venerdì 14 dicembre 2012

Nuovo permesso

Effettiva annessione: Israele ora stampa sui passaporti dei visitatori della West Bank il visto per "Judea and Samaria only"

di Ali Abunimah Poiché l'Autorità Palestinese non ha alcun controllo reale e sovrano sul territorio, chiunque voglia andare in Cisgiordania può farlo solo con il permesso israeliano. Questo include sia i visitatori stranieri sia i migliaia di palestinesi con passaporto di paesi terzi che vivono in o visitano la Cisgiordania. Anche se molti cittadini stranieri vivono e lavorano nella West Bank, non esiste una cosa come un permesso di lavoro che permetta loro di lavorare per le istituzioni palestinesi o per società con sede nei territori occupati della Cisgiordania, o più semplicemente che permetta di vivere in modo sicuro. Così queste persone ricevono dei visti israeliani "turistici" che sono tenuti a rinnovare costantemente e che sono spesso arbitrariamente negati. Centinaia di palestinesi attivisti della solidarietà che sfidano il pugno di ferro di Israele su chi può entrare e uscire in Cisgiordania, sono stati espulsi o si sono visti negare l'ingresso nel corso dell'ultimo anno. Non è solo alla gente comune che viene negato l'ingresso dal regime di occupazione, ma anche a funzionari governativi stranieri che cercano di incontrare l'Autorità Palestinese. Questo è un abuso israeliano che è stato addirittura documentato da missioni diplomatiche degli Stati Uniti nella regione. Vidimatura dei passaporti col timbro "Giudea e Samaria" In passato, un visto israeliano faceva sì che un visitatore straniero o palestinese con passaporto straniero potesse vagare per tutto "Israele" e in tutta la Cisgiordania. Ma, almeno dal 2009, Israele ha iniziato a usare visti per i passaporti dei visitatori verso la Cisgiordania con le parole "Palestinian Authority only", nel senso che il titolare non poteva che spostarsi all'interno della Cisgiordania occupata. Ora, in uno sviluppo nuovo e significativo, Israele ha cominciato a usare visti con le parole "Judea and Samaria only". L'immagine qui sopra mostra il passaporto di Rima Merriman, una docente universitaria palestino-statunitense che insegna letteratura americana alla Al Quds University. L'immagine mostra il timbro "Palestinian Authority only" datato 24 agosto 2012. L'immagine in alto in questo articolo, con il timbro più recente del 26 novembre 2012, mostra il nuovo visto con le parole "Judea and Samaria only". "Judea and Samaria" è il nome ebraico nazionalista che Israele dà alla Cisgiordania occupata per rafforzare le sue false affermazioni rispetto al territorio occupato, per creare una finta patina di legittimità storica e religiosa. L'ultimo cambiamento è un'ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno, che Israele è, senza annunciarlo, l'attuazione di una soluzione razzista dello stato unico in cui non esiste una cosa come uno Stato Palestinese e dove anche "l'Autorità Palestinese" è stata cancellata. Rendere la vita impossibile per le istituzioni palestinesi Merriman mi ha spiegato che le è stato negato per due volte il rientro al Ponte Allenby dalla Giordania nella Cisgiordania occupata. Ogni volta le è stato detto "che stavo entrando a lavorare senza permesso di lavoro", anche se "non c'è modo per un lavoratore accademico internazionale presso un'università palestinese di ottenere un permesso di lavoro". Più tardi è stata in grado di rientrare "attraverso un coordinamento tra l'Ufficio Affari civili dell'Autorità Palestinese" e le autorità di occupazione israeliane, ma con notevole perdita di tempo e di costi. Merriman rileva inoltre che la Al Quds University è l'unica università palestinese che Israele non riconosce perché è l'unica che ha una presenza nella parte orientale occupata di Gerusalemme, che Israele si è illegalmente annessa. Israele non riconosce i diplomi degli studenti, il che rende ancora più difficile la ricerca del lavoro. La natura esplicitamente razzista e discriminatoria di questo regime israeliano può essere vista nel fatto che agli ebrei di ogni nazionalità, non solo è concesso l'ingresso ogni volta che lo desiderano, ma è immediatamente concessa la cittadinanza israeliana, mentre ai palestinesi che vivono lì, o sono esiliati all'estero, anche se nati in Palestina, non è concesso che entrare nel proprio paese come "visitatori" tramite passaporti stranieri, restando soggetti ai "capricci" dell'occupante. (tradotto a cura di PalestinaRossa) < Prec. Succ. > Ultimo aggiornamento Venerdì 07 Dicembre 2012 16:49 Banner DOCUMENTI Palestina Internazionali ARTICOLI Dossier Reportage Interventi Comunicati Stampa Vecchi Documenti NOTIZIE / NEWS Dalla Palestina Dal Medio Oriente Dall'Italia Dal mondo CULTURA Storia e Politica Letteratura Arti Visive Musica Folclore IMMAGINI Foto Video NEWSFEED Italia Palestina Israele Mondo Free Joomla Templates by JoomlaShine.com

lunedì 3 dicembre 2012

A proposito del voto ONU per l’accettazione della Palestina come “stato osservatore”

Il 29 novembre 1947, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottava una risoluzione a favore della spartizione della Palestina storica in due stati, lasciando ai palestinesi il 44% della loro terra. Esattamente 65 anni dopo, il 29 novembre 2012, l'ANP si è appellata all’ONU perché onori quella decisione, limitandosi tuttavia a chiedere uno stato entro i confini precedenti l’occupazione del 1967, ovvero su appena il 22% della Palestina storica stessa. Eco (Rete ebrei contro l’occupazione), condividendo le dichiarazioni della sua omologa di Ejjp Germania, si schiera con forza a sostegno del diritto dei palestinesi alla vita, alla libertà e all’autodeterminazione, del diritto perciò a prendere in mano il loro destino ed essere riconosciuti dalla comunità internazionale. Crediamo che sia un diritto inalienabile. Come cittadini europei, siamo particolarmente preoccupati e indignati da decenni di politica europea che – nonostante atti simbolici e critiche sporadiche – nei fatti ha regolarmente appoggiato Israele sia economicamente che politicamente bloccando qualsiasi sanzione ne contrastasse gli abusi, lasciandogli così carta bianca nella continua occupazione dei territori e nella violazione dei diritti dei palestinesi. Augurandoci che quest’ultimo voto non sia l'ennesimo atto simbolico privo di sostanza, vorremmo ricordare che la complicità nei crimini è a sua volta un crimine. L’Europa ha una responsabilità storica grave nella creazione del problema e dell'oppressione palestinese; dovrebbe quindi adottare finalmente le misure politiche necessarie (soprattutto, sospensione di quegli accordi economico-militari con Israele che ne rafforzano l’occupazione illegale di terre altrui) a determinare una presa di posizione internazionale contro i continui atti illegittimi delle leadership israeliane, la cessazione dell'occupazione e il riconoscimento dei diritti dei profughi. In quanto ebrei, vogliamo anche sottolineare che la creazione di un loro stato è un diritto dei palestinesi e non dovrebbe in nessun modo essere subordinato all’esistenza d’Israele come stato “ebraico”, che attribuirebbe perciò maggiori diritti agli ebrei rispetto agli altri cittadini. Continueremo quindi a batterci per la democrazia e l’uguaglianza dei diritti di tutti gli abitanti dell’area rifiutando qualsiasi legge che favorisca un gruppo a scapito di un altro. Infine come ebrei europei, riteniamo che negare i diritti dei palestinesi non solo non potrà mai servire da compensazione per i crimini commessi in passato contro gli ebrei, ma costituisce per noi un’ulteriore offesa in quanto pensiamo che Israele non abbia titolo di usare gli ebrei – né gli ebrei europei, né gli ebrei israeliani né il loro senso di insicurezza alimentato ad arte – come scudo per giustificare le sue politiche espansionistiche illegali. ECO – Rete ebrei contro l’occupazione 2 dicembre 2012

29 pescatori palestinesi arrestati dall'inizio della tregua e 9 barche confiscate

Accompagnando i pescatori di Gaza - Pubblicato da Rosa Schiano a 22:30 Poco più di dieci giorni dalla fine della guerra. I continui attacchi dei soldati israeliani lungo il confine ed in mare sono continue violazioni degli accordi sul cessate il fuoco. Secondo le negoziazioni (ancora in corso) sul cessate il fuoco, ai pescatori di Gaza sarebbe stato concesso di pescare fino a 6 miglia nautiche dalla costa (mentre prima veniva imposto illegalmente un limite di 3 miglia). Questo allentamento delle restrizioni imposte ai pescatori è davvero un passo importante e ne siamo tutti felici. Tuttavia, 6 miglia non sono sufficienti per i pescatori e non apportano nessuno cambiamento positivo alla loro capacità di sussistenza. Inoltre, si tratta in ogni caso di un limite illegale, perché gli accordi di Jericho (sotto Oslo) concedono ai pescatori di Gaza 20 miglia nautiche dalla costa entro cui poter pescare. Questo limite fu progressivamente ridotto da Israele. Così, lo scorso mercoledì, 28 novembre, insieme ad altri due internazionali, ho accompagnato i pescatori di Gaza nel tentativo di superare il nuovo limite di 6 miglia e poter permettere loro di pescare nelle acque a cui hanno diritto secondo Oslo. Abbiamo raggiunto 8 miglia nautiche dalla costa. Uno dei nostri pescherecci è stato duramente attaccato con armi da fuoco da parte della Marina militare israeliana, mentre ci trovavamo nelle acque di fronte Deir El Balah, la zona centrale della Striscia di Gaza. Il peschereccio attaccato era quello su cui ho accompagnato la maggior parte delle volte i pescatori di Gaza. Eravamo a circa 7,5 miglia dalla costa, il peschereccio era dietro di noi a circa 6 miglia. I soldati hanno iniziato a sparare pesantemente contro il peschereccio. Non posso spiegare il male che ho sentito ad assistere impotente a questa scena,la preoccupazione per i pescatori a bordo ed il dolore per la perdita del peschereccio. I soldati israeliani questa volta non hanno usato cannonate d'acqua, hanno sparato direttamente con armi da fuoco contro i nostri pescherecci. Ecco la foto che ho scattato quando una nave della Marina militare israeliana e due gommoni hanno bloccato il peschereccio, erano circa le 10.00 del mattino. Il peschereccio appartiene a Murad Rajab al-Hessi, ed a bordo vi erano Mohammad Murad al-Hessi (39 anni), Ahmed Murad al-Hessi (32 anni), e Murad Mohammad al-Hessi (18 anni), e Rajab Rashad al-Hessi (36 anni). Navi militari israeliane hanno aperto il fuoco contro il peschereccio, i soldati poi hanno ordinato ai pescatori di saltare in acqua e di nuotare fino ad una nave della marina israeliana. I pescatori sono stati arrestati ed interrogati a bordo. Dopo circa 3 ore, tutti sono stati rilasciati, tranne Mohammad Murad al-Hessi, che è stato trasportato ad Ashdod in Israele ed è stato rilasciato il giorno dopo. Il loro peschereccio è stato confiscato. Nel frattempo altre navi della Marina militare israeliana attaccavano piccole barche dei pescatori. Verso le 8:00 del mattino dello stesso giorno, navi della marina militare israeliana avevano aperto il fuoco direttamente su una barca dei pescatori appartenente a Khader Jamal Baker, 20 anni, mentre si trovava a circa 3,5 miglia dalla costa. La barca è stata distrutta ed il pescatore è stato arrestato ed interrogato sulla barca per circa 3 ore per poi essere rilasciato. Verso le 11:00, navi militari israeliane hanno aperto il fuoco contro un'altra piccola imbarcazione, 3 pescatori erano a bordo. Wafdi Suheil Baker, 24 anni, mentre si trovavano a cira 5 miglia nautiche dalla costa. I soldati hanno sparato al motore della barca ed hanno arrestato i 3 pescatori: Wafdi Suheil Baker, 24 anni, Khaled Suheil Baker, 20 anni, e Mohammad Suheil Baker, 18 anni. Verso le 12:00, navi della Marina militare israeliana hanno aperto il fuoco contro due piccole imbarcazioni di pescatori appartenenti a Mohammad Najib Baker, 60 anni, e Tal'at Kamel Baker, 22 anni, mentre si trovavano a circa 3 miglia nautiche dalla costa. Le loro barche sono state danneggiate dai proiettili. Il giorno successivo, giovedì 29 novembre 2012, verso le 10:15 navi militari israeliane hanno fermato una barca di pescatori a largo delle coste di Beit Lahia, mentre si trovavano a circa 5 miglia. A bordo vi erano 6 pescatori, che sono stati arrestati: Fahed Ziad Baker, 38 anni, Ihab Jawad Baker, 36 anni, Mohammad Ziad Baker, 32 anni, Nai'm Fahed Baker, 16 anni, Ziad Faged Baker, 18 anni, e Ali Alaa Baker, 18 anni. Non si è fermata l'escalation degli attacchi sui pescatori. Sabato 1 dicembre 2012, la Marina militare israeliana ha attaccato altre 3 barche di pescatori, 14 pescatori sono stati arrestati, di cui il più giovane ha 14 anni, e le barche sono state confiscate. I pescatori si trovavano nelle acque di Gaza a circa 3 miglia nautiche dalla costa. Su una prima barca vi erano Ramez Khamis Baker, 41 anni, con suo fratello Rami, 34 anni, e 3 suoi cugini, Bayan Khamis Baker, 17 anni, Mohammed Khaled Baker, 17 anni e Omar Mohammed Baker, 22 anni. Una nave della marina militare israeliana aveva ordinato loro di fermarsi, ed i soldati avevano iniziato a sparare. Successivamente hanno ordinato loro di togliersi i vestiti, di tuffarsi in acqua e di raggiungere a nuoto la nave israeliana. I soldati hanno così arrestato i 5 pescatori e li hanno trasportati ad Ashdod, in Israele, dove sono stati interrogati. Sono stati rilasciati verso le 21.00 e le loro barche confiscate. Successivamente, una nave della marina militare israeliana ha attaccato 2 barche di pescatori appartenenti a Sabri Mohammed Baker,52 anni, e Eid Mohsen Baker, 23 anni. I due uomini stavano pescando a circa 2 miglia nautiche dalla costa quando una nave della marina militare israeliana ha aperto il fuoco contro le barche. I soldati israeliani hanno ordinato ai 9 pescatori a bordo delle due barche di fermarsi, li hanno arrestati, li hanno trasportati ad Ashdod e li hanno interrogati. Verso le 21.00, otto pescatori sono stati rilasciati, mentre Emad Mohammed Baker è stato trattenuto. Le due barche sono state confiscate. Gli altri pescatori che erano a bordo e che sono stati arrestati sono: Ramiz IIzzat Baker, 41 anni, Ramy Izzat Baker, 35 anni, Bayan Khamis Baker, 19 anni, Mohammed Khaled Baker, 18 anni, Omar Mohammed Najeeb Baker, 18 anni, Haitham Talal Baker 28 anni, Ziad Mohanned Baker, 18 anni, Walid Mohsen Baker, 18 anni, Sadam Samir Baker, 22 anni, Abdullah Sabry Baker, 14 anni, Omran Sabry Baker, 18 anni, Imad Mohammed Najeeb Baker, 35 anni. Continuano le violazioni dei diritti umani contro i pescatori di Gaza. Gli attacchi proseguono nonostante le autorità israeliane abbiano annunciato di permettere ai pescatori di pescare fino a 6 miglia nautiche dalla costa. Dall'inizio della tregua, 29 pescatori sono stati arrestati e 9 barche confiscate.

sabato 1 dicembre 2012

Oltre 60 calciatori europei firmano contro Coppa Uefa Under 21 in Israele

http://bdsitalia.org/index.php/altre-campagne/sportivo/549-60-calciatori Oltre 60 giocatori di calcio delle principali leghe europee hanno firmato una dichiarazione che contesta la decisione di svolgere la Coppa UEFA Under 21 del 2013 in Israele. I calciatori affermano che verrà visto come premiare Israele “per azioni che sono contrarie ai valori dello sport.” Nel recente assalto a Gaza sono stati uccisi oltre 100 civili, tra cui 4 ragazzi che giocavano a calcio, e bombardati impianti sportivi. I giocatori hanno anche criticato la detenzione da parte di Israele di due calciatori palestinesi senza capi d’accusa né processo. Tra i firmatari, Frédéric Kanouté , Eden Hazard del Chelsea, Abou Diaby dell'Arsenal, Abdoulaye Baldé della squadra italiana AC Lumezzane e cinque giocatori del Newcastle, Papiss Cissé, Cheick Tioté, Sylvain Marveaux, Yohan Cabaye e Demba Ba. Si intensifica così la mobilitazione in tutta Europa per spostare la Coppa Uefa Under 21 da Israele. A Roma mercoledì scorso, giornata dei sorteggi per gli Under 21, la campagna Cartellino Rosso all’Apartheid Israeliana ha incontrato la FederCalcio per chiedere che la federazione italiana faccia pressione sulla UEFA perché non sia Israele ad ospitare i finali. (Comunicato: http://bdsitalia.org/index.php/altre-campagne/sportivo/543-redcard-federcalcio ) Lo stesso giorno a Londra, sono stata consegnate migliaia di firme raccolte in tutta Europa contro gli Under 21 in Israele, insieme a dichiarazioni di sostegno alla campagna da parte di politici e personalità pubbliche tra cui il regista Ken Loach e l'attrice Kika Markham. (Comunicato: http://jews4big.wordpress.com/2012/11/27/football-stars-rally-in-support-of-palestine/ ) La dichiarazione dei calciatori è stata pubblicata sul sito di Frédéric Kanouté: http://www.kanoute.com/EUROPEAN-FOOTBALLERS-DECLARE-SUPPORT-FOR-PALESTINE_ad-id!35-l!en.ks Di seguito il testo della dichiarazione: Noi, giocatori di calcio europei, esprimiamo la nostra solidarietà al popolo di Gaza che vive sotto assedio e a cui sono negate la dignità umana e la libertà. Gli ultimi bombardamenti israeliani su Gaza, che hanno causato la morte di oltre un centinaio di civili, sono stati un'altra macchia sulla coscienza del mondo. Sappiamo che in data 10 novembre 2012 l'esercito israeliano ha bombardato uno stadio sportivo a Gaza, causando la morte di quattro ragazzi che giocavano a calcio, Mohamed Harara e Ahmed Harara, di 16 e 17 anni, e i diciottenni Matar Rahman e Ahmed Al Dirdissawi. Sappiamo inoltre che dal febbraio 2012 due calciatori della squadra Al Amari, Omar Rowis, di 23 anni, e Mohammed Nemer, di 22 anni, sono detenuti in Israele senza capi d’accusa né processo. È inaccettabile che i bambini vengano uccisi mentre giocano a calcio. Il fatto che Israele ospiti il campionato europeo UEFA Under 21, in queste circostanze, verrà visto come un premio per azioni che sono contrarie ai valori dello sport. Nonostante il recente cessate-il-fuoco, i palestinesi sono ancora costretti a sopportare un'esistenza disperata sotto occupazione: devono essere tutelati dalla comunità internazionale. Tutte le persone hanno diritto ad una vita in dignità, libertà e sicurezza. Ci auguriamo che emergerà finalmente una soluzione giusta. Firmato da: Gael Angoula, Bastia Sporting Club (France) Karim Ait-Fana, Montpellier HSC (France) André Ayew, Olympique de Marseille (France) Jordan Ayew, Olympique de Marseille (France) Demba Ba, Newcastle United (UK) Abdoulaye Baldé, AC Lumezzane (Italia) Chahir Belghazouani, AC Ajaccio (France) Leon Best, Blackburn Rovers Football Club (UK) Ryad Boudebouz, Football Club Sochaux Montbéliard (France) Yacine Brahimi, Granada Football Club (Spain) Jonathan Bru, Melbourne Victory (Australia) Yohan Cabaye, Newcastle United (UK) Aatif Chahechouche, Sivasspor Kulübü (Turkey) Pascal Chimbonda, Doncaster Rovers Football Club (UK) Papiss Cissé, Newcastle United (UK) Omar Daf, Football Club Sochaux Montbéliard (France) Issiar Dia, Lekhwiya (Qatar) Abou Diaby, Arsenal Football Club (UK) Alou Diarra, Olympique de Marseille (France) Soulaymane Diawara, Olympique de Marseille (France) Samba Diakité, Queens Park Rangers (UK) Pape Diop, West Ham United (UK) Abdoulaye Doucouré, Stade Rennais Football Club (France) Didier Drogba, Shanghaï Shenhua (China) Ibrahim Duplus, Football Club Sochaux Montbéliard (France) Soudani El-Arabi Hilal, Vitoria Sport Club Guimares (Portugal) Jires Kembo Ekoko, Al Ain Football Club (United Arab Emirates) Nathan Ellington, Ipswich Town Football Club (UK) Rod Fanni, Olympique de Marseille (France) Doudou Jacques Faty, Sivassport Kulübü (Turkey) Ricardo Faty, AC Ajaccio (France) Chris Gadi, Olympique de Marseille (France) Remi Gomis, FC Valenciennes (France) Florent Hanin, SC Braga (Portugal) Eden Hazard, Chelsea Football Club (UK) Charles Kaboré, Olympique de Marseille (France) Diomansy Kamara, Eskisehispor Kulübü (Turkey) Frédéric Kanouté, Beijin Guoan (China) Anthony Le Tallec, AJ Auxerre (France) Djamal Mahamat, Sporting Braga (Portugal) Steve Mandanda, Olympique de Marseille (France) Kader Manganne, Al Hilal Riyad Football Club (Saudi Arabia) Sylvain Marveaux, Newcastle United (UK) Nicolas Maurice-Belay, FC Girondins de Bordeaux (France) Cheikh M'bengué, Toulouse Football Club (France) Jérémy Menez, Paris Saint-Germain Football Club (France) Arnold Mvuemba, Olympique Lyonnais (France) Laurent Nardol, Chartres Football Club (France) Mahamadou N'diaye, Vitoria Sport Club Guimares (Portugal) Mamadou Niang, Al-Sadd SC (Qatar) Mbaye Niang, SM Caen (France) Fabrice Numeric, FK Slovan Duslo Sala (Slovakia) Billel Omrani, Olympique de Marseille (France) Lamine Sané, FC Girondins de Bordeaux (France) Mamady Sidibé, Stoke City Football Club (UK) Momo Sissoko, Paris Saint-Germain Football Club (France) Cheikh Tioté, Newcastle United (UK) AdamaTraoré, Melbourne Victory (Australia) Armand Traoré, Queen Park Rangers FC (UK) Djimi Traore, Olympique de Marseille (France) Moussa Sow, Fenerbahçe Spor Kulübü (Turkey) Hassan Yebda, Granada Football Club (Spain)

Quattro italiani tra le oltre 50 prominenti figure internazionali che lanciano un appello per l’embargo militare ad Israele

Comunicati del Comitato nazionale palestinese per il boicottaggio (BNC), del PACBI e di BDS Italia Quattro italiani tra le oltre 50 prominenti figure internazionali che lanciano un appello per l’embargo militare ad Israele 01 Dicembre 2012 Share on Facebook In contemporanea con la giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, oltre 50 nomi di prestigio a livello internazionale, tra cui 4 italiani, hanno lanciato un appello che chiama ad "un'urgente azione internazionale perché si arrivi ad un embargo militare totale e obbligatorio nei confronti di Israele." Tale dichiarazione, sebbene motivata direttamente dall’ultima aggressione israeliana contro un milione e seicentomila Palestinesi, che vivono nella striscia di Gaza occupata ed assediata, è anche una reazione alla occupazione militare israeliana, che dura ormai da decenni, e alla continua negazione dei diritti del popolo palestinese, già sanciti dall’ONU. Mentre esprime tutto l’orrore per l’ultimo bagno di sangue che ha causato la morte di 175 Palestinesi, tra cui 34 bambini, la dichiarazione afferma anche che la continua e ripetuta brutalità di Israele è resa possibile grazie alla impunita di cui gode. Ed in particolare sottolinea la complicità degli Stati Uniti, dell’Unione europea, del Brasile, dell’India e della Corea del sud, in quanto tali paesi sono sostenitori determinanti e facilitatori di Israele sul piano militare. L’appello, che è firmato, tra gli altri, dai Nobel per la pace Mairead Maguire e Adolfo Perez Esquível, dal fondatore dei Pink Floyd Roger Waters, dai registi Mike Leigh e Ken Loach, dal premio Pulitzer Alice Walker, dalla notissima scrittrice Naomi Klein e da Stéphane Hessel, sopravvissuto all’olocausto e co-estensore della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948, e per gli italiani da Margherita Hack, Don Andrea Gallo, Vincenzo Vita e Luisa Morgantini, sostiene inoltre che, “[i]l tentativo di Israele di far passare l’uso illegale di una forza militare aggressiva e sproporzionata come "auto-difesa" non regge alle norme legali – o morali—in quanto uno Stato non può invocare l’autodifesa per atti che servono a difendere una situazione illegale da esso stesso determinata. La dichiarazione richiama pertanto l’appello della Società Civile Palestinese di un anno fa affinché si applichi l’embargo militare ad Israele sulla scia di quello intrapreso contro l’apartheid del Sud Africa come mezzo pratico per costringere Israele ad allinearsi al diritto internazionale. Intanto il Governo italiano continua a firmare accordi militari con quello israeliano confermando che l’import e l’export di armi e tecnologie militari sono e saranno l’essenza delle relazioni tra Roma e Tel Aviv, in palese violazione della legge italiana che disciplina il commercio di tecnologie belliche e che vieta le vendite a paesi belligeranti o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali dei diritti umani. E proprio il 2012 ha rappresentato l’anno chiave nei trasferimenti di sistemi d’arma tra i due paesi, per un ammontare di milioni e milioni di Euro. Segue il testo completo dell’appello: È giunto il momento per un embargo militare contro Israele! "Essere liberi non vuol dire solo liberarsi dalle proprie catene, ma vivere in un modo che rispetti e valorizzi la libertà degli altri". -- Nelson Mandela Inorriditi per l’ultima aggressione israeliana contro oltre un milione e mezzo di palestinesi che vive nella Striscia di Gaza assediata e occupata, e consapevoli dell’impunità che ha consentito ad Israele di aggiungere questo nuovo capitolo alle violazioni che attua da decenni nei confronti del diritto internazionale e dei diritti palestinesi, siamo convinti della necessità di un'urgente azione internazionale perché si arrivi ad un embargo militare totale e obbligatorio nei confronti di Israele. Una misura simile è stata l’oggetto di diverse risoluzioni ONU [1] ed è simile all’embargo militare imposto in passato contro l'apartheid in Sudafrica. La belligeranza fuori ogni controllo di Israele e la persistente negazione dei diritti umani fondamentali e dell'autodeterminazione del popolo palestinese richiedono uno sforzo concertato da parte della società civile internazionale per costringere i governi del mondo ad interrompere i legami di complicità. L’impunità ha permesso ad Israele di continuare nell’occupazione, nella colonizzazione e nella negazione dei diritti dei rifugiati palestinesi sanciti dall’ONU. Mentre gli Stati Uniti sono stati il più grande sponsor di Israele, fornendo miliardi di dollari di attrezzature militari avanzate ogni anno, il ruolo dell'Unione europea non deve passare inosservato, in particolare le sovvenzioni pesanti al complesso militare di Israele attraverso i suoi programmi di ricerca. Allo stesso modo, i crescenti legami militari tra Israele e le economie emergenti di Brasile, India e Corea del Sud sono inconcepibili dato che tali paesi appoggiano formalmente la libertà palestinese. I rapporti militari con Israele hanno alimentato implacabili atti di aggressione. Israele continua a consolidare la sottomissione dei palestinesi mentre provoca o inizia conflitti armati con i suoi vicini nella regione. Il tentativo di Israele di far passare l’uso illegale di una forza militare aggressiva e sproporzionato come "auto-difesa" non regge alle norme legali – o morali—in quanto uno Stato non può invocare l’autodifesa per atti che servono a difendere una situazione illegale da esso stesso determinato.[2] Sosteniamo quindi l’appello della società civile palestinese per un embargo militare urgente e totale contro Israele quale efficace misura nonviolenta per fermare le guerre e la repressione di Israele e per ottenere il rispetto da parte di Israele degli obblighi che gli derivano dal diritto internazionale. Questo è diventato ormai un imperativo morale e legale per raggiungere una pace giusta e completa. Note [1] Vedere, per esempio, risoluzione 3414 (1975) dell’Assemblea Generale dell’ONU: "[L’Assemblea Generale] chiede che tutti gli stati desistano dal rifornire Israele con qualsiasi aiuto militare o economico finché prosegua nell’occupare i territori arabi e nel negare i diritti nazionali inalienabili del popolo palestinese." http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=43376#.UKEIxYdyGSo [2] Secondo il principio fondamentale del diritto internazionale, ex injuria non oritur ius (dall’ingiustizia non può nascere il diritto) Prime firme (in ordine alfabetico): Udi Aloni, regista, Israele Anthony Arnove, editore e scrittore, USA Etienne Balibar, accademico, Francia Robert Ballagh, artista e presidente dell’Ireland Institute for Historical and Cultural Studies, Irlanda Walden Bello, accademico, autore e senatore, Filippine Shyam Benegal, regista e sceneggiatore, India John Berger, autore, critico, UK Howard Brenton, drammaturgo e sceneggiatore, UK Judith Butler, accademica, USA Clayborne Carson, Direttore, Martin Luther King, Jr. Research & Education Institute, Stanford University, USA Noam Chomsky, accademico, USA Caryl Churchill, drammaturga, UK Angela Davis, accademica e autrice, USA Raymond Deane, compositore, Irlanda John Dugard, professore di diritto internazionale, Sudafrica Felim Egan, artista, Irlanda Adolfo Perez Esquível, Premio Nobel per la Pace 1980, Argentina Dror Feiler, musicista e artista, Svezia Don Andrea Gallo, presbitero, Italia Charles Glass, giornalista, USA Margherita Hack, astrofisica, Italia Denis J. Halliday, già vice-segretario generale ONU (1994-98), Irlanda Stéphane Hessel, diplomatico, sopravvissuto all’Olocausto e co-autore della Dichiarazione universale dei diritti umani, Francia Tor B Jørgensen, Vescovo, Norvegia Christian Juhl, Parlamentare, Danimarca Ronnie Kasrils, politico, Sudafrica Aki Kaurismäki, sceneggiatore e regista, Finlandia Marcel Khalife, musicista, Libano Naomi Klein, scrittrice e attivista, Canada Paul Laverty, regista, UK Taeho Lee, Segretario Generale, People's Solidarity for Participatory Democracy, Korea del Sud Ken Loach, regista, UK Vibeke Løkkeberg, attrice e regista, Norvegia Mike Leigh OBE, regista, UK (Palm D’Or 1996) Jean-Marc Levy-Leblond, accademico, Francia Mairead Maguire, Premio Nobel per la Pace 1976, Irlanda Michael Mansfield, giurista, UK Miriam Margolyes, attrice, UK Cynthia McKinney, politico, USA Saeed Mirza, regista, India Luisa Morgantini, già vice-presidente Parlamento Europeo, Italia Bjørnar Moxnes, Consigliere, Comune di Oslo, Norvegia Suzanne Osten, scrittrice e regista, Svezia Nurit Peled, professoressa di lingue, Israele John Pilger, giornalista, autore, regista, Australia Ahdaf Soueif, scrittrice, Egitto/UK Alice Walker, autrice, USA Roger Waters, musicista, UK John Williams, musicista, UK Vincenzo Vita, senatore, Italia Slavoj Zizek, filosofo, Slovenia

giovedì 29 novembre 2012

Un pò le bombe un pò la propaganda un pò il razzismo colonialista

Non c'è che dire, Israele ce la mette tutta per gettare fango sulle vittime. Non si accontenta di uccidere, fare stragi e punizioni collettive, le vittime devono risultare colpevoli e Israele un innocente stato che cerca di difendere i suoi cittadini. Non è una novità, solo che ora i mezzi, grazie alla tecnologia si sono raffinati e possono essere usati anche i bambini, tutto fa brodo, anzi questa è proprio una bella mossa! Certo l'educazione comincia dall'infanzia e così mentre io non riesco ad andare nelle scuole a parlare con i ragazzi della Palestina neppure con un libro di racconti, grazie alla complicità degli operatori dell'istruzione o alla loro indifferenza, in Israele sono arruolati i ragazzini in prima persona. Così il mondo si dovrebbe commuovere nel vedere com'è traumatico per un bambino di Askelon o di Sderot vivere con i razzi sulla testa. Lo sarà certamente, ma di questo devono ringraziare il loro governo. Ma se i razzi provocano traumi da stress cosa possono provocare le bombe? Ah, già, quelli di Gaza "non sono come noi" e possono essere sacrificati per la "nostra sicurezza". I bambini di Gaza non hanno bisogno di incursioni per subire traumi da stress continuato, lo subiscono tutti i giorni senza tregua, le bombe oltre ad aumentare i livelli del trauma (ci sono bambini che sono morti di paura) li fanno anche a pezzi. Ma questo non importa quelli non sono bambini che meritano di essere presi in considerazione, ma piccoli futuri terroristi. Non so fino a quando il mondo sarà disponibile ad accogliere queste giustificazioni razziste, colonialiste e disumane. E poi la tecnologia è un'arma a doppio taglio, tweet, video e foto possono raccontare ben altro e lo fanno. Nessuna propaganda razzista e coloniale potrà cancellare l'immagine della casa della famiglia palestinese sterminata e dei quattro piccoli bambini ammazzati. Ministero dell’Istruzione agli studenti delle scuole superiori: aiutate con hasbara di Connie Hackbarth Il Ministero dell’Istruzione israeliano, ha inviato martedì scorso una comunicazione speciale ai presidi delle scuole superiori di tutto il paese, invitando gli studenti a partecipare agli sforzi della propaganda israeliana che riguardano gli attacchi su Gaza. Gerusalemme : monolitico edificio del Ministero dell’Istruzione dal quale è stata inviata agli studenti la richiesta di partecipare alla campagna hasbara di Israele Dalit Stauber, il direttore generale del Ministero dell’Istruzione ha spiegato: “Possiamo conquistare l’opinione pubblica mondiale utilizzando un umorismo affascinante e un linguaggio visivo”. Agli studenti è stato promesso che i lavori selezionati saranno utilizzati dai funzionari israeliani in tutto il mondo e saranno mostrati sul canale educativo televisivo israeliano. I bambini al servizio della propaganda governativa. Secondo un rapporto del sito d’informazione israeliano Ynet, il Ministero dell’Istruzione israeliano ha dato il via ad un’iniziativa congiunta con il Ministero degli Esteri, proponendo di arruolare “decine di migliaia di alunni che possono influenzare l’opinione pubblica mondiale”. Nel comunicato inviato alle scuole superiori di tutto il Paese viene scritto: “Voi siete una parte del pubblico la cui voce vorremmo sentire. Voi siete la generazione dei nuovi media, vi invitiamo a partecipare e ad influenzare l’opinione pubblica mondiale”. Tenendo in considerazione il forte desiderio degli adolescenti di essere socialmente accettati, il Ministero promette che i testi selezionati, le foto, i video ed i tweet saranno utilizzati in tutto il mondo. Paz Azran è una blogger israeliana di 17 anni che vive nella città di Ashkelon. Azran, partecipa attivamente nella propaganda israeliana da 4 anni, come parte di un progetto ufficiale delle scuole superiori. Venerdì scorso, due giorni dopo l’avvio dell’operazione contro i palestinesi della Striscia di Gaza, “Defence Pillar”, Azran è stata contattata dalla campagna nazionale di propaganda della Presidenza del Consiglio dei Ministri: le hanno chiesto di scrivere un blog in lingua inglese, in cui lei avrebbe condiviso con i lettori le su esperienze “dall’inferno”. La ragazza ha riferito a Ynet: “So quanto la storia di un bambino può influenzare le persone in tutto il mondo e penso che ci siano bambini con talento e un forte desiderio di condividere che ci possono aiutare in questo ambito. In primis, mando dei rapporti sul numero di razzi che sono caduti oggi, osservo se succede qualcosa di eccezionale, come il lancio di un missile a Tel Aviv o a Gerusalemme o scuole e case che sono state colpite direttamente dai missili. Il mio scopo è quello di raccontare la mia storia personale e come ci sente a vivere sotto un attacco missilistico”. Il presidente dell’Unione Nazionale della Gioventù, Yuvak Kachlon, ha accolto con favore questa iniziativa. Kachlon ha riferito a Ynet: "Stiamo iniziando una campagna di propaganda per cambiare l'immagine che esiste oggi dello Stato d’Israele, abbiamo l'obbligo di cambiare l'immagine e pubblicare la verità e il lato buono del nostro Paese. Io credo che più si lavora sul tema della propaganda, più si riceverà un sostegno maggiore in tutto il mondo”. La blogger Azran ha detto a Ynet : “Naturalmente ci sono anche delle risposte negative” ai post che pubblica nel suo blog: “Per esempio, in uno dei miei post ho parlato di come una scuola sia stata colpita direttamente da un razzo, e qualcuno ha risposto che anche le scuole di Gaza sono state bombardate. Sono stata molto attenta di spiegare che la ragione di questo è il fatto e le scorte di armi sono nascoste nelle scuole”. (tradotto da Palestina Rossa)

GAZA L'ARMA DEL TRAUMA

GAZA L'ARMA DEL TRAUMA di Nicola Perugini * Nell'operazione «Pilastro di difesa» per la prima volta su Twitter, Facebook e Youtube, l'esercito israeliano ha inviato un flusso incessante di messaggi - uniti alle azioni militari - per dimostrare che ad essere traumatizzati sono solo gli israeliani dei villaggi alla frontiera con Gaza. Per giustificare così, sotto l'aura della scientificità, gli omicidi «mirati» e a questo punto «terapeutici» Il primo tweet dell'esercito israeliano recitava: «Missili innoqui? Un numero sbalorditivo di bambini del sud di Israele soffre ti PTSD (Stress post-traumatico)». Pochi minuti dopo: «Foto: bambini e genitori israeliani dormono in un rifugio anti-missile ad Ashkelon, ieri». Chiaramente, l'uso dei social media durante le guerre sta diventando sempre più diffuso. Tuttavia potremmo chiederci: che cosa c'è dietro la strategia comunicativa che ha accompagnato l'operazione «Pilastro di difesa»? E quale politica del trauma è stata messa in gioco? Per un verso, Pilastro di difesa è stata una battaglia su quali eventi potessero essere definiti come «fatti». Attraverso l'uso di Twitter, Facebook e Youtube, l'esercito israeliano ha fornito informazioni sugli attacchi alle persone, le case, gli edifici pubblici e le infrastrutture palestinesi. Per dargli un'aurea di «fatti», gli attacchi sono stati accompagnati dati, immagini, video e statistiche. Altri messaggi hanno invece cercato di convincere il pubblico che gli assalti israeliani sono stati condotti nel rispetto del diritto umanitario internazionale: «VIDEO: #L'aviazione israeliana annulla un attacco dopo avere visto dei civili vicino all'obiettivo #Gaza». Ma al di là della forma comunicativa che essa ha assunto nell'era dei social media, questa campagna ci dice qualcosa su un altro capitolo della rivendicazione della funzione morale della violenza coloniale. Dobbiamo tenere presente che il fine ultimo di questi messaggi era quello di adornare il presunto diritto di uccidere dell'esercito con un aurea di moralità - cercando allo stesso tempo di «de-moralizzare» la resistenza del colonizzato. Come in questo tweet: «La strategia di Hamas è semplice: usare i civili come scudi umani. Sparare razzi dalle aree residenziali. Accumulare armi nelle moschee. Nascondersi negli ospedali». L'esercito israeliano rivendica spesso di essere «l'esercito più morale al mondo». Questa falsa premessa è stata abbondantemente criticata e smentita, ma al fine di mantenere vivo questo lavoro di demistificazione occorre continuare a prestare attenzione alle nuove forme che la mistificazione assume. Durante «Pilastro di difesa», questa rivendicazione di moralità si è saldata con il riferimento al trauma e alle malattie post-traumatiche. Ne emerge un nuovo assemblaggio che lega ricerca di legittimità morale e politiche del trauma. Uno degli elementi che colpiscono maggiormente di «pilastro di difesa» è il frequente e inusuale riferimento da parte del portavoce dell'esercito israeliano ad alcuni dati sul trauma, come in questo tweet: «Il 75% dei bambini di Sderot, città israeliana bombardata dai missili, soffrono di PTSD». Un link apre un video di Youtube realizzato dall'esercito, in cui le immagini di giovani che cercano un riparo mentre suonano delle sirene vengono montate con alcune interviste. La prima a un militare che afferma: «Nessuno stato democratico accetterebbe una situazione in cui i suoi cittadini soffrono in questo modo». La seconda a un rappresentante delle istituzioni governative di Sderot che cita dei dati sul PTSD tra i bambini. Il sud di Israele viene presentato come una zona soggetta a un'ampia traumatizzazione. I tweet continuano a scorrere, mentre nuovi «omicidi chirurgici» vengono annunciati. Sarebbe un errore considerare questo riferimento allo stress post-traumatico come un elemento completamente nuovo nel dibattito politico. L'esercito israeliano ha da tempo iniziato a rapportarsi con i suoi soldati attraverso le lenti del PTSD. In maniera più generale, la società israeliana ricorre sempre più alla nozione di stress e all'arsenale discorsivo delle politiche del trauma. Una consistente produzione scientifica è emersa negli ultimi decenni e ha messo in correlazione stress, violenza politica e politiche della violenza all'interno del dibattito pubblico israeliano. Il recente attacco contro Gaza ha messo in luce questa saldatura tra sfera scientifica, pubblica e militare. Per esempio, alcuni articoli su quotidiani importanti come Haaretz hanno accompagnato i tweet dell'esercito israeliano, facendo frequente riferimento a questa produzione scientifica sul PTSD nel sud di Israele. In questo quadro, e all'interno del flusso di messaggi e azioni militari di «Pilastro di difesa», l'arma clinica del PTSD e la sua aura di scientificità diventano strumenti per la moralizzazione degli omicidi. Come se a questi ultimi fosse possibile offrire una giustificazione morale in quanto strumenti di riduzione e prevenzione del PTSD. La questione centrale non è quella di negare o dimostrare la presenza del trauma tra gli israeliani che vivono nella prossimità della Striscia di Gaza. Piuttosto, è importante capire come il riferimento a una letteratura scientifica che postula l'esistenza di un trauma diffuso sia trasormato in uno strumento per legittimare l'idea che le vite palestinesi possano essere sacrificate. In questa veste, il trauma assume una sorta di macabra funzione terapeutica. In molti contesti sociali il trauma e il PTSD sono strumenti utilizzati per rivendicare diritti. Ciò che colpisce in questo caso è che il trauma diventi uno strumento discorsivo e pratico per infliggere una punizione collettiva - il diritto a uccidere e «riformattare» la Striscia di Gaza, come hanno affermato alcuni militari. Non possiamo isolare il trauma dal suo contesto di relazionalità coloniale, e dal suo uso come arma contro la popolazione palestinese. In ultima istanza, l'economia morale della violenza - la distruzione e l'uccisione come «prevenzione della sofferenza» e del «trauma» - svela le forme che i discorsi e le pratiche coloniali possono assumere nel presente coloniale israelo-palestinese, e i differenti valori attribuiti alle vite dei cittadini e dei soggetti coloniali: i traumatizzati da proteggere e i soggetti coloniali sacrificabili. * Institute for Advanced Study, School of Social Science, Princeton/Al Quds-Bard Honors College, Gerusalemme

mercoledì 28 novembre 2012

La campagna "Cartellino rosso all'apartheid israeliana" incontra la Federcalcio

La campagna "Cartellino rosso all'apartheid israeliana" incontra la Federcalcio 28 Novembre 2012 Share on Facebook COMMUNICATO STAMPA Oggi, mercoledì, 28 novembre, giornata del sorteggio a Tel Aviv per la Coppa UEFA Under-21 2013, si è svolto un presidio davanti alla sede nazionale della Federazione Italiana Giuoco Calcio per esigere che il campionato venga spostato da Israele. Il presidio è stato organizzato dalla campagna "Cartellino rosso all'Apartheid israeliana", ed una delegazione è stata ricevuta dal Direttore Generale di Federcalcio Antonello Valentini, insieme all'Ufficio stampa. Nell'incontro è stato chiesto di fare pressione sulla UEFA affinché ad Israele non sia concesso il privilegio di ospitare il campionato, sottolineando che qualora questo avvenisse contrasterebbe fortemente con tutti i principi dello sport dato che Israele occupa militarmente da decenni i territori palestinesi, ponendosi di fatto al di fuori dalla legalità internazionale. E stato ricordato che i recenti bombardamenti su Gaza, oltre ad aver provocato 174 morti, quasi tutti civili, tra cui molte donne e bambini, hanno distrutto anche uno stadio di calcio e gli uffici del Comitato Paraolimpico palestinese. La delegazione ha ringraziato la Federcalcio per la sensibilità dimostrata lo scorso giugno durante lo sciopero della fame di 92 giorni di Mahmoud Sarsak, calciatore della nazionale palestinese detenuto senza capi d'accusa per tre anni nelle prigioni israeliane, ricordando che Sarsak e le organizzazioni sportive palestinesi chiedono che il campionato Under 21 venga spostato da Israele. Il Direttore Generale Valentini ha sottolineato l'impegno per la Palestina che la Federcalcio ha dimostrato negli anni, ricordando in particolare l'accordo di collaborazione firmato con la Palestinian Football Association nel 2011. A maggior ragione, la delegazione ha ribadito, che la Federcalcio all'interno della UEFA deve essere coerente con questo impegno e fare pressione affinché l'immeritato onore venga tolto a Israele. Valentini ha assicurato ai presenti che avrebbe fatto arrivare le richieste della Campagna alla UEFA, anche in occasione del sorteggio di stasera a Tel Aviv. È stato consegnato un disegno del vignettista Carlos Latuff e si è ribadito che la campagna proseguirà fintantoché la UEFA non si sarà convinta a spostare il campionato. Il presidio di Roma rientra in una giornata europea di azioni. A Londra sono state consegnate migliaia di firme raccolte in tutta Europa insieme a dichiarazioni da parte di politici e personalità pubbliche tra cui il regista Ken Loach e l'attrice Kika Markham. Anche in Francia, è in corso una raccolta firme tra noti sportivi che dichiarano che consentire a Israele di ospitare i campionati Under 21 equivale a premiarlo "per azioni contrarie ai valori dello sport". NoU21inIsraele@gmail.com http://bdsitalia.org/index.php/campagne/altre/sportivo http://redcardapartheid.weebly.com/ http://cartonrougeapartheidisrael.weebly.com

martedì 27 novembre 2012

Val la pena di essere equanimi?

di Paola Caridi Val la pena di essere equanimi? Era il titolo di un commento scritto sulla prima fase della guerra dei Balcani da uno dei miei più cari e mai dimenticati amici, Mauro Martini, grande slavista, morto nel 2005. Val la pena di essere equanimi? Val la pena di mettere sullo stesso piano i due contendenti, insomma, e dire che sono uguali, che hanno uguali colpe e uguali ragioni? Eppure è una domanda cruciale, non solo dal punto di vista meramente politico, ma dal punto di vista etico. Se valga la pena, oggi, di fronte a quello che sta succedendo a Gaza, e sottolineo a Gaza, essere equanimi. Non voglio più fare paragoni. Non voglio più paragonare un razzo sparato da Gaza con un raid aereo su Gaza. Non voglio più sprecare energia a soppesare gli oltre 800 razzi sparati da Gaza con gli oltre 1300 “obiettivi” colpiti dai caccia israeliani dentro la Striscia di Gaza. Non voglio più discutere se la massa della popolazione palestinese di Gaza, sotto assedio da così tanti anni che ce ne siamo dimenticati, sia ostaggio del regime di Hamas, in una striscia di terra di 400 chilometri quadrati in cui si è ostaggio solo della propria disperazione. E della impossibilità di scappare, di scappare in un rifugio (inesistente) o in un campo profughi. Gaza, dal 1948, è già stata trasformata in un enorme campo profughi, e solo chi non c’è mai stato può pensare a Gaza come a un posto normale, in cui ci sono città, campagna, caserme, sedi di governo, tutte suddivise, tutte distanti, e non invece accatastate, affastellate, mescolate… Non voglio più essere equanime, se l’equanimità significa ingiustizia. E lo dico dopo aver colloquiato con i miei amici israeliani a Tel Aviv, che le sirene dell’allarme le sentono. Non voglio più essere equanime, se equanimità significa ipocrisia (della comunità internazionale) senza costrutto, mancanza di qualsiasi strategia per il mondo arabo post-rivoluzioni, incapacità di dire al proprio alleato (Israele) che non è permesso fare qualsiasi cosa. Compreso colpire in cinque giorni oltre 1300 obiettivi (e non sono stati tutti obiettivi militari, come dimostra l’ultimo ‘episodio’, il massacro di una intera famiglia, 12 persone, tra le quali 4 bambini), uccidere circa 90 persone di cui buona parte civili, ferirne altre mille, terrorizzare oltre un milione e mezzo di persone con decine e decine e decine di raid ogni notte. Ho vissuto in Medio Oriente (e soprattutto a Gerusalemme) troppo a lungo perché mi si possa dire che è tutta colpa dei palestinesi e tutta colpa di Hamas. Ho dovuto lottare, nel 2005, perché non si dicesse (come invece si è detto) che Ariel Sharon era un fine stratega, e aveva capito come risolvere il conflitto israelo-palestinese ‘disimpegnando’ Israele da Gaza: ha fatto solo l’ennesimo, l’ultimo danno che poteva fare, tentando ancora una volta di spaccare Gaza dalla Cisgiordania, e dividere la Palestina. Ho dovuto lottare, per tutto il 2006 e il 2007, da Gerusalemme, per far comprendere che non si poteva caldeggiare le elezioni palestinesi, mandare 800 osservatori internazionali, e poi dire che si era sbagliati perché aveva vinto Hamas. Bisognava anzi, pragmaticamente, sfruttare questa occasione per sostenere l’ala pragmatica di Hamas e ‘blindarla’ in una cornice istituzionale. No, non l’abbiamo fatto. Anzi, per quanto possibile siamo riusciti anche a far emergere l’ala più dura, perché così potevamo continuare a usare le categorie precedenti e bearci di un processo di pace man mano avvizzito, consunto, comatoso. E ora definitivamente morto. Così, abbiamo continuato a leggere la realtà mediorientale secondo una trita visione orientalista che le rivoluzioni del 2011 hanno spazzato via. Ora, parliamo con i Fratelli Musulmani come se niente fosse, dopo averli emarginati per decenni: facciamo affari con loro, chiediamo la loro mediazione (egiziana) su Gaza e siamo diventati più realisti del re. Perché non ci siamo attrezzati prima, siamo stati travolti, e ora facciamo i Realpolitiker di basso cabotaggio. Non sono equanime, su questa ultima, inutile, vergognosa guerra su Gaza. Ne va della mia dignità, e della mia saldezza morale.

domenica 25 novembre 2012

Una lettera di Giorgio Forti

Care/i compagne/i, amiche/i, sono completamente d'accordo con Franca Bastianello sul significato della marcia silenziosa, che potrebbe poi essere seguita da un comunicato stampa, e vi invito a partecipare a questo modo efficace di manifestare una forte solidarietà in un modo originale rispetto al "gridare la propria rabbia": questo gridare non giova per nulla ai Palestinesi di Gaza, dei Territori Occupati ed a quelli dei campi profughi, che non bisogna mai dimenticare. Il gridare la propria rabbia non riesce a comunicare nulla ai nostri concittadini, ancora numerosissimi, che non hanno alcuna consapevolezza della tragedia che si svolge, da oltre 65 anni, in Palestina e dintorni; non ha alcun effetto sui nostri governanti italiani ed europei, colpevolmente complici della tragedia palestinese. Il permanente gridare ed indignarsi solo verbalmente fa danno anche a chi grida, perchè¨ impedisce la riflessione sul che fare in pratica, oltre al gridare, per elaborare conoscenza approfondita dei problemi reali da affrontare. Stiamo elaborando una proposta politica, che comunicheremo appena elaborata in modo soddisfacente. Una premessa è la riflessione sul fatto che se i 4 miliardi di dollari che nel 2013 gli USA hanno stanziato per armi e tecnologie militari a favore di Israele, ed i non so quanti miliardi che i Paesi europei, tra cui l'Italia, e l'Unione Europea hanno stanziato per armi ( vedere i trattati di "cooperazione" militare con Israele) e per contratti privilegiati con Israele, venissero investiti per sviluppo di attività industriali ed agricole in Palestina, si risolverebbe il problema del Ritorno dei profughi Palestinesi alla loro Terra, e avanzerebbe ancora un sacco di soldi. Un simile piano deve essere studiato da esperti: potrebbe includere il temporaneo permesso di soggiorno e di lavoro in Europa di una parte dei profughi Palestinesi, nell'attesa che la Palestina sia attrezzata per accoglierli, perchè¨ non è¨ possibile portare in pochi mesi i circa 5 milioni di profughi Palestinesi in case che non esistono ancora prima di averle costruite e messo la Palestina in condizione di dar lavoro, acqua e strutture a tutto il popolo che torna. Israele ha finora bloccato con ogni mezzo il ritorno dei profughi sul territorio che controlla, contravvenendo alle deliberazioni delle Nazioni Unite ed al Diritto Internazionale, oltrechè¨ all'etica politica; sarebbe ad ogni modo impossibile sistemarli tutti in Cisgiordania, che viene continuamente espropriata dai coloni israeliani, per non parlare della sovraffollata Gaza. Gli USA e l'Europa avrebbero così¬ modo di rimediare in qualche misura alle loro terribili colpe: pensate, per quanto riguarda noi europei: la responsabilità della Shoa e dell'aver voluto imporre ai Palestinesi, già dominati colonialmente dall'Inghilterra tra le due Guerre, l'inaccettabile ingiustizia di cedere la loro terra, l'unica a loro disposizione dove hanno diritto di vivere liberi ed indipendenti, agli Ebrei fuggiti dall'Europa. Israele, riconoscendo il Diritto al Ritorno dei profughi e cessando l'occupazione e l'assedio di Gaza, rimedierebbe almeno in parte alle sue pluridecennali, gravissime colpe verso i Palestinesi, avviando in modo pacifico e, nel tempo lungo, si spera amichevole, la sua convivenza tra i popoli del Medio Oriente, facendo anche da ponte tra la civiltà europea a cui gli Ebrei hanno contribuito e quelle civiltà del Medio Oriente alle quali tutti siamo legati, in vari modi. Rivolgiamoci dunque ai nostri amici Arabi ed Ebrei, e anche, con la più grande fermezza, ai nostri governi europei, nazionali e comunitari, che insieme agli USA sono responsabili dell'aver tollerato, appoggiato ed armato le infami persecuzioni di Israele contro i Palestinesi, perchè, tutti, abbandonino le ideologie nazionaliste e colonialiste, anacronistiche e sanguinarie (pensate solo ai 55 milioni di morti ammazzati della seconda guerra mondiale!), prive di avvenire in una storia dell'Umanità che si vuole veder progredire verso una civiltà solidale su scala mondiale. E' necessaria l'accettazione di queste responsabilità da parte dell'Italia e dell'Europa: diciamolo ai nostri governanti, e facciamo pesare questa richiesta alle imminenti elezioni: chi si vuol candidare a governarci si esprima chiaramente riguardo a questo problema. Il nostro voto ne sia condizionato! Io non potrಠesser presente alla manifestazione di Venezia ( abito a Milano, ed abbiamo anche qui manifestazioni ed eventi). Ma vi invito tutti ad aderire solidalmente, uniti, alla manifestazione così¬ come Franca ed i suoi amici la hanno pensata: è¨ ora di abbandonare le sterili divisioni della sinistra italiana, ed agire uniti contro il nemico, che è fortissimo. Fraterni saluti, Giorgio Forti (Membro di ECO)

sabato 24 novembre 2012

La casa della famiglia Al Dalou sterminata dai bonbardamenti israeliani

Raccontare questa guerra di Gaza.

E’ incredibile osservare le centinaia di giornalisti stranieri e locali che raccontano questa guerra. di Sherine Tadros Nel 2008, Israele e l’Egitto chiusero le frontiere e confinarono i giornalisti ai margini del conflitto che si svolgeva nella Striscia di Gaza: Io e Ayman Mohyeldin (oggi corrispondente affari esteri della NBC) eravamo gli unici a descrivere al mondo che cosa stava succedendo. Non potevamo raccontare ogni sciopero, ogni tragedia; non potevamo essere ovunque e non siamo stati svegli 24 ore al giorno. In questi giorni invece, Gaza è sotto i riflettori: per via dei social media, della stampa, radio e TV – non c’è la possibilità di ignorare quel che infuria all’interno. Ho le mie teorie sul motivo per cui Israele questa volta ha deciso di non bloccare i giornalisti, ma tutto ciò sarà oggetto di un altro articolo. Gaza non è una storia particolarmente difficile da raccontare; tutto sta accadendo attorno a noi. Il problema principale dei giornalisti che devono raccontare che cosa succede qui è lo sbilanciamento del conflitto: non ci sono paragoni tra Israele e Gaza, tra i combattenti palestinesi e l’esercito israeliano, tra i razzi e i missili. Ma è proprio questo che mette in difficoltà i giornalisti. Ci insegnano a essere neutrali, imparziali, equilibrati. Ma questo non è un conflitto equilibrato e, nel tentativo di appianare le differenze, alcuni finiscono per raccontare una cosa sbagliata o incompleta. Questa settimana, una giornalista televisiva che rispetto e ammiro si è rivolta al collega in studio parlando dell’”assedio israeliano di Gaza, come lo chiamano i palestinesi”. Era nel centro di Gaza mentre le forze di terra di Israele circondavano la Striscia, le navi da guerra accerchiavano la costa e i droni e gli F16 pattugliavano i cieli. Se mai c’era stato un momento in cui si poteva dire che Gaza era sotto assedio, era quello. Eppure il bisogno di apparire equilibrata le ha impedito di dire la chiara, fredda verità. Di fronte al conflitto arabo-israeliano, i mezzi di informazione si sentono obbligati a neutralizzare gli avvenimenti per non suscitare polemiche o urtare sensibilità, a disumanizzare gli eventi per paura di mostrare compassione o, peggio ancora, simpatia verso i palestinesi, che equivarrebbe a un suicidio professionale. Ma evitare di esporsi e di dire le cose come stanno è un tradimento della verità e del giornalismo. Ecco alcuni fatti fondamentali che spesso sono omessi dai giornalisti. Hamas non è Gaza: a Gaza vivono più di un milione e mezzo di palestinesi. Ci sono madri e padri e fratelli e bambini. C’è gente che non si interessa di politica. Gaza è una società, non un rifugio di terroristi. Le parole Gaza e Hamas non sono intercambiabili. Hamas governa Gaza, ma non ci sono scuole, caserme o ministeri di Hamas. Sono definizioni usate da Israele per giustificare gli attacchi. Molti, anche se non la maggior parte di coloro che lavorano in queste istituzioni, non sono membri dell’organizzazione di Hamas. C’è pure differenza tra un membro di Hamas e un combattente palestinese. Un’altra distinzione così spesso trascurata. Il problema più pericoloso per il giornalismo di questi tempi è il concetto di bersaglio legittimo. Una casa in cui vivono dieci persone, compresi bambini, donne e anziani viene colpita da un missile. Tutti muoiono. All’inizio c’è una reazione indignata, ma poi l’esercito israeliano rende noto che l’obiettivo era un “esponente di Hamas”. Di colpo la notizia è raccontata in un altro modo. Il particolare dell’esponente di Hamas è incluso in tutti i servizi senza discutere né contestualizzare: ora è tutto a posto, perché prima l’avvenimento era troppo sbilanciato, troppo rischioso per riportarlo; la notizia sembrava troppo brutta per essere vera (sebbene nel 2008, Israele avesse bombardato casa Samouni uccidendo oltre 25 persone della stessa famiglia). Che qualcuno si fermi e domandi: anche se ci fosse stato un esponente di Hamas dentro casa, è giustificata l’uccisione di dieci civili innocenti per eliminare una persona che è, ovviamente, sotto sorveglianza israeliana? Non è proprio quello che ha evidenziato il Rapporto Goldstone? Quando decide di colpire, Israele ha la possibilità di scegliere se questo attacco vale il vantaggio che ne ottiene – se l’obiettivo è quello di far fuori il bersaglio perché non realizzarlo in un altro momento quando non è insieme a tutta la sua famiglia? Se la situazione fosse invertita e combattenti palestinesi colpissero la casa di un comandante dell’esercito israeliano, uccidendo lui, la madre, la moglie e i quattro figli, i mezzi di informazione accetterebbero tanto ciecamente la motivazione che questo era un bersaglio legittimo? La mancanza di contesto è determinante. I razzi di Hamas non sono una reazione all’ultimo missile caduto, ma a sei anni di assedi, assassini e segregazione. I missili di Israele non sono una risposta ai razzi sparati oggi su Ashkelon, ma agli anni di razzi lanciati contro le comunità del sud del paese. A innescare questa guerra non è stato un omicidio: lo scoppio del conflitto era prevedibile almeno da due anni e mezzo. Quel che in fondo c’è da chiedersi è quando finirà tutto questo. La risposta più semplice è che presto ci sarà una tregua: come in tutte le altre guerre israeliane, ci sarà quando Israele riterrà di aver portato a termine la missione e aver punito abbastanza Gaza. E in questo caso voglio dire proprio Gaza. Sherine Tadros è corrispondente di AlJazeera English dal Medio Oriente

ROMA PER LA pALESTINA

IL CESSATE IL FUOCO NON BASTA. LA PALESTINA DEVE ESSERE LIBERA I bombardamenti contro la popolazione di Gaza, per la gran parte inerme, sono stati sospesi, ma hanno lasciato dietro di se uno strascico di morte e distruzione: 170 morti, la maggior parte civili, molte donne, molti bambini, 1500 feriti di cui alcuni gravissimi e altri che resteranno disabili a vita. Inoltre continuano l’assedio e l’embargo. Dice Noam Chomsky, il grande linguista, filosofo e attivista: “Israele ha usato sofisticati jet da attacco e navi da guerra per bombardare campi profughi densamente popolati, scuole, abitazioni, moschee e quartieri poveri; per attaccare una popolazione che non ha aviazione, contraerea, armamenti pesanti, unità di artiglieria, blindati (...). E la chiama guerra. Ma non è guerra, è un assassinio” Non credete a coloro che vi dicono che Israele ha fatto questo per difesa: non è vero perché Israele occupa e chiude la Palestina, e Gaza è una parte della Palestina, da oltre 64 anni, dopo averne scacciato gli abitanti che da sempre vi risiedevano. E ora sta cercando di cacciare ed uccidere quanti non era riuscita a cacciare ed i loro discendente: quindi Israele non sta affatto difendendosi da coloro che sta occupando, ma sta scientemente portando avanti una vera e propria pulizia etnica. Di questo ed altri massacri sono responsabili soprattutto gli Stati Uniti e l’Europa, inclusa l’Italia, che spende centinaia di milioni di euro ogni anno per comprare e vendere armamenti da Israele mentre in Italia si tagliano i salari, si nega il futuro ai giovani, si abbattono i servizi sociali e sanitari. Ed il Governo Monti in particolare, che durante i bombardamenti ha tenuto a sottolineare il suo totale sostegno ad Israele ignorando il massacro È il governo israeliano il vero pericolo, perché spinge verso la militarizzazione del Mediterraneo, trascinando i popoli dell'area in una pericolosa escalation di guerra. Mentre siamo a fianco del popolo palestinese e condanniamo le politiche militariste e liberticide del governo israeliano, altrettanto netta è la nostra condanna nei confronti di qualsiasi forma di antisemitismo e di razzismo. Libertà e Indipendenza per tutto il Popolo Palestinese Fine dell’occupazione dei Territori Palestinesi Occupati Fine dell’assedio di Gaza e apertura di tutti i varchi di terra e di mare Roma per la Palestina

Antisemiti mai.

COMUNICATO STAMPA Antisemiti mai. Venuti a conoscenza del fatto che un gruppo di tifosi di calcio, durante la partita col Tottenham ha esposto uno striscione con scritte antisemite accompagnate da un FREE PALESTINE, condanniamo risolutamente l’uso strumentale della causa palestinese a supporto di ideologie antisemite e/o fasciste con cui non abbiamo niente da condividere nel modo più assoluto. Il nostro impegno per una Palestina libera, laica e democratica c’impone di prendere posizione contro qualunque strumentalizzazione e, soprattutto, contro qualunque forma di razzismo antisemita e specificatamente antiebraico. Ai tanti che lo ignorano vogliamo inoltre ricordare che anche il popolo palestinese è semita, a prescindere dalla cultura o dal credo religioso che pratica. La nostra critica serrata e inequivocabile contro il governo israeliano e contro le azioni criminali di cui si macchia il suo esercito, non accetta confusioni possibili con chi utilizza la giusta causa palestinese per macchiarsi di antisemitismo. Tutta la nostra solidarietà a chi è stato offeso, in quanto ebreo, dalla rozzezza tipica dell’ignoranza fascista. Solidarietà che non offusca minimamente la nostra critica contro chi appoggia l’operato del governo sionista sul piano legale e/o su quello militare verso il popolo palestinese. Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus Patrizia Cecconi Presidente Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese

giovedì 22 novembre 2012

E LA CHIAMANO «GUERRA»

di Noam Chomsky L'incursione e i bombardamenti su Gaza non puntano a distruggere Hamas. Non hanno il fine di fermare il fuoco di razzi su Israele, non puntano a instaurare la pace. La decisione israeliana di far piovere morte e distruzione su Gaza, di usare armamenti letali degni di un moderno campo di battaglia su una popolazione civile largamente indifesa, è la fase finale di una pluridecennale campagna per fare pulizia etnica dei palestinesi. Israele usa sofisticati jet da attacco e navi da guerra per bombardare campi profughi densamente popolati, scuole, abitazioni, moschee e slum; per attaccare una popolazione che non ha aviazione né contraerea, armamenti pesanti, unità di artiglieria, blindati (...). E la chiama guerra. Ma non è guerra, è un assassinio. Quando gli israeliani nei territori occupati dicono che si devono difendere, si difendono nel senso che ogni esercito occupante deve difendersi dalla popolazione che sta schiacciando. Non puoi difenderti, quando stai occupando militarmente la terra di qualcun altro. Questa non è difesa. Chiamatela come volete, ma non è difesa.

mercoledì 21 novembre 2012

Comunicato della rete ECO

Pubblicato su Il Manifesto, il 21/11/2012) La Rete Ebrei contro l’Occupazione (ECO) chiama tutti coloro che si schierano per Giustizia, Libertà, Indipendenza e Pace ad esprimere il loro sdegno e la loro concreta opposizione alla strage condotta da Israele nella Striscia di Gaza. I furiosi attacchi condotti ormai da parecchi giorni contro Gaza con la moderna tecnologia di guerra Israelo-americana hanno già causato decine di morti e centinaia di feriti, per la maggior parte civili, oltre ad ingenti danni. Chiediamo che la strage sia subito fermata: lo chiediamo anzitutto ai governanti di Israele, responsabili della strage e distruzione, ed ai governi che appoggiano questa azione criminale: quelli degli Stati Uniti, dei Paesi occidentali, al nostro governo italiano che ha il dovere di agire, direttamente ed in cooperazione con la Comunità Europea. Su scala europea la azione potrebbe essere più efficace, se utilizza i mezzi forti. Chiediamo anzitutto, la immediata sospensione, a) di ogni collaborazione militare con Israele finchè esso non abbia cessato l’aggressione e l’assedio di Gaza, che impedisce l’accesso dei soccorsi umanitari oltre che strangolare l’economia degli abitanti, e la ricostruzione di quanto distrutto in questi giorni e durante la aggressione di 4 anni orsono. b) la sospensione dei contratti di scambio privilegiati di cui Israele beneficia in molti campi. La aggressione a Gaza è solo l’ultima manifestazione di una politica ostile e oppressiva che Israele attua, nel modo più crudele e sprezzante per i valori umani e civili, sin dalla sua nascita: fin da quando, cioè ha avuto origine lo stato di ingiustizia dovuto alla cacciata dalla loro Terra dei Palestinesi, di cui Israele non ha mai riconosciuto il Diritto al ritorno, pur proclamato dalle Nazioni Unite. Israele ha la responsabilità di aver agito ed agire in dispregio anche dei valori che pure hanno, nei secoli passati, caratterizzato la cultura Ebraica. Per questo, ci rivolgiamo anche alle Comunità Ebraiche, in Italia e nel mondo, perche intervengano con voce che potrebbe essere autorevole nei riguardi di Israele, se chiaramente espressa senza concessioni all’idolatra nazionalismo sciovinista. ECO si unisce a chi, associazioni e singoli cittadini, ha a cuore giustizia, libertà e pace, per manifestare a sostegno dei palestinesi colpiti così ferocemente da un’aggressione che nulla può a vantaggio della sicurezza dei cittadini di Israele.

APPELLO rivolto alle Istituzioni nazionali e internazionali

L’associazione umanitaria Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus attenta e addolorata per quanto sta succedendo nella Striscia di Gaza, rivolge alle Istituzioni nazionali e internazionali l’accorato appello ad assumere posizione affinché la situazione di profonda ingiustizia da cui nasce questo ennesimo massacro abbia fine. NESSUNO può fingere di ignorare che la sicurezza è figlia della giustizia e del diritto delle genti NESSUNO può invocare, quindi, il “diritto alla sicurezza” di Israele se non vengono rimosse le cause prime che minano questo diritto e che negano totalmente lo stesso diritto al popolo palestinese. L’associazione Amici della MRP chiede, pertanto, a tutti gli organismi dell’ONU, ai Parlamentari europei, alle Istituzioni italiane che svolgono il loro compito in nome della Costituzione italiana e dei Principi fondamentali che l’hanno ispirata , di fare tutto quanto possibile affinché la giustizia abbia finalmente il posto che le compete avviando, così, un reale percorso di pace. Solo questo potrà porre fine alla violenza israeliana la quale non può non richiamare la violenza di alcuni gruppi palestinesi che, a fronte degli attacchi armati che subiscono, hanno scelto forme di resistenza armata che possono aver fine solo se viene abrogata logica della forza e sostituita con la ricerca della giustizia. La Striscia di Gaza si trova sotto assedio illegale israeliano da 6 anni, dopo una durissima occupazione militare; la Cisgiordania si trova sotto occupazione da 45 anni; l’illegale muro che ruba terra ai palestinesi avanza da oltre 10 anni; il diritto al ritorno dei palestinesi cacciati dalle loro case - diritto sancito dall’ONU - giace inascoltato da 64 anni; gli insediamenti illegali dei cosiddetti coloni avanzano senza che nessuna sanzione internazionale possa fermare Israele; le violenze dei coloni e dell’esercito israeliano sono all’ordine del giorno; i pescatori di Gaza vengono Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus C.F. 90054650586 Sede legale V.le dei Consoli n. 11 – 00175 ROMA - Sede operativa Via B. Orero n. 59 – 00159 ROMA Tel/fax (+39)06.76962041 – 06.5880187 Mobile (+39) 345.7250308 – 347.9013013 Contatti mail: info@palestinamezzalunarossa.org – amicidellapalestina@gmail.com cannoneggiati e spesso feriti o uccisi mentre pescano nelle loro acque, mentre le navi che portano aiuti alla popolazione stremata vengono fermate e sequestrate in acque internazionali dalla marina israeliana. In questo quadro di totale illegalità, arroganza e sopraffazione non ci si può stupire che gruppi senza più speranza nella legalità internazionale decidano, in linea con l’art. 51 della Carta dell’ONU, di rispondere alla violenza con la violenza. Come fermare questa spirale? Ai droni e agli F16 che bombardano quotidianamente la Striscia, la resistenza armata di Gaza risponde con i lanci di razzi, meno potenti ma altrettanto portatori di terrore e talvolta di morte, come successo pochi giorni fa nel sud d’Israele. Non sarà la disparità di armi a fermare gli aggrediti, né tantomeno gli aggressori. Solo l’autorevolezza accompagnata dalla forza sanzionatrice dell’ONU e dei “governi del mondo” può dire a Israele BASTA e, quindi, fermare la spirale di violenza. Se questa, come noi crediamo, è la premessa corretta da cui partire, la conseguenza per garantire la sicurezza di Israele non può che essere l’abbandono dell’illegalità dell’assedio e dell’occupazione. Israele deve porre fine allo Stato di guerra con Gaza instaurato unilateralmente da quando ha dichiarato Gaza “entità ostile” e restituire alla popolazione di Gaza l’accesso al godimento dei diritti fondamentali contemplati dai trattati internazionali In questo contesto è di fondamentale importanza che la comunità internazionale appoggi l’azione del Presidente Abu Mazen volta ad ottenere il riconoscimento dello Stato di Palestina come Stato, benché non membro, da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU. Il riconoscimento della Palestina come Stato è condizione imprescindibile per fermare la spirale di violenza in nome della giustizia, lo è perché permetterebbe di portare Israele davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, cosa possibile solo come Stato riconosciuto, e non come semplice “entità”. Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus C.F. 90054650586 Sede legale V.le dei Consoli n. 11 – 00175 ROMA - Sede operativa Via B. Orero n. 59 – 00159 ROMA Tel/fax (+39)06.76962041 – 06.5880187 Mobile (+39) 345.7250308 – 347.9013013 Contatti mail: info@palestinamezzalunarossa.org – amicidellapalestina@gmail.com Per questo chiediamo di sostenere la RICHIESTA che, in quanto tale, non può essere definita dichiarazione unilaterale e che Abu Mazen presenterà il 29 novembre all’Assemblea Generale dell’ONU. Lì si potrà vedere chi si schiera realmente per favorire una pace giusta e chi si schiera per mantenere sempre vivo un conflitto che fa vendere tante armi in cambio di tante vite nonché di quella sicurezza, invocata solo strumentalmente, che le armi non possono garantire L’associazione Amici della MRP è un’associazione umanitaria, supporta la Mezzaluna Palestinese e lavora, principalmente, per garantire la vita, la sicurezza e lo sviluppo sereno dell’infanzia palestinese. Scegliamo, per nostra convinzione e in base al nostro statuto le forme di resistenza non violenta, ma sappiamo bene che solo la speranza nella giustizia può alimentare questo agire. Per questo non vi chiediamo di schierarvi per l’una o l’altra parte, vi chiediamo di schierarvi per la giustizia, coscienti che solo la giustizia può fondare la pace. Anche da Israele si levano voci in tale direzione. Sono voci che il governo cerca di smorzare, ma riescono comunque a farsi sentire. Anche per questo, nonostante tutto, abbiamo ancora speranza. Ed è per questo che vi rivolgiamo il nostro appello. Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus amicidellapalestina@gmail.com

martedì 20 novembre 2012

Sesto giorno di guerra – 19 novembre 2012, report dallo Shifa hospital

Posted on novembre 20, 2012 by SimonCMSS fonte: http://ilblogdioliva.blogspot.co.il/2012/11/sesto-giorno-di-guerra-19-novembre-2012.html Ieri pomeriggio mi sono recata come ogni giorno allo Shifa hospital per registrare i feriti e le vittime degli attacchi israeliani. Il dottor Sami ci ha confermato che molti persone hanno riportato feriti da esplosioni. Verso le 11 del mattino di ieri apaches israeliani hanno nuovamente bombardato con due missili l’edificio Shourouq in Gaza city, dove si trovano uffici di agenzie stampa e lavoravano tanti giornalisti. Una persona è rimasta uccisa, Ramiz Harb, 36 anni, originario di Shijaia, Gaza city, e tre persone sono rimaste ferite. Il dottor Sami ha confermato che la maggior parte dei feriti in questi attacchi israeliani sono donne e bambini, così come la famiglia Al Dalu, sterminata l’altro ieri in un bombardamento in Nasser street. “Si sta verificando una situazione simile a quella del 2008-2009 – facendo riferimento a Piombo Fuso – quando in oespdale arrivavano padrei, madri, bambini, intere famiglie di feriti” , continua il dottor Sami, concde affermando che c’è una chiara escalation da ieri. Nelle prime ore del mattino di ieri infatti l’aviazione militare israeliana ha bombardato il quartiere di Zaytoun in Gaza city, colpendo tre abitazioni. Tre le famiglie colpite,tra cui la famiglia Abu Zor, 4 persone uccise, tra cui un bambino di 4 anni, ed almeno una decina i feriti. Le vittime sono: Iyad Abu Zor, 4 anni Nesma Abu Zor, 19 anni Sanar Abu Zor A’ahed Al Qatati, 38 anni Tre bambini della famiglia Abu Zor sono attualmente in Terapia Intensiva nello Shifa hospital: Foad Abu Zor, 6 anni Mohammed Abu Zor, 9 anni Hanady Abu Zor, 10 anni Eccoli nel reparto di Tarapia Intensiva. Tutti sono in condizioni estremamente critiche. Hanno subito traumi soprattutto alla testa. Foad Abu Zor, 4 anni. Trauma cranico, fratture multiple, emorragia cerebrale. Mohammed Abo Zor, 9 anni Trauma cranico, fratture multiple, emorragia cerebrale. Sottoposto a ventilazione meccanica. Hanady Abu Zor, 10 anni Ferita alla milza, che è stata rimossa. Fratture multiple al volto. Emorragie cerebrali. Ferita sull’occhio. Forte ematoma sull’addome. E’il caso più grave in terapia intensiva Verso le 16.30 arriva in ospedale un ragazo ferito durante il bombardamento su Sheik Adwan, a nord di Gaza, il suo nome è Ala Al Ashi, 16 anni Ala Al Ashi, 16 anni Ala Al Ashi, 16 anni Verso le 17.00 arriva in ospedale un altro bambino ferito in un attacco israeliano su Nasser street, in Gaza city. Yasser Al Ejla, 11 anni. Yasser Al Ejla, 11 anni Altri feriti arrivano in ospedale: Jamal Mushta, 16 anni; Abed Abu Al Byed, 22 anni, vigile del fuoco, rimasto ferito in un attacco israeliano nell’area di Rimal, Gaza city. “E’andato sul posto per cercare di aiutare le persone, ed è rimasto ferito”, mi hanno detto mi dottori. Successivamente arriva un bimbo ferito alla testa. Moataz Al Rifi, 6 mesi. Moataz Al Rifi, 6 mesi Ore 18.30, circa 100 feriti arrivati allo Shifa hospital in 24 ore. Arrivano ancora bambini feriti. Nihad Jihad Masri, 9 anni Nihad Jihad Masri, 9 anni e Abdallah Mohammed Ashour, 7 anni, ferito in un attacco israeliano sul campo rifugiati di Shati. Abdallah Mohammed Ashour, 7 anni Successivamente, arriva in ospedale un ragazzo ferito in un bombardamento sul quartiere Tuffah di Gaza city. Anche una donna ferita è giunta in ospedale, in stato di alto stress, Samah Hlewa, 17 anni, ed una bambina di 12 anni, Ranin Al Skafy. Samah è incinta di 8 mesi. Sempre in serata, è arrivato in ospedale un uomo appartenente alla famiglia Abu Zor, colpita nella mattinata nel quartiere di Zaytoun Il suo viso tremava, il suo corpo tremava, era in stato shock. Aveva perso la moglie in giornata nel bombardamento su Zaytoun. Gli attacchi si sono susseguiti, altri feriti sono giunti in ospedale. Saad El Baradu, 21 anni, rimasto ferito in Al Samir square, al centro di Gaa city. Abbiamo appreso anche di un nuovo bombardamento sul campo rifugiati di Jabalia, in cui una abitazione è stata colpita, ed 8 persone sono rimaste ferite, appartenenti alla famiglia Salha. Verso le 20.20 un ragazzo ferito in un bombardamento su Jabalia è stato trasportato in ospedale MustafaHagiasi, 17 anni, era stato trasportato al Kamal Odwan hospital in Beit Lahia, per poi essere trasferito allo Shifa hospital. Un dottore mi ha spiegato che Mustafa è stato colpito da pietre che si sono scaraventate sul suo corpo a seguito dell’esplosione. Ha subito trauma cranico ed ora resterà allo Shifa hospital per gli accertamenti sulle sue condizioni. suo padre Foad invece è rimasto ucciso. Colgo l’occasione di parlare con un dottore anche del bombardamento che ha colpito in “Saraya” la notte precendente. Una bambina, Dana Shandi, è morta a seguito di questo bombardamento. “Non è morta perché ferita, non avea segni sul suo corpo”, mi ha detto un dottore, “è morta per spavento, per l’enorme esplosione. Spesso i bambini muoiono solo per attacchi di cuore”, perché spaventati. Successivamente apprendiamo di un attacco aereo su Rafah, A sud della Striscia di Gaza, in cui sono stati riportati 3 feriti appartenenti alla famiglia Ramzy Al Raiy. Un’altra famiglia sterminata. Un attacco sul campo rifugiati di Jabalia ha colpito l’abitazione della famiglia Hajiazi. Due bambini ed i loro genitori sono morti. I due bambini sono: Sohaib Foad Hajazi, 2 anni Mohammed Hajazi, 4 anni Verso le 21.40, a seguito di un bombardamento su Sheik Rudwan, in Nafaq street, una donna è arrivata in ospedale traumatizzata. Wafa Ghazably, 28 anni. Wafa Ghazably, 28 anni Verso le 22.00 è avvenuto un nuovo attacco a nord ovest di Rafah, a sud della Striscia di Gaza. Un’abitazione della famiglia Al Natrata è stata coinvolta nell’attacco, due bambini, di un 1 anno e mezzo ed 11 anni, sono rimasti feriti una donna anziana ed un ragazzo ed un’altra decina di persone. Successivamente si sono susseguiti diversi attacchi aerei da nord a sud. Un attacco in Gaza city nel quartiere di Tal Al Awa ha coinvolto l’abitazione della famiglia Al Hallaq, verso le 22.20. Un amico palestinese con me in ospedale stava cercando di trascrivere un riassunto delle vittime e dei feriti della giornata con l’aiuto della radio, ma non era possibile in quanto gli attacchi avevvenivano minto dopo minuto e di conseguenza il numero dei feriti. Nel reparto di Terapia Intensiva c’erano anche altre persone rimaste ferite negli ultimi attacchi israeliani, tra cui una bambina di 4 anni, Nesma Qalaja, ferita nel bombardamento che ha colpito il palazzo dei media “Shourouq building”, in Gaza city. Nesma Qalaja, 4 anni. Trauma cranico, emorragie cerebrali In Terapia Intensiva vi erano anche altre tre persone, tra cui una donna appartente alla famiglia Hajazi, colpita nel bombardamento in Jabalia. Anna Hajazi, 50 anni, sarebbe morta poco dopo. Anna Hajazi, 50 anni Verso mezzanotte un apache israeliano ha colpito l’abitazione della famiglia Nasarsa in Rafah. Due fratelli sono morti e 10 persone rimaste ferite: Mohammed Al-Nasasra, 20 anni e Ahmad Al-Nasasraa 18 anni . Verso le 3.20 del mattino un attacco israeliano ha colpito un’abitazione di 3 piani in Zaytoun, dove viveva la famiglia Al Khor. Cinque bambini sono rimasti feriti, una persona appartente alla famiglia Al Tawil, ed un’altra donna ferita è stata trasportata allo Shifa hospital con fratture, totale 7 persone ferite. Un attacco ha colpito anche la sede centrale della National Islamic Bank in Gaza city. Durante la notte si sono susseguiti anche i bombardamenti da parte della MArina militare israeliana a cui soono aggiunti attacchi da parte dei carro armati a sud della Striscia di Gaza, nell’area di Khan Younis, e a nord della Striscia di Gaza, nell’area di Beit Hanoun. Gaza ore 1.00 pm

lunedì 19 novembre 2012

Sporchi giochi politici sulla pelle degli innocenti

Un film sulla Shoah, siamo in un ghetto ebraico un ragazzo sta camminando, un soldato nazista punta il fucile e spara, lo uccide così senza una ragione, perchè gli va, perchè può farlo. Ghetto di Gaza 2012 un bambino sta giocando a pallone, un soldato israeliano punta il fucile e spara, lo uccide senza motivo. Perchè gli va, perchè può farlo. Oggi gli “ebrei” sono i palestinesi, sono gli ebrei degli israeliani. Costoro hanno per i palestinesi lo stesso disprezzo che a suo tempo ha colpito gli ebrei. L'occidente ha sempre creduto di essere superiore ai popoli “orientali” considerati come bruti senza cervello che era giusto dominare e sottomettere, Israele fatte salve poche eccezioni di coraggiosi, pensa di essere occidentale. Così fa piovere le sue bombe di “stato democratico”, come si percepisce, sulle teste di un popolo inerme uccidendo senza motivo ad oggi più di 90 persone. Maledetti. Maledetti assassini. Interpellato da un giornalista Peres, noto criminale di guerra giustifica l'atroce massacro con un luogo comune così stantio che ho potuto citarlo, come già vecchio, in un racconto che ho scritto nel 2002. “Abbiamo fatto la pace con la Giordania e con l'Egitto, ma i palestinesi non vogliono la pace”. E dire che gli hanno dato il nobel per la pace...ma del resto lo hanno dato anche ad Obama e poco c'è mancato che lo dessero a Sharon. Il noto cosiddetto pacifista Yoshua invece si produce in un'affermazione surreale: “Gaza è uno stato con un esercito e sta attaccando Israele”. Vuoi vedere che il famoso stato palestinese c'era già e non ce ne eravamo accorti? Ma i motivi in realtà ci sono, si tratta di sporchi calcoli politici sulla pelle di bambini e giovani innocenti. Da tempo i guerrafondai israeliani minacciavano un altro “piombo fuso” perchè lo hanno scatenato adesso? Ci sono a breve le elezioni in Israele e cosa meglio di una “guerra” per compattare la popolazione e rastrellare voti? Più morti ci sono più voti rimediano. Ma come si fa a chiamare guerra un massacro unilaterale su una popolazione inerme? Anche le definizioni sono false e bugiarde. Un secondo motivo è la richiesta all'Onu da parte dell'Ap del riconoscimento dello stato palestinese come osservatore che avverrà a novembre. Israele sa che il suo complice abituale non può porre il veto e si tratta perciò di imbrogliare le acque, far tanto casino da oscurare questo avvenimento che potrebbe dare ai palestinesi qualche strumento di difesa e di contrattazione. Si dice che non è importante chi ha cominciato e invece si, è importante sapere che ha cominciato Israele gratuitamente e proditoriamente rompendo una tregua che Hamas ha sempre rispettato. Israele aveva bisogno che i gazawi si incazzassero tanto da tirare centinaia di razzi che del resto sono meno di una puntura di spillo per Israele che li intercetta pure prima che cadano. Così potrà dire che sono i gazawi a essere terroristi e quanto sia inopportuno dare ai palestinesi questo riconoscimento. Ma non illudiamoci, anche senza i kassam avrebbe trovato comunque qualche argomento perchè chi ha il potere ha sempre ragione e il mondo accetta le sue argomentazione secondo cui il sasso tirato da un bambino contro un carro armato è un atto di guerra. Il 16 novembre è stato assassinato Ahmed Jabari, dipinto come un terrorista della peggior specie e come “il nostro Bin Laden” la testimonianza di Gershon Baskin l'attivista che ha contribuito a mediare tra Israele e Hamas nelle trattative per il rilascio di Shalit, ci dà un quadro ben diverso della situazione e dimostra quanto Israele voglia la pace. di Nir Hasson – 16 novembre 2012 Ore prima di essere ucciso, l’uomo forte di Hamas, Ahmed Jabari, aveva ricevuto la bozza di un accordo di tregua permanente con Israele, che comprendeva meccanismi per mantenere il cessate il fuoco nel caso di scontri tra Israele e le fazioni della Striscia di Gaza. Baskin ha dichiarato giovedì ad Haaretz che alti dirigenti israeliani erano al corrente dei suoi contatti con Hamas e i servizi segreti egiziani, mirati a formulare una tregua permanente ma che, ciò nonostante, essi hanno approvato l’assassinio. “Penso che abbiano commesso un errore strategico,” ha affermato Baskin, un errore “che costerà la vita di un grande numero di innocenti di entrambe le parti.” “Questo sangue avrebbe potuto essere risparmiato. Quelli che hanno preso la decisione devono essere giudicati dagli elettori, ma, con mio rammarico, otterranno più voti proprio per questo,” ha aggiunto. Baskin aveva inviato messaggi quotidiani per mesi prima della formulazione dell’accordo. Aveva mantenuto aperto il canale di comunicazione con Gaza anche dopo il completamento dell’accordo su Shalit. Secondo Baskin, negli ultimi due anni Jabari aveva interiorizzato la consapevolezza che le tornate di ostilità con Israele non erano di beneficio né ad Hamas né agli abitanti della Striscia di Gaza e causavano soltanto sofferenze, e aveva agito molte volte per evitare i lanci di Hamas contro Israele. Ha affermato che anche quando Hamas era stato forzato a partecipare al lancio di razzi, i suoi razzi finivano sempre in spazi israeliani aperti. “E ciò era voluto,” ha chiarito Baskin. Mesi fa Baskin ha mostrato al ministro della difesa, Ehud Barak, una bozza dell’accordo e sulla base di tale bozza è stato creato un comitato interministeriale sul problema. L’accordo doveva essere la base per una tregua permanente tra Israele e Hamas, che avrebbe prevenuto le ripetute tornate di scontri. “In Israele,” Baskin ha detto, “hanno deciso di non decidere e nei mesi recenti ho preso l’iniziativa di sollecitare di nuovo.” Nelle settimane recenti egli ha rinnovato il contatto con Hamas e con l’Egitto e proprio questa settimana era in Egitto a incontrare personaggi di vertice del sistema dei servizi segreti e con un rappresentante di Hamas. Egli afferma di essersi formato l’impressione che la pressione esercitata dagli egiziani sui palestinesi perché smettano gli attacchi sia stata seria e sincera. “Era destinato a morire; non un angelo né un giusto uomo di pace,” ha detto Baskin di Jabari e dei suoi sentimenti dopo l’uccisione, “ma il suo assassinio ha ucciso anche la possibilità di ottenere una tregua e anche la capacità di operare dei mediatori egiziani.

94 ASSASSINATI A GAZA UN MIGLIAIO I FERITI TANTI I MUTILATI E FERITI GRAVI

I PALESTINESI UCCISI SONO 94. QUASI UN MIGLIAIO LE PERSONE FERITE. TRA LORO MOLTI I MUTILATI GRAVI. SONO IN CORSO MANIFESTAZIONI DURAMENTE REPRESSE IN TUTTA LA WEST BANK SI PARLA DI 54 FERITI, POCO FA A BETLEMME ERANO IN CORSO DURI SCONTRI VICINO AL CHECK POINT DELLA TOMBA DI RACHELE. IERI SONO GIRATI VIDEO ALLARMANTI SULLA REPRESSIONE DELLE E DEI MANIFESTANTI A NABLUS E RAMALLAH. GAZA E' UNA STRISCIA DI TERRA LUNGA 40 KM E DI UN AREA COMPLESSIVA DI 365 KM2 (MENO DELL'ISOLA Saintes-Maries-de-la-Mer /Bouches-du-Rhône. per chi la conosce) CI VIVONO 1.7 MILIONI DI PERSONE. DI QUESTE 1.1 SONO RIFUGIATI E PERSONE INTERNAMENTE DISLOCATE. IL 56% SONO BAMBINI. E'UNA DELEL ZONE PIU' DENSAMENTE POPOLATE AL MONDO. E' UNA PRIGIONE A CIELO APERTO. CHI E' SOTTO LE BOMBE NON PUO' SCAPPARE. DA SEI GIORNI PIOVONO LE BOMBE DAL CIELO DI GAZA E DAL MARE. REPUBBLICA TITOLA: UN TERZO SONO CIVILI.. LE NAZIONI UNITE STANNO CALCOLANDO CHE I CIVILI SIANO ALMENO L'80%. PAGLIARA, INVIATO RAI, MENTE, MENTE E POI MENTE ANCORA. NOI IN ITALIA NON ABBIAMO MODO DI CAPIRE QUANTO ACCADE IN QUEI LUOGHI SE CI AFFIDIAMO ALLA NOSTRA STAMPA E ALLA TELEVISIONE. A SEGUIRE TROVATE I NOMI E LE ETA' DEI MORTI. AGGIORNATO ALLE 5.30 DI QUESTA MATTINA. (SONO 89, GLI ALTRI CORPI DEVONO ANCORA ESSERE IDENTIFICATI) ...up until 05.30 confirmed names 1. Ahmad Al-Ja’bary, 52 years old. 2. Mohammed Al-Hams, 28 years old. 3. Rinan Arafat, 4 years old. 4. Omar Al-Mashharawi, 11 Month old 5. Essam Abu-Alma’za, 20 years old. 6. Mohammed Al-qaseer, 20 years old. 7. Heba Al-Mashharawi, six-months pregnant, 19 years old. 8. Mahmoud Abu Sawawin, 65 years old. 9. Habis Hassan Mismih, 29 years old. 10. Wael Haidar Al-Ghalban, 31 years old. 11. Hehsam Mohammed Al-Ghalban, 31 years old. 12. Rani Hammad, 29 years old. 13. Khaled Abi Nasser, 27 year old. 14. Marwan Abu Al-Qumsan, 52 years old. 15. Walid Al-Abalda, 2 years old. 16. Hanin Tafesh, 10 months old. 17. Oday Jammal Nasser, 16 years old. 18. Fares Al-Basyouni, 11 years old. 19. Mohammed Sa’d Allah, 4 years old. 20. Ayman Abu Warda, 22 years old. 21. Tahrir Suliman, 20 years old. 22. Ismael Qandil, 24 years old. 23. Younis Kamal Tafesh, 55 years old. 24. Mohammed Talal Suliman,28 years old. 25. Amjad Mohammed Abu-Jalal, 32 years old. 26. Ziyad Farhan Abu-Jalal, 23 years old. 27. Ayman Mohammed Abu Jalal, 44 years old. 28. Hassan Salem Al-Heemla’, 27 years old. 29. Khaled Khalil Al-Shaer, 24 years old. 30. Ayman Rafeeq Saleem, 26 years old. 31. Ashraf Hassan Darwish, 22 years old 32. Osama Mousa Abdel Jawwad, 27 years old 33. Ali Abdul Hakim Almana'ama, 20 years old 34. Mokhlis Adwan, 30 years old 35. Ahmed Osama Al-Atrash, 22 years old 36. Mohammed Saleh Allolhai, 22 years old 37. Awad Hamdy Al-Nahhal, 23 years old 38. Abdel Rahman Salem Al-Masri, 31 years old 39. Mohammed Mahmoud Yassin, 24 years old 40. Osama Abdel Jawad, 25 years old 41. Ali Hassan Ali bin Said, 25 years old, killed in an attack on his motorbike in Deer Al-Balah, central Gaza, at 8:10 pm, November 17. 42. Mohammed Sabri Alouidat, 25 years old 43. Osama Yousif Al-Qadi, 26 years old. 44. Ahmed Salem Salama Said, 42 years old 45. Hani Abdel Majid Aberriam, 21 years old 46. Samaher Khalil Qudeih, 28 years old 47. Tamer Al Hemry, 26 years old 48. Tamer Salameh Abu Sufyan, 3 years old 49. Jumana Salameh Abu Sufyan, 1 years old 50. Muhamed Abu Nuqira 51. Iyad Abu Khousa, 18 monthss old 52. Tasneem Zuhaer Al Halal, 13 years old 53. Ahmad Essam Al-Nahhal, 25 years old 54. Nawal Farag Abdelaal, 52 years old 55. Ahmed Hassan, 27 years old 56. Mohammed Jamal Al Dalou, (grandfather of Dalou family), Age Unconfirmed 57. Ibrahm Mohammed Jamal Al Dalou, 1 year old 58. Raneen Mohammed Jamal Al Dalou, 5 years old 59. Jamal Mohammed Jamal Al Dalou, 7 years old 60. Yousef Mohammed Jamal Al Dalou, 10 years old 61. Samah Al Dalou, 25 years old 62. Sulafa Al Dalou, 46 years old 63. Tahani Al Dalou, 50 years old 64. Amina Matar Al-Mzanner, 83 years old 65. Abdallah Mohammed Al-Mzanner, 23 years old 66. Jamal Al Dalou, (father of Dalou family), age unconfirmed 67. Hussam Abu Shaweesh, 37 years old 68. Suhail Hammad, 45 years old 69. NourAmin Hammad, 15 years old 70. Atiyyeh Mubarak, 54 years old 71. Hussam Abu Shaweish 72. Mohammed Bakr Al-Of, 24 years old, killed in an attack on A-Yarmouk st. in Gaza city. 73. Samy Al Ghfeir, 22 years old, killed in an attack on Shijaiyya area, west Gaza. 74. Nabeel Ahmad Abu Amrra, age unconfirmed 75. Ahmed Abu Amra, age unconfirmed 76. Hussein Jalal Nasser, 8 years old 77. Jalal Nasr, 39 years old 78- Sabha Al-Hashash, 60 years old. 79- Saif Al-Deen Sadeq 80- Ahmad Hussein Al-Agha. 81- Emad Abu Hamda, 30 years old, killed after being seriously injured in as a drone fired a rocket at Beach camp, west Gaza. 82- Mohammed Salama Jindiyya, 31 years old and mentally disabled, killed in an attack on Helles roundabout in Shijaiyya, west Gaza. 83. Saadiyeh Al Tayyub, age unconfirmed 84. Nawal Abdel Ali, age unconfirmed 85. Ahmad Najeeb, age unconfirmed 86. Nisma Abu Zour, 19 years old 87. Mohammed Iyad Abu Zour, 5 years old 88. Sahar Abu Zour, age unconfirmed 89. Ahed Al Qattati, 38 years old

ECCO I NEMICI DI ISRAELE! ECCO DA CHI HA IL DIRITTO DI DIFENDERSI QUESTO STATO CRIMINALE!

domenica 18 novembre 2012

I piccoli uccisi

Una famiglia sterminata

domenica 18 novembre 2012 Gaza bombardamento attacco / Gaza bombardamento feriti attacco / Operation Pillar of Cloud Una famiglia sterminata - Operation Pillar of Cloud Pubblicato da Rosa Schiano a 23:53 Quinto giorno di guerra contro Gaza, continua l'Operazione militare israeliana Pillar of Cloud. 72 persone uccise, incluso 19 i bambini, 670 i feriti al momento in cui scrivo, la maggior parte donne e bambini. Oggi l'aviazioni militare israeliana ha bombardato un edificio di tre piani in Nasser street, Gaza city, sterminando una intera famiglia. Ho visto i corpi delle piccole vittime in ospedale. Ibrahim Al Dalu, 11 mesi Jamal Al Dalu, 6 anni Yousif Al Dalu, 5 anni Sara Al Dalu, 3 anni Anche la loro madre è morta: Samah Al Dalu, 22 anni, ed il loro padre, Mohammed Al Dalu, 28 anni. Morta anche la zia Ranin Al Dalu, 22 anni, e dipersa la seconda zia, Yara Al Dalu. Morta anche la nonna, Suhila Al Dalu, 50 anni. Morti anche due vicini di casa: Abdallah Mzanar, 20 anni, e Amina Mznar, 80 anni. Un'intera famiglia sterminata. il bombardamento è avvenuto sull'intero edificio di tre piani, completamente distrutto. L'aviazione militare israeliana sta continuando a bombardare in questo momento. Enorme bombardamento in questi minuti anche dalla Marina militare israeliana. In serata un'altra casa è stata colpita in Jabalia, a nord di Gaza city, un bambino di 4 anni, Hasan Nasser, è morto e suo padre è gravemente ferito. A breve report completo dallo Shifa hospital. 18 novembre 2011, ore 23.50

Alain Gresh : omicidi e disinformazione a Gaza

Alain Gresh : omicidi e disinformazione a Gaza Alain Gresh fa il punto sulla situazione a Gaza prima dell'escalation militare cominciata nell'ottobre scorso e intensificatasi negli ultimi giorni. Il direttore aggiunto di Le Monde Diplomatique denuncia la politica degli omicidi mirati e condanna la complicità dei media nei confronti della propaganda israeliana. di Alain Gresh * - traduzione a cura di Jacopo Granci Per capire l'escalation a Gaza è necessario introdurre qualche dato su questo territorio (360 km2, più di un milione e mezzo di abitanti - una caratteristica che lo rende uno dei luoghi del pianeta con maggiore densità di popolazione), occupato da Israele dal 1967. Nonostante il ritiro dell'esercito dalla striscia (2005), infatti, i suoi accessi con il mondo esterno sono sempre controllati dallo Stato ebraico e la circolazione all'interno è limitata. Il blocco attuato qualche anno fa dura fino ad oggi: per le Nazioni Unite Gaza rimane un territorio occupato. I dati che seguono sono stati diffusi dall'ufficio dell'ONU per il coordinamento delle questioni umanitarie nei territori palestinesi (OCHAOPT) in un documento del giugno 2012 intitolato Five Years of Blockade: The Humanitarian Situation in the Gaza Strip (in allegato): - è nel giugno 2007 che il governo israeliano ha deciso di intensificare il blocco di questo territorio, già severamente "sotto controllo"; - il 34% della popolazione (e la metà dei giovani) è disoccupata; - l'80% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari; - il PIL pro capite era, nel 2011, il 17% al di sotto di quello del 2005 (considerando l'inflazione); - nel 2011 solo un camion al giorno usciva da Gaza con prodotti volti all'esportazione, ossia meno del 3% delle cifre di affari registrate nel 2005; - il 35% delle terre coltivabili e l'85% delle acque riservate alla pesca sono parzialmente o totalmente inaccessibili agli abitanti di Gaza a causa delle restrizioni israeliane; - l'85% delle scuole sono costrette a fornire un doppio servizio - uno la mattina e un altro nel pomeriggio - a causa del sovrappopolamento. Ogni guerra, si sa, viene accompagnata da un'intensa propaganda e il governo israeliano è ormai maestro in quest'arte. Già al momento dell'offensiva di dicembre 2008 -gennaio 2009 avevamo assistito, in questo senso, alla deflagrazione mediatica. Perfino alcuni intellettuali francesi, tra cui l'imbarazzante Bernard-Henri Lévy, avevano contribuito a tale disinformazione. L'uomo assassinato qualche giorno fa da Israele, Ahmed Jabari, era il capo dell'ala militare di Hamas. La grande maggioranza dei media lo descrivono come un "terrorista" responsabile di tutti gli attacchi compiuti contro Israele. La realtà, tuttavia, è ben lontana da questo ritratto - senza contare l'utilizzo del termine "terrorismo", per lo meno ambiguo. Come spesso accade, è proprio un giornalista israeliano - Aluf Benn - a ricordare che: “Ahmed Jabari era un appaltatore, incaricato da Israele di mantenere l'ordine e la sicurezza nella Striscia di Gaza. Questa definizione sembrerà senza dubbio assurda a tutti coloro che, nelle ultime ore, hanno visto Jabari descritto come 'l'archetipo del terrorismo', 'il capo del personale del terrore' o ancora 'il nostro Bin Laden'. Tuttavia, questa è la realtà degli ultimi cinque anni e mezzo. Israele aveva imposto ad Hamas di osservare una tregua nel sud e di farla rispettare alle numerose organizzazioni armate insediate nella striscia. L'uomo a cui era stato affidato questo compito era appunto Ahmed Jabari”. Basta osservare i grafici pubblicati dallo stesso ministero degli Affari Esteri israeliano sul lancio dei razzi palestinesi per rendersi conto che, in generale, la tregua è stata rispettata. L'accordo è stato rotto dai raid dell'esercito israeliano il 7 e l'8 ottobre 2012, poi il 13 e il 14, provocando un'escalation che da allora continua senza interruzioni. E, alla vigilia dell'omicidio di Jebari, un'altra tregua era stata conclusa grazie alla mediazione dell'Egitto, come conferma la testimonianza dell'attivista pacifista Gershon Baskin ripresa da Haaretz. Storicamente, ogni escalation degli attacchi a Gaza fa seguito ad omicidi mirati di militanti palestinesi. Queste esecuzioni extragiudiziali sono una pratica consolidata per il governo israeliano (a cui gli USA hanno dato il loro consenso ormai da tempo). Avete detto "terrorismo"? Leggete l'articolo di Sharon Weill “De Gaza à Madrid, l’assassinat ciblé de Salah Shehadeh”. Lo scenario era identico nel 2008. Mentre la tregua era rispettata sul versante palestinese dal giugno 2008, sono stati gli omicidi in novembre di sette attivisti nella Striscia che hanno dato il la all'intensificazione degli attacchi e poi all'operazione "Piombo fuso". Sulle violazioni dei cessate il fuoco compiute da Israele negli ultimi anni è interessante leggere l'articolo di Adam Horowitz, “Two new resources : Timeline of Israeli escalation in Gaza and Israel’s history of breaking ceasefires”. Del resto, è difficile parlare di un vero scontro tra due parti: i razzi palestinesi non sono armi paragonabili agli F-16 e ai droni israeliani. Il bilancio in termini di vite umane, stilato dopo la tregua del gennaio 2009 seguita all'operazione "Piombo fuso", lo conferma. L'organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani B’Tselem ha pubblicato un elenco dei palestinesi e degli israeliani uccisi a Gaza tra il 19 gennaio 2009 e il 30 settembre 2012. 271 palestinesi (di cui 30 bambini) e 4 israeliani. Le cifre parlano da sole. * La versione orginale dell'articolo, pubblicato su Les blog du Diplo de Le Monde, è qui. ocha_opt_gaza_blockade_factsheet_june_2012_english.pdf Speciale Gaza/ Di omicidi e disinformazione