giovedì 28 agosto 2014

Non tutti i bambini sono uguali

Martedì 26 agosto 2014
Non tutti i bambini sono uguali
La differenza tra quelli israeliani e quelli palestinesi. L'opinione di Gideon Levy



Articoli CorrelatiLa maglietta di Zara sembra una divisa da campo di concentramentoSopravvisuti alla Shoah, oggi condannano IsraeleLa biblioteca senza libriCosa succede in Medio OrienteL'ultima lettera di James Foley

Dopo il primo bambino, nessuno ha battuto ciglio. Dopo il cinquantesimo, sull'ala di un aereo non si è avvertito neppure un lieve tremore. Dopo il centesimo, hanno smesso di contare.

Dopo il duecentesimo, hanno accusato Hamas. Dopo il trecentesimo, hanno accusato i genitori. Dopo il quattrocentesimo bambino, hanno inventato scuse. Dopo (i primi) 478, sembra che non importi a nessuno.

Poi è arrivato il nostro primo bambino e per Israele è stato uno shock. Piange il cuore a pensare a Daniel Tragerman, quattro anni, ucciso venerdì sera nella sua casa a Sha'ar Hanegev. Un bel bambino, che una volta si era fatto fare una foto mentre indossava la maglia della squadra di calcio argentina, blu e bianca, quella con il numero 10. Il cuore di chiunque si spezzerebbe alla vista di questa foto, chiunque piangerebbe per com'è stato brutalmente ucciso. “Ehi Leo Messi, guarda questo bambino. Tu eri il suo eroe”, recita un post su Facebook.

All'improvviso la morte ha un volto, sognanti occhi azzurri e capelli chiari. Un corpo esile che non crescerà mai. Improvvisamente la morte di un bambino ha un senso, improvvisamente è scioccante. È umano, comprensibile e commovente. È umano anche che l'omicidio di un bambino israeliano, un figlio di tutti noi, susciti una maggiore immedesimazione rispetto alla morte di qualche altro bambino. Quello che risulta incomprensibile è la risposta degli israeliani all'uccisione dei loro figli.

In un mondo dove esistesse qualcosa di buono, i bambini sarebbero stati lasciati fuori da quel crudele gioco chiamato guerra. In un mondo dove esistesse un po' di bene, sarebbe impossibile comprendere la totale, quasi mostruosa, insensibilità di fronte all'uccisione di centinaia di bambini (non nostri, ma morti per mano nostra).

Immaginateli in fila: 478 bambini, in una graduale serie di morte. Immaginateli indossare magliette di Messi (anche alcuni di quei bambini lo avranno fatto, prima di morire); anche loro lo ammiravano, proprio come faceva il nostro Daniel che viveva in un kibbutz. Ma nessuno li guarda. I loro volti non si vedono, nessuno è sconvolto per le loro morti. Nessuno scrive su di loro “Ehi Messi, guarda questo bambino”.

Ehi Israele, guarda i loro bambini.

Un muro di ferro di negazione e disumanità protegge gli israeliani dal vergognoso lavoro delle loro mani a Gaza. Infatti, certi numeri sono duri da digerire. Delle centinaia di uomini uccisi si potrebbe dire che erano “coinvolti”. Delle centinaia di donne, che erano “scudi umani”.

Allo stesso modo, per un piccolo numero di bambini si potrebbe affermare che l'esercito più etico del mondo non aveva intenzione di colpirli. Ma cosa potremmo dire di quasi cinquecento bambini uccisi? Che l'esercito israeliano “non aveva intenzione di colpirli”, 478 volte? Che Hamas si nasconde dietro tutti loro? Che questo ha legittimato la loro uccisione?

Hamas può essersi nascosto dietro alcuni di quei bambini ma ora Israele si nasconde dietro Daniel Tragerman. Il suo destino è già stato usato per coprire tutti i peccati dell’IDF a Gaza.

Ieri la radio ha già parlato di “omicidio”. Il primo ministro ha già definito l’omicidio “terrorismo”, mentre centinaia di bambini di Gaza nelle loro nuove tombe non sono vittime di omicidio o terrorismo. Israele li doveva uccidere. Dopo tutto, chi sono Fadi e Ali e Islaam e Razek, Mahmoud, Ahmed e Hamoudi davanti al nostro unico e solo Daniel?

Dobbiamo ammetterlo: in Israele, i bambini palestinesi sono considerati alla stregua di insetti. È una dichiarazione orribile ma non c’è un altro modo per descrivere l’umore in Israele nell’estate del 2014. Quando per sei settimane centinaia di bambini sono uccisi, i loro corpi sepolti nei detriti, accumulati negli obitori, qualche volta addirittura nelle celle frigorifere della verdura per mancanza di altro spazio. Quando i loro genitori inorriditi trasportano i corpi dei loro bambini come se fosse normale; i loro funerali vanno e vengono, 478 volte. Persino il più freddo degli israeliani non permetterebbe a se stesso di essere così insensibile.

Qui qualcuno deve alzarsi e urlare “Basta”. Tutte le scuse e tutte le spiegazioni non aiuteranno, non c’è niente di peggio che distinguere tra un bambino che può essere ucciso e un bambino che non può. Ci sono solamente bambini uccisi per nulla, centinaia di bambini la cui sorte non tocca nessuno in Israele, mentre la morte di un bambino, solo uno, riesce a unire tutti quanti in lutto.

Gideon Levy è un opinionista israeliano. Il suo articolo è stato pubblicato su Haaretz.

(Traduzione a cura di Eleonora Cortopassi)
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Dopo il primo bambino, nessuno ha battuto ciglio. Dopo il cinquantesimo, sull'ala di un aereo non si è avvertito neppure un lieve tremore. Dopo il centesimo, hanno smesso di contare.

Dopo il duecentesimo, hanno accusato Hamas. Dopo il trecentesimo, hanno accusato i genitori. Dopo il quattrocentesimo bambino, hanno inventato scuse. Dopo (i primi) 478, sembra che non importi a nessuno.

Poi è arrivato il nostro primo bambino e per Israele è stato uno shock. Piange il cuore a pensare a Daniel Tragerman, quattro anni, ucciso venerdì sera nella sua casa a Sha'ar Hanegev. Un bel bambino, che una volta si era fatto fare una foto mentre indossava la maglia della squadra di calcio argentina, blu e bianca, quella con il numero 10. Il cuore di chiunque si spezzerebbe alla vista di questa foto, chiunque piangerebbe per com'è stato brutalmente ucciso. “Ehi Leo Messi, guarda questo bambino. Tu eri il suo eroe”, recita un post su Facebook.

All'improvviso la morte ha un volto, sognanti occhi azzurri e capelli chiari. Un corpo esile che non crescerà mai. Improvvisamente la morte di un bambino ha un senso, improvvisamente è scioccante. È umano, comprensibile e commovente. È umano anche che l'omicidio di un bambino israeliano, un figlio di tutti noi, susciti una maggiore immedesimazione rispetto alla morte di qualche altro bambino. Quello che risulta incomprensibile è la risposta degli israeliani all'uccisione dei loro figli.

In un mondo dove esistesse qualcosa di buono, i bambini sarebbero stati lasciati fuori da quel crudele gioco chiamato guerra. In un mondo dove esistesse un po' di bene, sarebbe impossibile comprendere la totale, quasi mostruosa, insensibilità di fronte all'uccisione di centinaia di bambini (non nostri, ma morti per mano nostra).

Immaginateli in fila: 478 bambini, in una graduale serie di morte. Immaginateli indossare magliette di Messi (anche alcuni di quei bambini lo avranno fatto, prima di morire); anche loro lo ammiravano, proprio come faceva il nostro Daniel che viveva in un kibbutz. Ma nessuno li guarda. I loro volti non si vedono, nessuno è sconvolto per le loro morti. Nessuno scrive su di loro “Ehi Messi, guarda questo bambino”.

Ehi Israele, guarda i loro bambini.

Un muro di ferro di negazione e disumanità protegge gli israeliani dal vergognoso lavoro delle loro mani a Gaza. Infatti, certi numeri sono duri da digerire. Delle centinaia di uomini uccisi si potrebbe dire che erano “coinvolti”. Delle centinaia di donne, che erano “scudi umani”.

Allo stesso modo, per un piccolo numero di bambini si potrebbe affermare che l'esercito più etico del mondo non aveva intenzione di colpirli. Ma cosa potremmo dire di quasi cinquecento bambini uccisi? Che l'esercito israeliano “non aveva intenzione di colpirli”, 478 volte? Che Hamas si nasconde dietro tutti loro? Che questo ha legittimato la loro uccisione?

Hamas può essersi nascosto dietro alcuni di quei bambini ma ora Israele si nasconde dietro Daniel Tragerman. Il suo destino è già stato usato per coprire tutti i peccati dell’IDF a Gaza.

Ieri la radio ha già parlato di “omicidio”. Il primo ministro ha già definito l’omicidio “terrorismo”, mentre centinaia di bambini di Gaza nelle loro nuove tombe non sono vittime di omicidio o terrorismo. Israele li doveva uccidere. Dopo tutto, chi sono Fadi e Ali e Islaam e Razek, Mahmoud, Ahmed e Hamoudi davanti al nostro unico e solo Daniel?

Dobbiamo ammetterlo: in Israele, i bambini palestinesi sono considerati alla stregua di insetti. È una dichiarazione orribile ma non c’è un altro modo per descrivere l’umore in Israele nell’estate del 2014. Quando per sei settimane centinaia di bambini sono uccisi, i loro corpi sepolti nei detriti, accumulati negli obitori, qualche volta addirittura nelle celle frigorifere della verdura per mancanza di altro spazio. Quando i loro genitori inorriditi trasportano i corpi dei loro bambini come se fosse normale; i loro funerali vanno e vengono, 478 volte. Persino il più freddo degli israeliani non permetterebbe a se stesso di essere così insensibile.

Qui qualcuno deve alzarsi e urlare “Basta”. Tutte le scuse e tutte le spiegazioni non aiuteranno, non c’è niente di peggio che distinguere tra un bambino che può essere ucciso e un bambino che non può. Ci sono solamente bambini uccisi per nulla, centinaia di bambini la cui sorte non tocca nessuno in Israele, mentre la morte di un bambino, solo uno, riesce a unire tutti quanti in lutto.

Gideon Levy è un opinionista israeliano. Il suo articolo è stato pubblicato su Haaretz.

(Traduzione a cura di Eleonora Cortopassi)

mercoledì 27 agosto 2014

Israele ha mostrato "moderazione" prima di attaccare? Ma fatemi il piacere.


mercoledì 16 luglio 2014
Amira Hass: Israele ha mostrato "moderazione" prima di attaccare? Ma fatemi il piacere.


Amira Hass – Haaretz, 14 luglio 2014
I nostri media ci traviano con una terminologia deformata che tende a dipingere Israele come una vittima. Ecco alcuni esempi.

“Gaza è uno stato indipendente”

Non lo è. Gaza e la Cisgiordania sono un'unica unità territoriale composta di due parti. Secondo le risoluzioni della comunità internazionale, uno stato verrà creato su queste due parti, che sono ancora sotto occupazione israeliana, come lo sono i Palestinesi che ci vivono.

Gaza e la Cisgiordania hanno lo stesso prefisso internazionale – 970. (Il prefisso separato è un vuoto lascito degli accordi di Oslo. La rete telefonica palestinese è una diramazione di quella israeliana. Quando il servizio di sicurezza dello Shin Bet chiama una casa a Gaza per annunciare che l'aviazione militare sta per bombardarla, lo Shin Bet non deve comporre il prefisso 970).

Con la sua scaltrezza colonialista e le capacità acquisite dal Mapai, precursore del partito laburista, Ariel Sharon ha spostato i coloni dalla Striscia di Gaza. Attraverso un'altra forma di dominazione, ha tentato di tagliar fuori per sempre l'enclave dalla Cigiordania. Il controllo effettivo di mare, cielo, frontiere e della gran parte di Gaza resta nelle mani di Israele.

E sì, Hamas e Fatah, a causa dei loro scontri tra fazioni, hanno significativamente contribuito alla separazione tra le due parti. Con la sua propaganda, Hamas ha rafforzato l'illusione dell' “indipendenza” di Gaza.

Intanto, Israele controlla ancora i registri anagrafici di Gaza e Cisgiordania. Ogni palestinese che nasce a Gaza o in Cisgiordania dev'essere registrato al Ministero degli Interni israeliano (attraverso l'Ufficio per il Coordinamento e Collegamento), per poter ottenere la carta d'identità a 16 anni.
I dati contenuti nel documento sono anch'essi scritti in ebraico. Avete mai sentito di uno stato indipendente la cui popolazione deve registrarsi nello stato “vicino” (che occupa e attacca), altrimenti non avrà i documenti e non esisterà ufficialmente?

Quando esperti come Giora Eiland, generale in pensione che ha collaborato al piano di disimpegno di Gaza, dicono che Gaza è uno stato indipendente che ci attacca, stanno cercando di cancellare il contensto in cui si verifica questo nuovo massacro. E' un compito piuttosto semplice. Gli israeliani l'hanno già fatto.

“Autodifesa”

Entrambe le parti (Hamas e Israele) dicono che stanno sparando per autodifesa. Sappiamo che una guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. La politica di Israele è chiara (anche se non lo è ai lettori dei media israeliani): tagliare ancor più fuori Gaza, ostacolare ogni possibilità di unità palestinese e sviare l'attenzione dall'accelerazione della condotta colonialista in Cisgiordania.

E Hamas? Hamas vuole rafforzare la sua posizione come movimento di resistenza dopo i colpi subiti come movimento di governo. Forse pensa davvero di poter cambiare l'intera strategia della leadership palestinese che fronteggia l'occupazione. Forse vuole che il mondo (e gli stati arabi) si svegli da questo sonno.

E ancora, con tutto il rispetto per Clausewitz, i calcoli razionali non sono l'unica spiegazione. Non dimentichiamo l' “invidia missilistica” - chi ce l'ha più grande, più lungo, più impressionante e a lunga gittata? I ragazzi giocano con i loro giocattoli e noi ci siamo abituati a chiamare tutto questo “politica”.

“Israele ha dimostrato moderazione”

Da dove di comincia a calcolare la moderazione?
Perchè non iniziare dai pescatori a cui si spara addosso, feriti e a volte uccisi dalla marina israeliana, nonostante negli accordi del 2012 si fosse parlato di estendere la zona di pesca? Perchè non dai contadini e dai raccoglitori di metallo vicino alla barriera di separazione che non hanno altro mezzo di sussistenza e contro cui si spara, e che a volte vengono feriti e uccisi dai soldati? O dalla demolizione di case palestinesi “per motivi amministrativi” in Cisgiordania e a Gerusalemme?

Non la chiamiamo forse “moderazione” perchè tutta questa è questa violenza che i media israeliani omettono con arroganza? E perchè non sentiamo parlare di “moderazione palestinese” dopo che Nadim Nawara e Mohammed Abu Dhaher sono stati uccisi dai soldati israeliani al check point di Ofer? “Moderazione” è un altro termine che cancella il contesto e rafforza il senso di vittimismo della quarta potenza militare del mondo.

“Israele fornisce acqua, elettricità, cibo e medicine a Gaza”

No, non lo fa. Israele invia 120 megawatt di elettricità a prezzo pieno, al massimo un terzo della domanda. La bolletta viene dedotta dalle tasse dei consumatori, tasse che Israele raccoglie per i beni che passano attraverso i suoi valichi e che sono destinati ai territori occupati. Cibo e medicine, che i commercianti palestinesi acquistano a prezzo pieno, entrano a Gaza attraverso i valichi che sono sotto controllo israeliano. Secondo il Gisha Legal Center for Freedom of Movement, nel 2012 nella Striscia di Gaza sono stati acquistati prodotti israeliani per 13 miliardi di shekel (379 milioni di dollari).

Per quanto riguarda l'acqua, Israele ha imposto l'autarchia a Gaza; i Gazawi, cioè, devono arrangiarsi con l'acqua piovana e l'acqua che raccolgono dal sottosuolo nel territorio. Israele, che impone una “quota acqua” ai palestinesi, non lascia che vengano condivise le fonti tra Cisgiordania e Gaza. Di conseguenza, la domanda supera l'offerta e c'è un iper-pompaggio. L'acqua di mare penetra nel sottosuolo, e crea liquami a causa di tubature decrepite. Il 95% dell'acqua di Gaza non è potabile. E, secondo precedenti accordi, Israele vende 5 milioni di metri cubi d'acqua a Gaza (una goccia nell'oceano).

“Israele mira solo a obiettivi legittimi”

Sono state bombardate le case di membri vecchi e nuovi di Hamas, con e senza bambini all'interno, e l'esercito dice che questi sono obiettivi legittimi? Esiste forse una casa ebraica in Israele che non dia rifugio ad un comandante che ha collaborato al piano o partecipato a un'offensiva? O a un soldato che non abbia sparato o non sparerà ad un palestinese?

“Hamas usa la popolazione come scudi umani”

Se non sbaglio, il Ministero della Difesa si trova nel cuore di Tel Aviv, in quanto è la principale “sala operativa” dell'esercito. E che dire della base di addestramento di Glilot, vicino al grande centro commerciale? E il quartier generale dello Shin Bet a Gerusalemme, al confine con un quartiere residenziale? E quanto dista la nostra “sartoria” di Dimona (base per la produzione di armi nucleari, ndt) dalle aree residenziali?

Perchè va tutto bene per noi e non per loro? Solo perchè loro il missile non ce l'hanno abbastanza lungo per bombardare questi posti?

Fonte: http://www.haaretz.com/.premium-1.604844?v=D4BD661BDFE9CBE367F7EEC2B9B6DEAA
Traduzione: Elena Bellini

domenica 17 agosto 2014

La mia preghiera al popolo di Israele: liberate voi stessi liberando la Palestina


La mia preghiera al popolo di Israele: liberate voi stessi liberando la Palestina

L'arcivescovo emerito Desmond Tutu, in un articolo esclusivo per Haaretz, chiede un boicottaggio globale contro Israele e invita gli israeliani e i palestinesi a guardare oltre i rispettivi leader per una soluzione duratura della crisi nella Terra Santa.


Dell'arcivescovo emerito Desmond Tutu

Pubblicato il 14-08-2014
Haaretz

Le scorse settimane hanno visto iniziative senza precedenti da parte dei membri della società civile in tutto il mondo contro l'ingiusta, sproporzionata e brutale risposta di Israele al lancio di missili dalla Palestina.

Se si mettessero insieme tutte le persone che lo scorso fine settimana si sono riunite per chiedere giustizia in Israele e Palestina - a Città del Capo, a Washington, a New York, a Nuova Delhi, a Londra, a Dublino e a Sidney e in tutte le altre città - si tratterebbe probabilmente della più grande protesta attiva da parte di cittadini a favore di una singola causa che ci sia mai stata nella storia del mondo.

Un quarto di secolo fa, ho partecipato ad alcune manifestazioni molto affollate contro l'Apartheid. Non avrei mai immaginato che avremmo rivisto manifestazioni di queste dimensioni, ma lo scorso sabato l'affluenza a Città del Capo è stata altrettanto se non più grande. I partecipanti sono stati giovani e vecchi, musulmani, cristiani, ebrei, indù, buddisti, agnostici, atei, neri, bianchi, rossi e verdi...quanto ci si poteva aspettare da una nazione vitale, tollerante, multiculturale.

Ho chiesto alla folla di gridare in coro con me:"Siamo contrari all'ingiustizia dell'illegale occupazione della Palestina. Siamo contrari alle uccisioni indiscriminate a Gaza. Siamo contrari alle umiliazioni inflitte ai palestinesi ai checkpoint e ai blocchi stradali. Siamo contrari alla violenza perpetrata da tutte le parti [in conflitto]. Ma non siamo contro gli ebrei."

All'inizio della settimana, ho chiesto la sospensione di Israele dall'Unione Internazionale degli Architetti, riunita in Sud Africa.

Ho fatto un appello alle sorelle e ai fratelli israeliani presenti alla conferenza perché si dissociassero attivamente personalmente e professionalmente dalla progettazione e costruzione di infrastrutture connesse con la perpetuazione dell'ingiustizia, compreso il Muro di separazione, i posti di controllo e i checkpoint, e le colonie costruite sulla terra palestinese occupata.

"Vi scongiuro di portare a casa questo messaggio: Per favore, fermate la violenza e l'odio unendovi al movimento non violento per la giustizia a favore di ogni popolo della regione" ho detto.

Durante le ultime settimane, più di un milione seicento mila persone in tutto il pianeta si sono unite a questo movimento con una campagna di Avaaz che chiede alle imprese che traggono profitto dall'occupazione israeliana e/o coinvolte negli abusi e nella repressione di ritirarsi. La campagna ha in particolare preso di mira i fondi pensione olandesi ABP; la Barklays Bank; il fornitore di sistemi di sicurezza G4S; la compagnia di trasporti Veolia; la ditta di computer Hewlett-Packard; il produttore di bulldozer Caterpillar.

Lo scorso messe, 17 governi dell'UE hanno esortato i propri cittadini a smettere di fare affari con, o a investire nelle, illegali colonie israeliane.

Noi abbiamo anche di recente assistito al ritiro di decine di milioni di euro del fondo pensione olandese PGGM dalle banche israeliane; il disinvestimento dalla G4S della fondazione Bill e Melinda Gates; e la chiesa presbiteriana USA ha disinvestito circa 21 milioni di dollari da HP, Motorola e Caterpillar.

E' un movimento che sta crescendo.

La violenza crea violenza e odio, che generano solo più violenza e più odio.

Noi sudafricani ne sappiamo qualcosa. Capiamo la sofferenza di essere i reietti del mondo; quando sembra che nessuno capisca o non voglia neppure ascoltare il tuo punto di vista. E' da lì che veniamo.

Noi sappiamo anche i vantaggi che può comportare il dialogo tra i nostri leader; quando organizzazioni catalogate come "terroristiche" sono state legalizzate e i loro dirigenti, compreso Nelson Mandela, sono stati liberati dalle prigioni, dall'essere messi al bando e dall'esilio.

Sappiamo che quando i nostri dirigenti hanno iniziato a parlarsi, le ragioni della violenza che aveva
distrutto la nostra società si sono dissipate e sono scomparse. Gli atti di terrorismo perpetrati dopo che i colloqui erano iniziati - come attacchi contro una chiesa e un pub- sono stati condannati praticamente da tutti, e il partito considerato responsabile è stato punito dalle urne.

L'eccitazione che ha seguito il fatto di aver votato per la prima volta insieme non era prerogativa solo dei neri sudafricani. Il vero trionfo della nostra pacifica riconciliazione è stato che tutti sono stati coinvolti. E più tardi, quando abbiamo presentato una costituzione così tollerante, solidale e inclusiva che avrebbe fatto inorgoglire Dio, tutti ci siamo sentiti liberi.

Naturalmente, è stato di aiuto il fatto di avere un nucleo di dirigenti straordinari.

Ma in ultima istanza quello che ha obbligato questi dirigenti a sedersi insieme a un tavolo di negoziati è stato l'insieme di efficaci mezzi nonviolenti che sono stati messi in atto per isolare il Sud Africa economicamente, a livello accademico, culturale e psicologico.

A un certo punto - il punto di svolta - l'allora governo si rese conto che il costo del tentativo di conservare il sistema di Apartheid superava i vantaggi.

Il crollo del commercio con il Sud Africa da parte delle compagnie multinazionali con un minimo di coscienza negli anni '80 è stato sostanzialmente una delle leve fondamentali che ha messo in ginocchio, senza spargimento di sangue, lo Stato dell'Apartheid. Queste grandi imprese hanno capito che, partecipando all'economia sudafricana, stavano anche aiutando a mantenere in vita uno status quo ingiusto.

Quelli che continuano a fare affari con Israele, che contribuiscono alla sensazione di "normalità" nella società israeliana, stanno facendo un pessimo servizio ai popoli di Israele e della Palestina. Stanno contribuendo alla perpetuazione di una situazione profondamente ingiusta.

Quelli che contribuiscono al temporaneo isolamento di Israele stanno dicendo che israeliani e palestinesi hanno ugualmente diritto alla dignità e alla pace.

Ultimamente, durante lo scorso mese i fatti a Gaza stanno dimostrando chi crede nel valore degli esseri umani.

Sta diventando sempre più chiaro che i politici e i diplomatici stanno fallendo nell'immaginare risposte, e che la responsabilità di trovare un accordo per una soluzione accettabile della crisi in Terra Santa spetta alla società civile e ai popoli di Israele e Palestina.

Oltre alla recente devastazione di Gaza, ovunque gli esseri umani onesti, compresi molti israeliani, sono profondamente turbati dalle quotidiane violazioni della dignità umana e della libertà di movimento a cui sono sottoposti i palestinesi ai checkpoint e ai blocchi stradali. E le politiche di Israele di occupazione illegale e di costruzione di colonie delle zone di accesso vietato sui territori occupati aggrava le difficoltà di raggiungere in futuro un accordo che sia accettabile per tutti.

Lo Stato di Israele si comporta come se non ci fosse futuro. Il suo popolo non vivrà la vita pacifica e sicura che desidera, e a cui ha diritto, finché i suoi dirigenti perpetuano le condizioni che alimentano il conflitto.

Ho condannato coloro che in Palestina sono responsabili del lancio di missili e di razzi contro Israele. Stanno alimentando la fiamma dell'odio. Sono contrario a qualunque manifestazione di violenza.

Ma dobbiamo essere molto chiari [sul fatto che] il popolo della Palestina ha tutto il diritto di lottare per la propria dignità e libertà. E' una lotta che ha avuto il sostegno di molte persone in tutto il mondo.

Nessun problema creato dall'uomo è irrisolvibile quando gli esseri umani si impegnano a collaborare con il serio proposito di superarlo. Nessuna pace è impossibile quando la gente è decisa a raggiungerla.

La pace richiede che i popoli di Israele e Palestina riconoscano l'essere umano che c'è in loro e e nell'altro; che comprendano la loro interdipendenza.

Missili, bombe e brutali invettive non sono parte della soluzione. Non c'è una soluzione militare.

E' più probabile che la soluzione arrivi dall'insieme di iniziative nonviolente che abbiamo messo in atto in Sud Africa negli anni '80 per convincere il governo della necessità di cambiare la sua politica.

La ragione per cui questi mezzi - boicottaggio, sanzioni e disinvestimento - ultimamente hanno dimostrato di essere efficaci è stato che hanno avuto una massa critica che li appoggiava, sia dentro che fuori dal paese, il tipo di appoggio che abbiamo testimoniato ovunque nel mondo nelle scorse settimane nei confronti della Palestina.

La mia preghiera al popolo di Israele è che riesca a vedere oltre la contingenza, a vedere oltre l'odio dovuto al fatto di sentirsi continuamente sotto assedio, di vedere un mondo in cui Israele e Palestina possano coesistere, un mondo in cui regnino dignità e rispetto reciproci.

Ci vuole un cambiamento di mentalità. Un cambiamento di mentalità che riconosca che cercare di perpetuare l'attuale status quo significa condannare le future generazioni alla violenza e all'insicurezza. Un cambiamento di mentalità che smetta di vedere le critiche legittime alle politiche dello Stato come un attacco contro gli ebrei. Un cambiamento di mentalità che inizia in patria e che si rifletta nelle comunità e nazioni e regioni, sparse dalla diaspora per il mondo che noi tutti condividiamo. L'unico mondo che condividiamo.

Le persone unite nel perseguimento di una giusta causa sono inarrestabili. Dio non interferisce nelle vicende della gente, sperando che noi stessi cresciamo e impariamo attraverso la soluzione delle nostre difficoltà e controversie. Ma Dio non dorme. Le scritture ebraiche ci dicono che Dio sta dalla parte del debole, del diseredato, della vedova, dell'orfano, dello straniero che libera gli schiavi durante l'esodo verso la Terra Promessa. E' stato il profeta Amos ad aver detto che dovremmo lasciare scorrere la rettitudine come un fiume.

Alla fine la bontà prevale. La ricerca della libertà per il popolo della Palestina dalle umiliazioni e persecuzioni da parte delle politiche di Israele è una causa giusta. E' una causa che il popolo di Israele dovrebbe appoggiare.

E' noto che Nelson Mandela ha detto che i sudafricani non si sarebbero mai sentiti liberi finché i palestinesi non fossero stati liberi.

Avrebbe dovuto aggiungere che la liberazione della Palestina avrebbe liberato anche Israele.

Traduzione di Amedeo Rossi

sabato 16 agosto 2014

Se la sicurezza degli ebrei in Medio Oriente stesse davvero a cuore a paesi europei come Germania e Austria, non dovrebbero continuare a finanziare l'occupazione israeliana.


Se la sicurezza degli ebrei in Medio Oriente stesse davvero a cuore a paesi europei come Germania e Austria, non dovrebbero continuare a finanziare l'occupazione israeliana.

di Amira Hass
Haaretz 11.08.14

Con il suo prolungato silenzio, la Germania ufficiale sta collaborando con Israele nel suo percorso di distruzione e morte promosso contro il popolo palestinese a Gaza. La Germania non è sola, anche il silenzio dell'Austria è assordante.

In realtà, perchè mettere in evidenza proprio questi due paesi? Il secondo o terzo giorno di guerra, la cancelliera Merkel non è stata l'unica ad aver dichiarato di sostenere Israele. Tutta l'Unione Europea ha appoggiato il diritto di Israele a "difendersi".

Sì, Francia e Gran Bretagna hanno fatto qualche contorsione l'ultima settimana, lanciando qualche flebile protesta. Ma la prima dichiarazione dell'UE, emessa il 22 luglio, risuona ancora. In essa si accusava la parte sottoposta a un prolungato assedio da parte di Israele di aver determinato l'escalation. Ed è la parte che, nonostante tutte le dichiarazioni europee a proposito del suo diritto all'autodeterminazione e a uno Stato indipendente nella Cisgiordania e a Gaza, dopo 47 anni è ancora sottoposta all'occupazione israeliana.

Gli Stati membri dell'UE, e, ovviamente, gli Stati Uniti, hanno dato via libera ad Israele per uccidere, distruggere e polverizzare. Hanno dato tutta la colpa al popolo che stava lanciando i razzi, i palestinesi. I razzi stanno rompendo "l'ordine" e la "tranquillità", minacciando la sicurezza di Israele, che è così debole e vulnerabile, sempre attaccato senza nessuna ragione di sorta.

Fondamentalmente, gli Stati Uniti e l'Europa stanno appoggiando lo status quo, in base al quale la Striscia di Gaza è separata dalla Cisgiordania. L'assedio di Israele contro Gaza e l'oppressione della popolazione palestinese in Cisgiordania sono la tranquillità, l'ordine e la sicurezza di Israele. Chiunque osi violarli deve essere punito. Nelle loro appassionate dichiarazioni a proposito del diritto di Israele a difendersi, i funzionari dell'UE dimenticano di menzionare il diritto dei palestinesi alla sicurezza o alla protezione dall'esercito israeliano.

L'Europa e gli Stati Uniti non hanno dato ad Israele il permesso di fare un'escalation - di distruggere, uccidere ed infliggere sofferenze ad un livello senza precedenti - quando sono scoppiate le attuali ostilità. Glielo hanno dato già nel 2006, quando hanno promosso il boicottaggio del governo di Hamas, eletto con elezioni democratiche.

Anche allora hanno scelto di punire collettivamente l'intera popolazione palestinese occupata ignorando la principale ragione per la quale questa organizzazione aveva ottenuto la maggioranza [dei voti]: il regime addomesticato che l'Europa aveva promosso - l'Autorità Nazionale Palestinese. Questo regime continua ad essere segnato da due mali: la corruzione e il fallimento delle sue tattiche diplomatiche per ottenere l'indipendenza.

Il comportamento dell'ANP ha portato ad una situazione in cui i negoziati, la volontà di raggiungere un accordo di pace con Israele e persino l'opposizione alla lotta armata per ragioni morali e pratiche è diventato sinonimo di arricchimento per un piccolo gruppo, insieme alla sua cinica indifferenza per i diritti e le condizioni della maggioranza della popolazione.

Nè pace né ordine

Si può capire che gli esperti di sicurezza israeliani fraintendano ripetutamente sia le correnti alla luce del sole che quelle sotterranee che attraversano la società palestinese, le quali continuano a rompere la "tranquillità". I cervelli di questi esperti non sono stati programmati per capire che la tranquillità e l'ordine che dovrebbero garantire non sono né l'una né l'altro.

Due settimane fa Jacob Perry, il beniamino del pubblico e figura chiave del documentario " The Gatekeepers”[I guardiani di Israele. Jacob Perry è uno di capi dello Shin Bet intervistati nel documentario. N.d.T], ha detto di sperare che il sistema di sicurezza sarebbe stato in grado di contenere l'ultima ondata di proteste in Cisgiordania.

"Quelle manifestazioni sono negative per loro e per noi" ha detto l'ex capo del servizio di sicurezza dello Shin Bet nel suo tipico modo paternalistico. Infatti l'esercito, che non è stato ad aspettare il suo parere, ha continuato ad uccidere manifestanti che non minacciavano la vita dei soldati. Lo fanno ogni settimana e ne feriscono a dozzine (altri due sono stati uccisi questo fine settimana). Persino dopo 47 anni, gli ufficiali della sicurezza non hanno ancora capito che l'oppressione non porta alla sottomissione. Al massimo ritarda semplicemente uno scontro ancora più sanguinoso - come succede adesso a Gaza.

Ma cosa dire di esperti europei, operatori umanitari, diplomatici e consiglieri civili e militari, e delle lezioni accumulate durante i molti anni di colonialismo? Ci si sarebbe potuto aspettare che tutta questa gente ed avvenimenti avrebbero messo in guardia l'Europa dal fare nel 2006 un errore talmente madornale, da cui sono sorte tutte le escalation intrise del sangue palestinese.

Il boicottaggio di Hamas, che in effetti è stato un boicottaggio politico del popolo palestinese nei Territori occupati, ha incoraggiato Fatah e il presidente dell'ANP Mahmoud Abbas a ribaltare il risultato elettorale con metodi antidemocratici. Il boicottaggio e il disprezzo occidentale nei confronti del risultato delle elezioni ha semplicemente spinto Hamas su un cammino estremista e disperato, facendolo diventare per la pubblica opinione [palestinese] un martire e un'alternativa rispettabile.

In effetti, non si è trattato di un "errore", quanto piuttosto di una decisione cosciente. I paesi europei e gli Stati Uniti sono desiderosi di investire miliardi di dollari nei territori palestinesi per la ricostruzione delle macerie create utilizzando armi americane, e probabilmente europee. Quei dollari riparano i disastri umanitari causati dall'occupazione israeliana.

L'Europa e gli Stati Uniti vogliono finanziare tende, cibo e acqua per addomesticare una dirigenza
resa dipendente da queste donazioni. Questi leader quindi promettono di non disturbare la tranquillità e l'ordine. Non sono la giustizia ed i diritti dei palestinesi che l'Occidente ha a cuore, ma il mantenimento della "stabilità".

Germania ed Austria sono particolarmente degne di nota. A loro si deve l'impressione che l'Unione Europea appoggi così tanto Israele a causa del senso di colpa per la morte degli ebrei europei sotto l'occupazione tedesca, e per via dell'impegno morale nei confronti della diretta conseguenza di quel capitolo di storia: lo Stato di Israele.

Facendosi scudo dell'Olocausto, non c'è bisogno di discutere degli interessi dell'Occidente, sia americani che europei. Questi [interessi] comprendono il controllo sistematico, attraverso agenti di fiducia, delle risorse di petrolio e gas, la protezione dei mercati e la salvaguardia della sicurezza di Israele come potenza occidentale, percepito come un'entità stabile che può contenere e controbilanciare i cambiamenti nella regione.

Se la sicurezza degli ebrei in Medio Oriente importasse veramente alle nazioni europee, soprattutto a Germania ed Austria, non continuerebbero a finanziare l'occupazione israeliana. Non concederebbero ad Israele il permesso permanente di uccidere e distruggere.

( Traduzione di Amedeo Rossi)

Andate a Gaza, guardate con i vostri occhi



Andate a Gaza, guardate con i vostri occhi

Senza odio, è possibile capire i palestinesi, e persino alcune richieste di Hamas possono sembrare ragionevoli e giustificate.

10.08.14
di Gideon Levy
Haaretz

Potremmo forse fare una discussione, per quanto breve, che non sia piena di odio velenoso?
Possiamo lasciar perdere per un momento la disumanizzazione e demonizzazione dei palestinesi e parlare spassionatamente di giustizia, lasciando da parte il razzismo? E' fondamentale almeno provarci.

Senza odio, è possibile capire i palestinesi, e persino alcune delle richieste di Hamas possono risultare ragionevoli e giustificate. Un simile discorso razionale dovrebbe portare qualunque persona onesta a delle conclusioni molto nette. Un'impostazione così radicale potrebbe persino portare avanti la causa della pace, se si potesse ancora azzardare a parlare di qualcosa di simile. Che cosa ci troviamo davanti? Un popolo senza diritti che nel 1948 è stato privato della propria terra e del proprio territorio, in parte per i suoi stessi errori. Nel 1967 è stato di nuovo spogliato dei suoi diritti e delle sue terre. Da allora ha vissuto in condizioni che ben poche nazioni hanno conosciuto. La Cisgiordania è occupata e la Striscia di Gaza è assediata. Questa nazione tenta di resistere, con il suo scarso potere e con metodi che a volte sono omicidi, come ha fatto ogni altra nazione conquistata nella storia, compreso Israele. Bisognerebbe riconoscere che ha il diritto di resistere.

Parliamo di Gaza. La Striscia di Gaza non è un nido di assassini; non è neppure un nido di vespe. Non è neanche un luogo di incessante violenza e assassinio. La stragrande maggioranza dei suoi bambini non erano nati per uccidere, e neppure la maggior parte delle loro madri ha allevato martiri, quello che vogliono per i loro figli è esattamente quello che la maggioranza delle madri israeliane vuole per i propri bambini. I loro leader non sono molto diversi da quelli israeliani, non per quanto riguarda il loro livello di corruzione, la loro predilezione per alberghi di lusso e neppure per il fatto di destinare la maggior parte del bilancio alla difesa.
Gaza è un'enclave provata, una zona che vive un disastro permanente, dal 1948 al 2014, e la maggior parte dei suoi abitanti sono per la terza o quarta volta dei profughi. La maggior parte di quelli che insultano e la distruggono la Striscia di Gaza non ci sono mai stati, sicuramente non come civili. Per otto anni mi è stato impedito di andarci; durante i 20 anni precedenti l'ho visitata spesso. La Striscia di Gaza mi piace, per quanto possa piacere un luogo di dolore. Mi piace la sua gente, se mi è consentito generalizzare. C'era uno spirito inimmaginabile di risolutezza, insieme a un ammirevole rassegnazione verso le proprie disgrazie.

Negli ultimi anni Gaza è diventata una gabbia, una prigione a cielo aperto circondata da barriere. Prima ancora che fosse anche divisa. Che siano o meno responsabili della loro situazione, ci sono persone sfortunate, una grande quantità di persone e una grande miseria.
Non avendo fiducia nell'ANP, i gazawi hanno scelto Hamas con elezioni democratiche. Hanno il diritto di sbagliare. In seguito, quando l'OLP si è rifiutata di cedere le redini del potere, Hamas ha preso il controllo [della Striscia] con la forza.

Hamas è un movimento nazional-religioso. Chiunque sostenga un dialogo senza odio si potrà rendere conto che Hamas è cambiato. Chiunque riesca a ignorare tutti gli aggettivi che gli sono stati affibbiati dovrà anche capire le sue legittime aspirazioni, come avere un porto e un aeroporto. Dobbiamo anche ascoltare gli studiosi che sono privi di odio, come l'esperto del Medio Oriente Menachen Klein dell'università Bar-Ilan, la cui analisi di Hamas contrasta con il giudizio tradizionale in Israele. In un intervista al quotidiano economico Calcalist [the Economist in ebraico. N.d.T.] della scorsa settimana, Klein afferma che Hamas non è stata fondata come un'organizzazione terroristica ma piuttosto come un movimento sociale, e dovrebbe essere visto come tale anche oggi. Ha da molto tempo "tradito" la sua natura, e condotto un vivace dibattito politico, ma nel dialogo di odio non c'è nessuno che lo ascolti.

Dal punto di vista del dialogo dell'odio, Gaza e Hamas, palestinesi e arabi, sono tutti la stessa cosa. Vivono tutti sulla spiaggia dello stesso mare, e condividono lo stesso obiettivo di buttare a mare gli ebrei. Una discussione meno primitiva, meno condizionata dal lavaggio del cervello potrebbe portare a conclusioni diverse. Per esempio, che un porto sotto controllo internazionale è un obiettivo legittimo e ragionevole; che togliere il blocco sulla Striscia di Gaza conviene anche ad Israele; che non c'è altro modo di far cessare la resistenza violenta; che coinvolgere Hamas nel processo di pace potrebbe portare a un cambiamento sorprendente; che la Striscia di Gaza è abitata da esseri umani, che vogliono vivere come tali.

Ma in ebraico "Gaza", pronunciato " 'Aza", è la contrazione di Azazel, che è associato all'inferno. Dei molteplici insulti che mi sono stati urlati in questi giorni da ogni angolo di strada "Vai all'inferno/Gaza" è tra quelli più gentili. A volte vorrei rispondere "Spero di poter andare a Gaza, per poter svolgere la mia funzione di giornalista." E a volte vorrei aggiungere:" Spero che possiate tutti quanti andare a Gaza. Se solo sapeste cos'è Gaza, e cosa c'è veramente là."


(traduzione di Amedeo Rossi)

La colpa è delle vittime



Santiago Alba Rico | 12 agosto 2014

I media ci hanno abituato ad associare i Palestinesi alla violenza e alla morte, anche per questo molti di noi accettano quasi con naturalezza le loro uccisioni. Dietro questo atteggiamento c’è una cultura segnata da secoli di orientalismo e decenni di islamofobia ma c’è anche la ripetizione ossessiva delle immagini funebri che insinua nell’opinione pubblica l’idea di un culto della morte e di un violento disprezzo verso la vita. È una strategia raffinata e perversa che spinge chi fa comunicazione a considerare le vittime solo numeri o corpi straziati privati di ogni umanità. La morte, perfino quella dei bambini, ci tocca invece solo se “conosciamo” la vittima, se sappiamo come giocava a pallone, se dormiva durante le lezioni di matematica e sognava di diventare da grande un astronauta o un pompiere

di Santiago Alba Rico

Mi accingevo a scrivere sul documentario di un amico giornalista (che più avanti menzionerò), quando mi si è presentata davanti agli occhi l’ennesima foto del funerale di un bambino palestinese. Ma perché tante immagini di funerali di bambini palestinesi? Si potrebbe dare la risposta più facile: perché Israele uccide molti bambini palestinesi. E quindi si potrebbe pensare anche che queste immagini pubblicate dai media costituiscano una potente arma di denuncia dei crimini che la popolazione palestinese subisce ormai da sessant’anni per mano dell’esercito israeliano.

Non lo so. Potrei peccare di eccessiva diffidenza, ma mi sorprende l’insistenza con la quale i media associano il destino dei palestinesi – e degli arabi in generale – a queste immagini di cerimonie funebri collettive. Quando in Spagna viene ucciso un bambino (penso, ad esempio, alla tristemente famosa Asunta), nessun giornale pubblica le foto del cadavere e nemmeno del funerale. Spontaneamente si vanno a cercare delle immagini del bambino vivo, sorridente, pieno di vita, il che permette di pesare meglio il dolore dei sopravvissuti e l’orrore di quel delitto.

invece – palestinesi e arabi in generale – non vediamo mai immagini di quando erano vivi e somigliavano a noi. Li vediamo solo dopo che sono morti e solo come morti. Che ci sia o meno premeditazione in questa prassi giornalistica, quel che è certo è che i bambini palestinesi – e arabi in generale – compaiono davanti ai nostri occhi solo quando vengono seppelliti. I funerali arabi hanno una forte dimensione collettiva e, quando si tratta di bambini assassinati, una inevitabile e comprensibile componente emotiva. Inoltre, a differenza del rito cristiano, il corpo non viene sistemato in una bara bensì portato in spalla dai parenti, avvolto in un lenzuolo. La cerimonia, piena di rabbia, assume agli occhi di un occidentale un carattere esotico ed esibizionista.

In effetti i funerali di un bambino palestinese – o arabo in generale – provocano dal punto di vista mediatico due sensazioni estreme: esotismo e violenza. L’esotismo di una cultura esibizionista che non nasconde i propri morti; la violenza di una cultura fortemente collettiva che esige sempre una vendetta. Dal momento che non si vedono mai bambini palestinesi vivi che giocano a palla o abbracciano la mamma o mangiano un gelato, la ripetizione delle immagini funebri insinua nell’opinione pubblica l’idea di un culto della morte e di un violento disprezzo verso la vita.

In definitiva, sia quando sono loro ad uccidere, sia quando vengono uccisi (il che accade molto più frequentemente), i palestinesi vengono associati alla violenza e alla morte, il che spiega in parte la naturalezza con la quale accettiamo le loro uccisioni, disprezziamo il dolore dei loro genitori ed arriviamo perfino ad applaudire la barbarie di quegli assassinii. Per un terrificante paradosso radicato in secoli di orientalismo e decenni di islamofobia, le immagini dei funerali di bambini palestinesi, invece di rappresentarci il dolore di un popolo e la vergogna di Israele, sembrano giustificare la violenza della quale sono vittime, quasi fosse un’auto-punizione o un castigo inflitto da genitori collerici e arrivano, pertanto, a neutralizzare qualunque nostro moto di empatia nei loro confronti.

mal-enseñando-a-los-niñosChiedo dunque questo ai mezzi di comunicazione: quanti più palestinesi sono uccisi da Israele, tanto più i giornalisti offrano immagini di palestinesi vivi, perché la morte ci tocca solo quando «conosciamo» la vittima, sappiamo se giocava a pallone, se dormiva durante le lezioni di matematica e sognava di diventare da grande un astronauta o un pompiere. Quando offriamo immagini di funerali di bambini palestinesi, invece, abbiamo loro rubato la vita ancor prima che lo faccia Israele. Così è facile ucciderli, così stiamo quasi autorizzando Israele ad ucciderli ancora.

L’Europa e il sionismo

Ma raccontiamo i fatti ancora una volta. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale si verificano in Europa tre avvenimenti che hanno ancora ripercussioni sulla nostra storia attuale. Il primo, durante i famosi processi di Norimberga, ha a che fare con la legittimazione, di fatto, dei bombardamenti aerei. Se da un lato si dichiara definitivamente inaccettabile il modello Auschwitz (disumanizzazione e sterminio orizzontale dei propri simili), dall’altro si proclama accettabile il modello Hiroshima, quello dei vincitori.

Dal 1945 a oggi, la disumanizzazione e lo sterminio verticale dei propri simili viene percepita come pratica di routine o comunque non punibile: il giorno dopo la liberazione dai nazisti, la Francia coloniale bombarda l’Algeria e la Siria, e questo abbiamo continuato a vedere tutti i giorni, senza eccezioni, per settant’anni: in questo momento i droni statunitensi bombardano il Pakistan e lo Yemen, gli aerei di Bachir Assad bombardano il proprio popolo e gli F-16 israeliani bombardano i palestinesi di Gaza. Tutte queste bombe ci impressionano quanto un acquazzone estivo e sicuramente molto meno di un accoltellamento sul metrò.

Il secondo avvenimento riguarda il fallimento del progetto europeo di sterminio di tutti gli ebrei d’Europa. Questo progetto si chiamava nazismo ed è costato milioni di morti, ebrei e non. Fu fortunatamente e giustamente condannato a Norimberga come un abominevole crimine contro l’Umanità tutta.

Il terzo avvenimento, al contrario, ha a che vedere con il successo di un piano europeo per espellere tutti gli ebrei dall’Europa. Questo piano si chiamava sionismo e raggiunse il proprio obiettivo con la collaborazione dell’antisemitismo europeo, il quale aveva capito i vantaggi di liberarsi degli ebrei (come stava cercando di fare da secoli), continuando a sfruttare i loro servizi nei territori dell’ex impero ottomano. Il sionismo è stato, e continua ad essere, un piano europeo, non ebraico, di colonizzazione del mondo arabo (così lo presentò Theodor Herzl al governo inglese dell’epoca) perseguito con il contributo delle classi dirigenti europee e arabe a detrimento di tutti i popoli della regione.


Paradossalmente, dopo secoli di persecuzione, gli ebrei vennero riconosciuti come europei quando uscirono dall’Europa e solo nella misura in cui si comportavano e si comportano come europei: vale a dire, come sionisti. Il sionismo è il contraddittorio trionfo dell’assimilazionismo praticato a spese dei palestinesi e degli stessi ebrei, sfruttati o perseguitati da un’ideologia che vuole costringerli a identificarsi con un progetto apertamente razzista e criminale.

Ebbene, la cosa più singolare è che, di questi tre avvenimenti, l’unico che oggi sembra commuovere governi ed opinione pubblica è anche l’unico che la storia si è lasciato alle spalle e che molto probabilmente non si ripeterà: mi riferisco allo sterminio nazista. Mentre l’olocausto degli ebrei, molto giustamente, ci commuove e ci ripugna come se continuasse ad esistere e dovessimo scongiurarlo, le quotidiane stragi dall’alto (compiute dagli USA, dal regime siriano o da Israele) e l’occupazione sionista della Palestina, che stanno succedendo davvero e che dovremmo davvero scongiurare, ci lasciano piuttosto indifferenti.

Gli attuali bombardamenti su Gaza, che mentre scrivo hanno ammazzato già (1) palestinesi, compresi bambini e donne, sono accettabili perché sono bombardamenti, ma anche perché il sionismo, essendo fin dalle origini un piano europeo, conta sull’appoggio dei governi dell’Europa e di buona parte dei loro mezzi di comunicazione, i quali alimentano la propaganda sionista volta a far diventare i nuovi «ebrei» («gli ebrei degli ebrei», come dice Khoury) gli eredi dei nazisti, trasformando i boia in vittime e le vittime in boia. Con tale successo che perfino i funerali dei bambini palestinesi assassinati dall’esercito israeliano finiscono per sembrarci «aggressioni antisemite» contro Israele.

La «assimilazione» trionfante e paradossale dei sionisti europei (in Palestina) ci impedisce di intravedere la verità sotto i vestiti di Armani o dietro le squadre di calcio della Champions League: a chi veramente assomiglia Israele, per ideologia e pratica, è allo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, oggi già Califfato jihadista nel Vicino Oriente. Finché l’Europa e gli Stati Uniti non capiranno questa realtà e continueranno ad appoggiare Israele, non ci sarà pace né giustizia in quella regione del mondo. Finché i nostri media non tratteranno Israele alla stessa stregua dell’ISIL, non ci sarà pace né giustizia in quella regione.

Nel frattempo, i nuovi/vecchi bombardamenti di Israele dimostrano anche le difficoltà in cui esso si trova e la minaccia che rappresenta per tutti. Di fronte alla recente riconciliazione tra Hamas e Fatah ed allo scopo di impedirla, di fronte alla pragmatica presa di distanza degli USA e dell’UE e allo scopo di ridurla, Israele ha spinto sull’unico tasto che conosce: quello della violenza e della morte. E funziona. Sa che funziona. Ogni qualvolta le cose stanno cambiando, non appena nascono nuove proposte o si introducono nuovi elementi all’interno dei rapporti di forza, Israele ricorre ai bombardamenti che, come un programma informatico, aggiornano tutti i dati, restituendoli alla loro originale, vecchia semplicità: Israele uccide e stringe le fila. Fino a quando gli USA e l’Europa non lo forzeranno, in Medio Oriente non cambierà nulla e Israele continuerà a rispondere ad ogni nuova congiuntura con la distruzione di case e di vite palestinesi. Ma attenzione: se gli USA e l’Europa forzano Israele, la sua risposta potrebbe essere ancora più violenta e distruttiva. L’elemento ideologico e fanatico del sionismo rende Israele, così come l’ISIL, la forza più irrazionale, imprevedibile e potenzialmente pericolosa (munita di bomba atomica!) della regione.

Io sto con la sposa

Non dimentico il documentario del mio amico Gabriele del Grande, eccellente giornalista italiano che da anni si occupa delle vittime delle politiche migratorie europee e che in questi ultimi anni, con impegno informativo e umano, ha seguito la guerra in Siria. Il suo documentario, Io sto con la sposa , che chiude questa settimana la campagna di finanziamento collettivo, è una specie di narrazione/azione che racconta una storia nello stesso momento in cui la storia si svolge, come denuncia politica e atto militante di disobbedienza civile.

Del Grande e il poeta siro-palestinese Al-Nassery aiutano cinque palestinesi e siriani, sbarcati a Lampedusa per fuggire dalla guerra, ad arrivare in Svezia. A questo scopo mettono in scena un falso matrimonio il cui corteo percorre in macchina Italia, Francia, Germania e Danimarca, in un viaggio «illegale» che denuncia la politica delle frontiere e, allo stesso tempo, scopre un’altra Europa possibile, nella quale la solidarietà e il coraggio sono l’altra faccia dell’indifferenza con la quale guardiamo il mondo arabo (e il mondo non europeo in generale).

10514597_798392613534173_2694706974574437314_nIo sto con la sposa , in sintesi, produce un effetto inverso a quello dell’immagine del bambino palestinese che ho analizzato prima: palestinesi e siriani vivi cantano, si baciano, recitano e parlano di se stessi e dei propri morti – che in questo rivivono – illuminando così la ferocia di tutti i boia e la complicità di un’Europa ipocrita che si riempie la bocca di democrazia e diritti umani mentre alimenta o permette guerre in ogni parte del mondo e chiude le frontiere alle vittime. È così, facendo cose giuste, tra vivi indignati e addolorati, che si eviteranno i futuri bombardamenti su Gaza (o su Aleppo) o, per lo meno, si eviterà di dare ragione a quelli che uccidono e di togliere umanità, prima che li uccidano, a quelli che muoiono.

Fonte: Tunisia in Red, che ringraziamo ancora per la gentile concessione

Traduzione dallo spagnolo per Tunisia in red, a cura di Giovanna Barile

Il testo originale in spagnolo è qui http://www.tunisia-in-red.org/?p=4049

Tunisia in red su facebook

(1) Nel momento in cui è stato scritto l’articolo, le vittime palestinesi erano solo centinaia, al 12 agosto sono quasi duemila

BAN KI MUN COMPLICE DEI CRIMINI DI ISRAELE

Il [segretario] dell'ONU Ban Ki-moon è complice dei crimini di Israele
The Electronic Intifada 
8 Agosto 2014
­
La seguente lettera aperta, firmata da 129 organizzazioni e da importanti personalità, è stata inviata al Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-moon il 5 agosto.
Per l'umanità e per quel poco che rimane della credibilità delle leggi internazionali: Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, difenda la legge e la giustizia o dia le dimissioni!
Signor Segretario Generale Ban Ki-moon,
Noi, le organizzazioni per i diritti umani e della società civile palestinesi firmatarie siamo estremamente deluse dal suo comportamento, particolarmente dalle sue affermazioni di parte, la sua mancanza d'iniziativa e dall'inopportuna giustificazione delle violazioni della legge umanitaria internazionale da parte di Israele, che rappresentano crimini di guerra.
Fino ad oggi, lei non ha preso esplicite e concrete misure nei confronti dei recenti attacchi israeliani nei territori occupati iniziate il 13 giugno. Inoltre le sue affermazioni sono state ambigue, sia perché hanno accolto e appoggiato la falsa versione dei fatti di Israele, sia perché contrarie a quanto prescrivono le leggi internazionali e agli interessi di chi le deve tutelare, sia perché le sue parole giustificano le violazioni ed i crimini di Israele.
Lei ha indubbiamente assunto una posizione ambigua nei confronti dell'attuale attacco a Gaza e delle violazioni di Israele in Cisgiordania, non condannando in modo chiaro le illegali azioni israeliane nei territori palestinesi occupati, mentre, al contrario, non ha esitato ad accusare - a volte erroneamente - i combattenti palestinesi a Gaza di violazione delle leggi internazionali. Questo pregiudizio può essere notato nei seguenti brani:
Il Segretario Generale condanna fermamente l'uccisione oggi di almeno 10 civili palestinesi durante il bombardamento a Rafah di una scuola dell'UNRWA che offriva rifugio a migliaia di civili. L'attacco è un'ulteriore grave violazione delle leggi umanitarie internazionali, che chiaramente prescrivono la protezione da entrambe le parti dei civili palestinesi, dello staff e dei locali dell'ONU, tra le altre infrastrutture civili.
Una simile affermazione, omettendo il nome di chi ha commesso la violazione - Israele - non solo è di parte, ma è anche offensiva per l'UNRWA, un'agenzia dell'ONU, come anche per le altre agenzie dell'ONU e per le organizzazioni internazionali che lottano per fornire ai palestinesi di Gaza soccorso e protezione.

L' UNRWA, che ha perso nove operatori a Gaza dall'inizio dell'Operazione israeliana "Margini di difesa", ospita circa 270.000 profughi interni (il 25% della popolazione di Gaza) nei suoi rifugi. Un precedente rapporto dell'UNRWA su un attacco contro una delle sue scuole ha indicato che era stata colpita dall'artiglieria israeliana, il che rappresenta un attacco indiscriminato e un probabile crimine di guerra.
Inoltre, condannando il deposito di armi nelle scuole dell'UNRWA senza offrire prove concrete e tenere in debito conto le leggi internazionali, le sue affermazioni fanno proprie le giustificazioni israeliane per il fatto di colpire illegalmente ed indiscriminatamente simili obiettivi civili.

Oltretutto, condannando

la provata violazione da parte di Hamas della concordata tregua umanitaria iniziata questa mattina. E' scioccato e profondamente irritato da questi sviluppi,
il Segretario Generale rivela un'irresponsabile sostegno alla versione israeliana dei fatti, biasimando Hamas per la violazione della tregua, pur ammettendo che "il Segretario Generale afferma che l'ONU non ha mezzi indipendenti per verificare esattamente quanto è avvenuto" e, ancora, chiedendo "l'immediato rilascio senza condizioni del [falsamente presunto] soldato catturato."
La seguente dichiarazione illustra ulteriormente l'ignoranza dei fatti sul terreno da parte del Segretario Generale:
"Il Segretario Generale ha saputo con preoccupazione che questo pomeriggio nella parte settentrionale della Striscia di Gaza sono stati lanciati dalle forze aeree israeliane volantini che avvertono decine di migliaia di residenti di lasciare le proprie case e rifugiarsi a Gaza City.
Se fosse vero [sottolineatura di chi scrive] ciò avrebbe un impatto terribilmente devastante dal punto di vista umanitario sui civili attaccati militarmente di quelle zone della Striscia di Gaza, che hanno dovuto sopportare grandi sofferenze negli ultimi giorni.

Il lancio di volantini è stata una nota pratica fin dall'inizio delle operazioni israeliane a Gaza, contribuendo a creare più di 480.000 rifugiati interni.
Nello stesso comunicato

"Il Segretario Generale invita fermamente entrambe le parti ad evitare ogni ulteriore escalation in questo momento, [notando] che entrambe le parti devono rispettare ogni prescrizione delle leggi umanitarie internazionali, sia riguardo a civili di fronte ad attacchi imminenti, sia rispettando il principio di proporzionalità in ogni tipo di risposta militare,"

facendo trasparire un'indebita equivalenza delle due parti del conflitto ed evitando di condannare il maggiore impatto delle violazioni commesse da Israele, che ha ucciso almeno 1.814 persone, la grande maggioranza delle quali civili, durante le sue operazioni a Gaza.

Signor Segretario Generale

Quando lei non fa nessuna distinzione tra oppressori e vittime, in tutti i suoi discorsi,

Quando lei cita i combattenti palestinesi come responsabili di violazioni e crimini di guerra mentre non cita Israele, come è solito fare quando si riferisce a specifiche azioni,

Quando lei evita di definire azioni israeliane che equivalgono a crimini di guerra, mentre insiste nel definire le reazioni palestinesi come gravi infrazioni alla legge umanitaria internazionale,

Quando lei invoca sempre illegalmente il diritto di Israele all'autodifesa, mentre non menziona mai il diritto legittimo e legale dei palestinesi di resistere all'occupazione, alla colonizzazione e alla discriminazione istituzionalizzata,

Quando lei accetta e sostiene le menzogne di Israele, mentre non cita la versione dei palestinesi,

Quando lei ignora i fatti sul terreno che sono l'evidente conseguenza degli attacchi israeliani, mentre chiede l'immediata ed incondizionata liberazione di un soldato che non è mai stato catturato e che era sul campo di battaglia, lei non mantiene la pace e la sicurezza, né garantisce i diritti umani.

Prendendo in considerazione le sue dichiarazioni, risulta evidente che lei non ha rispettato il suo mandato. Al contrario, le sue affermazioni non solo hanno consentito la continuazione del massacro del nostro popolo da parte di Israele, ma anche incoraggiato gli Stati a rifornire impunemente Israele.

Poiché lei non può dire la verità, noi la invitiamo a cambiare radicalmente il suo atteggiamento - non solo a parole, ma anche negli sforzi per porre fine realmente all'attuale conflitto, attraverso l'ONU - o a dare le dimissioni. Per noi, se lei continua a svolgere questa funzione, lei conferma quello che sente il nostro popolo, che lei è un complice, o quanto meno incapace [di impedire] le continue violazioni delle leggi umanitarie internazionali commesse da Israele contro le nostre famiglie, bambini, donne, anziani - contro il nostro popolo.
Traduzione di Amedeo Rossi
Firme:
Personalità:
 • Richard Falk: ex relatore della commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967
 • Luisa Morgantini: ex vice Presidente del Parlamento Europeo
 • Ahmad Muhaisen: Presidente dell'Associazione per il gemellaggio tra città francesi e campi profughi palestinesi
 • Breyten Breytenbach: Poeta, scrittore, pittore e attivista
 • John Pilger: giornalista, regista ed autore 
  
Organizzazioni palestinesi e internazionali dei diritti umani e della società civile:
 • BADIL Resource Center for Palestinian Residency and Refugee Rights – Bethlehem
 • Occupied Palestine and Syrian Golan Heights Advocacy Initiative (OPGAI) – Beit Sahour
• The Alternative Information Centre (AIC) – Beit Sahour
• ADDAMEER Prisoner Support and Human Rights Association – Ramallah
• Palestinian Non-Governmental Network (Umbrella for 133 organizations)
• Palestinian General Federation of Trade Unions
• General Union of Palestine Workers
• General Union for Health Services Workers
• General Union for Public Services Workers
• General Union for Petrochemical and Gas Workers
• General Union for Agricultural Workers
• Union of Women’s Work Committees
• Palestinian Boycott, Divestment, Sanctions National Committee (BNC). Il Comitato comprende le seguenti organizzazioni: Council of National and Islamic Forces in Palestine, Palestinian NGO Network (PNGO), Palestinian National Institute for NGOs, Global Palestine Right of Return Coalition, Palestinian Trade Union Coalition for BDS (PTUC-BDS), Federation of Independent Trade Unions, General Union of Palestinian Workers, Palestinian General Federation of Trade Unions, General Union of Palestinian Women, Union of Palestinian Farmers, General Union of Palestinian Teachers, General Union of Palestinian Writers, Palestinian Federation of Unions of University Professors and Employees (PFUUPE), Union of Professional Associations, General Union of Palestinian Peasants, Union of Public Employees in Palestine-Civil Sector, Grassroots Palestinian Anti-Apartheid Wall Campaign (STW), National Committee for Grassroots Resistance, Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (PACBI), National Committee to Commemorate the Nakba, Civic Coalition for the Defense of Palestinian Rights in Jerusalem, Coalition for Jerusalem, Union of Palestinian Charitable Organizations, Palestinian Economic Monitor, Union of Youth Activity Centers-Palestine Refugee Camps, Occupied Palestine and Syrian Golan Heights Initiative.
• The Joint Advocacy Initiative of the East Jerusalem YMCA and the YWCA of Palestine (JAI) - Biet Sahour
• Baladna - association for Arab Youth – Haifa
• Hamleh - Arab center for media development – Haifa
• Al Zahra’ Society for Women Empowerment – Sakhnin
• Assiwar - The Feminist Arab Movement in Support of Victims of Sexual Assault - Haifa
• Association for the Defense for the Rights of the Internally Displaced in Israel – Nazareth
• Alsebat association for heritage Preservation - Nazareth 
• The Alternative Tourism Group (ATG) – Beit Sahour
• Yabous Cultural Center – Jerusalem
• The Edward Said National Conservatory of Music – Jerusalem
• Palestinian Students’ Campaign for the Academic Boycott of Israel
• Gaza BDS Working Group
• University Teachers’ Association in Palestine
• Medical Democratic Assembly
• Pal-Cinema (Palestine Cinema Forum)
• Youth Herak Movement
• Union of Women’s Struggle Committees
• Union of Synergies—Women Unit
• Union of Palestinian Women Committees
• Women’s Studies Society
• Working Woman’s Society
• One Democratic State Group
• Youth Against Israeli Settlements - Hebron
• Health Work Committees – Beit Sahour
• Land Research Center (LCR) – Hebron
• Ramallah Center for Human Rights Studies – Ramallah
• Popular Struggling Coordination Committee (PSCC) – Ramallah
• Lajee Center, Aida Refugee Camp - Bethlehem
• The EJ-YMCA Rehabilitation Program and the Beit Sahour YMCA – Beit Sahour
• Ibrahim Al Khalil Society – Hebron
• The Palestinian Prisoners Society – Bethlehem
• The Palestinian Center of Youth Action for Community Development (LAYLAC) – Dhiesheh Refugee Camp - Bethlehem
• Palestinian Grassroots Anti-apartheid Wall Campaign (Stop the Wall) – Ramallah
• Palestinian Center for Rapprochement Between People – Beit Sahour
• Amaan Center for social health, Counseling and Development – Hebron
• Popular Committee for Refugees, Qalqiliya
• Popular Committee for Refugees, Salfit
• Social Youth Center, Aqbat Jaber Refugee Camp – Jericho
• Social Youth Center, Aida Refugee Camp – Bethlehem
• Social Youth Center, Al Arroub Refugee Camp – Hebron
• Al Arroub Popular committee - Al Arroub Refugee Camp - Hebron
• Progressive Youth Union – Al Arroub Refugee Center - Hebron
• The Phoenix Center - Al Arroub Refugee Camp - Hebron
• Al Fawwar Social Center – Al Fawwar Refugee camp - Hebron
• Social Youth Center, Far’a Refugee Camp - Nablus
• Shu’fat Child Center – Shu’fat Refugees Camp – Jerusalem
• Shoruq Association, Dhiesheh Refugee Camp – Bethlehem
• Al Awda Center for Youth and children Rehabilitation - Tulkarem
• Ansar Center, Al Walajeh – Bethlehem
• Center for Defense of Liberties and Civil Rights “Hurryyat”
• The Palestinian Agricultural Relief Committee – Bethlehem
• Bethlehem Farmers Society – Bethlehem
• Ibda’a for the Development of Children Capacity, Dhiesheh Refugee Camp – Bethlehem
• The popular committee - Dhiesheh Refugee Camp – Bethlehem
• The Women Centre - Dhiesheh Refugee Camp – Bethlehem
• The Popular Committee – Al Azza Refugee Camp – Bethlehem
• Al Phoenix Center – Dhiesheh Refugee Camp – Bethlehem
• Al Walaja Women Center – Al Walaja - – Bethlehem
• Not to Forget – Jenin Refugees Camp – Jenin
• Environmental Education Center – Beit Jala
• The National Charitable Society – Al Khader
• The Right of Return Committees in Bethlehem – Bethlehem
• Al Walaja Popular Committee - – Bethlehem
• Al Walaja Sports Club – Al Walaja - – Bethlehem
• Al Walaja Agriculture society – Al Walaja - – Bethlehem
• The Palestinian anti-Wall and Settlements committees – Ramallah
• MA’AN Development Center – Ramallah
• The Association of Palestinian prisoners and x-prisoners – Bethlehem
• Susya Popular Committee – Hebron
• Dair Abu Misha’al Popular committee – Ramallah
• Al Tawasul Forum Society – Gaza Strip
• The International Solidarity Movement.
• The Refugees Rights Center –‘Aidoon – Lebanon
• Association Najdeh - Lebanon
• Ajyal Association – Lebanon
• The Refugees Rights Center –‘Aidoon – Syria
• Union of Arab Jurists – Jordan
• The National Institution of Social Care & Vocational Training – Jordan
• Australians for Palestine – Australia
• Women for Palestine – Australia
• Collective urgence Palestine – Switzerland
• Palestina Rossa – Italy
• Fronte Palestina - Italy
• The Association of Humanitarian Lawyers
• International Educational Development, Inc
• International Lawyers – Switzerland
• Tamkeen-Arab group - Switzerland
• The BDS Campaign in France – France
• The Association for Twining French cities and Palestinian refugees camp – France
• The International Organization for the Elimination of All Forms of Racial Discrimination (EAFORD)
• International Society for Human Rights
• Czech Friends of Palestine
• Initiative for a Just Peace in the Middle East – Czech Republic
• Nord-Sud XXI
• International Association Against Torture
• The Palestine Solidarity Allegiance South Africa
• Palestine Legal Action Network
• Russell Tribunal on Palestine
• Campaign BDS France,
• 14 Friends of Palestine (Marin, CA)
• Canada Palestine Association
• Voice of Palestine
• People for Peace, London, CA
• United States Palestinian Community Network
• Labor for Palestine NY
• Samidoun Palestinian Prisoner Solidarity Network
• US Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel
• Palestine Human Rights Campaign Auckland
• Al-Awda NY
• Jews for Palestinian Right of Return
• Jews Against genocide
• Palestine Solidarity Alliance, South Africa
• Assopace
• Boycott! Boycott From Within
• Boycott Israeli Apartheid Campaign – Vancouver
• BDS Switzerland
• Palestinian solidarity community (PSC), USA
• Jewish Voice for Peace (JVP), USA
• BDS (Boycott Divestment and Sanctions), South Africa
• Football Against Apartheid
• Palestine Solidarity Campaign, South Africa
• The Palestinian Community in Germany
• The Palestinian Community in Bonn - Germany
• BDS Group Bonn - Germany
• The Palestinian-German Medical Society - Germany

giovedì 7 agosto 2014

Aprite il valico di Erez , subito.


Aprite il valico di Erez , subito.


Le persone e le merci devono potersi muovere liberamente.

di Amira Hass
Haaretz 07.08.14 |

Questa è una richiesta urgente per la delegazione palestinese al Cairo: Non lasciate che gli israeliani ingannino voi e il resto del mondo con accordi per la gestione del valico di Rafah, per il colore delle uniformi indossate dai soldati di Mahmoud Abbas, quante unità, e quali [debbano essere] le modalità del saluto.
A questo punto non insistete sull'aeroporto o il porto a Gaza. Focalizzatevi sul ripristinare il fondamentale, naturale, logico collegamento tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. Insistete che venga immediatamente riattivata la libera circolazione dei palestinesi tra di loro (non solo per pochi commercianti e alti funzionari). Questa dovrebbe essere il vostro principale obiettivo.
La classe dirigente israeliana, i commentatori [dei media], e la maggior parte della loro opinione pubblica considerano la richiesta di collegare la Striscia e la Cisgiordania come “ridicola”. Questa parola incarna l'arroganza aggressiva di Israele. L'Egitto ha giustamente paura dell'intenzione di Israele di riaffidargli la Striscia, i suoi abitanti e i suoi problemi. Approfittate di questa paura. Questo è quello che fin dal 1990 Israele ha cercato di ottenere - creare enclaves palestinesi, isolarle e trasformare la Striscia in un'entità politica separata.
Il successo di Israele è apparso finora considerevole, aiutato dall' egoismo settario delle organizzazioni palestinesi. I dirigenti palestinesi hanno trascurato l'elementare richiesta che venisse rispettato il diritto alla libera circolazione. I dirigenti dell'Autorità palestinese si sono accontentati del privilegio di poter passare per il valico di Erez. I leader del movimento politico religioso hanno dimenticato il valico di Erez e la Cisgiordania perché sapevano che non avrebbero avuto i permessi, e che se li avessero avuti sarebbero stati arrestati.
Il governo di riconciliazione nazionale che si è formato nell'ottica di Abbas – privo di ispirazione e volontariamente paralizzato,- ha tuttavia dimostrato che il successo israeliano nel separare [la Cisgiordania da Gaza] si è incrinato. La separazione tra la Striscia e la Cisgiordania può essere revocata.
Questa è l'idea che deve guidare al Cairo voi e tutti i palestinesi e quelli che si oppongono all'occupazione. C'è qualcuno che credeva che un'organizzazione palestinese avrebbe potuto pianificare una campagna militare che avrebbe mandato in confusione in questo modo il numero 1 degli esportatori di droni? Chi immaginava che un'organizzazione palestinese avrebbe potuto imparare dai propri errori nel 2008-2009 e sfidare la potenza militare di Israele?
Tutta questa sorprendente capacità militare, Hamas, sarà inutile se non viene trasformata in un cambiamento del vostro modo di pensare sul piano civile. Avete riscoperto la Cisgiordania dopo che i vostri canali con l'Egitto si sono interrotti. Per cui siete passati al governo di riconciliazione. L'uccisione indiscriminata dei residenti gazawi da parte di Israele ha fatto rinascere in loro una presa di coscienza sull'OLP e sui palestinesi della Cisgiordania. Questo è il momento per chiedere: Aprite il valico di Erez. Israele, al solito, griderà “SOS sicurezza”. Lasciatelo gridare. Non ci potrà essere sicurezza per Israele fino a quando non riconosceranno ai palestinesi il diritto alla vita, e di vivere con dignità.
Delegati dell'OLP, rappresentanti di Hamas e della Jihad Islamica: Correggete la negligenza criminale che ha caratterizzato il vostro comportamento con i cittadini di Gaza. Chiedete che il mondo paghi il conto per le sue dichiarazioni. Tirate fuori tutte le relazioni della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e dell'EU. Non vi è ricostruzione dell'economia palestinese, di Gaza, non c'è nessuna vita, finché la gente e le merci non potranno circolare liberamente. Questo comprende [la possibilità di] esportazioni da Gaza, studiare nelle università, pregare ad Al-Aqsa e mangiare l'hummus nella Città Vecchia . Comprende [la possibilità] di viaggiare da Nablus alla spiaggia di Beit Lahia.
La Striscia di Gaza smetterà di essere un enorme campo di concentramento solamente quando ci vorrà un'ora di autobus tra Gaza e la Cisgiordania, al costo di 32 shekels andata e ritorno, con uno sconto per i bambini e per le famiglie numerose.

( traduzione di carlo tagliacozzo)

martedì 5 agosto 2014

Marzabotto e la Striscia di Gaza

Marzabotto e la Striscia di Gaza
Patrizia Cecconi | 5 agosto 2014 |

L’estate del 2014 non sarà ricordata come una stagione di spietata normalità nella terra più amata da chi riconosce all’umanità intera il diritto di esistere. Si affaccia, finalmente, una tenue speranza che l’ultimo massacro scatenato dalla furia militare israeliana contro la gente inerme di Gaza abbia imboccato la fase discendente della sua sanguinosa parabola. Possiamo appena cominciare a rileggere criticamente le tappe di un cammino segnato da tanto dolore e sappiamo di doverci interrogare sulle ragioni – nessuna follia – di questo nuovo “taglio dell’erba” deciso con freddezza dal governo di Tel Aviv. L’angoscia maggiore è tuttavia ancora rivolta al futuro: quale sarà stata la consegna di Benyamin Netanyahu per le truppe che si dice stiano per cambiare la direzione di marcia? Lui ha detto che deve “finire il lavoro” e le notizie di nuove stragi proiettano ancora incubi atroci, altri rientri, altre marce, come quella, dalla Versilia a Marzabotto, condotta dal maggiore delle SS Walter Reder: i panzer che tornavano a casa lasciarono dietro di sé una scia di tremila corpi straziati
di Patrizia Cecconi
Ora che l‟eccidio di Gaza forse volge al termine, così almeno sperano tutte le persone capaci di sentire su di sé il dolore degli altri, una riflessione, per quanto possibile piana, s’impone. Una riflessione che vorrei condividere anche con chi – rispetto al conflitto israelo-palestinese – si schiera su posizioni diverse dalle mie. Unico requisito richiesto, per ipotizzare un ragionamento condiviso, è l‟onestà di pensiero riguardo ad alcuni principi basilari, come il riconoscimento dei pilastri della cultura democratica, così come è andata concretizzandosi nella
seconda metà del „900 con la Dichiarazione dei diritti umani, e la certezza che questi siano validi erga omnes.
Ci sono fatti oggettivi, in questo mese e mezzo di massacri, la cui semplice osservazione non avrebbe bisogno di parole per potersi trasformare in denuncia. Ma quel “dire superfluo”, fatto di parole scientemente usate per commentare i fatti, è riuscito a trasformare l’oggettività in opinione e all’opinione ha applicato orpelli capaci di manipolare la percezione della realtà fino a giustificare, se non addirittura ad assolvere, il colpevole del massacro, garantendogli in tal modo la continuazione del suo progetto di sterminio senza incorrere in sanzioni. Anzi, l‟autore delle stragi, cioè le forze di occupazione israeliane, hanno ottenuto supporto morale e incremento di mezzi di sterminio, nonostante Netanyahu avesse già dichiarato che uso avrebbe fatto di tali mezzi.
Se ci fosse un tribunale di Norimberga, sarebbero in tanti a sedere sul banco degli imputati insieme ad Israele. Sicuramente ci sarebbero gli Usa, che hanno svuotato i propri arsenali passandone il contenuto al proprio alleato, ma neanche l’Italia ne uscirebbe bene, perché anche alle armi italiane è attribuibile l‟eliminazione di un buon numero di bambini e di adulti inermi uccisi per la strada, a scuola, in casa, in ospedale, al parco.
Dopo alcuni episodi particolarmente feroci, il segretario delle Nazioni unite ha fatto sentire la sua voce, dapprima in modo tiepido, quindi in modo determinato, ma era solo la voce, eIsraele, tenendo fede all’origine del proprio nome[1] ha tenuto testa all’Onu e ha mostrato la propria irriducibilità ad ogni legge che non fosse auto-generata aumentando la violenza contro i civili e compiendo premeditatamente, secondo le stesse dichiarazioni Onu, stragi particolarmente odiose che hanno visto, tra gli altri, bambini straziati nel sonno o nella fuga disperata.
Ma facciamo un brevissimo excursus di come sono andate le cose. Tutto è proseguito (lo so che dovrei dire è iniziato, ma in questo “conflitto” l‟inizio è molto lontano ed ogni massacro è il proseguimento di una serie di torti mai sanzionati, quindi tutto è proseguito) dall‟evento epocale che lo scorso mese di aprile ha visto finalmente le forze politiche palestinesi provare una riconciliazione e tentare un governo di unità nazionale. Israele, inserendosi negli affari interni dello Stato di Palestina (tale è ufficialmente dal 29 novembre 2012) ha interrotto i negoziati
con l’Autorità palestinese pretendendo che l’unità nazionale, che Fatah e Hamas avevano stabilito di perfezionare entro 5 settimane, non avesse a concretizzarsi.
Proprio dopo circa cinque settimane si verifica l‟episodio, tuttora oscuro, dellastrana scomparsa di tre giovani ebrei nella zona a sud di Hebron, zona controllata da Israele, dove è estremamente improbabile che una vettura palestinese possa essere entrata per commettere il cosiddetto rapimento.
In seguito alla scomparsa dei tre ragazzi Israele blocca la Cisgiordania, i palestinesi non possono più avere neanche quella limitata libertà di circolazione che era loro concessa fino a qualche giorno prima. L’esercito di occupazione inizia una vergognosa e illegale campagna di arresti arbitrari di giovani e giovanissimi, ma anche di adulti, compresi deputati e ministri di Hamas. Il mondo tace. Israele uccide diverse persone, compresi dei bambini, in varie città della Cisgiordania, ma nonostante la violenza delle sue azioni, l‟illegalità dell‟occupazione e i crimini che l‟accompagnano, seguita ad essere considerato l‟unica democrazia del Medio Oriente.
A giustificare i suoi ultimi crimini ci pensano stampa e Tv che ripetono, senza neanche concedersi il beneficio del dubbio, che Hamas ha rapito i tre giovani ebrei. Hamas non ha voce in capitolo, inutile che seguiti a dichiararsi estranea, Israele ha decretato una colpevolezza senza prove e una punizione senza tribunale. Per di più collettiva e pagata dall‟intera popolazione considerata nemica. I nostri mass media supportano le sue decisioni ripetendo come sentenza passata in giudicato la colpevolezza di Hamas.
La geografia purtroppo non sempre sostiene i nostri giornalisti e, grazie alle loro informazioni geograficamente vaghe, l’italiano medio si convince che da Gaza uomini di Hamas siano andati a sud di Hebron per effettuare il rapimento. Come nelle favole, il passaggio non crea problemi: si sorvola sul fatto che Gaza sia assediata e che nessuno possa uscirne, e che seppure qualcuno ci riuscisse dovrebbe attraversare Israele per arrivare in Cisgiordania. Quindi dovrebbe entrare in una zona sotto esclusivo e pesante controllo dell‟esercito e della polizia israeliani posti lì a
tutela degli insediamenti di coloni armati e particolarmente violenti. Una volta entrato, questo qualcuno dovrebbe andare a rapire tre poveri giovani, due dei quali già hanno prestato servizio militare per alcuni mesi e si sono fatti fotografare con la preda bendata, e sottomessa al loro mitra. Ma tutto questo i nostri media non lo dicono, come seguitano a non dire che non ci sono prove del coinvolgimento di Hamas. Intanto Abu Mazen, per agevolare la polizia israeliana nelle ricerche dei tre ragazzi, offre l‟aiuto della polizia palestinese, a costo di inimicarsi il suo stesso popolo che in questa collaborazione vede una sottomissione, peraltro inutile, all‟occupante.
Nel frattempo Israele uccide, durante i suoi rastrellamenti – che evocano ricordi terribili da metà „900 – uccide senza doverne rendere conto a nessuna autorità internazionale: nessuno glielo chiede! I rastrellamenti comportano centinaia di sequestri di persona sbrigativamente e impropriamente definiti arresti (senza prove d‟accusa). In 18 giorni vengono arrestate alcune centinaia di persone e il mondo tace o ripete la colpevolezza di Hamas che, pur senza prove a suo carico, serve a giustificare ogni ulteriore sospensione del diritto. La scelta religiosa di Hamas diventa di per sé una condanna di terrorismo e questo riesce a tacitare chiunque abbia poca dimestichezza col diritto internazionale e molta dipendenza dai microfoni TV.
Il ritrovamento dei cadaveri dei tre giovani, a poche centinaia di metri dal luogo della loro scomparsa, e in avanzato stato di putrefazione, in quanto si scoprirà che erano stati ammazzati immediatamente, consentirà a Netanyahu e al vice ministro della difesa di promettere che “la fine tragica dei tre ragazzi deve essere anche la fine di Hamas”.
Oggi sappiamo che Netanyahu era informato del fatto che Hamas fosse estraneo all’episodio e che i tre ragazzi erano stati uccisi immediatamente, ma il suo deliberato silenzio, ovvero le sue menzogne, alimentano una campagna d‟odio che porterà a deliranti minacce sul web, al pestaggio di molti bambini e ragazzi palestinesi da parte di coloni, pestaggi ovviamente rimasti impuniti; all‟uccisione per investimento volontario di almeno una bambina, all‟invito sul web ad uccidere un arabo ogni ora, alle deliranti parole della parlamentare Ayelet Shaked che invita a uccidere le donne palestinesi in età fertile in quanto fattrici di terroristi; al rapimento di un sedicenne palestinese, torturato, costretto a bere benzina e poi bruciato vivo da parte di fanatici israeliani. Ma Netanyahu ha giurato che Hamas dovrà sparire e inizia, cioè prosegue, ma inizia con maggiore intensità, a bombardare Gaza. Hamas risponde con un massiccio lancio di missili. Missili che in tutta l‟operazione uccideranno per fortuna solo 2 o 3 persone, ma la paura in Israele è tanta e ce ne danno conto i nostri inviati speciali, tra i quali spicca la A.M. Esposito di Rainews24 che realizza servizi di oltre 20 minuti per raccontare la paura di queste povere e belle ragazze ebree che devono correre al rifugio quando suona l‟allarme. Pare che i bambini israeliani siano terrorizzati dalle sirene e tutti noi siamo chiamati a partecipare a quest‟angoscia. Non c‟è servizio televisivo che non inizi puntando il dito contro i missili che partono da Gaza, trasformando la reazione all‟assedio e all‟aggressione,
in azione di provocazione contro Israele che, come logica conseguenza, ha il diritto di difendersi.
Ogni tanto, in questo mese e mezzo di orrori, un episodio supera gli altri. Il massacro di Shajaya per esempio, fa pensare alla strage di My Lai, qualcuno pronuncia l‟impronunciabile: “rappresaglia in stile nazista” messa in atto per rispondere all‟uccisione dei primi soldati israeliani. Israele rischia di bruciare la sua immagine, ma i media intervengono, il presidente Obama, padrino di Netanyahu, richiama all‟ordine il suo pupillo invitandolo a “non esagerare” e aggiungendo l‟immancabile diritto a difendersi che copre ogni crimine trasformandolo in colpa lieve.
Per un‟inspiegabile ragione, non c‟è giornalista televisivo che azzardi il diritto dei palestinesi a difendersi rispetto al loro potentissimo aggressore. Il pretesto dei tre poveri ragazzi rapiti ormai non serve più e se ne cerca un altro. La strage di Shajaya viene presto dimenticata. Le centinaia di missili lanciati dalla Jihad non sono più i razzi da capodanno, la resistenza palestinese ha affinato le sue armi. Ma chiamarla resistenza è un lusso che può comportare un licenziamento in tronco, meglio chiamarlo terrorismo. Del resto la Storia ci ha consegnato tante storie di veri eroi definiti banditi, così come quelle di tanti banditi diventati uomini di stato e poi considerati eroi, quindi non vale la pena, ora, soffermarci su questo punto. I missili invece sono importanti. Il loro numero sembra inesauribile. Vengono considerati armi di attacco contro il pacifico stato di Israele e non di risposta alle aggressioni quotidiane dei missili israeliani lanciati dai droni o dagli F16, o rivolta e denuncia estrema contro l‟illegalità dell‟assedio che strozza la Striscia di Gaza da sette anni. Al contrario, il loro continuo lancio fornisce un “valido” motivo per proseguire lo sterminio dei gazawi anche se, per fortuna, Israele possiede un sistema di difesa che riesce quasi sempre a neutralizzare in volo i razzi nemici. Ma la linea mediatica resta immutata: Hamas produce terrore sparando missili sulla popolazione israeliana e perciò stesso è terrorista. Lo era già in quanto movimento confessionale di religione islamica, ma questo lo conferma e qualcuno, tra cui la stessa Onu, ne propone l‟incriminazione per crimini di guerra anche se le vittime civili ascrivibili ad Hamas sono soltanto due.
Ma il peso specifico non è solo un argomento della fisica, lo è anche della politica e lo diventa anche nella morale comune. Noi, figli della seconda metà del „900, siamo cresciuti su libri di storia che ci hanno fatto provare orrore per le rappresaglie basate su un diverso peso specifico tra uomo e uomo, eppure ci troviamo di fronte a una riedizione, in forma aggiornata e raffinata di tale orrore, ma ne abbiamo neutralizzato la consapevolezza grazie all‟ottimo lessico politico-mediatico che definisce “reazione sproporzionata” anche la più orrenda delle rappresaglie. Qui entrambi i termini favoriscono il proseguimento delle stragi: il sostantivo perché lascia intendere che Israele reagisca e, quindi, si difenda. L’aggettivo perché riduce a un problema di quantità quello che invece è un’azione comunque criminale. Tale infatti sarebbe, se il soggetto agente non fosse Israele, il bombardamento di scuole, ricoveri dell‟Onu, orfanotrofi, ospedali ecc. pur senza un così spaventoso numero di vittime civili.
I media nostrani non devono sforzarsi troppo, possono usare tutti le stesse parole, al resto pensa la bravura della propaganda israeliana. Già Edward Said, una dozzina di anni fa aveva rilevato che nella seconda Intifada erano stati i mezzi di comunicazione a determinare con una potenza straordinaria l’andamento del conflitto ed aveva aggiunto che, poiché molti “boss dell’editoria sono forti sostenitori di Israele, il compito non è stato difficile”. Del resto, a proposito di gioco con le parole capace di distorcere i fatti al punto di rovesciare la realtà, è significativo il servizio del settimanale L‟Espresso il quale, nel momento in cui sono stati appurati oltre 1800 morti palestinesi tra cui 400 bambini e oltre 9000 feriti di cui molti non sono altro che morti in differita, il tutto a fronte di 66 morti israeliani di cui 63 militari, in un titolo a pagina doppia scrive “il delirio omicida di Hamas….gli errori di Israele”. I fatti sono lì: 1800 + 9000 contro 66, eppure il delirio omicida, per Wlodek Goldkorn, esperto di ebraismo, appartiene ad Hamas. Il direttore, Bruno Manfellotto, con l‟approvazione del titolo avalla la posizione del giornalista. E i crimini contro l‟umanità (in senso “umano” prima che giuridico) dell‟indifendibile Israele sfumano in dissolvenza dietro il sostantivo astratto plurale “errori”.
Che invenzione! La tregua dove non si combatte
Altri esempi che verranno consegnati alla sociologia del linguaggio e un giorno, forse, saranno oggetto di analisi che non farà onore ai portavoce della mistificazione mediatica, li possiamo ricavare dalla burlesca dichiarazione unilaterale e a singhiozzo della tregua umanitaria da parte di Israele. Sicuramente la più esilarante (se dietro non ci fosse tanto sangue innocente) è la dichiarazione di tregua a pelle di leopardo, cioè solo dove non sono in corso operazioni militari né vi sono già posizionati i mezzi dell‟artiglieria occupati altrove. Questa dichiarazione non ha fatto impallidire l‟inviata Rai mentre la comunicava agli spettatori. Non ha temuto il ridicolo mentre parlava di tregua solo là dove Israele non stava già combattendo. Forse è entrata nelle parte tanto bene da non rendersi conto dell‟assurdità di quanto stava riferendo e, altrettanto bene, ha riportato la decisione “incomprensibile” di rifiuto da parte di Hamas.
A questo rifiuto si è alzato il coro, ricorrente come una ola da stadio, dei media che condannano i dirigenti di Hamas accusandoli di utilizzare i civili per mantenere il potere. Di utilizzarli come scudi umani, di non concedere loro la tregua generosamente offerta da Israele. Il copione si è ripetuto più volte. Grazie anche all‟inviata Rai, lo spettatore si è abituato all‟idea che una tregua può essere definita tale anche se applicata solo là dove comunque non si combatte, e a nulla valgono, in quanto non trasmesse al popolo televisivo, le parole di giornalisti o intellettuali israeliani come Gideon Levy, Adam Keller, Amira Hass, Norman Filkenstein, Richard Falk, Uri Avnery e quel folto benché minoritario gruppo di ebrei israeliani, italiani e di tutto il mondo che gridano “vergogna” a Netanyahu e ai suoi sostenitori.
Ma il senso di questa riflessione non è la condanna da parte mia (che do per scontata) dei crimini israeliani. Non è certo neanche la condanna di Hamas, formazione politica con la quale non ho alcuna contiguità di pensiero e so bene quanto la sua crescita sia stata favorita da Israele in funzione anti OLP. Ma non posso condannare Hamas, né alcun palestinese della Striscia, a qualunque formazione politica appartenga, perché il diritto di difendersi e di denunciare al mondo l‟assedio illegale e le violenze ordinarie (non solo quelle di questo periodo) commesse da Israele, che ha reso Gaza un immenso campo di concentramento, forniscono ad ogni gazawo il diritto ad agire contro il suo assediante. Basterebbe applicare il diritto internazionale per rendersi conto che Israele è da deferire a tutti i tribunali e non solo al tribunale Russel che può condannare ma non può dare altre sanzioni che quelle morali.
Tutto questo sembra sfuggire all’attenzione dei nostri media i quali seguitano a fare l’eco alle rivendicazioni israeliane che, andando con ordine, 1) dalla rottura dei negoziati utilizzando strumentalmente la riconciliazione tra forze palestinesi, 2) alla scomparsa dei tre giovani israeliani, 3) all‟arresto di oltre cinquecento palestinesi senza prove d‟accusa, 4) all‟uccisione di ragazzi e bambini durante i rastrellamenti, 5) alla scoperta ufficiale della morte dei ragazzi scomparsi, 6) all‟aggressione massiccia con bombardamenti dal cielo e dal mare per
fermare i razzi di Hamas, 7) al massiccio attacco da terra per spezzare la resistenza o, per dirla con il linguaggio israeliano adottato dai media, “per sconfiggere il terrorismo”, 8) al lanciare false tregue unilaterali e rifiutare quelle chieste dai mediatori, 9) alla dichiarazione di ritiro delle truppe di terra “dopo aver finito il lavoro”, sono sempre state accompagnate dalla violazione della legalità internazionale, sia per l‟uso di armi vietate come le “dime”, sia per gli obiettivi scelti e le modalità, particolarmente crudeli, con cui sono stati colpiti.
La forza delle parole giuste a servizio di una causa ingiusta può essere devastante per ogni comunità che, senza rendersene conto, scivola nella perdita della propria umanità immolando “all‟emergenza” quei valori che dovrebbero essere irrinunciabili e inalienabili. Così abbiamo sentito ripetere la storia degli scudi umani, forse creata ad arte per demonizzare Hamas, ma non abbiamo mai sentito dire da nessuno dei nostri giornalisti della stupidità di Hamas che, se realmente pensa di servirsi di scudi umani deve farlo con chi all‟umanità ci crede e la rispetta e non con chi quegli “scudi” li macella senza pietà. Se Hamas avesse sperato di salvare le vite dei suoi militanti nascondendoli dentro un orfanotrofio, o mettendo i bambini sul tetto, chi sarebbe maggiormente e orrendamente feroce? Chi spera di fermare in quel modo la morte dei suoi uomini o chi non tiene conto della vita, tanto ha un basso peso specifico, e uccide bambini, donne, vecchi inermi senza un filo di umanità?
Potrei dilungarmi sulla differenza strumentale tra soldato e miliziano (spesso sinonimo di terrorista) essendo la qualifica non relativa alla gravità delle azioni compiute, bensì alla regolarità della divisa indossata, che non sempre è possibile avere. Ma mi torna alla mente la frase pronunciata da un “miliziano” algerino nel film di Pontecorvo che ha fatto conoscere a milioni di persone la lotta per l‟indipendenza algerina. La famosa “Battaglia di Algeri” in cui i “terroristi” potevano rispondere alle sofisticate armi francesi solo col terrore. Il terrore non lo condivido, né moralmente né politicamente. Ma cosa rispondere all‟affermazione del “terrorista” che ha visto massacrare migliaia di suoi compagni dalle armi sofisticate del suo occupante, quando sotto tortura e accusato di terrorismo risponde “dateci i vostri elicotteri da combattimento e noi vi daremo i nostri cestini”? A questo porta la negazione dei diritti di un popolo, e chi finge di non saperlo non è solo complice dell‟occupante, ma è anche complice della risposta violenta alla violenza dell‟occupante.
È su questo che m’interessa riflettere con chi difendecomunque Israele. Io non difendo comunque Hamas, ma in questo caso, così come durante i precedenti massacri di gazawi, lo difendo. Chi difendecomunque Israele mi terrorizza per i danni che produce oltre l‟inaccettabile massacro dei palestinesi.
La gara a difesa dell‟indifendibile, mi porta a pensare agli anni terribili studiati nelle ultime pagine dei libri di storia. I giornalisti succubi, o imbavagliati o collusi mi spaventano più dell’esercito di occupazione israeliano. I politici sudditi dei padroni del mondo non mi spaventano meno. Sentire il presidente del Consiglio Renzi, nel suo discorso al Cairo in cui doveva essere super partes, ordinare ad Hamas di liberare immediatamente il soldato “rapito”, dimenticando che in un‟operazione di guerra un soldato è “catturato” e non rapito e, per di più, farlo ignorando le quasi 2000 vittime palestinesi prevalentemente innocenti, fa suonare il terribile campanello d‟allarme contro il razzismo. Il soldato non era né rapito né catturato, era morto in battaglia, ma questo il ministro Renzi non lo sapeva. Non di meno le sue parole riportano a quel diverso peso specifico tra umano e umano che rappresenta un passo pesante, benché involontario, lungo un percorso sotterraneo e inconsapevole, ma proprio per questo particolarmente subdolo, che va a concludersi nel razzismo. Un percorso sotterraneo che c‟investirà tutti, anche se in quest‟occasione mortifica solo il popolo palestinese rendendolo di fatto inferiore, al punto che 1800 morti e 9000 feriti civili, valgono meno di un solo militare israeliano, al quale si restituisce tutta la sua umanità di ragazzo ventitreenne degno di un lungo e commovente servizio in Tv. Si sorvola sul fatto che era un soldato e andava per uccidere, ma si acquisisce come unica e giusta la versione israeliana: il giovane morto è un eroe.
La pietas umana che le nefandezze israeliane non sono riuscite a spegnere in me, mi fa provare dispiacere per questa morte come per le altre. Ma questo giovane è morto mentre andava ad uccidere per una causa ingiusta: conservare l‟assedio di una popolazione. Il responsabile della sua morte, dunque, non è il miliziano che l‟ha ucciso, è il suo governo che l‟ha mandato a combattere per perpetrare una grave violazione del Diritto universale. Se neghiamo l‟evidenza e la ricostruiamo a difesa di uno stato rappresentato da un governo oggettivamente fascista (pur nell‟accezione ampia del termine) stiamo giustificando il cammino verso la barbarie che c‟investirà tutti.
In questa, che speriamo sia l‟ultima fase di un‟operazione di immenso dolore umano e di gravissimo comportamento politico e militare, Netanyahu ha deciso, al di fuori del tavolo dei mediatori, e non per caso, ha deciso unilateralmente che l‟esercito di terra si ritira. Per un attimo noi, donne e uomini sensibili al dolore del mondo, abbiamo gioito. Ma è durato un attimo. Poi sono arrivate le notizie della ritirata. Altri dieci morti, un’altra scuola presa d’assalto, altri morti, altri bambini uccisi. Sono oltre 400, ma non hanno diritto alla ricostruzione della loro vita come il giovane militare ucciso mentre andava per uccidere. Sono troppi. E poi, che si sa di loro? Non hanno lo stesso valore dei loro coetanei, di quelli che vivono oltre il muro della grande prigione a cielo aperto, hanno un peso specifico diverso.
Intanto l’esercito si ritira. La Tv ci fa vedere i soldati felici che cantano. Ma Netanyahu ha detto che “deve finire il lavoro”. Il lavoro è lo smantellamento dei tunnel che passano sotto al muro che assedia i gazawi. Se non ci fosse l‟assedio i tunnel non avrebbero senso di esistere e questo Netanyahu lo sa e lo sanno anche i media che non lo dicono. Ma mentre l‟esercito si ritira passa per i villaggi della Striscia, così come l‟esercito tedesco ritirandosi, settant‟anni fa, passava per i villaggi di Monte Sole. Ai soldati che hanno fatto il massacro di Shajaya era stato detto “andate e vendicate” i vostri commilitoni. L‟hanno fatto. Cosa avrà detto o fatto dire Netanyahu alle truppe in ritirata, visto che arrivano notizie di altre stragi?
Cosa leggeranno i bambini palestinesi e quelli israeliani nei loro libri di storia tra qualche anno? Ci sarà una Marzabotto palestinese a chiudere quest’ultimo massacro? Se i signori che amano Israele comunque riuscissero a fermare Netanyahu, forse i bambini e gli adulti israeliani di domani non avrebbero un motivo in più per vergognarsi del loro passato. I giornalisti di oggi, a parte qualche rarissimo esempio, dovranno invece vergognarsi sempre, ma forse per mantenere il loro posto la vergogna l‟hanno eliminata dai loro sentimenti e anche dalle loro emozioni.
Se la legalità internazionale finalmente farà il suo corso, i gazawi non avranno più motivo di scavare tunnel. In caso contrario quei tunnel li scaveranno ancora e quando riusciranno a uscire saranno feroci, e tutti li dovremo chiamare “terroristi” perché diffonderanno sicuramente il terrore: ogni uomo braccato e ancora ricco della sua dignità di uomo può generare terrore. Anche i versi finali di
una splendida poesia di Darwish lo dicono: “ Io non odio la gente/ né ho mai abusato di alcuno. ma se divento affamato/ La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo./Prestate attenzione!/Alla mia collera/Ed alla mia fame!”
E allora, senza ipocrisie, e guardando oggettivamente i fatti, non possiamo non dire che a Gaza è l’assedio l’origine del male. E’ l’occupazione di territorio palestinese in tutta la Palestina che deve finire. Liberare il popolo palestinese da questo masso di oppressione, tanto crudele quanto illegale, significa dare una vera chance alla Pace, quella giusta e non quella cui si riferiva Tacito parlando di antichi massacri consegnati alla Storia come conquiste.
[1] Israel è il nome acquisito da Giacobbe dopo aver combattuto e vinto contro Dio