lunedì 30 aprile 2012

HEBRON, UNA VITA TRA COLONI E SOLDATI

HEBRON, UNA VITA TRA COLONI E SOLDATI La famiglia di Hashem Azzeh vive da generazioni in Shuhada Street, la via chiusa dal 2000 per ordine militare. Circondato da coloni estremisti, Azzeh subisce attacchi quotidiani: aggressioni, confisca di terre, vessazioni. Questa è la sua storia EMMA MANCINI Hebron (Cisgiordania), 30 aprile 2012, Nena News (nella foto, l’ingresso di Shuhada Street ad Hebron, bloccato da un checkpoint israeliano. Foto: Emma Mancini) – Dalla città occupata di Hebron arrivano quotidianamente notizie di violenze contro la popolazione palestinese, attacchi perpetrati dai circa 500 coloni israeliani e dagli oltre 2.000 soldati presenti. Ma la storia della famiglia di Hashem Azzeh riesce a colpire per la durezza delle condizioni di vita in cui sono costretti a sopravvivere dal 1984. La loro casa, situata all’inizio di Shuhada Street, è sovrastata da due torrette militari e dai caravan di 35 famiglie di coloni dell’insediamento di Ramati Shay. Tra loro, l’abitazione di Baruch Marzel, leader del Jewish Defence League, considerato tra i coloni più estremisti in tutta la Cisgiordania. Confisca di terre, raid contro la loro abitazione, pestaggi a donne e bambini, distruzione di alberi da frutto e vessazioni dell’esercito sono all’ordine del giorno. “La mia casa è circondata da sei checkpoint – racconta a Nena News Hashem Azzeh, da anni attivista ad Hebron – e l’originale accesso alla mia abitazione dalla strada principale è stato chiuso. Siamo costretti ad inerpicarci per strette vie sterrate per poter tornare a casa”. Arrestato innumerevoli volte dall’esercito israeliano, Hashem ha trascorso quasi dieci anni di vita dietro le sbarre di una galera israeliana. Ma la battaglia che sta conducendo da decenni per la sua famiglia non cessa: “Da qui non me ne vado. Resterò nella mia casa fino a quando non saremo liberi. Fino a quando non avremo indietro la Palestina, dal Mar Mediterraneo al Mar Morto, da Haifa a Eilat”. Shuhada Street (la Via dei Martiri) è considerata la più importante via della città di Hebron: collegando i quartieri centrali di Hebron con quelli a Nord e a Sud, è stata il luogo dei più importanti e vitali servizi della città. Dalla stazione dei bus a quella dei taxi, dal mercato di frutta e verdura ai mulini per il grano, oltre a decine di negozi e alle più vecchie scuole della città. Dal 2000 Shuhada Street è stata chiusa per ordine militare dall’esercito: a nessun palestinese è permesso l’ingresso, eccetto a coloro che risiedono ancora lungo la via. Nel 2006 l’Alta Corte israeliana ha imposto la riapertura della strada alla popolazione palestinese, ma la strada è ancora chiusa. Nulla è cambiato e quel pezzo di Città Vecchia, cuore commerciale e sociale, si è trasformato in una città fantasma. Il tutto all’interno del particolarissimo contesto di Hebron: dopo il massacro del 1994 nella moschea di Abramo, quando il fanatico israeliano Baruch Goldstein uccise 29 palestinesi durante la preghiera del mattino, sopraggiunse il Protocollo di Hebron, parte degli accordi di Oslo del ‘94. Così, la città è stata divisa in due: H1, sotto controllo militare e civile palestinese, e H2, sotto quello israeliano. Un caso senza eguali in tutta la Cisgiordania: la stessa città divisa in Area A e Area C. La Città Vecchia è divenuta così una vera e propria “città fantasma”: in H2, infatti, oltre mille abitazioni palestinesi sono ora vuote, il 41,9% del totale. L’obiettivo dei coloni e delle autorità israeliane è stato parzialmente raggiunto: rendere la vita impossibile ai palestinesi e costringerli ad abbandonare le loro case in centro. Nena News

DICHIARAZIONE DI SOLIDARIETA' DEGLI EBREI DI NETUREI KARTA CON IL POPOLO PALESTINESE IN OCCASIONE DELLA COMMEMORAZIONE DELLA NAKBA.

di Rabbi David Weiss Che la benedizione del Creatore sia su di Voi, nostri cari fratelli, popolo palestinese che soffre da lungo tempo. Noi, di Neturei Karta International, Vi salutiamo da Gerusalemme, New York, Londra e da tutto il mondo. Come molti di Voi sapranno già, il movimento sionista è stato contrastato dagli ebrei ortodossi osservanti sino dall'inizio. Gli ebrei ortodossi hanno sempre creduto che per Decreto Divino il popolo ebreo sia tenuto a rimanere in esilio e vivere come cittadini leali nelle nazioni che li ospitano fino a che l'Onnipotente non avrà deciso la redenzione dell'umanità intera. Nell'anno 1948, il nostro Rabbino Capo Yossef Tzvi aveva inviato un telegramma alla Lega delle Nazioni a Lake Success, chiedendo loro di non incorporare le 60.000 famiglie ebree residenti a Gerusalemme nello Stato di "Israele", la cui proclamazione costituisce un sacrilegio. Così, i residenti ebrei sarebbero stati lasciati senza un potere sovrano che si occupasse delle faccende di Neturei Karta. In realtà, fummo trasformati in profughi perché non c'era differenza tra un popolo cacciato via dalla sua terra ed un popolo cui la terra è stata rimossa da sotto i piedi. Ci siamo appellati alle Nazioni Unite per ottenere un passaporto per rifugiati ed a tutt'oggi siamo in attesa di una risposta. Oggi, decine di migliaia di Neturei Karta, guardiani di Gerusalemme nel significato di "guardiani della fede", risiedono a Meah Shearim e nelle sue vicinanze, su terreni acquistati dai proprietari arabi, non confiscati contro la loro volontà. Il nostro Rabbino Capo defunto, Joel Teitelbaum, aveva proibito agli ebrei di stabilirsi in Terra Santa, considerando che ciò avrebbe messo in pericolo sia il corpo che l'anima. Neturei Karta aveva dato il benvenuto all' Autorità Palestinese, guidata da Yassir Arafat ritornato in Palestina ed il Rabbino Moshe Hirsh fu proclamato "Ministro per gli Affari Ebrei" dell'Autorità Palestinese - un gesto volto a dimostrare al mondo che la lotta in Terra Santa non è tra ebrei ed arabi, bensì tra sionisti ed arabi. Noi vediamo l'oppressione e l'umilioazione del popolo palestinese, innnanzitutto ciò che gli viene inflitto oggi, dalle politiche criminali del "Ministro del Crimine" Sharon. E' inamissibile che il popolo ebreo compaia quale oppressore, persecutore, ladro. Dappertutto nel mondo si trovano numerosi ebrei credenti che si dichiarano inorriditi dal comportamento criminale e razzista verso i palestinesi da parte dei sionisti. per questi ebrei il Giorno dell'indipendenza di Israele segna la più grande tragedia nella storia degli ebrei e nella storia dell'umanità. Quel giorno, molti ebrei lo passano digiuni e in preghiera. Noi vogliamo che TUTTA la terra palestinese, naturalmente comprendente il complesso di Al-Aqsa, sia restituita ad un governo palestinese. Noi vogliamo il RITORNO di TUTTI I PROFUGHI umiliati, anziani e giovani, alla loro legittima patria. Noi vogliamo vivere nella terra della Palestina come EBREI ANTI-SIONISTI, risiedere qui come CITTADINI PALESTINESI leali e pacifici, così come i nostri avi che avevano vissuto in Palestina per secolo prima della tragica usurpazione di questo paese. Invochiamo il Creatore che l'odierna commemorazione della NAKBA possa essere l'ultima e che conceda che l'attuale stato di occupazione volga verso una rapida fine, ancora nei nostri giorni, sicchè ebrei e palestinesi possano vivere felici ed in armonia e pace in una Terra Santa TUTTA SOTTO SOVRANITA' PALESTINESE. Vi saluto. Rabbi David Weiss Presidente di Neturei Karta International, New York

domenica 29 aprile 2012

Miryam Marino Festa di Rovine Ed. La Città del Sole ne parlerà con l’autrice Nicoletta Crocella Il volume si sofferma in particolare sul dramma dell'infanzia in paesi, quali la Palestina o l'Iraq, dove l'occupazione militare rende impossibile quella felicità cui ogni bambino avrebbe diritto. Martedì 8 maggio ore 19.00 ingresso sala mediateca - ingresso gratuito

venerdì 27 aprile 2012

NAKBA: niente libertà di parola

TEL AVIV: POLIZIA IMPEDISCE A ONG ISRAELIANA DISTRIBUZIONE VOLANTINI SU NAKBA Haaretz riferisce che mercoledì sera, alla vigilia delle celebrazioni della fondazione dello Stato ebraico, 15 attivisti di Zochrot pronti a distribuire volantini sui villaggi palestinesi distrutti durante e dopo il 1948 sono stati tenuti chiusi per quattro ore nei loro uffici. Tel Aviv, 27 aprile 2012, Nena News – «La libertà di parola non è sospesa durante il Giorno dell’Indipendenza (la fondazione di Israele, ndr)», dice Hagai Elad, il portavoce dell’Associazione israeliana per i diritti civili. Ma a Tel Aviv questa libertà è stata negata agli attivisti di Zochrot, una ong israeliana che diffonde informazioni sulla Nakba («Catastrofe») palestinese nel 1948. Mercoledì sera 15 attivisti di Zochrot intendevano distribuire nelle strade della città volantini ed altri documenti sugli oltre 400 villaggi palestinesi distrutti durante e dopo la fondazione di Israele nel 1948, ma sono stati bloccati per quattro ore dalla polizia all’interno degli uffici della loro ong. Gli agenti hanno addirittura sbarrato le porte per impedire agli attivisti di lasciare l’edificio. «Stavamo per lasciare l’ufficio intorno alle 22.30 quando ci siamo resi conto che la polizia aveva circondato l’edificio e chiuso tutte le uscite – ha raccontato al quotidiano “Haaretz” Liat Rosenberg di Zochrot – gli agenti ha detto che non ci avrebbero consentito di turbare l’ordine pubblico». Tre attivisti, al termine di un scambio di battute con gli agenti di polizia, sono stati arrestati, tra i quali Yuval Halprin che non era nell’edificio e che all’esterno si preparava a leggere in pubblico, con l’aiuto di un megafono, i nomi dei villaggi palestinesi distrutti. La polizia ha replicato alle accuse sostenendo di aver impedito una «protesta non autorizzata» che gli attivisti intendevano tenere al raduno principale organizzato a Tel Aviv per le celebrazioni della fondazione di Israele. Secondo la polizia a Zochrot sarebbe stato permesso di tenere l’iniziativa in un’altra zona. Nena News

mercoledì 25 aprile 2012

25 aprile ORA E SEMPRE RESISTENZA

E' tempo di raccogliere il grano. Accompagnando i contadini di Gaza sotto il fuoco israeliano

Pubblicato da Rosa Schiano a 20:06 E' tempo di raccogliere il grano, i contadini di Gaza si riversano a lavorare nei campi. I soldati israeliani hanno già iniziato a sparare nelle terre lungo il confine della Striscia di Gaza. Due feriti nei soli primi due giorni del raccolto. Renad Salem Qdeeh, 33 anni, stava raccogliendo il grano nella sua terra quando i soldati israeliani hanno iniziato a sparare, verso le 7.30-8.00 del mattino. I contadini sono scappati, Renad ha iniziato a gridare ed è rimasta ferita alla testa quando si trovava a circa 800 metri dal confine. E'stata trasportata in una clinica in Khuza'a e la ferita le è stata saturata con 10 punti. La troviamo distesa sul letto. "Prima ci hanno tolto 300 metri di terra, ora non possiamo lavorare nemmeno ad 800 metri dal confine, vogliono cacciarci dalle nostre terre", esordisce sua madre, che non smettere di esprimerci la sua rabbia ed il suo dolore. "Dobbiamo guardagnare per le nostre famiglie - continua la mamma di Renad - noi aspettiamo questa stagione del raccolto per poter guadagnare. Mia figlia ha 8 bambini, li deve nutrire, non abbiamo altre risorse. Non ci lasciano vivere nelle nostre terre. Noi chiediamo supporto e protezione davanti ai soldati israeliani, per fermarli. Siamo circondati dai soldati, sparano ovunque. Ieri un ragazzo è rimasto ferito in Khuza'a. Dove sono i diritti umani?" Renad socchiude gli occhi. E' circondata dai familiari. Ci viene offerto del succo di frutta. Ogni persona sembra voler intervenire per poter parlare della propria condizione di vita, ogni voce sembra una richiesta di aiuto. "Domani andrò lì a continuare la mietitura - riprende a parlare la madre di Renad - noi andremo lì comunque a lavorare anche se verremo uccisi. Quale tipo di sentimento si può provare quando si trova la propria figlia piena di sangue? I soldati avevano intenzione di ferirla. Dopo che l'hanno fatto se ne sono andati, volevano giusto spararle. Abbiamo perso la maggior parte delle nostre terre. Ora rischiamo di morire anche ad 800 metri dal confine. Loro vogliono che ce ne andiamo? No, noi moriremo lì." I parenti di Renad inoltre credono che i soldati israeliani buttino sostanze chimiche nelle loro terre. A volte ne avvertono l'odore, ma non sanno esattamente di cosa si tratti. "Gli altri paesi possono aiutarci se vogliono - interviene la sorella di Renad - senza aiuto noi non possiamo lavorare nella nostra terra. Hanno già preso 300 metri di terra lungo tutto il confine di Gaza, potete immaginate quanta terra abbiano preso, era terra fertile, ora è tutto distrutto." La No Go Zone di 300 metri lungo tutto il confine, imposta unitelarmente da Israele, ha inglobato le terre dei contadini palestinesi. Alcuni hanno perso tutto. Il giorno successivo abbiamo iniziato ad accompagnare i contadini in quello stesso settore di terra. Il primo giorno i soldati israeliani ci hanno osservato senza sparare. Jeep correvano a grande velocità ed i soldati si sono posizionati sulle torrette che delemitano il confine, altri dietro una piccola collina. E' da quella collina che sparano più frequentemente. Due giorni dopo però è andata diversamente. Soldati appostati sulla collina hanno aperto il fuoco nonostante la nostra presenza. Abbiamo gridato loro al megafono di smettere di sparare, ricordando loro che eravamo in terra palestinese. Ho preso la mia fotocamera ed ho girato un video in quel momento: Il terzo giorno i soldati ci hanno osservato senza sparare. C'era continuamente movimento di carroarmati e jeep correvano a grande velocità. I contadini temono di più le jeep dei carroarmati, temono gli hummer militari più di tutto, quelli sui cui sono posizionate armi da fuoco pronte a sparare. In questo caso posso dire, un esercito contro dei contadini. Soldati che non esitano a sparare contro uomini inermi intenti a mietere a mano il grano e a trasportarlo con le carrette trainate dagli asini. Intanto, nel timore generale, caccia F-16 rombavano a bassa quota. I contadini hanno potuto lavorare e ci hanno ringraziato per la nostra presenza. Il giorno in cui è stato ferita Renad, anche Hassan Waled Shnano, 27 anni, è rimasto ferito. Ma lui non stava lavorando nei campi. Stava semplicemente camminando per andare a lavoro, in Khuza'a, in un'area a circa 2 chilometri dal confine, un'area non lontana dalla sua abitazione. Lo incontriamo all'European Hospital in Khan Younis. "E' una zona abitata, una zona sicura. Hanno iniziato a sparare dal mattino presto", ci dice Hassan. Hassan è coordinatore locale della Ngo Mercy Corps in Khuza'a, e si occupa di progetti educativi per gli studenti. Un proiettile l'ha colpito alla giuntura del femore destro. Suo padre, che aveva respirato il fosforo bianco durante l'Operazione Militare Piombo Fuso, è morto di cancro . Hassan ha cinque fratelli ed una sorella. E'sposato ed ha due figlie. Anche uno dei suoi fratelli, nel 2006, è rimasto ferito, a 15 anni, mentre tornava da scuola. Questa mattina i soldati hanno sparato di nuovo sui contadini intenti a lavorare nei campi in Khuza'a. Abbiamo accompagnato un gruppo di contadini in una terra vicina a quella dove eravamo andati finora. Nonostante gli spari i contadini hanno continuato a lavorare sentendosi protetti dalla nostra presenza. Ma i soldati hanno sparato anche in quella terra vicina, quella dove lavora anche la famiglia di Renad. Fremevo guardando i soldati sparare. Il mio cuore tremava ad ogni dannato colpo, i miei occhi volevano piangere al pensiero che qualcuno potesse rimanere ferito. Lì i soldati non hanno smesso di sparare fin quando i contadini non sono andati via, impossibilitati a raccogliere il grano sotto gli spari. Ho girato un video questa mattina appena i soldati hanno iniziato a sparare: Ogni mattina noi torneremo in Khuza'a per accompagnare i contadini, fino a quando il lavoro nei campi non sarà terminato. I contadini ci ringraziano continuamente. Rispondo loro con un grazie. Io mi sento di ringraziarli. Non immaginano quanto mi senta fortunata a poter stringere le loro mani, a poter guardare i loro occhi che nonostante tutto sorridono, non immaginano quanto mi senta fortunata a poter difendere il loro diritto alla vita.

domenica 22 aprile 2012

Miryam Marino: 8 MAGGIO A PIAZZA GRAZIOLI

Miryam Marino: 8 MAGGIO A PIAZZA GRAZIOLI

8 MAGGIO A PIAZZA GRAZIOLI

MARTEDÌ 8 MAGGIO ALLE ORE 19 PRESENTAZIONE DEL LIBRO "FESTA DI ROVINE" EDIZ. CITTA' DEL SOLE PRESSO LA BIBLIOTECA RISPOLI PIAZZA GRAZIOLI 4 PRESENTA NICOLETTA CROCELLA SARA' PRESENTE L'AUTRICE IL LIBRO RACCONTA STORIE DRAMMATICHE DELLA SECONDA INTIFADA E DELL'INVASIONE DELL'IRAQ DEL 2003 CON PARTICOLARE ATTENZIONE ALLA SOFFERENZA DEI BAMBINI PALESTINESI E IRACHENI. NEL CORSO DELLA SERATA SARANNO PROIETTATI DEI FILMATI

Appello del sindaco di Aqaba

eri l'esercito israeliano ha nuovamente distrutto le strade che collegano Al Aqaba nella Valle del Giordano (Area C) ai villaggi vicini. Questa è la lettera che il sindaco Haj Sami Sadiq ha scritto ieri. Le sue parole accorate fanno presagire une fine molto vicina... Noi, i 300 abitanti della comunità di Al Aqaba, esistete ormai da generazioni, che possedevamo e abitavamo queste terre anche prima dell'arrivo dell'IDF (l'esercito israeliano), vi stiamo indirizzando questo appello come nostra ultima risorsa. Per decenni i soldati israeliani hanno usato il nostro villaggio come una zona di addestramento, un parco giochi in cui sono stati utilizzati proiettili veri, che hanno causato la morte di otto dei nostri concittadini, ferendone altre 38. Tra loro il sindaco del nostro comune Haj Sami Sadik, che come risultato è ora paralizzato dalla vita in giù. Nonostante questi atti di aggressione, non abbiamo mai fatto ricorso alla violenza, nessun atto di terrorismo è venuto dal nostro popolo, nessuna pietra è mai stata lanciata e continuiamo a chiedere coesistenza e pace. Nel 2003, dopo una petizione alla Corte Suprema, il campo di addestramento è stato evacuato dal villaggio ma il risultato è stato l'emanazione nel 2004 da parte dall'amministrazione civile (israeliana) di numerosi ordini di demolizione sulla maggior parte dei nostri edifici. Inclusi in questi ordini di demolizione erano la moschea, la scuola materna e l'ospedale locale, additando come ragione che le strutture in questione erano state costruite senza permesso. Nella zona C, che comprende oltre il 60% della Cisgiordania, compresa Al Aqaba, l'amministrazione civile ha respinto il 94% dei permessi di costruzione richiesti dai palestinesi. Nel frattempo, le colonie israeliane si espandono rapidamente. Nel 2007 abbiamo consegnato alla Corte Suprema una domanda per la cancellazione degli ordini di demolizione, insieme ad un nuovo piano di urbanizzazione per la comunità. In risposta l'amministrazione civile ha offerto di approvare i permessi per la piccola zona centrale dove si trovano la maggior parte delle strutture pubbliche, ma più della metà delle aree residenziali avrebbe comunque dovuto essere demolita, in rispetto degli ordini di demolizione. Questa offerta esclude la zona residenziale dove si trovano la maggior parte delle case della nostra popolazione , così come tutta la terra coltivata. Ovviamente questo è in contrasto con gli obblighi di Israele come forza occupante, che secondo l'articolo 43 della Convenzione dell'Aia sulla legge di guerra, parte integrante del dritto umanitario internazionale, deve "ripristinare e garantire l'ordine pubblico e la sicurezza" nei territori occupati. Oggi 18 Aprile 2012 alle ore 11:00 i soldati israeliani, accompagnati da agenti di compagnie militari private sono arrivati al villaggio e senza una notifica preventiva hanno distrutto 2 strade di accesso al villaggio, la "Strada della Pace" e la "Strada di Spostamento ". Le strade che abbiamo costruito con le nostre stesse mani per poter esercitare il nostro diritto alla libertà di movimento. Queste strade sono la nostra ancora di salvezza, visto che la nostra unica fonte di reddito si basa sulla nostra capacità di far giungere i nostri prodotti agricoli al mercato. Questa è la 3 ° volta che la "Strada della Pace" è stata demolita. Le volte precedenti non abbiamo intrapreso alcuna azione. Questa volta la demolizione è venuta con una minaccia. Un ufficiale abusivo in una jeep numerato 65.539 ha fatto sapere al nostro Sindaco che starebbero tornati per ulteriori demolizioni su larga scala e questo come punizione per il fatto che la demolizione stradale era stata osservata da internazionali. Queste minacce sono state fatte a un uomo che si trova in una sedia a rotelle che esortava un piccolo gruppo di meno di 10 curiosi di andarsene. Siamo sconvolti e sconcertati che i nostri figli abbiano visto questa atrocità e temiamo per gli effetti psicologici che essa potrà avere su di loro in futuro. Noi, la comunità di Al Aqaba, i nostri ospiti internazionali e israeliani, vi chiedono di visitare e vedere di persona le difficili condizioni in cui siamo costretti a vivere ogni giorno come conseguenza di tali vessazioni. Aiutaci a diffondere queste parole e a vivere in pace. I cittadini di Al Aqaba. traduzione dall' inglese di Elisa Reschini - AssoPacePalestina

BAHRAIN: LA F1 RIACCENDE MOTORI DELLA PROTESTA

La monarchia assoluta cerca di dare una immagine di «normalità» ma ieri mentre i piloti giravano sul circuito di Sakhir decine di migliaia di manifestanti scendevano nella strade di Manama e di altre città. Roma, 21 aprile 2012, Nena News – La rabbia popolare non ha fermato la Formula Uno ma il Gran Premio non ha dato del Bahrain l’immagine di un paese tranquillo, normalizzato, come avrebbe voluto la monarchia degli al Khalifa. Al contrario ha riacceso la protesta. Si potrebbe riassumere così la prima giornata di prove sul circuito di Sakhir. Ieri si sono accesi regolarmente i motori, con la Mercedes di Nico Rosberg davanti a tutti nelle prove, ma a pochi km di distanza hanno preso il via anche gli annunciati “tre giorni della rabbia” proclamati dai giovani della rivoluzione del 14 febbraio. Mentre i piloti giravano in pista, decine di migliaia di persone, 100 mila secondo gli organizzatori, sono scese in piazza a Manama, chiedendo «riforme e libertà». La protesta ha riempito le strade di Budaiya, nella zona ovest della capitale. La polizia ha sparato granate assordanti e candelotti lacrimogeni sui dimostranti quando uno spezzone del corteo ha provato a raggiungere Piazza della Perla, il luogo in cui si erano concentrate le manifestazioni che lo scorso anno portarono alla cancellazione del Gran premio. La notte precedente c’erano stati scontri in diversi villaggi abitati da sciiti, che sono maggioranza nel paese. Negli ultimi giorni ci sono stati almeno 80 feriti e 70 arresti tra gli oppositori al regime. I quali lottano contro la monarchia assoluta che governa il Paese con il pugno di ferro. E in particolare chiedono la liberazione di Abdulhadi al-Khawaja, attivista per i diritti umani arrivato al 70mo giorno di sciopero della fame (ieri ha smesso anche di bere e le sue condizioni sono sempre più critiche). In mattinata il principe Salman bin Hamad Al Khalifa aveva risposto alle domande dei giornalisti, ammettendo che il Bahrain forse «non è perfetto», ma ribadendo che «annullare il Gran premio avrebbe significato darla vinta agli estremisti». Sempre ieri il patron della Formula 1, Bernie Ecclestone, ha dato l’ennesima prova di cinismo e scarsa coscienza di quanto sta accadendo nel Paese: «Se la gente protesta – ha detto – lo farà per qualche altro motivo, la Formula 1 non c’entra». Secondo l’attivista Nabeel Rajab, citata dalla Bbc, «la protesta sta avendo risalto internazionale grazie alla presenza dei media stranieri per la Formula 1, ma dopo la repressione continuerà e il mondo non vorrà più saperne del Bahrain».

sabato 21 aprile 2012

BAHRAIN: LA RIVOLTA ENTRA IN PISTA Le sessioni di prova e il Gran Premio del Bahrain vedranno continue manifestazioni di rabbia popolare. Si rivela un boomerang la decisione di re Hamad di confermare la corsa. Nei suoi desideri avrebbe dovuto dare al mondo l’idea di un Bahrain normalizzato, invece e' una vetrina per la protesta. MICHELE GIORGIO Roma, 20 aprile 2012, Nena News (nella foto AP di Hassan Jamali, una manifestazione contro il Gp di F1)- Il Bahrain è una polveriera. La repressione scatenata nelle ultime settimane dagli apparati di sicurezza, con la partecipazione attiva di vigilantes sunniti alleati della monarchia assoluta, non è servita a placare la rabbia di chi chiede riforme e diritti. La decisione di re Hamad bin Isa al Khalifa di confermare il Gran Premio di Formula Uno, previsto domenica sul circuito di Sakhir, si è rivelata un tremendo boomerang. Il Gp che nei desideri del re avrebbe dovuto dare al mondo l’idea di un Bahrain normalizzato, invece sta dando risultati opposti. I leader della protesta – spinti anche dalla battaglia dell’attivista dei diritti umani Abdelhadi al Khawaja che da due mesi fa lo sciopero della fame in carcere – hanno deciso di usare la vetrina della Formula Uno per dimostrare che la rivolta contro la monarchia prosegue con rinnovata determinazione. Approfittando anche dell’arrivo di tanti giornalisti stranieri. «È stata una scelta ben precisa quella fatta dal popolo del Bahrain – spiega la giornalista Reem Khalifa -, un modo per attirare l’attenzione su quanto accade nel paese. La comunità internazionale per un anno intero ha chiuso gli occhi di fronte all’ansia di libertà e democrazia dei bahraniti». Negato ingresso a reporter AP e AFP Non pochi reporter però si sono visti rispedire indietro all’arrivo all’aeroporto di Manama, tra i quali i due corrispondenti dell’Ap a Dubai – che nell’ultimo anno hanno dato ampia copertura a quanto accade in Bahrain – e anche un giornalista italiano. L’organizzazione Reporter Senza Frontiere ha attaccato con forza la monarchia bahranita per il trattamento che riserva ai giornalisti, a cominciare da quelli locali. «Il Bahrain è uno dei posti più pericolosi al mondo per i giornalisti. Reporter Senza Frontiere considera il re di Bahrain come uno dei nemici della libertà di stampa», ha scritto in un comunicato Rsf. Nelle manifestazioni, i giornalisti e innanzitutto i fotografi sono minacciati sistematicamente e aggrediti. «Molti – prosegue il comunicato – sono stati fermati e condannati al carcere dai tribunali militari. Nelle prigioni la tortura è all’ordine del giorno». Persino peggiore è la sorte che attende gli attivisti della rivolta. La repressione è stata durissima nelle ultime settimane. «Dal 14 aprile sono almeno 80 le persone residenti nei villaggi intorno a Manama arrestate e sbattute in prigione. Si tratta degli organizzatori delle manifestazioni tenute nei giorni scorsi e il regime li ha bloccati come misura preventiva. Ma non è servito a nulla, perché il popolo scende in strada comunque, senza timore», riferisce Mohammed Maskati, presidente del Bahrain Youth Society for Human Rights. E se la monarchia ha fatto alzare nella capitale giganteschi cartelloni pubblicitari che esaltano il Gp di Sakhir, l’opposizione ha issato nelle strade di Sanabis e altri villaggi sciiti teatro di continui scontri con la polizia, striscioni con la scritta «Il popolo vuole la caduta del regime». Martedì migliaia di bahraniti avevamo accolto al grido di «Libertà non Formula Uno», piloti, meccanici e direttori di corsa diretti al circuito di Sakhir. Le prossime ore potrebbero dare un’ulteriore spinta alle proteste. Il Movimento dei Giovani del 14 aprile ha annunciato «tre giorni di rabbia» in occasione delle due sessioni di prove e del Gp di domenica. Da parte sua il partito Wefaq, la più importante delle forze politiche di opposizione, ha annunciato una settimana di manifestazioni e sit-in. Iniziative volte a spostare i riflettori su di una rivolta nata sull’onda di quelle avvenute in Egitto e Tunisia ma che molti fingono di non vedere. Hamad bin Isa al Khalifa è un monarca assoluto ben protetto. Innanzitutto dall’Arabia saudita che un anno fa lo aiutò con truppe e mezzi blindati a spazzare via la tendopoli di Piazza della Perla, il cuore della protesta popolare. Ma anche dagli Stati Uniti che a Juffair, alla periferia di Manama, hanno la base della V Flotta che pattuglia e controlla il Golfo e, più di tutto, tiene costantemente sotto tiro l’Iran. Riyadh e Washington tacciono su ciò che accade in Bahrain, chiudono gli occhi sulle violazioni dei diritti umani e politici a Manama e invece denunciano con forza quelle in Siria. Le vittime ufficiali della repressione in Bahrain rimangono sempre 35 mentre in realtà sarebbero quasi 90, non poche della quali morte a causa di gas lacrimogeni sparati nelle case e in spazi chiusi. I piloti di Formula Uno invece pensano solo alla gara sul circuito di Sakhir Di fronte a ciò i piloti della Formula Uno non sanno far altro che ripetere che «lo sport è un’altra cosa» e che non può rimanere coinvolto in questioni politiche. «Non è giusto, siamo qui solo per correre e certe cose non dovrebbero accadere», protesta Nico Hulkenberg, driver della Force India, dopo che mercoledì sera quattro membri della sua scuderia erano rimasti coinvolti, senza danni, in scontri tra dimostranti e polizia (una bottiglia molotov è caduta vicino alla loro automobile). «La F1 è divertimento e queste cose non dovrebbero coinvolgerci» aggiunge Hulkenberg, che invece dovrebbe indirizzare le sue critiche nei confronti del patron della Formula Uno Bernie Ecclestone. Il quale, pensando agli introiti pubblicitari e agli incassi derivanti dal Gp, ha confermato una corsa che invece andava annullata. Ecclestone si è fidato delle garanzie degli al Khalifa, decisi a non rinunciare per il secondo anno consecutivo alla Formula Uno. A nulla sono serviti gli avvertimenti lanciati ad inizio aprile dall’ex campione del mondo Damon Hill e la decisione presa qualcher giorno fa del team MRS di rinunciare alla gara della Porsche SuperCup in Bahrain. Gli affari prima di tutto, i diritti dei popoli oppressi vengono dopo. Nena News

giovedì 19 aprile 2012

"FESTA DI ROVINE" ALLA MLRP

Comunicato Stampa

L'Associazione “Amici della Mezza Luna Rossa Palestinese onlus”



organizza la presentazione del libro



"Festa di rovine di Miriam Marino



Roma venerdi' 27 aprile 2012 ore 18 - presso la sede della AMRP

Via Baldassarre Orero,59 (zona Casal Bertone)



Continua il ciclo di presentazioni di libri su Palestina e Medio Oriente.



Presentazione del libro "Festa di rovine" di Miriam Marino ediz. Città del Sole



Intervengono: Isabella Camera D'Afflitto, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Patrizia Cecconi Presidente dell'associazione "Amici della Mezza Luna Rossa Palestinese", l'autrice Miriam Marino



"Il volume si sofferma in particolare sul dramma dell'infanzia in paesi quali l'Iraq e la Palestina, dove l'occupazione militare rende impossibile quella felicità di cui ogni bambino avrebbe diritto." (Patrizia Cecconi)





Associazione "Amici della Mezza Luna Rossa Palestinese onlus"

www.palestinamezzalunarossa.org

info@palestinamezzalunarossa.org

Un passo avanti per la campagna “Benvenuti in Palestina”.

La missione Welcome to Palestine infine ce l’ha fatta. Non sembri trionfalismo visionario, ce l’ha fatta non significa che i circa 1500 attivisti siano riusciti a rompere il muro di complicità che consente a Israele di esercitare il suo illegale potere sul mondo. Oltre che sui Territori Palestinesi.
Ce l’ha fatta significa che, nonostante il comprensibile scetticismo di molti e grazie alla straordinaria tenacia politica di chi ha lanciato la missione, gli aeroporti europei, e non solo europei, hanno visto decine o centinaia di attivisti pronti a dichiarare che la Palestina esiste e che lì, proprio lì, nella città di Betlemme, erano diretti.
Che la missione sia riuscita lo dimostra anche il fatto che una parte dei mass media, colpevolmente silenziosa in tante occasioni, stavolta ha raccolto l’invito a trasmettere l’informazione su questa battaglia di civiltà che non si fermerà qui.
Israele è tanto potente da aver la forza di dettare legge ai governi e alle stesse compagnie aeree le quali, ricattate da una minaccia, probabilmente illegittima, di sanzioni, hanno scelto di chinare la testa al diktat di Netanyahu e di violare i diritti dei propri utenti: le compagnie aeree hanno negato l’imbarco a cittadini incensurati e pacifici, ma sgraditi a Israele perché capaci di dichiarare a voce alta che la loro meta è la Palestina.
In questo modo le compagnie aeree - contro le quali si stanno preparando azioni legali - hanno accidentalmente comunicato al mondo che Israele ASSEDIA anche la Cisgiordania, circondandola e stabilendo a suo arbitrio chi passa e chi no, a seconda che si umili dicendo penose bugie che finiscono per avallarne l’illegalità e chi invece ha detto BASTA BUGIE, vado in Palestina perché è mio diritto.
In tutto quel che è successo negli aeroporti c’è, però, qualcosa di particolarmente inquietante e cioè: “chi ha fornito a Israele i nomi dei numerosi pacifisti incensurati che avevano intenzione di arrivare a Tel Aviv dichiarando la loro “pericolosa” intenzione di recarsi in Palestina per aiutare a costruire una scuola?”. Cercheremo di capirlo e di denunciarlo attraverso un’azione legale, ma è chiaro che siamo spiati da uno Stato che non rispetta decine di Risoluzioni ONU, che uccide senza processo quelli che ritiene suoi nemici, che detiene un numero impressionante di testate nucleari, che usa armi proibite in guerre proibite, tutto nella più totale impunità.
Noi siamo sicuri che l’azione del 15 aprile ha aperto una breccia, seguendo la via di precedenti azioni non violente che ne hanno disegnato il percorso. La scelta del 15 aprile non è stata casuale, voleva essere la dimostrazione che c’è un gran numero di combattenti per i diritti umani che ha raccolto il testimone lasciato da Vittorio Arrigoni e che non si fermerà davanti alla violenza e all’arbitrio israeliani, lo dimostra il fatto che le poche decine di attivisti riusciti a passare e ingiustamente imprigionati non hanno chinato la testa e hanno iniziato lo sciopero della fame contro la detenzione illegittima. Dobbiamo sostenerli! Così come dobbiamo sostenere gli attivisti israeliani arrestati perché colpevoli di contestare l’assedio, l’occupazione e la politica di apartheid del loro governo.
Della delegazione italiana, composta di 15 attivisti, 8 sono stati bloccati negli aeroporti, e tra questi la sottoscritta, colpevole, forse, di presiedere un’associazione umanitaria che si occupa di tutelare l’infanzia ferita o resa orfana dall’esercito israeliano, ed altri 3 iscritti alla stessa associazione. Gli altri 4, bloccati forse perché “colpevoli” di aver manifestato contro la guerra e a favore dei diritti umani ovunque vengano violati. Degli altri 7 riusciti ad arrivare a Tel Aviv, 5 sono stati posti in detenzione appena pronunciata la pericolosissima frase “VADO A BETLEMME, IN PALESTINA”e costretti all’espatrio con minacce di diversa natura. Due sono giunti a Betlemme, di questi una probabilmente perché molto anziana e quando ha pronunciato la fatidica frase non l’hanno capita nel suo significato “sovversivo”, e l’altro per aver derogato alla decisione comune per non lasciare senza testimonianze dirette la missione. Quindi, nonostante le strette maglie dell’illegale sistema israeliano, la missione segna un successo. Sicuramente parziale, ma significativo per andare avanti.
Il prossimo passo si gioca in ambito legale ma, comunque vada, Benvenuti in Palestina proseguirà finché ce ne sarà necessità. E il governo israeliano seguiterà a sprofondare nel ridicolo e a far vergognare quei pochi suoi cittadini consapevolmente democratici, per l’immagine che offre al mondo. Un’immagine che oscilla tra quella di uno stato colpevole di crimini contro l’umanità e quella di uno stato che ha paura perfino di chi arriva cantando, coi bambini in spalla, armato del desiderio di costruire una scuola…in Palestina!
E’ solo questione di tempo, ma se non vogliamo che il tempo sia troppo lungo, abbiamo bisogno del sostegno di tutti, istituzioni e società civile, per fermare l’illegalità e l’arbitrio israeliano e arrivare a una pace giusta in Medio Oriente.
Patrizia Cecconi – coordinamento Benvenuti in Palestina 2012

____________________________________

mercoledì 18 aprile 2012

Le nostre 12 ore da “criminali” in un carcere israeliano

Multimedia, Reportage | 16 aprile 2012



I fratelli Joshua e Valerio Evangelista

di Joshua e Valerio Evangelista

Pubblichiamo gli sms che i nostri Valerio e Joshua Evangelista ci hanno mandato appena dopo la liberazione da un centro di detenzione di Tel Aviv.

Cari amici di Frontiere News, un grazie di cuore per averci sostenuto in queste ore frenetiche. Come molti di voi sanno, siamo stati fermati all’aeroporto di Tel Aviv in quanto avevamo deciso di partecipare ad una missione umanitaria in Palestina a detta loro “sospetta”. Quando ci siamo rifiutati di essere reimbarcati coattamente senza poter contattare l’ambasciata hanno deciso di trattenerci in un centro di detenzione. Qui siamo stati trattati come animali: separati, a me è capitata una cella isolata, Valerio è stato messo in compagnia di un detenuto russo in attesa di espulsione.

Mi hanno negato l’acqua, siamo stati derisi, strattonati, invitati a “fare missioni umanitarie in Siria, dove ti sparano direttamente”. A Valerio le guardie hanno dato un panino per poi morderglielo mentre aveva un permesso per andare in bagno. Uno degli sfregi con i quali si divertivano a infastidirci. Ci fissavano e ridevano. Non abbiamo ricevuto violenze fisiche oltre le spinte, ma è andata diversamente ad un attivista spagnolo che si era rifiutato di entrare in cella, picchiato e preso a calci.

La situazione è cambiata drasticamente all’arrivo del console Nicola Orlando, il quale ci ha spiegato che in realtà avremmo avuto diritto a chiamare, celle aperte e stare insieme, essendo un centro di fermo amministrativo e non un carcere penale. Dopo l’arrivo del console ci hanno aperto le celle e dato un buon pasto caldo. Alle 5 di questa mattina dopo 12 ore di detenzione, abbiamo accettato l’espulsione. Non sappiamo più nulla delle nostre valigie e soprattutto del mio i-pad che mi è stato sequestrato per darlo, a detta loro, al Mussad.

martedì 17 aprile 2012

DOMENICO GALLO – Flytilla 2012, la libertà secondo Israele

dgalloUna iniziativa internazionale (benvenuti in Palestina) promossa da quei settori della società civile dei paesi occidentali che sono più attivi nella denunzia dell’intollerabile ingiustizia subita dal popolo palestinese, è stata scoperta dai mass media quando la mattina del 15 aprile 1.200 persone sono state bloccate negli aeroporti di tutta Europa ed è stato loro impedito di imbarcarsi sui vettori aerei dirette a Tel Aviv.

L’iniziativa si proponeva di organizzare un viaggio collettivo con destinazione Betlemme di volontari decisi a prestare attività di solidarietà con i palestinesi e di denunziare il blocco dell’accesso ai territori palestinesi operato da Israele, che non consente ai viaggiatori provenienti dall’estero di recarsi in Israele per accedere ai territori occupati.

Sul piano del diritto internazionale, non v’è dubbio che ogni Stato sia titolato ad esercitare il controllo delle sue frontiere ed a respingere, in conformità con le sue leggi, le persone che, per qualunque ragione, risultino sgradite.

Pertanto se Israele ha respinto coloro che sono arrivati a Tel Aviv dichiarando, a seguito della perquisizione ideologica a cui vengono sottoposti tutti i viaggiatori che sbarcano all’aeroporto Ben Gurion, di volersi recare in Palestina, tale uso arbitrario delle prerogative di sovranità può gettare un’ombra sull’“unica democrazia del Medio Oriente” ma non può essere concretamente contestato.

Quello che invece è inquietante è il fatto che Israele ha compilato una black list preventiva per bloccare i volontari di “Benvenuti in Palestina” negli aeroporti di partenza, prima che costoro si svelassero dichiarando la propria intenzione “sovversiva” di recarsi a Betlemme.

Tale black list costituisce la prova del nove che Israele ha esercitato ed esercita una attività di spionaggio ai danni della società civile nei paesi occidentali, con i quali sul piano diplomatico ha rapporti ufficiali di amicizia.

Come faceva Israele a conoscere i nomi delle persone che in Italia, in Francia, in Belgio, in Germania, in Grecia, in Inghilterra avevano deciso di imbarcarsi per partecipare a Flytilla 2012?

E’ evidente che dietro la black list c’è un’intesa e penetrante attività di spionaggio nei confronti dell’attività politica e di volontariato che si svolge in seno alla società civile ed è presidiata dalle libertà democratiche garantite dalle Costituzioni.

Ed allora la domanda è questa: si può consentire ad una Potenza straniera, anche se si tratta dell’“unica democrazia del Medio Oriente”, di esercitare la sorveglianza sulla società civile italiana (e degli altri paesi coinvolti) e di interferire nella vita privata delle persone (per es. mediante intercettazioni), sottoponendo a libertà vigilata la libertà di associazione e di espressione del pensiero?

Lo scandalo in questa vicenda è proprio la black list ed è strano che nessuno l’abbia sollevato.

Domenico Gallo

IN SCIOPERO DELLA FAME 1.600 DETENUTI PALESTINESI

Migliaia di detenuti palestinesi si coordinano in uno sciopero della fame senza precedenti per protestare contro ingiusti e illegali metodi di detenzione.

ELENA VIOLA

Roma, 17 aprile 2012, Nena News – All’incirca 1600 detenuti palestinesi sono in sciopero della fame, in concomitanza con la Giornata dei Prigionieri e la scarcerazione del loro famoso compagno Khader Adnan (protagonista di un lunghissimo digiuno nelle scorse settimane) prevista oggi sulla base di un accordo con le autorita’ israeliane. Una protesta contro le condizioni di vita nelle carceri israeliane e detenzioni frutto di arresti illegali, alla quale non a caso e’ stato dato il nome di Karameh (Dignità).

Lasciando la parola a Hana Shalabi, che nei mesi scorsi si è fatta simbolo di una lotta personale contro la detenzione amministrativa dalla più ampia connotazione popolare, diventa chiaro come, “gli scioperi della fame siano un ottimo ed efficace mezzo, forse l’unico, grazie al quale i prigionieri possono davvero ottenere qualcosa.” Sebbene Shalabi non abbia negato come la sua prolungata astinenza da cibo – 43 giorni di sciopero in totale – “fosse stata fisicamente molto dura,” non ha mai smesso di rimarcare come “il suo morale fosse alto.”

Secondo le stime dell’Associazione per il Supporto e i Diritti Umani dei Prigionieri-Addameer, il numero odierno di detenuti palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane ammonta a più di 4600 individui. Tra questi, almeno 320 sono prigionieri in detenzione amministrativa, cioè all’oscuro dei reali motivi dietro la loro prolungata detenzione, privi di qualsivoglia diritto a un normale processo e in totale balia del volere dei giudici militari israeliani.

Non è un caso che settimane addietro siano stati alcuni prigionieri in detenzione amministrativa a dare avvio all’odierno sciopero della fame. Essi si sono fatti promotori di una campagna di sensibilizzazione volta ad abbracciare l’intera e numerosissima classe di prigionieri palestinesi vittime di diversi maltrattamenti – isolamento, torture e abusi sia verbali che fisici, illegale deportazione dai territori occupati alle carceri situate nel territorio israeliano ecc. – da parte degli appuntati israeliani.

Tra gli 11 detenuti in questione, due rifiutano il cibo da 46 giorni. Secondo ciò che riportano i Medici per i Diritti Umani, il ventisettenne Bilal Diab, detenuto con procedura amministrativa dall’agosto scorso, ha cominciato a non accettare alcun tipo di soluzione fisiologica e ha perso conoscenza numerose volte. Tha’er Halahi, che di anni ne ha 34, è invece in detenzione amministrativa da 22 mesi, pena che si va a sommare ad altre cinque scontate da lui precedentemente.

Utilizzare l’arma non-violenta dello sciopero della fame come “unico mezzo del quale i prigionieri palestinesi dispongono per veder riconosciuti i loro diritti,” come una dichiarazione congiunta di tutti i prigionieri apparso due giorni fa su Ajnet news afferma, “e per fare pressione sul potere occupante per spingerlo a negoziare su alcune basilari richieste,” non è nuovo nella storia palestinese.

Il primo sciopero della fame – che per essere considerato tale deve avere una durata minima di 48 ore secondo il Servizio delle Prigioni Israeliane – ha avuto luogo nelle carceri di Nablus nel 1968. Da quel momento, in cui i palestinesi hanno alzato la testa contro gli abusi fisici e ripetuti subiti dai soldati israeliani, la storia di affermazione di dignità e diritti dei prigionieri palestinesi non si è mai fermata davvero.

Detto ciò, qualcosa è cambiato a cavallo tra 2011 e 2012. Prima il rilascio farsa, visto che metà è stata riacciuffata in seguito o deportata nella prigione a cielo aperto di Gaza, di un migliaio di detenuti palestinesi in cambio dell’unico soldato israeliano Gilad Shalit, poi le rinnovate e reiterate campagne di tante organizzazioni locali e internazionali dopo l’intensificarsi delle misure repressive adottate dal governo israeliano ai danni dei palestinesi. Quindi, la forza e l’ostinazione di Khader Adnan e Hana Shalabi, pronti ad assurgere al ruolo di martiri nazionali pur di riaffermare i propri diritti calpestati d’individui alla mercè di sistemi ingiusti e partitici.

Khader Adnan ha battuto ogni record in terra palestinese: 66 giorni di completa astinenza da cibo. L’attenzione mediatica e il supporto locale e internazionale gli hanno permesso di strappare una piccola concessione all’integerrimo potere occupante, e questo proprio quando le speranze di vita per lui stavano venendo a mancare. Più fortunato del tristemente noto Bobby Sands irlandese, Adnan potrebbe, o dovrebbe, essere rilasciato quest’oggi, scontando così ‘solo’ quattro mesi in illegale detenzione amministrativa contro gli almeno sette inizialmente previsti.

Dopo Adnan è stata la volta di Hana Shalabi: giovane donna a capo di una personale battaglia contro le umiliazioni e i maltrattamenti fisici e verbali subiti in carcere dai soldati israeliani e contro l’ingiusta e diffusa pratica della detenzione amministrativa, che avvicina a lei tanti palestinesi dalla diversa età e classe politica. Dopo 43 giorni, Shalabi ha accettato il verdetto della corte: deportazione nella Striscia di Gaza, lontana da familiari e amici, per tre lunghi anni.

Adnan e Shalabi sono isolati esempi di resistenza non-violenta dall’insolito successo. Se hanno fatto da modello allo sciopero della fame generale fissato per oggi, nondimeno si distanziano dalla portata totalitaria di quest’importante evento odierno. Adnan e Shalabi hanno alle spalle trascorsi familiari e politici affini e, per quanto abbiano incontrato incondizionato supporto sia nei Territori Occupati Palestinesi che all’estero, non sono specchio di una società composita e frazionata come quella palestinese.

Oggi, come dice il ministro per le questioni dei prigionieri dell’Autorità Palestinese Issa Qaraqi, “la situazione nelle prigioni israeliane si è fatta pericolosa e i prigionieri appartenenti alle diverse fazioni e organizzazioni devono fare fronte comune contro il Servizio delle Prigioni Israeliane.”

Se simili inneggianti parole si trovano anche nella dichiarazione rilasciata dai prigionieri stessi qualche giorno fa, il direttore di Ahrar Centre per gli Studi e i Diritti Umani dei Prigionieri, ed ex-detenuto, Fouad Khuffash rivela al Centro di Informazione Palestinese come, “i detenuti del partito politico di Fatah hanno deciso di partecipare allo sciopero della fame nelle carceri di Nichel, Ashkelon e Nafha e lo stesso vale per i detenuti di fazioni politiche quali Hamas, Islamic Jihad e PFLP. Si assisterà per la prima volta ad una larga unità tra fazioni.”

Non solo le potenze esterne, ma anche gli stessi palestinesi, lamentano spesso la mancanza di unità d’intenti tra le sfere politiche locali. Così si assiste a un nuovo fenomeno. Che lo sciopero della fame sia un efficace mezzo di resistenza non-violenta personale per sconfiggere e attirare l’attenzione su forme di oppressione e maltrattamento spesso ignorate, è cosa nota e verificata.

Ma, far fronte comune organizzando un evento politicamente trasversale e totalizzante come lo sciopero della fame di oggi, è fatto per risvegliare le coscienze mondiali di fronte a ingiustizie che di personale non hanno più nulla ma che, nelle loro diverse e illegali forme, colpiscono una popolazione intera senza distinzione di sorta. Nena News

Attivisti di "Benvenuti in Palestina" in sciopero della fame nelle carceri israeliane

LO SPIRITO DI VITTORIO, TRA GAZA E TEL AVIV
Fanno lo sciopero della fame in prigione decine di attivisti di Benvenuti in Palestina che rifiutano l’espulsione, in solidarietà con quello che da oggi faranno 1.600 detenuti politici palestinesi. Anche Vik nel 2008 fu arrestato (nel mare di Gaza) ed espulso.

MICHELE GIORGIO

Gaza, 17 aprile 2012, Nena News (foto dal sito fanpage.it)- Lo spirito di Vittorio Arrigoni domenica aleggiava non solo su Gaza, che lo ha ricordato con grande affetto e con la voglia di portare avanti il suo impegno, ma anche sull’aeroporto «Ben Gurion» di Tel Aviv dove oltre 600 agenti di polizia e dei servizi di sicurezza hanno bloccato, detenuto e rispedito a casa persone che avevano proclamato con sincerità soltanto di voler andare in Palestina, a Betlemme. E in manette sono finiti pure una decina di attivisti israeliani, rei di aver issato cartelli con la scritta «Benvenuti in Palestina», il titolo dell’iniziativa internazionale volta a dimostrare – missione riuscita visto quanto è successo – che i movimenti da e per i Territori occupati palestinesi sono fortemente limitati da Israele anche quando si tratta di cittadini stranieri. Nella Cisgiordania occupata i 1.500 attivisti in fondo potevano andarci tacendo sulla loro destinazione finale, oppure mentendo, magari sostenendo di voler trascorrere qualche giorno a Gerusalemme. E invece hanno dichiarato con sincerità di voler andare a Betlemme, in Palestina. È un reato avere amici palestinesi e dichiararlo apertamente? Per le autorità israeliane comunque è una colpa punibile con l’espulsione.

Il governo israeliano, con la piena collaborazione di una ventina di compagnie aeree (l’Alitalia ha prontamente risposto «Obbedisco») e dei servizi di sicurezza di vari Stati (inclusa quelli della Turchia del premier Erdogan che proclama ad ogni occasione il suo commosso sostegno ai diritti dei palestinesi), è riuscito a far cancellare i voli di centinaia di attivisti e a trasformare il check-in negli aeroporti europei in posti di blocco simili a quelli che tormentano l’esistenza dei palestinesi della Cisgiordania. A farne le spese sono state anche persone che non avevano alcun legame con «Benvenuti in Palestina». Secondo il quotidiano Haaretz il 40% degli internazionali i cui nomi erano nelle «liste nere» fatte arrivare in Europa dallo Shin Bet (il servizio di sicurezza israeliano) non erano affatto attivisti (470 sui 1200 a cui è stato negato l’imbarco). Tra loro un diplomatico francese e sua moglie, un impiegato del ministero italiano delle comunicazioni che ha dovuto rinunciare ad un incontro di lavoro in Israele e un membro del cda della casa farmaceutica tedesca Merck, parte di una delegazione diretta all’israeliano Weizmann Institute of Science. Magari dopo questa «piacevole» esperienza avranno capito qualcosa in più del Medio oriente. Secondo Sabine Haddad, portavoce del ministero dell’interno israeliano, al «Ben Gurion» sono stati arrestati 79 cittadini stranieri (non potranno entrare in Israele per almeno cinque anni) e tra questi 21 ieri mattina già viaggiavano in direzione degli aeroporti di partenza. Altri 58 invece si sono rifiutati di essere rimpatriati: due sono stati rinchiusi nelle celle dello scalo aereo, 56 (tra i quali due italiani) in una prigione non lontana da Tel Aviv dove fanno lo sciopero della fame di protesta ma anche in solidarietà con quello che cominciano oggi 1.600 detenuti politici palestinesi.

Vittorio Arrigoni da parte sua conosceva bene la prigione di Ramle che «visitò» nel novembre 2008 quando fu espulso da Israele con l’accusa di essere entrato illegalmente nel paese dove, però, non era mai transitato. La Marina militare israeliana lo aveva arrestato assieme ad altri due attivisti internazionali (uno scozzese e una statunitense) e 16 pescatori palestinesi nelle acque di Gaza, dove era arrivato tre mesi prima a bordo delle navi pacifiste del Free Gaza Movement. Un’esperienza che Vik raccontò sulle pagine del manifesto il successivo 29 novembre («Io catturato a Gaza»). «Sono stato sei giorni nelle prigioni israeliane – scrisse in quella occasione – celle anguste e luride, popolate da insetti e parassiti che hanno banchettato allegramente sulla mia epidermide. Ma vengo da Gaza, a essere incarcerato in fin dei conti ci ero abituato. Gaza è la più grande prigione a cielo aperto del mondo. Tutte le industrie hanno dovuto chiudere, più dell’ 80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, a Gaza si registra il più alto tasso di disoccupazione del pianeta, non c’è corrente elettrica, né carburante. Gli ospedali necessitano di medicinali, la stragrande parte della popolazione di viveri e beni di prima necessita». I soldati israeliani – aggiunse – «mi hanno prelevato da una prigione a cielo aperto solo per condurmi in una delle loro prigioni più piccole, dove quantomeno, a differenza di Gaza, servivano puntualmente un rancio e c’era per quasi tutto il giorno energia elettrica e acqua potabile».

Domenica un pugno di attivisti è riuscito a passare tra le strette maglie dei controlli al «Ben Gurion» e a raggiungere il centro stampa di «Benvenuti in Palestina» al Peace Center di Betlemme. Sono arrivati alla spicciolata due spagnoli, una canadese, tre francesi e due italiani. «Quando hanno chiesto dove fossimo diretti, non ho capito bene e sono finito con un gruppo di turisti – ha raccontato un giovane francese – ho pensato di dire che facevo parte della campagna più tardi, quando me lo avessero chiesto di nuovo. Ma non lo hanno fatto e mi sono ritrovato fuori dall’aeroporto con il visto di ingresso nel passaporto».

Ed è scontro in Israele sul video-choc di Gerico, girato di nascosto al culmine di un «confronto» tra una pattuglia militare e attivisti dell’International Solidarity Movement impegnati sabato in un «giro» ciclistico di solidarietà con la causa palestinese nella Valle del Giordano. Tutto è degenerato in violenza brutale da parte del tenente colonnello Shalom Eisner (probabilmente non solo militare ma anche colono), ripreso nell’atto di colpire al volto il danese Anders Las con il calcio del suo M-16. L’episodio è stato deplorato dal presidente Shimon Peres e perfino dal premier Netanyahu. Eisner – elogiato invece dall’estrema destra – si è difeso denunciando «provocazioni e una bastonata sulle dita», ma la sua giustificazione non ha convinto neanche gli alti comandi militari: che hanno definito «molto grave» l’accaduto, ordinando un’inchiesta e sospendendo dal servizio l’ufficiale-picchiatore. Nena News

lunedì 16 aprile 2012

FLYTILLA: OLTRE 40 ARRESTI A TEL AVIV

Nena news sta seguendo in diretta l'evento "Welcome to Palestine". Bilancio provvisorio di 35 internazionali e sei israeliani arrestati a Ben Gurion. Centinaia gli attivisti pro-palestinesi bloccati in Europa dalle compagnie aeree.

DALLA REDAZIONE

Beit Sahour (Cisgiordania), 15 aprile 2012, Nena News – Bilancio provvisorio di 35 internazionali e sei attivisti israeliani arrestati dalle forze di sicurezza dell’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Da questa mattina, lo Stato di Israele sta cercando, con modalità diverse, di impedire l’ingresso dei circa 1500 attivisti internazionali pro-palestinesi della campagna globale “Welcome to Palestine 2012”.

Attivisti bloccati negli aeroporti europei

Tentando di mantenere un basso profilo: la stragrande maggioranza degli internazionali (intenzionati ad entrare in Israele attraverso l’aeroporto Ben Gurion dichiarando apertamente di voler visitare i Territori Occupati Palestinesi) sono stati bloccati nei rispettivi aeroporti di partenza: Roma, Londra, Manchester, Parigi, Istanbul, Bruxelles, Ginevra. Le compagnie aeree europee, da Alitalia a British Airlines e Lufthansa, da EasyJet a AirFrance, hanno impedito a centinaia di internazionali di imbarcarsi nei voli verso Tel Aviv.
A Ginevra, bloccati circa 50 attivisti a cui è stato impedito di sedersi in aereo: alla domanda “Perché ci state impedendo di partire?”, il rappresentante della compagnia aerea EasyJet ha risposto che i loro nomi erano stati segnalati come presenti nella famigerata “lista nera” israeliana. Ad uno di loro è stato confiscato il passaporto. Altri venti sono riusciti a salire, ma sono stati subito fermati a Ben Gurion. A Istanbul, le autorità aeroportuali hanno impedito agli attivisti di imbarcarsi e hanno portato le loro valige fuori dall’aereo.
All’aeroporto Charles De Gaulle, corteo di protesta contro i mancati imbarchi: gli attivisti francesi hanno intonato lo slogan “Oggi il checkpoint è a Parigi”.


Arresti e deportazioni a Tel Aviv

Intanto, al Ben Gurion, la polizia israeliana ha proceduto a interrogatori, arresti e conseguenti deportazioni. Al momento sarebbero trentacinque gli arrestati, tra cui quindici francesi, un canadese, sei svizzeri e un portoghese. Tra loro, sei francesi subito deportati e il canadese Ted McLaren, delegato del Construction Worker Federation: l’uomo è stato messo immediatamente su un aereo diretto in Canada dopo essersi rifiutato di firmare l’ordine di deportazione.
In giornata si sono susseguite voci che riferiscono che tre attivisti pro-palestinesi sarebbero riusciti ad entrare nel Paese e a superare il Muro di Separazione. In questo momento sarebbero arrivati a Betlemme, ma le fonti non sono state ancora confermate.

Roma: Alitalia applica legge israeliana del 1952

A Fiumicino, sette attivisti italiani sono stati bloccati da Alitalia e non sono riusciti ad imbarcarsi per Tel Aviv. I sette hanno chiesto di parlare con il responsabile della sicurezza che si è rifiutato di dare loro le sue generalità. “Marco” si è limitato a consegnare loro “un pezzo di carta prestampata – come spiega Patrizia, una delle attiviste intervistate da Nena News, responsabile dell’associazione umanitaria Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese – che, con riferimento alla legge d’ingresso israeliana del 1952, dichiara che la compagnia Alitalia non si assume alcuna responsabilità per l’applicazione della legge israeliana. Il dirigente della sicurezza ha rifiutato di incontrarci”.
“Più tardi un portavoce di Alitalia – continua Patrizia – l’unico ad essersi presentato con nome e cognome, ci ha girato la ‘proposta’ delle autorità israeliane, una sorta di accordo per poter entrare in Israele: avremmo dovuto fornire allo Stato di Israele nome, cognome, indirizzo e-mail e numero di passaporto e comunicare dove avremmo alloggiato una volta nel Paese”.
“Solo una provocazione, un modo per farci perdere tempo e per lasciarci in attesa – ha spiegato la donna – visto che Israele conosceva già tutte queste informazioni. Abbiamo rifiutato e abbiamo organizzato un corteo di protesta a Fiumicino, prima di lasciare l’aeroporto”.
Per ore è girata la voce che anche il noto vignettista Vauro Senesi fosse stato bloccato a Fiumicino questa mattina. In realtà, interpellato dal sito Globalist, Vauro ha raccontato che ieri, aggirando i controlli a Roma e mescolandosi ad un gruppo di pellegrini, è riuscito ad imbarcarsi e in questo momento sarebbe a Gerusalemme.

Attivisti israeliani arrestati a Ben Gurion

Agli attivisti internazionali arrestati a Tel Aviv, vanno aggiunti sei attivisti israeliani pro-palestinesi: uno di loro, Yonathan Shapira del movimento Boycott from Within si è presentato all’aeroporto con disegni dei bambini palestinesi di Betlemme. Ma le voci sono discordanti: secondo alcuni testimoni, Shapira sarebbe stato arrestato, secondo altri sarebbe stato allontanato perché circondato da fanatici israeliani. Numerosi i membri del National Unit Party israeliano e rappresentanti dei coloni di Hebron presenti in aeroporto, che stanno cantando e ballando indisturbati nelle sale di Ben Gurion.

Lettera di Israele ai “cari attivisti”: andate in Siria

Le autorità israeliane hanno preparato una “lettera di benvenuto” per gli attivisti pro-palestinesi in arrivo oggi all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Nella lettera al “caro attivista”, Israele chiede agli internazionali intenzionati ad entrare in Palestina di convogliare le loro battaglie per i diritti umani non verso “l’unica democrazia del Medio Oriente”, dove si rispetta la libertà di espressione, ma verso altri target: il regime siriano, quello iraniano e quello di Hamas a Gaza.
“Apprezziamo la vostra scelta di fare di Israele l’oggetto delle vostre preoccupazioni umanitarie – si legge nella lettera di Israele – Sappiamo che ci sono altre scelte migliori. Avreste potuto scegliere di protestare contro le violenze quotidiane del regime siriano contro il suo stesso popolo. O di protestare contro la brutale repressione del regime iraniano verso i dissidenti. Avreste potuto protestare contro il regime di Hamas a Gaza, dove le organizzazioni terroristiche commettono un doppio crimine di guerra, lanciando razzi contro i civili e usando civili come scudi umani”.
Dimenticando che un Paese che pretende di chiamarsi “democrazia” rispetta e non mette sotto silenzio le voci di protesta. Non deporta cittadini europei, non li arresta e non usa il suo potere per obbligare compagnie aeree straniere a impedire la libertà di movimento. Un potere che gli deriva unilateralmente dall’occupazione illegale e in violazione del diritto internazionale della Cisgiordania e di Gaza, dove i veri crimini di guerra sono compiuti dall’esercito, dalla marina e dell’aviazione israeliani. Nena News

Israele esternalizza il controllo delle persone dirette in Palestina

FRONTIERE
Israele esternalizza il controllo
delle persone dirette in Palestina
Sette attivisti sono bloccati all'aeroporto di Roma Fiumicino diretti a Tel Aviv nell'anniversario della morte di Vittorio Arrigoni. Bloccati a terra in base a una legge di Israele del '52. Lettera ironica di Israele a chi arriva: "Occupatevi di Siria e Gaza"

Cinzia Gubbini
15.04.2012

Patrizia Cecconi, presidente degli Amici della Mezzaluna Rossa, è choccata: "Questo non è mai accaduto, non ci possono bloccare in Italia, è una gravissima lesione dei nostri diritti di cittadini". E si infuria: "Come è possibile che qui, all'aeroporto di Roma, nessuno si prenda la responsabilità di quello che sta accadendo?".
 
Le hanno messo in mano un foglio di "diniego di imbarco" che è firmato da un funzionario "ma la firma sembra prestampata" con cui è impossibile comunicare ("ci proviamo da ore"), ma riporta - testuali parole - il motivo del mancato imbarco sull'aereo che doveva portare Cecconi e altri sei attivisti a Tel Aviv: "direttiva dell'Autorità per l'Immigrazione e la Frontiera dello Stato di Israele, diniego di ingresso secondo la legge del 1952 che disciplina l'ingresso nello Stato di Israele". "Abbiamo avuto solo la solidarietà umana degli impiegati - continua Cecconi, che avrebbe dovuto imbarcarsi sul volo Alitalia delle 9,20 - ma questo foglio non è firmato da nessuno, voglio sapere come è possibile che sia rimasta a terra".
 
Cecconi partiva nel giorno della "Flytilla", il nuovo modo individuato dagli attivisti per arrivare in Palestina, come la "Flottilla" navale che contò dei morti per l'assedio israeliano nel 2010 e che proprio non riuscì a partire dalle coste greche nel 2011 con le stesse motivazioni che hanno bloccato oggi gli attivisti italiani a Roma. In pratica, se ne deduce, lo Stato italiano accetta di gestire il controllo della frontiera di Israele. Un caso piuttosto strano pur nei più cordiali rapporti diplomatici. Sono frequentissimi i controlli (e i respingimenti) all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, l'unico modo - tanto per ricordarlo - per raggiungere i territori palestinesi. Visto che la Palestina non ha un aeroporto, e neanche lo potrebbe avere, non essendo riconosciuta come Stato. Dunque: fino a che punto Israele può decidere chi va e chi non va in Palestina? E soprattutto, dove? E, inoltre, se Israele ha qualche problema con gli Amici della Mezzaluna Rossa, che c'entra l'Italia?
Nonostante questa evidente lesione dei diritti individuali delle persone che oggi dovevano partire, lo Stato di israele fa anche lo spiritoso. Infatti, a chi è riuscito ad atterrare all'aeroporto di Ben Gurion, viene consegnata una lettera in cui si dice "Caro attivista" perché non protesti "contro le stragi quotidiane perpetrate dal regime siriano nei confronti del suo stesso popolo... o contro la repressione violenta messa in atto dal regime iraniano verso i suoi oppositori... o contro il regime di Hamas a Gaza che si macchia due volte di crimini di guerra quando spara contro civili (israeliani) facendosi scudo di altri civili (palestinesi)". Israele invece, dice la lettera "è l'unica democrazia del Medio-Oriente, dove le donne beneficiano di eguali diritti, dove la stampa è libera di criticare il governo, dove le organizzazioni umanitarie sono libere di agire, dove viene garantita libertà di culto e dove le minoranze non vivono nella paura".
 
Oggi, anche dalla Turchia e da altri scali europei erano in partenza centinaia di persone. Ma ciascuna è diretta in Israele per partecipare a un progetto particolare: Patrizia Cecconi, per esempio, si stava dirigendo a Tel Aviv per poi raggiungere Betlemme dove avrebbe dvouto aiutare la ong franco-palestinese "Education enfance jeunesse" per la costruzione di un plesso scolastico: "Partivamo proprio oggi, anniversario della morte di Vittorio Arrigoni, perché portiamo avanti il suo testimone del "restiamo umani". E per noi restare umani significa anche garantire l'educazione ai bambini e ai ragazzi palestinesi. Cosa che non sta a cuore a Isarele, anzi lo impedisce. Ma questo lo sapevamo già".

giovedì 12 aprile 2012

PALESTINA LIBERA E ISRAELE FACCIA PASSO INDIETRO =

> M.O.: VITA (PD), PALESTINA LIBERA E ISRAELE FACCIA PASSO INDIETRO =
> (AGI) - Roma, 12 apr. - "Siamo colpiti e disgustati per come i
> soldati israeliani abbiano attaccato i partecipanti alla
> Conferenza Internazionale per la Resistenza Popolare di
> Bil'in", dice Vincenzo Vita, senatore Pd e presidente
> dell'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Palestina. "Si
> tratta della settima conferenza quella che ha avuto luogo
> quest'anno nel villaggio di Bil'in dal 10 al 13 aprile 2012.
> Palestinesi, israeliani ed attivisti da tutto il mondo si
> ritrovano per discutere sulla lotta popolare 'resistenza non
> violenta' palestinese, della visione, delle tattiche e
> strategie. Rispetto agli scorsi incontri, la conferenza
> internazionale Bil'in 2012 si e' tenuta in varie sedi, in tutta
> la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme. Forse la Palestina
> iniziava a far sentire troppo la sua voce e i soldati
> israeliani hanno caricato i partecipanti e hanno arrestato
> sette palestinesi, due italiani, un francese e un altro
> cooperante internazionale. Adesso basta. Che intervenga -
> conclude - la comunita' internazionale. Che si proclami una
> Palestina libera, che Israele faccia un passo indietro e
> deponga le armi. E il governo italiano batta un colpo". (AGI)
> Red/Bal
> 121457 APR 12

Ma il consolato italiano si è limitato vergognosamente a prendere nota delle decisioni israeliane di deportare i due attivisti senza una parola nè di critica nè di richiesta di spiegazioni.

--

INCREDIBILE E IGNOBILE PROVOCAZIONE SIONISTA

Oggi ad Hebron interrotta la conferenza internazionale di Bi'lin a causa dell'attacco degli israeliani agli attivisti presenti:


Riporto da Michele Giorgio:

"Soldati israeliani attaccano i partecipanti della Conferenza Internationale per la Resistenza Popolare - oggi ad Hebron dopo l'apertura di ieri a Bil'in. Un colono intima al coordinatore Abdallah Abu Rahma di allontanarsi e poi chiede l'intervento dei soldati. Abu Rahma viene arrestato, e i soldati caricano i partecipanti - in pausa pranzo nelle vicinanze della moschea di Abramo. 7 arrestati tra i palestinesi, due italiani, una francese ed un altro internazionale. Una cooperante dell'Organizzazione italiana Un ponte per L.M. viene buttata a terra da un soldato: si rompe la spalla e viene portata via in autombulanza e stanotte rimarra' ricoverata nell'ospedale di Hebron per precauzione. Per ora, la conferenza - che si tiene in area H1 formalmente sotto controllo palestinese - è stata sospesa. Tra gli 11 arrestati dagli israeliani c'e' anche un italiano dell ISM."


Un assaggio con un video dei CPT (i Christian Peacemaker Teams)
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=_t2_KByxAHE

mercoledì 11 aprile 2012

In arrivo la Flotilla, "Welcome to Palestine 2012"

Welcome to Palestine 2012

Più di 25 organizzazioni palestinesi sono orgogliose di annunciare l'imminente arrivo di centinaia di visitatori per la campagna “Welcome to Palestine 2012” e vi invitiamo ad una conferenza stampa per i dettagli del nostro programma e dei nostri scopi martedì 10 aprile alle 17:00 nel Centro Pace di Betlemme.

Noi continuiamo i nostri preparativi anche se alcuni volontari sono stati stati maltrattati da parte delle autorità di occupazione israeliana. E' anche capitato che venisse fatta un'incursione nella casa di un'attivista palestinese alle 2 di notte durante la quale le forze di occupazione hanno sequestrato un computer e un telefono cellulare. Altri attivisti per la pace sono stati trattenuti ed interrogati per ore mentre stavano entrando od uscendo dal paese. Decine di volontari che collaborano con noi sono stati incoraggiati poichè con queste azioni Israele getta luce sulle proprie politiche di assedio ed isolamento attuate in Cisgiordania. Nuovi volontari si uniscono ogni giorno per garantire un programma regolare per i nostri visitatori che comprende anche la costruzione di una nuova scuola, la conoscenza dei palestinesi, tour informativi e scambi culturali.

L'ultima campagna di luglio 2011 ha visto centinaia di attivisti comprare biglietti aerei e cercare di imbarcarsi sui voli verso la Palestina. Israele ha inviato una “lista nera” di 342 partecipanti di età compresa tra i 9 e gli 83 anni per impedire loro di imbarcarsi sugli aerei e ciò ha creato grandi proteste in molti aeroporti internazionali. L'esercito israeliano ha inoltre trasformato l'aeroporto in un complesso militare. 127 donne e uomini sono stati arrestati all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv e hanno passato molti giorni in carcere mentre insistevano sul proprio diritto di visitare le associazioni e le famiglie palestinesi.

Nonostante tutto, questo evento ha avuto i suoi aspetti positivi. Come risultato di questa contestazione legale, molte compagnie aeree europee hanno rimborsato integralmente i biglietti e alcuni sindacati delle linee aeree si sono uniti a noi facendo pressione per la libertà di viaggiare. Inoltre, questi atti hanno messo in luce i tentativi di Israele di impedire l'ingresso nel paese agli internazionali che appoggiano in maniera pacifica milioni di palestinesi che vivono sotto occupazione. Ciò che il governo israeliano sembra detestare è che donne e uomini in arrivo in Cisgiordania dal 15 al 21 aprile rifiutano di mentire e nascondersi. Si rifiutano di fingere che la Palestina e i palestinesi non esistano. Israele chiede la delegittimazione e diffonde bugie sugli scopi reali dei visitatori in arrivo. Ringraziamo queste persone che lavorano per la pace e l'umanità con onestà e dignità.

La comunità internazionale riconosce il diritto umano fondamentale dei palestinesi di ricevere visitatori dall'estero ed appoggia il diritto dei propri cittadini di recarsi in Palestina senza maltrattamenti. Noi respingiamo tutti i tentativi di isolarci e di metterci a tacere. Mentre Israele fa di tutto per isolarci, invitiamo tutti ad unirsi a noi apertamente e con orgoglio. Così potremo avere programmi più ampi per sfidare e contrastare l'assedio. Con l'aiuto della comunità internazionale ed i volontari locali, raggiungeremo il nostro obiettivo di pace e libertà per ristabilire i valori e i principi che condividiamo come esseri umani

Invitiamo i membri della stampa ad una conferenza stampa per i dettagli del nostro programma e dei nostri scopi martedì 10 aprile alle 17:00 nella Centro Pace di Betlemme

Tradotto in italiano da Marta Fortunato (Alternative Information Center)

martedì 10 aprile 2012

UN ALTRO CHE NON HA VISTO IL MURO!

ESCLUSIVA VIDEO: MONTI NON SI PRONUNCIA SUL MURO
Si tiene molto sul vago il Presidente del Consiglio dei Ministri in visita alla Basilica della Natività di Betlemme in occasione delle festività pasquali. Alla domanda se abbia visto il Muro, non si esprime.

EMMA MANCINI E IKA DANO

Betlemme (Cisgiordania), 9 Aprile 2012, Nena News – “Devo andare” e un sorriso di circostanza. Questa la risposta del Presidente del Consiglio Mario Monti a Nena News durante la breve visita alla Chiesa della Natività di Betlemme stamane alle 12. Dopo che l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi aveva dichiarato nel 2010 di “non essersi accorto” del Muro, anche Monti non si sbilancia.

Dopo una lunga attesa, il Presidente del Consiglio è arrivato sulla piazza della Natività accompagnato dalla moglie, accolto dalle autorità locali e consolari. E’ poi partita la visita guidata della Basilica, in nome della storia religiosa del luogo natale di Gesù, ma senza accenni alla storia contemporanea, che ha visto la Chiesa sotto assedio israeliano per trentanove giorni nell’Aprile del 2002, con 40 ostaggi tra civili e frati. 8 i morti, 27 i feriti e notevoli i danni alle pareti superiori, peraltro in parte ancora visibili.

Acclamato da turisti italiani che gli si sono stretti attorno chiedendogli “di fare qualcosa per noi” e definito “nostra unica salvezza”, il Primo ministro è poi sceso nella grotta della natività.

”Questo è il momento per auspicare ogni soluzione positiva, non per indicare delle strade” è stata la vaga replica alla domanda di Nena News se la soluzione dei due Stati sia ancora possibile.

Circondato da guardie del corpo attente a tener lontana la stampa, Monti si rifiuta di rispondere all’interrogativo sulla volontà del suo governo di mostrare una posizione più ferma del suo predecessore rispetto all’implementazione del diritto internazionale. Niente soddisfazione neppure per chi si aspettava un pò più di nettezza sul Muro: anche al secondo tentativo, il Presidente del Consiglio tace e svicola.

Terminata la visita a Betlemme, è poi ritornato a Gerusalemme, in visita al Memoriale dell’Olocausto (Yad Vashem) e alla Sinagoga italiana, dove avrà un incontro con la comunità ebraica italo-israeliana. Stasera partirà per l’Egitto. Nena News

sabato 7 aprile 2012

PASQUA: ISRAELE CHIUDE VALICHI, POCHI PERMESSI PER PALESTINESI CRISTIANI

Strette misure di sicurezza in occasione della Pasqua ebraica che comincia stasera. Per la Pasqua cristiana i palestinesi potranno contare su di un numero esiguo di permessi per entrare a Gerusalemme

Gerusalemme, 06 aprile 2012, Nena News – Israele ha chiuso oggi tutti i valichi e posti di blocco con la Cisgiordania e tra la zona araba (Est) di Gerusalemme e la Cisgiordania, in occasione della Pasqua ebraica, che comincia stasera e che quest’anno coincide con quella cristiana. Sono stati sospesi fino a domenica mattina i permessi per i palestinesi non residenti a Gerusalemme; Il provvedimento riguarda anche le poche autorizzazioni di cui sono in possesso gli abitanti di Gaza.

Le autorità israeliane hanno adottato misure restrittive anche a Eilat, dove ieri sono stati ritrovati i resti di un razzo katiusha apparentemente lanciato dal Sinai egiziano, come ha ribadito oggi alla radio militare il vice premier Silvan Shalom. L’Egitto si dice estraneo all’attacco. Il movimento islamico Hamas – pure chiamato in causa da Israele – ha fatto sapere di non essere coinvolto in alcun modo nell’attacco a Eilat. I servizi segreti israeliani intanto sconsigliano ai cittadini dello Stato ebraico dall’entrare in Sinai e definiscono «pericolose» persino le visite in Turchia.

In occasione delle festività pasquali Richard Stearn, presidente di World Vision, un’agenzia internazionale Cristiana, ha avvertito in una intervista al sito crosswalk.com che nonostante la disponibilità mostrata dalle autorità israeliane, la maggior parte dei 50mila palestinesi cristiani di Cisgiordania e Gaza non potranno raggiungere Gerusalemme e partecipare ai riti della Pasqua. Stearn ha previsto che i permessi rilasciati non dovrebbero superare i 3mila, come nel 2011. «In questi giorni prego affinché i palestinesi cristiani possano essere liberi di raggiungere la Città Santa», ha dichiarato Stearn ricordando che 80 leader cristiani hanno di recente firmato un documento – tra i quali arcivescovo greco-ortodosso di Gerusalemme – nel quale denunciano le violazioni della libertà religiosa in Israele, la Giordania e Gaza.Nena News

giovedì 5 aprile 2012

Juliano

Juliano Mer Khamis sempre vivo nel nostro ricordo

Il 4 aprile dell'anno scorso veniva ucciso Juliano Mer Khamis, direttore del Freedom Theatre del campo profughi di Jenin. Juliano figlio di Arna Mer un'attivista israeliana che si era trasferita al campo profughi per occuparsi dei bambini e di un militante comunista palestinese, lavorava da anni al Teatro della Libertà dove spingeva i bambini e i giovani ad essere liberi, anche mentalmente, organizzando corsi di regia, di teatro ecc. Juliano era un uomo libero e un compagno eccezionale, ci ha lasciato un grande vuoto e un desiderio di giustizia che tutt'ora non è stato soddisfatto, i responsabili della sua uccisione restano ancora sconosciuti. Ci resterà sempre nel cuore e vivo nel nostro ricordo.


The murderer has not been found,
Four powerful security agencies
are responsible for the investigation;
For finding answers to who murdered Juliano
and why, So that justice can prevail.
After one year of fruitless investigations,
We demand results! We demand justice!

What: Demonstration
When: 4 April 2012 at 11:00
Where: Palestinian Police Headquarters in Ramallah (Muqattah)

On the 4th of April 2012 The Freedom Theatre will cancel all its artistic activities. We will do so because on this day one year ago, Juliano Mer Khamis, co-founder of The Freedom Theatre and its visionary leader was murdered, and the murderer has not yet been found. We do not feel that those responsible for investigating the murder are fulfilling their obligations to uphold justice.

On the 4th of April at 11:00, we are going to stage a demonstration outside the Muqattah in Ramallah to demand justice for Juliano. We encourage artists, activists and all those who support freedom of expression to do the same. We ask you to join us in this demonstration because we believe that when one artist is attacked, all artists are attacked.

Also on the 4th of April at 20:00 the Arab Theatre in Jaffa and the Al-Midan theatre in Haifa will stage events on the occasion. Among the participants are Juliano's former students, members from The Freedom Theatre, DAM and many more.

If you plan or wish to carry out an event in honour of Juliano, we ask that you keep us informed so that we may offer assistance and additional publicity. We also suggest that all events take into consideration the five children Juliano left behind.


The Freedom Theatre

Il delirio della Nirestein

"Intellighenzia anti-ebraica"
Grass, simbolo degli antisemiti chic
Fiamma Nirenstein
 
5 Aprile 2012
Gunther Grass, ex-SS nazista

 
Gente come Gunter Grass, come Mikis Theodorakis, come Josè Saramago sono in realtà la vera faccia dell’Europa, quella degli intellettuali da salotto che danno una mano a far fuori gli ebrei. Certo, dopo la Shoah, soprattutto se uno è stato nelle SS come Grass, ci vuole tempo per dirlo che Israele è peggio dell’Iran. Ma poi arriva. E vai, grande intellettuale, dicci che è la reincarnazione del nazismo, che c’è l’apartheid, che uccide i bambini per gusto, e lancerà la bomba atomica.
La sua bischerata antisemita non c’è chi non la dica nel salotto di Gunter, lo stesso della Ashton. Anche Theodorakis, con altri ex comunisti rallentati dal fatto che anche loro gli ebrei li avevano deportati nei lager, alla fine sbottò. Nazisti, questi ebrei. E i perfetti nordici chic, come Jostein Gaarner, col suo grazioso “Mondo di Sofia”, mica possono restare nel corridoio...
Tutti in salotto con gli scrittori, i poeti, i musicisti, i meglio insomma: Israele è più pericolosa dell’Iran, si vede, chi se ne frega se non ha mai minacciato nessuno ma è sempre stata minacciata, se l’Iran promette di distruggerlo e Israele manco ci pensa, chi se ne frega se un presidente eletto democraticamente ha ben altri vincoli di Ahmadinejad, se Israele non ha mai fatto male a una mosca a meno di essere attaccato, se non ha mai detto o scritto una parola d’odio al contrario degli Ajatollah. Ma gli ebrei alla fine nascondono sempre un piano diabolico. Grass lo sente, ci avverte. Annusa. Che dire, magari in quei salotti si beve molto.  
Tratto da 'Il Giornale'
__._,_.___

Gente come la Nirestein ha fatto del suo scopo nella vita quello di provocare, non diversamente dalla non compianta Fallaci. La considerazione politica, intellettuale e umana che ho di questa persona è così bassa che non giudico necessario perdere tempo prezioso per contrastare le sue deliranti affermazioni e mi sono decisa a scrivere qualcosa solo per difendere la posizione del poeta Gunter Grass che è anche la mia e che come ogni poeta e intellettuale deve fare, ha solo scritto qualche verità. Entriamo nel merito: la “nostra” innanzitutto per dare dell'antisemita a destra e a manca scrive su una testata che è senza dubbio una delle più becere, razziste e deliranti testate italiane. Quindi il buon giorno si vede dal mattino.
E cosa dice la Nirestein? La vera faccia dell'Europa sarebbero intellettuali del livello di Saramago, Gunter Grass e Theodorakis. Magari! Purtroppo non è così. E cosa farebbero questi signori? Darebbero una mano a far fuori gli ebrei. Ma andiamo...Semmai danno una mano a far fuori i cretini! Con le loro chiare parole, ovviamente. “E vai grande intellettuale, dicci che Israele è la reincarnazione del nazismo, che c'è l'apartheid, che uccide i bambini per gusto e lancerà la bomba atomica”. Si,infatti, Israele non so con quanto gusto, ma ha ucciso e uccide bambini tutti i giorni, l'apartheid è un fatto che nessuno può negare, e quanto alla bomba atomica per quanto è dato sapere è Israele l'unico paese a possederla in tutto il Medio Oriente. I suoi governanti hanno raggiunto un tale livello di criminalità e di pazzia che potrebbero benissimo lanciarla sull'Iran.
“Israele non ha mai minacciato nessuno, ma è sempre stata minacciata”. Ma davvero? Lo andasse a chiederlo in particolare ai palestinesi e in generale agli altri paesi del Medio Oriente se la pensano allo stesso modo. Israele non si accontenta di uccidere persone, mantiene il suo controllo dappertutto e ne sappiamo qualcosa anche qui in Italia. Ora lo fa con le armi, ora lo fa con la retorica e con una rete di menzogne. Israele è così minacciata che anche per i crimini più efferati, vedi “Piombo fuso” o la distruzione del campo profughi di Jenin nel 1002, non ha mai ricevuto una sanzione, né un embargo, né niente di simile. Ha la licenza di uccidere concessagli da tutti i paesi del mondo. La notizia poi che i comunisti avrebbero deportato gli ebrei nei lagher sinceramente mi giunge del tutto nuova.
“Israele non ha mai fatto male a una mosca a meno di essere attaccata”. Non so per quanto riguarda le mosche, non posso dire, ma per quanto riguarda le persone per elencarne i crimini non basterebbe un rotolo di carta igienica.
“Israele non ha mai avuto una parola di odio!!!” Questo bisognerebbe chiederlo ai palestinesi della valle del Giordano, a quelli del Neghev, a quelli di Gaza,ai prigionieri in detenzione amministrativa, ai bambini arrestati nel cuore della notte, o anche a qualsiasi oppositore dentro e fuori Israele.
Può darsi però che la “nostra” abbia qualche ragione e che Israele uccida, arresti e distrugga case senza odio, per pura mancanza di umanità e questo mi ricorda qualcosa...quella Shoah di cui tanto si riempie la bocca.
“Un presidente democraticamente eletto ha ben altri vincoli...” Netanjau sarà pure stato democraticamente eletto, ma vincoli non mostra davvero di averne.
Infine non so se nei salotti di cui parla Nirestein si beve, ma certo lei non ha bisogno di bere, è ubriaca in modo naturale, oppure, più probabilmente, è una provocatrice abituale.

mercoledì 4 aprile 2012

I coloni occupano, rubano e sfruttano i bambini palestinesi

Bambini palestinesi costretti a lavorare nelle colonie israeliane
di Adri Nieuwhof (Electronic Intifada)


Circa un mese fa ho scritto nel mio blog a proposito dei 60mila palestinesi che vivono sotto le terribili condizioni dell’occupazione israeliana nella Valle del Giordano e nell’area del Mar Morto. Israele proibisce ai palestinesi di utilizzare il 94% della loro terra.


Sostenuti dal governo, circa 9.500 coloni hanno sviluppato un ricco e fruttuoso commercio agricolo nella Valle del Giordano occupata, in violazione del diritto internazionale. L’impatto delle politiche israeliane sui bambini palestinesi appare chiaro in un video prodotto da Ma’an Development Center. Inoltre, Ma’an ha redatto un report che ho potuto visionare prima della pubblicazione.



“Essere costretto a farlo lavorare mi fa sentire dolore fisico, allo stomaco”, dice il padre di uno dei bambini lavoratori.

Mohammaed, 16 anni, vive nel villaggio di Fasayil, nella Valle del Giordano. La storia di Mohammed e della sua famiglia è un esempio dell’effetto che ha l’occupazione israeliana sulla vita dei palestinesi. “Voglio diventare un meccanico, ma non abbiamo abbastanza soldi per questo. Così, lavoro nelle colonie, un lavoro duro. Devo spostare pesanti casse di verdura, non ce la faccio, ma sono costretto”.

Suo padre spiega che la famiglia ha solo cinque dunam di terra (1 dunam = 1 km²). Coltivare un dunam costa duemila shekel (circa 400 euro). “Cosa possono fare cinque dunam per un famiglia numerosa? E siamo sotto occupazione. Non possiamo esportare i nostri prodotti o farceli pagare bene nel nostro mercato. E quando i prezzi crescono, Israele inonda di prodotti i nostri mercati. Quando i checkpoint vengono chiusi, le nostre verdure vengono danneggiate. Queste sono le ragioni per cui mio figlio Mohammed è stato costretto a lasciare la scuola e a lavorare nelle colonie”.

Anche il figlio di Mahmoud Zbeidat lavora per i coloni israeliani della Valle del Giordano. Dice nel video: “Voglio che mio figlio Ismail diventi un dottore. Spero che tutti i miei bambini siano felici nella loro vita. Ogni padre vorrebbe che i propri figli avessero successo e una vita migliore. Non vogliono vederli lavorare per i coloni. Quando vedo il mio bambino andare nella colonia alle 6 del mattino e sprecare la sua vita, per poter guadagnare e mangiare, mi sento male, sento dolore allo stomaco: lo sto obbligando a lavorare”.

Lavoro minorile negli insediamenti illegali in Valle del Giordano

La profonda miseria e la povertà del sistema educativo spingono i bambini a lavorare nelle colonie agricole nella Valle del Giordano.

Un rapporto in arabo pubblicato da Ma’an mostra come il numero di bambini palestinesi costretti a lavorare nelle colonie oscilli tra 500 e 1000 – alcuni di loro minori di 13 anni. Molti di loro risiedono nella Valle del Giordano, altri arrivano da altre zone della Cisgiordania occupata. Raccolgono, puliscono e impacchettano frutta e verdura. Sono costretti a lavorare durante il caldo insopportabile dell’estate, a 50 gradi, e nel freddo invernale, quando la temperatura scende a zero gradi. Iniziano la mattina presto, alle 5.30, e proseguono fino alle due di pomeriggio. Lasciano la scuola perché il lavoro si svolge proprio durante l’orario delle lezioni.

Secondo Ma’an, la maggior parte dei bambini lavoratori sono illegali e non ricevono alcun beneficio. “Guadagnano” 50 o 60 shekel al giorno, 10-12 euro. Il loro salario medio è più basso di quello dei palestinesi adulti che guadagnano tra i 60 e i 100 shekel ( 12-20 euro) al giorno, e un terzo del salario minimo previsto dalla legge israeliana.

I diritti dei bambini

Israele ha ratificato la Convenzione dei Diritti del Bambino che stabilisce che un minore – una persona con meno di 18 anni d’età – dovrebbe essere cresciuto in un clima di pace, dignità, tolleranza, libertà, uguaglianza e solidarietà. Al contrario, l’occupazione illegale israeliana ha dato vita ad una situazione distruttiva per le famiglie palestinesi. Le povere condizioni economiche spingono i genitori e i loro figli ad accettare impieghi nelle colonie agricole israeliane della Valle del Giordano. I bambini accettano lavori in condizioni difficili per salari bassissimi. Lavorano in nero, senza benefici né tutele. Alcuni lasciano la scuola per aiutare economicamente la propria famiglia.

“Come politica ufficiale, il lavoro minorile nelle colonie è vietato. Ma ci sono accordi tra l’Autorità Palestinese e Israele che non ci permettono di interferire”, spiega Amjad Jaber, portavoce del Ministero del Lavoro a Gerico nel video, in una dichiarazione scioccante. Non ha ragione. Israele, l’Autorità Palestinese e la comunità internazionale hanno il dovere di proteggere i diritti dei bambini.

Questo articolo è apparso su Electronic Intifada: http://electronicintifada.net/blogs/adri-nieuwhof/poverty-drives-palestinian-children-work-israels-agricultural-settlement

Tradotto in italiano da Emma Mancini (Alternative Information Center)

VIDEO: Child laborers in Israeli agricultural settlements in the Jordan Valley, Palestine

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=DqUjWpV6NYg#!

Un buon esempio dalla Grecia

Una valanga di nuove tasse sta per travolgere la popolazione già stremata dal taglio alle pensioni, dalla disoccupazione e perdita di posti di lavoro, dalla perdita del potere d'acquisto, dall'IVa che ha tartassato tutti, un es: ho fatto una convenzione per il telefono dopo averlo tagliato come spesa da molti anni, l'importo era circa 70 euro ogni due mesi, l'ultima bolletta con l'IVA aumentata supera i 90 euro, ho comprato una catena d'argento per confezionare una collana, il costo era 18 euro, con l'IVA arrivava a 30. Non è bastato, ora arriva l'imu. Io mi chiedo: dov'era lo stato quando per comprare la mia casa ho mangiato una volta al giorno e lavorato 18 ore per due anni per poter pagare banca e prestiti, dov'era quando racimolavo gli spiccioli per comprarmi un uovo o un pacco di pasta per mangiare resistendo alla tentazione di rivendere la casa grazie alla quale ora ho un tetto sulla testa e non sto sotto i ponti come sarebbe successo se non avessi provveduto quando ero abbastanza giovane per sopportare tante privazioni. A che titolo lo stato vuole soldi da me dopo i sacrifici che ho fatto? Che cosa mi ha dato lo stato oltre le tasse da pagare? Frega qualcosa allo stato se io non ho praticamente reddito? Ora io non sono pregiudizialmente contro l'idea dello stato nè contro quella di pagare contributi giusti ed equi, ma questo non è lo stato dei cittadini, è lo stato delle banche e dell'alta finanza. Vuole far quadrare i suoi conti che non sono pubblici, perchè non è il pubblico che ha fatto i danni con bagordi, speculazioni, corruzione e scialacqui. Ho lavorato e lottato tutta la vita ed ora mi ritrovo in anni in cui avrei diritto a un pò di pace e di riposo a dover lottare peggio di prima. Perchè devo nutrire questo Moloc infernale? I diritti devono essere cancellati "per principio" i cittadini diventano sudditi, la volontà popolare non ha più valore di quella che avevano una volta i servi della gleba. Lo stato che si chiami Berlusconi o Monti va avanti per la sua strada come un rullo compressore sul sangue della gente. I suoi conti non li paga mai, ma dai cittadini li pretende senza appello e senza apietà. E mentre uccide, incarcera, reprime, è determinato a portare a termine le sue "grandi opere mafiose" come la Tav, l'aereoporto di Viterbo e tante altre. Non parliamo poi degli acquisti di armi sempre più costose e sofisticate o delle "guerre umanitarie". La società civile è annientata, regioni intere sono annichilate (Sulcis) migliaia e migliaia di lavoratori restano in mezzo a una strada assieme alle loro famiglie, 40 piccoli imprenditori si sono suicidati, due lavoratori si sono dati fuoco e un'anziana si è buttata dal balcone. Quanto altro sangue dobbiamo veder spargere per nutrire questo Moloc dell'inferno? L'intera nazione è in preda alla depressione più nera. E' ora di dire basta! E' ora di togliere a questi pesci malefici l'acqua in cui nuotano. Tenendosi stretti i loro soldi ci spremono perchè siamo di più ma essere di più può diventare un potere. NON paghiamo più niente! Facciamo uno sciopero delle tasse, organizziamoci per uscire dalle loro logiche, produciamo i beni per i cazzi nostri e scambiamoceli tra di noi, facciamo girare i soldi da produttore a consumatore, inventiamoci qualcosa per lasciarli ai margini questi fetenti mafiosi e delinquenti incalliti nemici dell'umanità. Monti vada all'inferno, lui e i suoi complici italiani e europei.
Una buona notizia viene dalla Grecia:




*"Potato movement" vendita diretta contro la crisi 26/03/2012 - *


In Grecia la vendita diretta dal produttore al consumatore taglia gli
intermediari e i prezzi C'è qualche controversia sul dove e come è
iniziato, ma Christos Kamenides, geniale professore di marketing agricolo
all'Università di Salonicco, è sicuro che lui e i suoi studenti hanno messo
in piedi un sistema che funziona. Di certo il cosiddetto "Potato movement",
attraverso il quale centinaia di tonnellate di patate e altri prodotti -
che probabilmente il mese prossimo includeranno anche l'agnello pasquale -
vengono venduti ai consumatori direttamente dai produttori, sta prendendo
piede in tutta la Grecia. «Perchè tutti ne traggono benefici», dice
Kamenides davanti a uno dei camion da 25 tonnellate di patate, a un altro
di cipolle, e ad alcune camionette piene di riso e olive. «I consumatori
ricevono prodotti di buona qualità pagando un terzo del prezzo che
pagherebbero normalmente, e i produttori ricevono subito i soldi».
Kamenides e i suoi studenti hanno escogitato un sistema semplice. L’unica
trovata geniale è stata coinvolgere i Comuni greci, cosa che ha conferito
al movimento una maggiore organizzazione e un incoraggiamento ufficiale,
che altrimenti sarebbe mancato. Funziona in questo modo: un Comune annuncia
la vendita. I cittadini prenotano ciò che vogliono comprare, e poi il
comune ordina a Kamenides la quantità richiesta. Lui e i suoi studenti
chiamano gli agricoltori locali per capire chi può soddisfare la domanda.
Arrivano con la quantità di prodotti richiesti all'appuntamento, incontrano
i consumatori e affare fatto! La vendita diretta piace molto. In quella
organizzata il mese scorso dai volontari di Katerini, a Sud di Salonicco,
in soli 4 giorni sono state vendute 24 tonnellate di patate, con 534
famiglie che hanno partecipato all'ordine. «Oggi» dice Kamenides «abbiamo
un camion qui e altri due in un comune vicino. Domani ci sarà una vendita
di 4 camion. Sono 100 tonnellate di patate, direttamente dal produttore al
consumatore, senza nessuno in mezzo che fa alzare i prezzi». Il movimento,
afferma Elisabet Tsitsopoulou, una delle donne in fila per comprare, è
«importantissimo. Al momento qui gli stipendi sono molto bassi, e
continuano a diminuire, ma i prezzi rimangono gli stessi di sempre. In
questo modo si risparmia un bel po'. Più della metà». Anche i produttori
sono contenti. Apostolos Kasapis dice che per lui la cosa più positiva è:
«Vengo pagato subito. Non si guadagna molto, solo qualcosa in più del costo
di produzione, ma prendo subito i soldi, che in un periodo di crisi è una
cosa molto importante». Kasapis afferma che chi vende all'ingrosso a volte
"ci mette un anno a farsi pagare. A volte i soldi non li vede proprio più.
Solo nel mio paese gli agricoltori sono in credito per 500.000 euro. Quindi
per noi la cosa migliore è che abbiamo riguadagnato potere nei confronti
degli intermediari, che per anni ci hanno spremuto e si sono approfittati
di noi».Alla vendita diretta, di solito le patate costano 25-30 centesimi
al chilo, 5-10 centesimi in più del costo di produzione e ben al di sotto
dei 60-70 centesimi ai quali si vendono nei supermercati. Incoraggiato dal
successo del movimento, che è stato accolto con entusiasmo dai sindaci,
Kamenides ha detto che sta lavorando su un sistema a più ampio raggio per
le cooperative unificate, che coinvolga produttori e consumatori. Questo
sistema potrebbe fornire un nuovo modello economico per l'acquisto e la
vendita di generi alimentari in Grecia. Al momento il "Potato movement"
sembra un esempio della tipica inventiva greca, che cerca modi di cooperare
per fronteggiare un periodo di recessione che dura da 5 anni, con il 21% di
disoccupazione e più della metà dei giovani senza lavoro. Anche lo
stipendio minimo sta per essere abbassato da 750 a 500 euro al mese.
Fonte: The Guardian via Agra Press Luca Bernardini
--
*
MERCATO PERMANENTE
Giovane Compagnia Meridionale
Michela Cusano
+39.333.5258076
michelacusano@gmail.com
*