze speciali e gruppi terroristi.<br />
<br />
Il conseguente disastro sociale, che ha fatto più vittime della guerra stessa soprattutto tra i migranti, ha aperto la strada alla riconquista e spartizione della Libia. Dove rimette piede quell’Italia che, calpestando la Costituzione, ritorna al passato coloniale.<br />
-Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-1299607073689510322016-02-22T05:27:00.002-08:002016-02-22T05:27:42.152-08:00COMUNICATO DEL COMITATO NO GUERRA NO NATO<br />
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Il 20 febbraio si è tenuta l’assemblea nazionale del Comitato No Guerra No Nato, che ha approvato il comunicato (sottostante) che definisce i parametri di giudizio sulla situazione attuale. Sono stati confermati I due coordinatori nazionali nelle persone di Vincenzo Brandi e Giuseppe Padovano. La discussione è stata interamente dedicata ai preparativi di una risposta popolare alla imminente prospettiva di un’entrata in guerra dell’Italia in Libia. <br />
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COMUNICATO DEL COMITATO NO GUERRA NO NATO<br />
SULLA SITUAZIONE ATTUALE<br />
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Siamo in stato di guerra, impegnati su due fronti che di giorno in giorno divengono sempre più incandescenti e pericolosi.<br />
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Accusando la Russia di «destabilizzare l’ordine della sicurezza europea», la Nato sotto comando Usa ha riaperto il fronte orientale, trascinandoci in una nuova guerra fredda, per certi versi più pericolosa della precedente, voluta soprattutto da Washington per spezzare i rapporti Russia-Ue dannosi per gli interessi statunitensi.<br />
<br />
Mentre gli Usa quadruplicano i finanziamenti per accrescere le loro forze militari in Europa, viene deciso di rafforzare la presenza militare «avanzata» della Nato nell’Europa orientale. La Nato – dopo aver inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre della ex Jugoslavia e tre della ex Urss – prosegue la sua espansione a Est, preparando l’ingresso di Georgia e Ucraina (questa di fatto già nella Nato), spostando basi e forze, anche nucleari, sempre più a ridosso della Russia. <br />
<br />
Tale strategia rappresenta anche una crescente minaccia per la democrazia in Europa. L’Ucraina, dove le formazioni neonaziste sono state usate dalla Nato nel putsch di piazza Maidan, è divenuta il centro di reclutamento di neonazisti da tutta Europa, i quali, una volta addestrati da istruttori Usa della 173a divisione aviotrasportata trasferiti qui da Vicenza, vengono fatti rientrare nei loro paesi con il «lasciapassare» del passaporto ucraino. Si creano in tal modo le basi di una organizzazione paramilitare segreta tipo «Gladio».<br />
<br />
Usa e Nato preparano altre operazioni sul fronte meridionale, strettamente connesso a quello orientale. Dopo aver finto per anni di combattere l’Isis e altri gruppi, rifornendoli segretamente di armi attraverso la Turchia, gli Usa e alleati chiedono ora un cessate il fuoco per «ragioni umanitarie». Ciò perché le forze governative siriane, sostenute dalla Russia, stanno liberando crescenti parti del territorio occupate da Isis e altre formazioni, che arretrano anche in Iraq.<br />
<br />
Allo stesso tempo la Nato rafforza il sostegno militare alla Turchia, che con l’Arabia Saudita mira a occupare una fascia di territorio siriano nella zona di confine. A tale scopo la Nato, con la motivazione ufficiale di controllare il flusso di profughi (frutto delle guerre Usa/Nato), dispiega nell’Egeo le navi da guerra del Secondo gruppo navale permanente, che ha appena concluso una serie di operazioni con la marina turca. Per lo stesso scopo, vengono inviati anche aerei radar Awacs, centri di comando volanti per la gestione del campo di battaglia.<br />
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Nello stesso quadro strategico rientra l’operazione, formalmente «a guida italiana», che la coalizione a guida Usa si prepara a lanciare in Libia, per occupare le zone costiere economicamente e strategicamente più importanti, con la motivazione ufficiale di liberarle dai terroristi dell’Isis. Si prepara così un’altra guerra Usa/Nato, dopo Iraq 1991, Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, Siria dal 2013, accompagnate dalla formazione dell’Isis e altri gruppi terroristi funzionali alla stessa strategia.<br />
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Tale operazione è stata concordata dagli Stati uniti non con l’Unione europea, inesistente su questo piano come soggetto unitario, ma singolarmente con le maggiori potenze europee, soprattutto Francia, Gran Bretagna e Germania. Potenze che, in concorrenza tra loro e con gli Usa, si uniscono quando entrano in gioco gli interessi fondamentali.<br />
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Oggi 22 dei 28 paesi della Ue, con oltre il 90% della popolazione dell’Unione, fanno parte della Nato, riconosciuta dalla Ue quale «fondamento della difesa collettiva». Sempre sotto comando Usa: il Comandante supremo alleato in Europa è nominato dal Presidente degli Stati uniti e sono in mano agli Usa tutti gli altri comandi chiave della Nato.<br />
<br />
Va ricordato a tale proposito l’orientamento strategico enunciato da Washington al momento dello scioglimento del Patto di Varsavia e della disgregazione dell’Urss: «Gli Stati uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana. Fondamentale è preservare la Nato quale canale della influenza e partecipazione statunitensi negli affari europei, impedendo la creazione di dispositivi unicamente europei che minerebbero la struttura di comando dell'Alleanza».<br />
<br />
Non si può pensare di costruire una Europa diversa, senza liberarci dal dominio e dall’influenza che gli Usa esercitano sull’Europa direttamente e tramite la Nato.<br />
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Anche perché l’avanzata Usa/Nato ad Est e a Sud già coinvolge la regione Asia/Pacifico, mirando alla Cina, riavvicinatasi alla Russia. È il tentativo estremo degli Stati uniti e delle altre potenze occidentali di mantenere la supremazia economica, politica e militare, in un mondo nel quale l’1% più ricco della popolazione possiede oltre la metà della ricchezza globale, ma nel quale emergono nuovi soggetti sociali e statuali che premono per un nuovo ordine economico mondiale. <br />
<br />
Questa strategia aggressiva ha provocato un forte aumento della spesa militare mondiale, trainata da quella Usa, che è risalita in termini reali ai livelli della guerra fredda: circa 5 miliardi di dollari al giorno. La spesa militare italiana, al 12° posto mondiale, ammonta a circa 85 milioni al giorno. Un enorme spreco di risorse, sottratte ai bisogni vitali dell’umanità. <br />
<br />
In tale quadro, particolarmente grave è la posizione dell’Italia che, imprigionata nella rete di basi Usa e di basi Nato sempre sotto comando Usa, è stata trasformata in ponte di lancio delle guerre Usa/Nato sui fronti orientale e meridionale. Per di più, violando il Trattato di non-proliferazione, l’Italia viene usata come base avanzata delle forze nucleari statunitensi in Europa, che stanno per essere potenziate con lo schieramento delle bombe B61-12 per il first strike nucleare.<br />
Per uscire da questa spirale di guerra dagli esiti catastrofici, è fondamentale costruire un vasto e forte movimento per l’uscita dell’Italia dalla Nato, per un’Italia libera dalla presenza delle basi militari statunitensi e di ogni altra base straniera, per un’Italia sovrana e neutrale, per una politica estera basata sull’Articolo 11 della Costituzione, per una nuova Europa indipendente che contribuisca a relazioni internazionali improntate alla pace, al rispetto reciproco, alla giustizia economica e sociale.<br />
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Roma, 20 febbraio 2016<br />
<br />
Vedi Campagna per l'uscita dell'Italia dalla NATO per un’Italia neutrale <br />
https://www.change.org/p/la-pace-ha-bisogno-di-te-sostieni-la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutraleMiryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-35333982396063909592016-02-21T05:33:00.002-08:002016-02-21T05:33:23.135-08:00COLPITO DA IGNOTI OSPEDALE INVISIBILESiria. Colpito da ignoti l’ospedale invisibile che non era di Msf…<br />
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by - · 19 febbraio 2016<br />
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Nella tragedia assoluta che da anni colpisce la Siria, occorre molta attenzione da parte degli operatori umanitari i quali rischiano di essere strumentalizzati da chi fomenta il conflitto, con il risultato di ulteriori deflagrazioni. Un caso emblematico è qui descritto.<br />
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Prima tappa. Urlo mondiale: «La Russia bombarda deliberatamente un ospedale di Msf». Il 15 febbraio da Gaziantep, Turchia, un comunicato dell’organizzazione medica internazionale Médecins sans frontières (MSf) denuncia un fatto odioso: la distruzione, in due attacchi che fanno molti morti, di un ospedale «sostenuto da Msf» (Msf-supported) nella provincia di Idlib, a Ma’arat al Numan.<br />
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Il capo missione Msf dice che «sembra trattarsi di un attacco deliberato a una struttura medica». Msf in quel momento non indica una responsabilità precisa. Ma siccome l’Osservatorio siriano per i diritti umani (dell’opposizione) accusa gli aerei russi, la notizia in mondovisione diventa: «La Russia bombarda deliberatamente un ospedale di Msf». In una situazione tragica, notizie come queste sono quel che Turchia e sauditi aspettano per entrare definitivamente nel paese e aiutare una guerra senza fine.<br />
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Seconda tappa. Richiesta di chiarimento a Msf: Sulla base del comunicato di Msf, dell’assenza di riflessioni critiche da parte dei media e del fatto che l’organizzazione medica non è presente in Siria né con proprie strutture né con proprio personale, bensì opera a sostegno di strutture locali e solo nelle zone controllate militarmente dall’opposizione (il governo non ha dato il permesso di aprire strutture nelle aree che controlla, così diceva un comunicato di tempo fa), il 16 mattina mandiamo alla struttura alcune domande. Intanto Russia e Siria negano recisamente ogni responsabilità e additano la mancanza di prove in merito. Domande:<br />
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La struttura di Ma’arat non era un ospedale di Msf ma solo sostenuto da Msf. Chi la gestiva?<br />
Perché l’ospedale non era segnalato e le sue coordinate non sono state comunicate alle parti in lotta, come era avvenuto invece per l’ospedale direttamente gestito da Msf di Kunduz in Afghanistan?<br />
Chi accusa gli aerei russi? E su quali basi e prove?<br />
Prima della guerra, l’edificio era già un ospedale?<br />
Sulla base di quali elementi Msf parla di «attacco deliberato a una struttura medica» (crimine di guerra) visto che l’ospedale non era segnalato?<br />
Come mai Msf dice che adesso 40mila persone sono senza ospedali? Non ci sono ospedali governativi nell’area?<br />
Quanto all’ospedale materno-infantile colpito ad Azaz, sempre indicato nel vostro comunicato, poiché Msf dichiara che non si tratta di una struttura che sostiene, qual è la fonte della notizia?<br />
<br />
Terza tappa. Msf dichiara da Ginevra : Per giorni e giorni, Msf non riesce a rispondere malgrado i solleciti (è la sede entrale a Ginevra a rispondere a questo genere di domande). Ma ecco che il 17 febbraio la direttrice delle operazioni di Msf Francia Isabelle Defourny e la presidente di Msf Johanne Liu in conferenza stampa a Ginevra rilasciano dichiarazioni che in pratica rispondono a buona parte dei nostri dubbi.<br />
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Ecco dunque le dichiarazioni che dà Msf. Si possono leggere in inglese qui: e qui tanto per citare due fonti molto diverse).<br />
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L’ospedale era nascosto, nient’affatto segnalato. Msf ha deciso di non segnalare in nessun modo a Russia e Siria le coordinate delle strutture mediche nelle aree controllate dall’opposizione e sostenute e finanziate da Msf (senza la presenza di personale Msf). Solo tre strutture in zone di intensi combattimenti sono segnalate agli ambasciatori russi a Ginevra e Parigi. Le altre no. Perché questa stranezza? Perché non segnalare in tutti i modi un ospedale, struttura protetta dalle Convenzioni di Ginevra? Risposta: perché non lo vogliono gli staff e la dirigenza delle strutture siriane sostenute da Msf nelle aree controllate dall'opposizione. Paura di essere colpiti. In un appello diffuso il 18 febbraio, Msf chiede ai membri del Consiglio di sicurezza «e in particolare a Francia, Russia, Regno unito e Stati uniti che sono parte attiva nel conflitto», di impegnarsi per fermare il massacro e per la protezione dei civili evitando i combattimenti in aree civili. Nel rapporto che accompagna l’appello e che è stato redatto sulla base dei dati «raccolti in 70 fra gli ospedali e strutture sanitarie supportate dall’organizzazione in Siria nordoccidentale, occidentale e centrale», Msf «denuncia che 63 ospedali e strutture sanitarie supportate da MSF sono state attaccate o bombardate in 94 diverse occasioni nel solo 2015; e nel 2016 ben 17, di cui sei supportate da Msf». Ma appunto: queste strutture, per ammissione di Msf, non erano segnalate come ospedali. Comunque, dopo il fatto degli ultimi giorni, sostiene che si aspetta che suoi affiliati siriani si coordinino con il governo siriano.<br />
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«Attacco deliberato a una struttura medica», quando questa non era in alcun modo riconoscibile come tale? Davanti a questa contraddizione, Msf (non) precisa: «The attack can only be considered deliberate». Se l’inglese ci assiste, vuol dire: «l’attacco non può che essere considerato deliberato». Ma anche se la frase fosse solo possibilista, la contraddizione rimarrebbe.<br />
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Quali i colpevoli e con quali prove e chi lo dice? Joanne Liu, presidente internazionale di Msf, dichiara: «L’attacco è stato probabilmente portato dalla coalizione guidata dal governo siriano, la più attiva nella regione», cioè dall’esercito siriano o dagli aerei russi. Probabilmente? Quali le prove dunque? «Parliamo di probabilità perché come unici fatti abbiamo le percezioni dello staff locale. I sopravvissuti ritengono che l’attacco sia stato condotto dalla coalizione guidata dal governo». E anche «raccogliere prove richiede tempo». Ma insomma: possono forse dichiarare qualcosa di diverso gli operatori di un ospedale dell’opposizione che ha preferito non segnalarsi come struttura medica? (Va detto che anche il Pentagono non ha fornito prove sulle responsabilità dell’attacco imputato ai russi o ai siriani, ad aerei o a missili, affermando che «il punto non è chiaro»). <br />
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Rimane inevasa la domanda sulla presenza o meno nelle aree controllate dall’opposizione, di ospedali governativi e statali, ovviamente prima esistenti. Approfondiremo in altra sede. Ma di certo la zona di Idlib è sotto il controllo di una coalizione ombrello di gruppi islamisti, Jaish Al Fatah (Esercito della conquista), in un rapporto a geometria variabile con altre formazioni salafite o qaediste come al Nusra. E secondo precedenti denunce governative (tanto per citare anche l'altra parte), questi armati hanno via via occupato o distrutto i centri medici del governatorato, compreso il famoso ospedale Jisr al Shugur.<br />
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Rimane la domanda sull’ospedale di Azaz. Ma non può essere Msf ad avere informazioni, che non sosteneva la struttura e non è presente in Siria con propri operatori. In quel caso le accuse agli aerei russi vengono dal governo turco e dall’opposizione siriana, in particolare i White Helmts ovvero Elmetti bianchi. Ma chi sono gli Elmetti bianchi, o Syrian Civil Defense, “organizzazione di volontari per il soccorso”? Non proprio una fonte imparziale e nemmeno immacolata. Alcuni loro membri, che a differenza dell’ospedale di Idlib sono ben identificabili (elmetto bianco e simbolo sulla divisa) sono stati coinvolti in esecuzioni sommarie che lo stesso organismo non nega pur condannando l’accaduto. Come dichiara il loro fondatore, l’ex ufficiale britannico James Le Mesurier alla tivù amica Al Jazeera del Qatar, gli Elmetti sono stati formati in Turchia (dove l’inglese lavorava, non si sa a che cosa) a partire dal 2013, con finanziamenti di Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna.Mark Ward, che al Dipartimento guida l’assistenza Usa alla Siria, spiega che «niente tiene insieme una comunità meglio degli sforzi di soccorrere le vittime».<br />
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Peccato che proprio Usa, Turchia e alleati abbiano fatto di tutto per trasformare la Siria in un cimitero.<br />
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Marinella Correggia<br />
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- See more at: http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3146#sthash.vPmFBjF5.dpufMiryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-66154406789445569332016-02-20T03:12:00.001-08:002016-02-20T03:12:59.168-08:00<br />
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Le vittime ebree del sionismo<br />
Ella Shohat<br />
introduzione di Vera Pegna<br />
a cura di Cinzia Nachira <br />
Edizioni Q<br />
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Non ci sono molte pubblicazioni né informazioni sul ruolo e sulla storia degli ebrei arabi emigrati in Israele quindi questo libro, assieme al precedente «Ebrei arabi: terzo incomodo?» a cura di Susanna Senigaglia, contribuisce a colmare un vuoto fornendo informazioni preziose per comprendere la dinamica delle contraddizioni interne allo stato israeliano e per smascherare la falsità della narrazione ufficiale. Gli ebrei arabi, o mizrachi, sono la maggioranza della popolazione israeliana, specialmente se ci si aggiunge il 20 per cento dei palestinesi del '48, è perciò abbastanza sconcertante che la storia della loro immigrazione, così significativa ai fini della comprensione della natura dello stato israeliano fin dall'inizio, sia stata trascurata, anche dagli stessi nuovi storici che pure gettarono luce sulla pulizia etnica della Palestina e su altre nefandezze. Ma qual'è il racconto ufficiale dello stato israeliano rispetto a questo argomento ce lo spiega molto bene Ella Shohat, secondo tale racconto gli ebrei arabi avrebbero sofferto nei loro paesi d'origine discriminazione e abusi e sarebbero poi stati salvati e redenti dallo stato sionista che li avrebbe sollevati dalla loro condizione primitiva di semi-selvaggi accogliendoli nel suo seno secondo il progetto di «riunificazione degli esiliati dai quattro angoli del mondo» portandoli dalla condizione premoderna alla modernità, dall'oscurantismo e arretratezza dei loro paesi levantini ad una società democratica e rispettosa dei diritti civili. Dal saggio di Ella Shohat apprendiamo che questa costruzione è falsa dall'inizio alla fine, la Shohat la smonta pezzo per pezzo, ma già Vera Pegna nel saggio introduttivo, ricordando la propria esperienza di vita in Egitto, ci informa che «da sempre gli arabi di religione ebraica si sono confusi naturalmente tra la popolazione circostante e non si sono mai considerati -né altri li hanno considerati- un popolo a se, distinto dagli altri arabi fossero essi musulmani, cristiani o seguaci di altre religioni e sette presenti nei paesi arabi». Se ne deduce che non si sono verificate discriminazioni o pogrom e che gli ebrei arabi hanno vissuto in pace nei loro paesi fino a che non è giunto il sionismo a sconvolgere le loro vite e tutta la regione. Se problemi ci sono stati infatti essi sono stati creati dal sionismo e dalla fondazione dello stato sionista. Sia il saggio di Vera Pegna che quello di Ella S. ci informano che le immigrazioni degli ebrei levantini non sono avvenute per l'ardente desiderio della «terra promessa» ma a suon di bombe e altre numerose intimidazioni. «Di fronte alla scarsa adesione al progetto sionista dimostrata dagli ebrei egiziani il mossad decise di passare alle maniere forti prima diffondendo voci di pericolo per chi si rifiutasse di partire e poi compiendo, nei confronti degli ebrei, atti ostili da attribuire alle autorità egiziane» (Vera Pegna). Bombe furono piazzate nella sinagoga di Bagdad, ad Alessandria la bomba scoppiò in tasca all'agente del mossad prima che la collocasse in un cinema. Ogni volta che c'era un calo nelle liste di attesa di coloro che decidevano di partire avveniva una nuova esplosione a terrorizzare queste comunità spingendole a partire.<br />
Gli ebrei arabi non dimostravano interesse per lo stato sionista, il sionismo del resto prima della Shoah e della fondazione di Israele era un movimento di minoranza che lasciava indifferente la maggior parte degli ebrei e da altri era fieramente contrastato. ( L'unione generale dei lavoratori ebrei di Russia, Polonia e Lituania -BUND- osteggiava il sionismo ritenendo che l'emancipazione e la dignità del popolo ebraico sarebbero state ottenute con il socialismo e l'internazionalismo perciò era contrario alla fondazione di uno stato ebraico). Per quanto riguarda poi la decantata modernità «questa visione elude la realtà dei processi storici tacendo una serie di verità, gli ashkenaziti come i sefarditi , provenivano da paesi che erano ai margini del capitalismo mondiale de avevano iniziato la loro industrializzazione come il loro sviluppo tecnologico e scientifico quasi contemporaneamente» (E. S.) Ma i <br />
sionisti che avevano voluto fondare uno stato di stampo occidentale nel cuore del Medio Oriente erano ebrei europei (ashkenaziti) e come nella migliore tradizione colonialista e orientalista nutrivano profondo disprezzo per i popoli orientali. Gli ebrei arabi non furono accolti come uguali ma fatti oggetto di ogni possibile sopruso e violenza dal rapimento dei loro bambini alla sterilizzazione forzata delle donne, all'esposizione di migliaia di bambini a radiazioni che provocarono tumori e altre malattie gravi, alle condizioni di estrema povertà a cui furono costrette, nelle baracche dei campi di transito, intere famiglie per anni, dopo aver lasciato i loro beni nei paesi d'origine secondo gli accordi dei sionisti con gli stati arabi.<br />
Ai sionisti era indispensabile l'immigrazione della massa degli ebrei arabi sia perché l'immigrazione dall'Europa si andava esaurendo, sia perché necessitava mano d'opera a basso costo e questi ebrei percepiti come «lavoratori naturali» potevano a un tempo sostituire i lavoratori palestinesi o entrare in concorrenza con loro, e mantenere l'obiettivo del «lavoro ebraico» uno dei miti del sionismo.<br />
Nel suo impeto di occidentalizzare la società israeliana l'establishment ashkenazita era fortemente preoccupata dalla propria contraddizione interna: gli ebrei orientali e temeva che questi avrebbero potuto orientalizzare la società per cui li integrarono ai livelli più bassi della società dove il loro impatto sarebbe stato ininfluente. Essi furono insediati nelle zone periferiche e di frontiera e utilizzati nel controllo delle popolazioni native e delle loro terre.<br />
Ai mizrachi fu chiesto di scegliere tra l'essere arabi o ebrei, di convincersi che la loro storia e cultura non aveva radici nei paesi orientali da dove provenivano ma negli shtetl della Lituania, di convincersi che erano parte della generale persecuzione che in ogni paese e in ogni epoca avevano subito gli ebrei, che nei loro paesi c'erano stati i pogrom come in Russia e infine di trasformarsi nel modello sionista del nuovo ebreo, che entrava gloriosamente di nuovo nella storia dopo secoli di persecuzioni e di esilio. Questa universalizzazione del vittimismo ebraico giustificava il progetto nazionalista e coloniale dei sionisti e a un tempo lo sradicamento di popolazioni dai loro paesi e dalle loro storie e culture. Storie e culture che dovevano essere cancellate per unificarsi alla narrazione ufficiale. Nell'ultima parte del libro, nel corso dell'intervista, Ella S. scrive: «...la separazione operata da Euro-Israele della parte ebraica da quella mediorientale si è tradotta nello smantellamento delle comunità ebraiche del mondo islamico come anche in forti pressioni sugli ebrei orientali affinché adeguassero la loro identità ebraica ai paradigmi sionisti...gli ebrei dell'Islam hanno dovuto far fronte per la prima volta nella loro storia al dilemma a loro imposto: la scelta tra arabicità e ebraicità all'interno di un contesto geopolitico che ha riprodotto, da un lato, l'equazione arabicità-mediorientalità-Islam e dall'altro lato quella di ebraicità-europeità-occidentalità. Un altro aspetto determinante del racconto...la «nazione ebraica» combatteva un comune nemico storico» -l'arabo musulmano- sviluppando una duplice amnesia relativamente alla storia giudeo-islamica e alla spartizione coloniale della Palestina. Le false analogie tra arabi e nazisti sono diventate non solo un punto fisso della retorica sionista ma anche un sintomo dell'incubo ebraico-europeo proiettato sulle dinamiche politiche, strutturalmente distinte, del conflitto israelo-palestinese» e conclude « nel contesto dei massacri e delle privazioni inflitte al popolo palestinese la sovrapposizione della figura dell'arabo musulmano a quella dell'europeo oppressore degli ebrei mette la sordina alla storia degli insediamenti coloniali dello stesso Euro-Israele».<br />
Sotto un'incredibile pressione, impossibilitati a tornare indietro nei loro paesi, impoveriti e discriminati molti mizrachi hanno finito per interiorizzare l'immagine che la retorica sionista aveva di loro, giungendo a un disprezzo di se che proiettavano a loro volta sui palestinesi. Questo si è tradotto in un desiderio di assimilazione e a integrarsi con la cultura dominante, senso di inferiorità, e una forte spinta a migliorare il basso livello socio-economico. «Anche quando ufficialmente celebrano la loro eredità araba e medio orientale , lo fanno rifiutando «l'arabo". Così l'ideologia orientalista del «noi" contro «loro" è stata talvolta adottata dagli stessi ebrei orientali soprattutto con lo spegnersi, generazione dopo generazione ,della <br />
memoria del sincretismo storico e culturale giudeo-islamico." (E. S.) Questo risultato può senz'altro essere definito una vittoria del sionismo. Non solo il sionismo ha fondato uno stato che ha inventato un popolo, ma ha anche costruito una mitologia e una storia, funzionale ai suoi fini politici, che doveva essere la storia di ogni ebreo,distruggendo «la consapevolezza di poter essere ebrei secondo forme molteplici di appartenenza.». Ma esiste anche un'altra faccia della realtà sefardita, molti ebrei orientali hanno resistito e lottato, come le «Pantere nere» degli anni '70 i quali pensavano di essere un «intermediario naturale» per la pace e lanciarono un appello per un «vero» dialogo con i palestinesi, o i giovani mizrachi che nel corso della primavera araba firmarono una lettera aperta ai fratelli arabi: «noi crediamo che in quanto ebrei mizrachi israeliani la nostra lotta per avere diritti economici, sociali e culturali debba basarsi sull'idea che un cambiamento politico ...può solo venire da un dialogo intraregionale e interreligioso che si riconnetta alle diverse lotte e ai movimenti attualmente attivi nel mondo arabo. Nello specifico, dobbiamo dialogare ed essere solidali con le lotte dei cittadini palestinesi di Israele che combattono per uguali diritti economici e politici e per l'abolizione delle leggi razziste, e con la lotta del popolo palestinese che vive sotto l'occupazione israeliana , nella West Bank e a Gaza, quando chiede la fine dell'occupazione stessa e l'indipendenza nazionale palestinese». «Benché sia stata cancellata e oscurata la resistenza sefardita continua ad evolversi rinnovando i modelli organizzativi» scrive E. S. «Gli sforzi che mirano a seminare discordia tra ebrei orientali e palestinesi non sono riusciti nell'intento di dissuadere i primi dal difendere un'equa soluzione per i palestinesi. In Israele e all'estero numerosi sefarditi non chiedono di meglio che di poter fungere da mediatori per la pace con gli arabi e con i palestinesi ma l'establishment ha sempre compromesso i loro sforzi in questo senso.»<br />
La ragione per cui la storia dei mizrachi è così poco conosciuta non è misteriosa: Israele doveva occultare le sue azioni più crudeli per non offuscare l'immagine che si sforza di dare di sé e per tacitare le voci critiche, il lavoro costante della propaganda sionista tenta di arginare un rischio potenziale «Una minaccia si aggira sul sionismo: tutte le sue vittime -i palestinesi, i sefarditi, (così come gli ashkenaziti dissidenti etichettati come degli eterni insoddisfatti che rimuginano sul loro odio di sé) potrebbero cogliere gli elementi che accomunano la violenza che li opprime. L'establishment sionista di Israele ha fatto di tutto per allontanare questa minaccia: ha fomentato guerre e ha costruito un vero culto della sicurezza nazionale, ha dato della resistenza palestinese l'immagine semplicistica del terrorismo, ha creato le condizioni della discordia tra sefarditi e palestinesi attraverso il sistema educativo e i mass media ha incitato i sefarditi a odiare gli arabi e a rifiutare la propria cultura ha represso o cooptato tutti quegli elementi che potevano favorire un'alleanza progressista tra palestinesi e ebrei orientali.» <br />
Noi confidiamo nel fatto che molto presto questa consapevolezza possa risultare chiara e far crollare l'immane muro di menzogne del sionismo, e per concludere con le parole di E. S. « la pace non è possibile senza il rispetto per «l'Oriente" in tutte le sue componenti dagli ebrei orientali ai palestinesi e ai vicini arabi musulmani. Superando l'inerzia di un immaginario paralizzato Israele dovrebbe smettere di essere uno stato canaglia e diventare lo stato di tutti i suoi cittadini.»<br />
Miriam Marino<br />
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Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-56294217873693167722016-02-14T07:10:00.001-08:002016-02-14T07:10:07.475-08:00LE SCARPE IN FACCIA CHE CI VORREBBERO Editoriale<br />
Le scarpe in faccia che ci vorrebbero!<br />
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di Giovanni Sarubbi<br />
Muntazar al-Zaydi, chi è costui? È un giornalista iracheno, sciita, nato nel 1979. Ha lavorato dal 2005 per la tv araba al-Bagdadiyya del Cairo. Ha una laurea in scienza della comunicazione presa nell'università di Bagdad. È divenuto famoso perché il 14 dicembre del 2008 a Baghdad, tirò le sue scarpe in faccia all'allora presidente americano George Bush durante una conferenza stampa che egli teneva insieme al primo ministro iracheno Nuri al-Maliki (Vedi filmato). Fu un gesto che fece scalpore. In Iraq c'era la guerra dal 2003. I morti si contavano già allora a milioni. Le immagini di quella scena fecero, in pochi minuti, il giro del mondo. Milioni di persone nel mondo, me compreso, si immedesimarono con quel giornalista e si rammaricarono per il fatto che egli, per due volte, mancò, per pochi centimetri, il bersaglio. Quel gesto costò al giornalista una dura condanna e, soprattutto, pesanti torture durante tutto il periodo della sua detenzione che terminò il 15 settembre del 2009.<br />
Lanciando quelle scarpe Muntazar al-Zaydi chiamò “cane” il presidente Bush e disse due frasi. Sulla prima scarpa gridò: «Questo è un bacio d'addio da parte del popolo iracheno, cane!». Sulla seconda scarpa gridò: «Questo è per le vedove, gli orfani e tutti quelli che sono stati uccisi in Iraq!». Due “dediche” che non hanno bisogno di grandi spiegazioni e che rappresentano bene l'indignazione che la guerra suscita in ogni essere umano che non abbia perso la sua umanità.<br />
Mi è ritornato alla mente quell'episodio, che fa parte a pieno titolo della “terza guerra mondiale a pezzi” che stiamo vivendo dall'11 settembre del 2001, perché il prossimo martedì 2 febbraio a Roma si terrà una conferenza stampa di quello che una volta si chiamavano gli “amici della Siria” e che ora hanno cambiato nome in “small group”. Si tratta di 24 paesi fra cui Arabia saudita, Iraq, Emirati, Francia, Kuwait, Qatar, Regno Unito, Turchia, Usa, Italia.... «Insomma – scrive Marinella Correggia - proprio quei soggetti, diciamo Nato/Golfo (più i satelliti), che individualmente o in forma aggregata sono stati determinanti nel far esplodere l’atroce fenomeno autodefinentesi Stato islamico o Califfato, in sigla Isis o Is o Isil». (Vedi link)<br />
La Conferenza stampa sarà tenuta dai due ministri degli esteri di Italia, Paolo Gentiloni, e degli USA, Jhon Kerry che copresiederanno l'incontro.<br />
La conferenza stampa è “blindata” non solo dal punto di vista della sicurezza e degli uomini e dei mezzi posti a difesa della Farnesina, sede del ministero degli esteri Italiano, ma anche perché i giornalisti faranno in sostanza da comparsa, serviranno a rendere “democratico” ciò che non lo è affatto. Nessuno potrà fare domande. Sono previste solo due domande fatte da due grandi giornali già individuati.<br />
Lor signori, quelli che insieme agli USA ritengono di essere i padroni del mondo, ci faranno sapere che cosa le loro graziose maestà imperiali hanno deciso in merito al conflitto in Siria che va avanti dal 2011. Il tema dell'incontro è stato definito come «Riunione ministeriale della Coalizione Globale anti-Daesh/ISIL». Ce ne sarebbero di domande da porre ma nessuno potrà farlo. Le due domande previste saranno molto probabilmente già state concordate. Saranno domande banali e ci saranno risposte banali. Il tutto finalizzato alla guerra. Aria fritta. Nessuna difficoltà avranno Gentiloni e Kerry a rispondere. Copione già scritto, ma non ci sarà nulla da ridere. Sarà una sceneggiata di cui i giornalisti saranno comparse.<br />
Non sapremo mai che cosa i paesi presenti si diranno effettivamente, sia perché in queste conferenze stampa non si racconta mai la verità, sia perché non ci sarà alcun giornalista che potrà porre neppure una delle domande che sarebbe lecito porre a lor signori. Neppure la più banale che può essere questa: «ci spiegate come facevate a chiamarvi amici della Siria se poi avete scatenato una guerra che ha già fatto milioni di profughi e alcune centinaia di migliaia di morti? Cosa è l'amicizia per voi? I vostri amici li pigliate a bombe in faccia?».<br />
Non ci saranno domande scomode da parte di alcuno, né ci saranno giornalisti che tireranno le loro scarpe in faccia ai due ministri che compariranno davanti ad una platea di giornalisti usati come comparse scendiletto della loro sceneggiata. Nessuno tirerà scarpe in faccia né fisicamente né tanto meno metaforicamente. Nessuno darà del “cane” a Gentiloni o a Kerry, nessuno chiederà loro conto dei vari milioni di morti che la politica di guerra degli USA ha prodotto nel mondo dall'11 settembre 2001 con le guerre in Afghanistan, in Iraq, in Libano, a Gaza, in Libia, in Siria, in Mali, in Ucraina e nel Dobass e per ultimo in Yemen. Nessuno chiederà conto dei profughi, delle centinaia di migliaia di morti, soprattutto bambini, uccisi dalle bombe o affogati nel Mediterraneo. Nessuno chiederà loro conto delle vendite di armamenti ai regimi del Golfo Persico o altri regimi dittatoriali e di come queste armi siano poi finite nelle mani dei cosiddetti terroristi, e di come l'esercito di questi terroristi si sia potuto rafforzare con i cosiddetti Foreing Fighters provenienti dall'Europa o dagli stessi USA, attraversando tutte le frontiere dei paesi Nato senza alcun ostacolo. L'espressione Foreing Fighters di solito viene tradotta con “combattenti stranieri” ma, più opportunamente, bisognerebbe chiamarli “soldati di ventura”, mercenari che si vendono al miglior offerente. Si tratta cioè di persone (e come è difficile usare questo termine associato a chi fa il mestiere delle armi) che sono guidati solo dalla voglia di uccidere e che hanno come unico dio solo il denaro. Nulla a che vedere con una qualsiasi religione, quale l'islam o il cristianesimo o quant'altro esiste nel panorama religioso mondiale.<br />
Nessun giornalista italiano potrà chiedere conto delle migliaia di bombe costruite in Sardegna e da li partite, proprio nelle ultime settimane, alla volta dell'Arabia Saudita per il bombardamento dello Yemen, dove sono stati colpiti anche gli ospedali di Medici senza Frontiere. Nessuno chiederà conto degli affari che stanno dietro la guerra in corso e di come questi affari, leggasi petrolio, hanno nulla a che vedere con gli interessi dei popoli o con le loro legittime aspirazioni alla democrazia e alla libertà. Nessuno potrà porre domande sulla violazione, oramai costante, dello statuto dell'ONU che da organismo per salvaguardare la pace nel mondo si è trasformato in notaio delle guerre.<br />
I “giornalisti” presenti non avranno la possibilità di proferire parola. “Scendiletto e servi site stati finora e dovete continuare ad esserlo”, questo in sostanza diranno Gentiloni e Kerry a chi il 2 febbraio sarà presente a Roma al ministero degli esteri.<br />
Il 2 febbraio a Roma non ci sarà nessun lanciatore di scarpe, ne siamo certi. Ne ci saranno giornalisti o giornali mainstream che il giorno dopo si permetteranno di lanciare scarpe metaforiche contro un potere, quello Statunitense e di quei paesi suoi lacchè, che si sta comportando come ed anche peggio di quello che hanno fatto in Europa i nazisti e i fascisti negli anni '30 del secolo scorso.<br />
Avremmo bisogno di lanciatori di scarpe, Dio solo sa quanto ne avremmo bisogno. Avremmo bisogno di giornalisti che ogni giorno facessero le pulci alle notizie false, che provengono dagli stati maggiori impegnati nella guerra, e ricercassero la verità e aiutassero la gente a prendere coscienza. Avremmo bisogno che ogni giorno ci fossero giornalisti che coprissero di disprezzo gli esponenti politici di governo o di opposizione che hanno venduto la loro anima ai mercanti di armi e che hanno sulla loro coscienza, ammesso che ne abbiano mai avuta una, i milioni di morti che da troppi secoli e da troppi decenni stanno insanguinando la nostra storia.<br />
Io invidio quanti riescono a dire il loro sdegno per la guerra con parole meno crude di quelle che io, rozzo ed incolto apprendista giornalista, riesco a dire. Li invidio sinceramente. Ma c'è il momento nel quale si devono tirare scarpe in faccia, anche se solo metaforicamente, a chi fa della prepotenza, della violenza, della guerra il suo tratto sistematico di cui pagano le conseguenze milioni di esseri umani innocenti. E quel momento è ora! La conferenza di martedì 2 febbraio sarà, infatti, un momento di svolta della "terza guerra mondiale a pezzi" e a pagarne le conseguenze non saranno i cosiddetti "terroristi" ma milioni di persone innocenti, soprattutto bambini.<br />
Ai giornalisti seri non resta da far altro che disertare le conferenze stampa come quelle di martedì prossimo o, se si decide di partecipare, fare come Muntazar al-Zaydi, anche se solo metaforicamente, limitandosi ad innalzare un cartello, che forse sarebbe più plateale se lo facessero tutti i presenti, con la foto di un grosso scarpone chiodato e la dicitura “vi meritate solo scarpe in faccia perché siete delle merde assassine”. Se ci dovesse essere poi qualcuno che voglia fare proprio come ha fatto Muntazar al-Zaydi, per piacere per lo meno si alleni prima a centrare il bersaglio.<br />
Noi, nel nostro piccolissimo, per ora la nostra scarpa in faccia, metaforica, l'abbiamo scagliata. E tu che leggi cosa aspetti a farlo anche tu?<br />
Giovanni SarubbiMiryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-5613701480139231132016-02-11T11:44:00.001-08:002016-02-11T11:44:31.177-08:00Riflessioni sulla strategia palestinese<br />
Analisi: riflessioni sulla strategia palestinese<br />
2 febbraio 2016 <br />
Di Amal Ahmad - Maan News e Al-Shabaka<br />
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Un membro del movimento Fatah vicino ad un mural del leader palestinese Mahmoud Abbas nel campo di rifugiati palestinesi Ain al-Hilweh, alla periferia di Sidone. (AFP/File)<br />
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Quest'analisi è stata originariamente pubblicata da Al-Shabaka, una organizzazione indipendente e no profit il cui scopo è educare e promuovere il dibattito pubblico sui diritti umani e l'autodeterminazione dei palestinesi nel contesto delle leggi internazionali.<br />
Amal Ahmad è membro di Al-Shabaka e ricercatrice economica palestinese. Amal è entrata a far parte dell'Istituto di Ricerca di Politica Economica Palestinese di Ramallah prima di terminare un master in sviluppo economico presso la Scuola di Studi Orientali ed Africani di Londra. Il suo lavoro si concentra sui rapporti fiscali e monetari tra Israele e Palestina; si interessa anche di politiche economiche di sviluppo in tutto il Medio Oriente.<br />
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Il popolo palestinese ha iniziato l'anno nuovo affrontando una desolante situazione politica, con una leadership debole e compromessa, un popolo frammentato dal punto di vista geografico ed amministrativo e una società civile sempre più segnata dall'individualismo e dalla perdita di punti di riferimento politici. Il progetto di costruzione dello Stato che sembrava così promettente negli anni '80 e '90 ha rapidamente perso sostenitori - un recente sondaggio ha rilevato che circa due terzi dei palestinesi non crede più che sia praticabile, nonostante 137 Paesi ora riconoscano la Palestina. Ancora scarsa è la prospettiva di un obiettivo politico alternativo che goda dell'appoggio popolare. <br />
Questo commento sostiene che l'attuale debolezza politica del popolo palestinese dipende in larga misura dall'assenza di un pensiero strategico, nonostante qualche sforzo organizzato a questo proposito anche dal Gruppo Strategico Palestinese [gruppo di studio formato da intellettuali e da studiosi palestinesi. Ndtr.] e da Masarat [Centro Palestinese per le Ricerche politiche e gli Studi Strategici. Ndtr.] for Policy Research and Strategic Studies. Ndtr.], per esempio. E' ancora indispensabile che i palestinesi elaborino una strategia con o senza le fazioni politiche dentro o fuori dall'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP): senza una strategia chiara e condivisa, alcuni degli strumenti e delle tattiche che sono stati adottati rischiano di dissanguare le energie e di dimostrarsi inefficaci, o di produrre risultati non voluti.<br />
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Promuovere analisi strategiche<br />
Un solido pensiero strategico si fonda su un'accurata analisi dell'attuale contesto politico, comprese le opportunità e le sfide sia interne che esterne. Per i palestinesi è particolarmente vitale analizzare accuratamente le strategie dello Stato israeliano, perché è la parte in causa più forte, che definisce in modo preponderante la portata e la direzione del conflitto. Si può sostenere che il principale motivo per cui [gli accordi di ] Oslo sono stati un disastro politico è stato il fatto che i dirigenti palestinesi, incompetenti e alla disperata ricerca di una soluzione, hanno preso per buono il dichiarato interesse di Israele riguardo alla creazione di uno Stato palestinese ed hanno lavorato per raggiungere quell'obiettivo politico. Questo errore di calcolo e le concessioni che ne sono seguite si sono dimostrate catastrofiche per il potere negoziale dei palestinesi, per la loro unità e capacità di formulare una coerente strategia nazionale. <br />
E' ora di riconoscere che i palestinesi si trovano in una soluzione senza Stato, nella quale Israele spera di tenerli chiusi per tutto il tempo necessario a raggiungere il suo progetto definitivo. Questo obiettivo è rappresentato da diversi (e maggiori) diritti per gli ebrei rispetto ai non ebrei, con una maggioranza ebraica sul territorio sotto il suo controllo diretto. La strategia israeliana per il raggiungimento di questo progetto è stata in ampia misura costante da quando ha occupato i territori palestinesi nel 1967: contenere i palestinesi rifiutando un accordo sullo status definitivo, che si trattasse della sovranità palestinese [con la soluzione] dei due Stati o gli stessi diritti in un unico Stato binazionale. Ho sostenuto in precedenza che l'unione doganale de facto imposta da Israele ai palestinesi è una chiara dimostrazione dell'intenzione di Israele di mantenere questa soluzione senza Stato [palestinese]. Le azioni dei palestinesi, la resistenza ed ogni futuro negoziato dovrebbero tener conto di questa situazione. <br />
Dato che la strategia di Israele è fondata sul soddisfacimento dei diritti degli israeliani ebrei e dei coloni e sulla limitazione di quelli dei cittadini palestinesi di Israele e dei palestinesi dei territori occupati, di conseguenza una strategia fondata sui diritti dei palestinesi potrebbe essere particolarmente efficace se mettesse in evidenza e sfidasse i progetti israeliani. In una strategia di questo tipo l'obiettivo politico palestinese dovrebbe passare dalla costruzione dello Stato, un progetto irrealizzato che mette in ombra la strategia israeliana sul terreno, ad una lotta per i diritti umani, politici, civili, economici, sociali e culturali. I diritti dei palestinesi possono essere ottenuti con diverse soluzioni nazionali, uno o due Stati o una confederazione.<br />
Oltre ad opporsi al nucleo essenziale del progetto nazionale israeliano, una strategia fondata sui diritti dei palestinesi offre una serie di differenti aspetti positivi. Fornisce un insieme di orientamenti per la lotta; riduce le differenze tra i palestinesi nei territori occupati e quelli all'interno di Israele; entra in consonanza con un discorso internazionale sui diritti e l'antirazzismo che è molto difficile da ignorare, aiutando a rinsaldare forti alleanze che appoggiano la lotta.<br />
Qualunque strategia di successo non solo deve analizzare le intenzioni di Israele e identificare i punti deboli della loro struttura, deve anche raccogliere il consenso della comunità palestinese. Si tratta di una sfida difficile, in parte a causa della frammentazione del popolo palestinese, ma anche per il profondo attaccamento all'idea di uno Stato nazionale palestinese nonostante, l'irrealizzata soluzione dei due Stati. Di conseguenza è importante cercare di riconciliare per quanto possibile una strategia politicamente ragionevole con il sentimento nazionalista palestinese. Per esempio, argomenti a favore di un approccio centrato sui diritti dovrebbero sottolineare che abbandonare l'obiettivo della costruzione di uno Stato non significa abbandonare i legami con la terra e dovrebbero cercare i modi attraverso i quali possa essere superata la stretta commistione della costruzione dello Stato con la costruzione della nazione.<br />
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Adottare tattiche che diano risultati<br />
Il modo più rapido, sicuro ed efficace per promuovere una strategia nazionale è attraverso un sistema politico più rappresentativo ed effettivo. In assenza di prospettive per una dirigenza efficace e non compromessa all'interno dei Territori Palestinesi Occupati (TPO) o per il popolo palestinese nel suo complesso, questo diventa un compito difficile. Nel frattempo i palestinesi possono avvalersi di alcuni degli strumenti sviluppati dalle istituzioni e reti esistenti nella società civile palestinese e a livello internazionale, per promuovere una riflessione ed un'azione strategiche, con la speranza che passi nella giusta direzione possano accelerare o accompagnare la formazione di una nuova dirigenza.<br />
Il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) rimane il più efficace strumento civile per inquadrare la lotta dei palestinesi nel linguaggio dei diritti e per sfidare la repressione israeliana basata sull’apartheid. Il BDS è ben noto per il prezzo che fa pagare all'occupazione, ma l'importanza di gran lunga maggiore del movimento risiede nella filosofia e nella prospettiva che fornisce. Propone un discorso con cui molti palestinesi si possono identificare, con cui il mondo può simpatizzare, che non rimane bloccato nella labirintica discussione di soluzioni e fasi finali. Inoltre colpisce dritto al cuore il progetto di Israele per la regione: Netanyahu non ha esagerato quando ha definito il movimento BDS una "minaccia strategica" per il progetto nazionale israeliano, data la sua natura razzista e di colonialismo di insediamento. Anche se la campagna BDS deve affrontare dei limiti all'interno dei territori occupati a causa della dipendenza strutturale dei TPO dall'economia israeliana, il fatto che il linguaggio dei diritti sia diventato più popolare è un segnale incoraggiante. Adottare il discorso del BDS e lanciare campagne BDS nelle università e nei consigli comunali, nei consigli di amministrazione ed in altre istituzioni è un passo concreto per aiutare i palestinesi a resistere all'apartheid ed avvicinarsi alla realizzazione dei diritti umani.<br />
I palestinesi possono anche trarre profitto dal contesto legale esistente che riguarda direttamente i diritti umani e lo stato di diritto. Gli strumenti giuridici a disposizione del popolo palestinese includono il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 2004 sul Muro di Separazione, che rafforza il consenso internazionale sul fatto che gli insediamenti sono illegali in base alla legge internazionale. Questi strumenti possono essere utilizzati per far notare a Stati terzi che la loro collaborazione con Israele ne compromette l'autorità legale e per chiedere che questi Stati rispettino le leggi internazionali sospendendo il commercio o i trattati con Israele finché questo manterrà il suo regime di apartheid. L'associazione della Palestina alla Corte Penale Internazionale dovrebbe anche fornire mezzi per sfidare le violazioni israeliane dei diritti umani, ma è importante essere realisti e continuare a mobilitare l'appoggio internazionale.<br />
All'interno dei TPO, anche cicli di scontro con gli occupanti aiutano a rompere il monopolio sulla politica detenuto dall'Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e può aiutare ad accelerare e legittimare la ricerca di strategie alternative. Le ricorrenti ondate di collera ridefiniscono le relazioni dei palestinesi con lo Stato israeliano come basate sul conflitto piuttosto che sulla "comprensione", e spesso invocano apertamente la cancellazione degli accordi di Oslo. Come notato in una recente tavola rotonda di Al-Shabaka, mentre la capacità di queste ondate di ottenere risultati politici è molto limitata, a causa della scarsa capacità organizzativa e della reazione violenta da parte dell'ANP e di Israele, esse però costituiscono un cambio radicale di discorso e sono utili per unificare, almeno simbolicamente, il messaggio dei palestinesi.<br />
Sopratutto, i cittadini palestinesi di Israele, che sono stati emarginati dall'OLP e dall'ANP nella ricerca della costruzione di uno Stato, saranno all'avanguardia di un approccio basato sui diritti. Infatti ciò è alla base della loro lotta per la giustizia e l'uguaglianza di diritti all'interno di Israele. Inoltre il loro stretto contatto e la dimestichezza con lo Stato israeliano e le loro continue lotte al suo interno rappresentano un'importantissima fonte di comprensione strategica a cui altri palestinesi possono attingere. Qualcuno ha notato che non si tratta solo di una fonte finora sottoutilizzata dell'azione palestinese, ma ha anche sostenuto che, con la formazione della Lista Unitaria [lista di tutti i partiti politici palestinesi che si è presentata alle ultime elezioni israeliane arrivando terza. Ndtr.], il popolo palestinese dovrebbe guardare ai partiti politici palestinesi in Israele per trovare una leadership. I palestinesi dei Territori occupati, dei campi di rifugiati e della Diaspora farebbero bene a prendere in considerazione più seriamente i rapporti che potrebbero stringere con le loro controparti "all'interno [di Israele]" ed adattare alcune di queste esperienze e tattiche al loro contesto locale, nel caso in cui sia possibile e corretto. <br />
Allo stesso tempo, e come notato in precedenza, la mancanza di una strategia pone rischi in termini di mancata comprensione di quali strumenti e tattiche evitare. Benché il riconoscimento della Palestina come uno Stato abbia aperto la porta alla CPI, portando all'adesione come Stato osservatore all'ONU o al riconoscimento verbale dell’esistenza come Stato da parte di Stati terzi, ciò comporta seri rischi. Cela la realtà per cui la strategia di Israele è di rendere un tale Stato impossibile. Avvalora anche il defunto modello di Oslo e compromette l'argomentazione secondo cui Israele è responsabile dei diritti della popolazione che occupa ed opprime. Altre tattiche rischiose includono la mobilitazione per le elezioni del Consiglio Nazionale Palestinese [il parlamento palestinese. Ndtr.], un organo che ha un'efficacia molto limitata. Né sono democratiche elezioni che sanciscono il potere di partiti antidemocratici o che si svolgono in mancanza di una strategia nazionale particolarmente auspicabile.<br />
Allo stesso modo, si è dimostrato fragile e irrealistico l'approccio che privilegia la costruzione delle istituzioni, adottato negli ultimi anni, attraverso cui le sovvenzioni vengono incanalate in un presunto progetto di costruzione dello Stato. Piuttosto, bisogna riconoscere che l'attuale strategia israeliana di contenimento impedisce non solo la costituzione di uno Stato palestinese indipendente, ma anche un'economia palestinese sostenibile. C'è bisogno di lavorare di più sul modo in cui la soluzione senza Stato rende l'economia palestinese dipendente, improduttiva e strutturalmente arretrata. Allo stesso tempo rimane criticamente importante fornire lavoro ai palestinesi non come sviluppo legato a falsi pretesti, ma per appoggiare la tenacia e per far in modo che i palestinesi rimangano in Palestina. <br />
In sintesi, il problema non è se certi mezzi e tattiche sono buoni o cattivi in teoria, ma se affrontano direttamente o nascondono attivamente l'attuale situazione politica, se fanno avanzare o impediscono una specifica strategia intesa ad affrontare queste realtà. Questo breve ragionamento si propone come un contributo al processo d'identificazione di una tale strategia, che possa unire il popolo palestinese in una lotta che contrasti efficacemente il progetto di Israele di un regime di apartheid.<br />
<br />
Il punto di vista espresso in questo articolo è dell'autrice e non esprime necessariamente la politica editoriale dell'agenzia di notizie Ma'an.<br />
<br />
(traduzione di Amedeo Rossi)<br />
RiflessioniMiryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-84837943942568297402015-08-18T08:41:00.003-07:002015-08-18T08:41:54.024-07:00Quel diritto che si fa un po’ più in là...<br />
C’è un’agenzia dell’Onu che riesce a stento - e forse quest’anno non riuscirà più - a rendere tutti i<br />
servizi per cui venne creata con una Risoluzione ad hoc nel dicembre del 1949. Si parla di<br />
mancanza di finanziamenti, ma forse a monte c’è dell’altro: c’è un diritto che, seppur sancito<br />
dall’Onu, è così fastidioso per chi dell’Onu s’è regolarmente fatto beffe, che ora potrebbe essere<br />
tranquillamente liquidato con la scusa dei finanziamenti mancanti.<br />
Sto parlando dell’Unrwa, cioè l’agenzia per i rifugiati palestinesi che nel 1948 furono cacciati o<br />
costretti a fuggire dalle loro case e che da allora aspettano di potervi tornare come, appunto,<br />
stabilisce l’articolo 11 della Risoluzione Onu n. 194.<br />
Da diversi mesi il Commissario generale Unrwa invia appelli preoccupati ed ha recentemente<br />
scritto a Ban Ki Moon parole accorate affinché venga saldato il debito di 101 milioni di dollari che<br />
permetterebbe di iniziare regolarmente l’anno scolastico. Questo consentirebbe a 500.000 bambini<br />
dai 5 ai 14 anni di usufruire del diritto allo studio e ricorda che “l’educazione è riconosciuta a livello<br />
globale come fattore primario di crescita e sviluppo umano” e che "Niente è più importante per questi<br />
bambini in termini di dignità e identità dell'educazione che ricevono.”<br />
Queste le parole del Commissario generale Unrwa Pierre Krähenbühl il quale aggiunge che in<br />
questo “momento di crescente instabilità in tutto il Medio Oriente, il ruolo di UNRWA è sempre più<br />
importante."<br />
Ma nel suo rapporto-appello al Segretario generale dell’Onu conclude con quello che forse è visto<br />
come il peccato originale che Unrwa deve espiare e cioè “la capacità dell’Agenzia di contare<br />
pienamente sulla riconferma della volontà della comunità internazionale ... in attesa di una giusta soluzione<br />
alla loro (dei rifugiati palestinesi) causa”.<br />
“In attesa di una giusta soluzione alla loro causa”. Questo l’hanno ben capito alcuni dirigenti<br />
scolastici dei 58 campi profughi diffusi in Palestina (sia Cisgiordania che Gaza) oltre che in<br />
Libano, Siria e Giordania. La partita non si sta giocando solo sul diritto allo studio, per quanto<br />
importante esso sia in termini di dignità e identità. È un altro il diritto che si vuole eliminare, e<br />
basta leggere le tante dichiarazioni contro l’Unrwa reperibili su numerosi siti israeliani per capire il<br />
perché profondo dell’angoscia di tanti palestinesi di fronte alla chiusura di 700 scuole e 8 centri di<br />
formazione, privando 500.000 studenti e circa 29.000 docenti e ausiliari del diritto allo studio i<br />
primi e del loro lavoro gli altri.<br />
E’ l’enunciato dell’articolo 11 della Risoluzione 194 la vera posta in gioco. È quel “diritto al<br />
ritorno” che Israele legge in funzione anti-israeliana e che rappresenta la memoria storica di<br />
un’ingiustizia da sanare e l’intralcio al piano D (cioè l’occupazione dell’intera Palestina fino al<br />
Giordano) che è nel progetto di fondazione di Israele e che scavalca totalmente la stessa<br />
Risoluzione 181 relativa alla partizione della Palestina storica dopo il mandato britannico.<br />
Del resto basta leggere, tra le tante, anche solo le sincere dichiarazioni rilasciate al Parlamento<br />
europeo – e non contestate – dal leader dei coloni Gershom Mesika, ospite di un nostro<br />
europarlamentare e capo del Consiglio regionale degli insediamenti nel nord della Cisgiordania, che<br />
lo stesso si ostina a definire col nome biblico di Samaria, regione che rappresenterebbe “il cuore<br />
stesso dello stato di Israele” e che, pertanto, deve farne parte in toto insieme alla “Giudea”.<br />
Meglio ancora, per fugare ogni dubbio, sarebbe opportuna l’analisi della sostanza illegale della<br />
recente nomina ad ambasciatrice di Israele in Italia di una cittadina ... italiana (!) occupante di una<br />
casa in un insediamento dichiarato illegale dal Diritto internazionale e, quindi, in totale spregio<br />
della legalità internazionale, per capire quali siano le mire israeliane e quali e quanti i suoi<br />
supporter. Non va dimenticato che gran parte di questi supporter sono anche donatori Onu che non<br />
stanno effettuando le loro donazioni all’Agenzia Unrwa nonostante il Segretario generale Ban Ki<br />
Moon abbia definito “imperativo” che l’Agenzia riceva il denaro necessario ai suoi scopi ed abbia<br />
esortato i paesi donatori a non indugiare oltre.<br />
Fino ad ora i nostri media non hanno ancora dato notizia delle manifestazioni che si stanno<br />
svolgendo da giorni sotto le sedi dell’Unrwa in Palestina e del clima di angoscia che si respira in<br />
tutti i campi profughi. Solo il Manifesto ha pubblicato un articolo chiaro e circostanziato della<br />
situazione, ma il Manifesto è un giornale indipendente, diciamo pure che i lunghi tentacoli che<br />
inducono all’autocensura non raggiungono il suo inviato in Medio Oriente. Purtroppo però è un<br />
quotidiano di nicchia e non arriva a quel pubblico abitualmente nutrito dal leit motif “Israele ha<br />
diritto a difendersi”, frase magica che pone in ombra ogni altra verità e che, nonostante l’abuso<br />
reso ormai grottesco dai fatti, ancora non conosce tramonto.<br />
Detto con chiarezza: l’Unrwa deve sparire, perché la sua esistenza è un atto d’accusa, sebbene<br />
poco efficace, contro Israele, contro i suoi crimini – commessi e tuttora registrati nel suo atto di<br />
nascita e, prima ancora, nella sua gestazione – e contro i suoi sostenitori tout court che nella<br />
fattispecie meglio si caratterizzano come complici.<br />
I palestinesi che non hanno ceduto alla rassegnazione, dopo settant’anni di occupazione e d’inganni,<br />
leggono quindi in quel che sembra un mero problema finanziario la volontà politica di eliminare<br />
l’istituzione che concretizza questo atto d’accusa e che tiene vivo il diritto al ritorno, diritto in senso<br />
proprio, come sancito dalla citata Risoluzione Onu. Essi sanno bene che la situazione in Medio<br />
Oriente in questo periodo è talmente caotica, tra massacri e cambi di alleanze, terrorismo indotto e<br />
terrorismo di regime che potrebbe essere il momento buono per raggiungere la soluzione finale<br />
delle questione palestinese. Questo temono quei numerosi palestinesi che sanno leggere oltre il<br />
contingente e che vedono nella mappa geografica ridisegnata dagli Usa nel 2003 un progetto in<br />
corso di compimento. Non caso le tre forze politiche più significative (Fatah, Hamas e Fronte<br />
popolare) pur nelle loro divisioni, concordano nel ritenere artificiale la crisi finanziaria dell’Unrwa.<br />
Ma forse sbagliano, cittadini e istituzioni politiche, ad attribuire all’agenzia Onu la responsabilità di<br />
tale situazione. Del resto, una delle forme più scaltre ed anche più diffuse per neutralizzare<br />
l’avversario è quella di fornirgli un avversario-specchio. In tal modo l’opposizione si concentra su<br />
chi viene trasformato in nemico invece che in possibile alleato e il processo cammina secondo il<br />
disegno del suo ideatore.<br />
Ma la realtà che si vive in questo momento nei campi profughi non è caratterizzata solo da<br />
comprensibile grande agitazione, quanto dall’accavallarsi di posizioni lucide e coraggiose, come<br />
quella di far iniziare lo stesso l’anno scolastico pur senza i fondi Unrwa, con quelle di chi preferisce<br />
portare i propri figli altrove dichiarando così la propria rassegnazione insieme al proprio disprezzo<br />
per l’ente che non riesce a offrire il servizio scolastico. Lo sforzo di chi ha capito che cedere in<br />
questo momento significa lasciar liquidare la situazione dei profughi (come desidera Israele<br />
appoggiato dai suoi sostenitori) è uno sforzo da sostenere come possibile. Liquidare la situazione<br />
profughi significa in ultima analisi liquidare la causa palestinese e accreditare la vittoria<br />
all’illegalità e all’illegittimità di uno Stato nato col pretesto della Risoluzione 181 (mai rispettata) e<br />
col progetto di espandersi fino al Giordano utilizzando forme diverse di “pulizia etnica” della<br />
popolazione autoctona. Le divisioni nel mondo arabo mai come ora renderebbero semplice questo<br />
passo. E dietro la scelta di non finanziare l’Unrwa solo pochi nell’opinione pubblica mondiale<br />
vedrebbero la lunga mano capace di artigliare perfino la Grecia di Syriza sporcandola con un<br />
accordo militare che ne cancella l’etica su cui aveva ottenuto i consensi per esistere, o di<br />
accarezzare intellettuali occidentali sempre attenti alla democrazia e ai diritti umani fino al<br />
momento della micidiale carezza sionista, o di offrire ghiotte occasioni di successo politico capaci<br />
di far chiudere gli occhi di fronte allo scadimento dei valori fondanti della democrazia, andando ben<br />
oltre il conflitto più immorale e più ammantato di falsità narrative degli ultimi cento anni.<br />
Ma dove sono i media mainstream? forse stanno aspettando i primi disordini seri per dare notizia<br />
che “la violenta protesta” palestinese si è scagliata proprio contro un’agenzia Onu destinata a<br />
proteggerli, concludendo secondo copione questo ennesimo capitolo di mortificazione di un popolo<br />
che aspetta giustizia.<br />
Per questo è importante che quanto sta succedendo - e che investe 193 paesi Onu - venga alla luce<br />
in modo corretto e prima che l’inversione temporale tra azione e reazione confonda la cronaca e la<br />
realtà dei fatti. Non è importante solo per il popolo palestinese e per chi ne sostiene i diritti, è<br />
importante per chiunque creda nel rispetto del Diritto universale.<br />
Patrizia Cecconi<br />
12 agosto 2015<br />
Patrizia Cecconi<br />
Presidente Associazione “Oltre il Mare”, onlus<br />
patriziacecconi2@gmail.com – associazioneoltreilmare@gmail.com<br />
tel/fax +39.065880187 – mobile +39.3476090366<br />
Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4244578781583776938.post-23721961256389202562015-07-04T09:18:00.002-07:002015-07-04T09:18:12.083-07:00In Israele, ci muoviamo in mezzo agli assassini e ai torturatori<br />
In Israele, ci muoviamo in mezzo agli assassini e ai torturatori<br />
L'atto di censura nei confronti del Teatro Al-Midan[cfr. A.Hass su Internazionale ]scaturisce dall’invidia della capacità dei nostri assoggettati di vincere l’oppressione, di pensare e creare, sfidando la nostra immagine di loro come inferiori.<br />
<br />
di Amira Hass | 22 giugno 2015 |<br />
<br />
<br />
<br />
Haaretz<br />
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Nelle nostre case, nelle nostre strade e nei nostri luoghi di lavoro e divertimento ci sono migliaia di persone che hanno ucciso e torturato migliaia di altre persone o hanno diretto la loro uccisione e la loro tortura. Scrivo “migliaia” invece del più vago “innumerevoli” – un’espressione relativa a qualcosa che non si può misurare.<br />
<br />
La grande maggioranza di coloro che uccidono e torturano (anche adesso) vanno fieri delle proprie gesta e la loro società e le loro famiglie sono orgogliose delle loro gesta – benché normalmente sia impossibile trovare un collegamento diretto tra i nomi dei morti e torturati ed i nomi di coloro che uccidono e torturano, e anche quando è possibile,[ciò] è proibito. E’ proibito anche dire “assassini”. Ed è proibito scrivere “malviventi” o “persone crudeli”.<br />
<br />
Io, crudele? Dopo tutto, le nostre mani non sono coperte di sangue quando schiacciamo il bottone che sgancia una bomba su un edificio che ospita 30 membri di una famiglia. Malvivente? Come potremmo usare questo termine per designare un soldato di 19 anni che uccide un ragazzo di 14 anni che è uscito per raccogliere piante commestibili?<br />
<br />
I killer e i torturatori ebrei e i loro diretti superiori agiscono come se avessero un’autorizzazione ufficiale. I palestinesi morti e torturati che si sono lasciati alle spalle negli scorsi 67 anni hanno anche dei nipoti e delle famiglie in lutto per i quali la perdita è una costante presenza. Nei corridoi universitari, nei centri commerciali, negli autobus, nei distributori di carburante e nei ministeri governativi, i palestinesi non sanno chi, tra la gente che incrociano, ha ucciso, o quali e quanti membri delle loro famiglie e del loro popolo ha ucciso.<br />
<br />
Ma ciò che è certo è che i loro assassini e torturatori vanno in giro liberamente. Come eroi.<br />
<br />
In questa malsana situazione in cui i palestinesi soffrono lutto e angoscia, noi, gli ebrei israeliani, non possiamo vincere. Con la nostra aviazione e le nostre forze armate e la nostra Brigata Givati e le nostre celebri unità di commando d’elite, siamo dei perdenti in questo contesto. Ma poiché siamo i dominatori indiscussi, falsifichiamo il contesto e ci appropriamo del lutto.<br />
<br />
Non ci accontentiamo dei terreni, delle case e delle vie di comunicazione dirette che abbiamo rubato loro e di cui ci siamo impadroniti ed abbiamo distrutto, e che continuiamo a distruggere e a rubare. No. Noi in più neghiamo ogni ragione, ogni contesto storico e sociale delle espulsioni, spossessamenti e discriminazioni che hanno costretto un piccolissimo manipolo di quei palestinesi che sono cittadini di Israele a cercare di imitarci prendendo le armi. Si sono ingannati pensando che le armi fossero lo strumento giusto di resistenza, o hanno raggiunto il colmo della rabbia e dell’impotenza e deciso di uccidere.<br />
<br />
Che se ne pentano o no, la loro delusione non cancella il fatto che avevano ed hanno tutte le ragioni di resistere all’oppressione e alla discriminazione e malvagità che sono parte del dominio di Israele su di loro. Condannarli come assassini non ci trasforma in vittima collettiva in questa equazione. Invece di indebolire le ragioni della resistenza, noi stiamo soltanto intensificando e migliorando gli strumenti di oppressione. E un mezzo di oppressione è l’insaziabile desiderio di vendetta.<br />
<br />
L’attacco al Teatro Al-Midan e lo spettacolo “Un tempo parallelo” sono parte di questa sete di vendetta. E comprende anche tantissima invidia. Invidia per la capacità di coloro che opprimiamo di vincere l’oppressione e il dolore, di pensare, di creare e di agire, sfidando la nostra immagine che li dipinge inferiori. Loro non ballano la nostra musica come poveri smidollati.<br />
<br />
Come in una caricatura antisemita, per noi tutto si concentra nelle finanze, nel denaro. Noi non stiamo zitti, noi ci vantiamo. Siamo felici se solo togliamo loro i finanziamenti. Li abbiamo trasformati in una minoranza nella nostra terra quando li abbiamo espulsi e non abbiamo concesso loro il ritorno, ed ora il 20% che è rimasto qui dovrebbe dirci grazie e pagare con le tasse degli spettacoli che esaltano lo Stato e la sua politica. Questa è democrazia.<br />
<br />
Non è una guerra culturale, o una guerra sulla cultura. E’ un’altra battaglia – probabilmente una causa persa, come quelle precedenti – per un futuro sano per questo paese. I cittadini palestinesi di Israele erano una forma di assicurazione per la possibilità di un futuro sano: si può dire un ponte, bilingue, pragmatico, anche se contrario alla loro volontà. Ma dobbiamo attuare dei cambiamenti, dobbiamo imparare come ascoltarli, perché questa assicurazione sia valida. Ma noi, gli indiscussi dominatori, non prevediamo di ascoltarli e non conosciamo il significato di cambiamento.<br />
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Una nota finale: I rapporti sull’omicidio di un residente di Lod, Danny Gonen, alla sorgente di Ein Bubin vicino al villaggio di Dir Ibzi’a erano accompagnati da collegamenti a recenti precedenti attacchi: la persona ferita in un attacco terroristico vicino alla colonia di Alon Shvut, il poliziotto di frontiera accoltellato vicino alla Tomba dei Patriarchi a Hebron. E che cosa si ometteva di menzionare? Ovviamente, due giovani palestinesi recentemente uccisi dai soldati israeliani: Izz al-Din Gharra, di 21 anni, colpito a morte il 10 giugno nel campo profughi di Jenin e Abdullah Ghneimat, 22 anni, schiacciato il 14 giugno a Kafr Malik da una jeep dell’esercito israeliano.<br />
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In media ogni notte l’esercito israeliano compie 12 raid di routine. Per i palestinesi, ogni raid notturno, che spesso comporta l’uso di granate stordenti e di gas e sparatorie, è un mini attacco terroristico.<br />
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( Traduzione di Cristiana Cavagna)Miryam Marinohttp://www.blogger.com/profile/06135568466363296595noreply@blogger.com0