lunedì 30 giugno 2014

LETTERA DELLA RETEROMANAPALESTINA AL SINDACO DI ROMA

Sindaco Marino,

comprendiamo la sua premura per i tre giovani coloni scomparsi nella zona C della Palestina occupata, che è sotto il totale controllo amministrativo e militare delle forze israeliane di occupazione. Anche noi speriamo che possano tornare presto alle loro famiglie, benchè esse indebitamente occupino terre non proprie, di cui sfruttano le risorse sottraendole alla popolazione palestinese, costretta anche per questo ad una vita misera ed infelice. Ma sono dei ragazzi che non hanno colpa di essere nati lì da genitori che hanno deciso di usurpare una terra non loro. Non si sa chi siano i responsabili della loro scomparsa. Chiunque essi siano non hanno giustificazione alcuna: i figli non possono essere chiamati a pagare le colpe dei padri.
Ecco perché comprendiamo la sua premura.
Comprendiamo pure perché non si possano esporre anche le fotografie dei 7 giovani palestinesi uccisi dalle forze di occupazione nelle operazioni di ricerca dei tre giovani israeliani scomparsi e degli otre 120 feriti, né quelle delle centinaia di palestinesi arrestati nel corso delle stesse operazioni e ristretti in detenzione amministrativa, che è un provvedimento illegale, e neppure le foto delle migliaia di palestinesi già in precedenza ristretti illegalmente nelle prigioni israeliane e delle altre migliaia di palestinesi uccisi: nemmeno la facciata dell’intero Colosseo le conterrebbe anche se non fossero in corso i lavori di restauro!
C’è qualcosa però che non comprendiamo. Perché non ha speso e non spende una sola parola di solidarietà per il Popolo Palestinese che sopravvive sotto una durissima occupazione che dura da tanti decenni? Perché non condanna l’occupazione e l’esistenza delle colonie che sia l’ONU che l’Unione Europea riconoscono illegali, e non dà un segno di forte riprovazione della “punizione collettiva” in atto da parte di Israele, vietata dal diritto internazionale? E perché neppure una parola di vicinanza con la Comunità Palestinese di Roma e del Lazio che in questi giorni, come tutti i Palestinesi della diaspora, vive ore di angoscia e di indignazione?
Tutto questo non lo comprendiamo, Sindaco Marino. E ci permettiamo di deprecarlo. Con molta forza.
La Rete Romana di solidarietà con il Popolo Palestinese, che reitera la richiesta di un incontro con lei.

Acea e Comune di Roma non possono ignorare l’avviso del Ministero degli Esteri sugli insediamenti israeliani

http://bdsitalia.org/index.php/comunicati-nomekorot/1319-cs-acea-avviso

Comunicato stampa

Acea e Comune di Roma non possono ignorare l’avviso del Ministero degli Esteri sugli insediamenti israeliani

Il governo italiano ha pubblicato venerdì 27 giugno un avviso che mette in guardia i cittadini e le imprese italiani sui “rischi di ordine legale ed economico” associati con il fare affari “in insediamenti israeliani o che beneficiano insediamenti israeliani”. [1]

La nota del Ministero degli Affari Esteri riprende la politica europea che ritiene illegali gli insediamenti israeliani, secondo il diritto internazionale, perché “costruiti su un territorio occupato” e perché “non sono riconosciuti quale parte legittima del territorio di Israele”. Misure analoghe sono state intraprese da altri paesi europee quali Gran Bretagna, Francia e Spagna, mentre altri sarebbero prossimi a pubblicare avvertenze simili.

Il Comitato No all’Accordo Acea-Mekorot già da mesi denuncia l’accordo firmato il 2 dicembre 2013 tra il primo fornitore idrico del nostro paese e la società nazionale idrica israeliana, la quale non solo sottrae illegalmente l’acqua alle falde palestinesi ma fornisce l’acqua rubata alle colonie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate. La Mekorot così si rende responsabile di una doppia illegalità e fornisce un servizio vitale senza il quale gli insediamenti israeliani non potrebbero sussistere. [2]

Ma non basta. La Mekorot riduce sistematicamente il rifornimento di acqua alle comunità palestinesi a favore delle colonie illegali, partecipa alla distruzione delle infrastrutture idriche palestinesi, rivende alle comunità palestinesi l’acqua che ha rubato loro e sta provocando il prosciugamento delle risorse idriche palestinesi con l’eccessivo sfruttamento, tutto in palese violazione del diritto internazionale e del diritto fondamentale all’acqua.

Per queste ragioni, la società idrica Vitens, il primo fornitore di acqua in Olanda, a seguito delle indicazioni del Governo, ha interrotto già dall’anno scorso un analogo accordo con la Mekorot, motivando la decisione con il proprio impegno verso la legalità internazionale. [3]

L’avviso del Ministero, infatti, sottolinea che “[d]ovrebbero inoltre essere tenute in considerazione eventuali violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani”.

Accogliendo con favore l’avviso del Ministero, il Comitato No all’Accordo Acea-Mekorot esige che l’Acea rescinda immediatamente l’accordo con la Mekorot in modo da adeguarsi alla posizione del Ministero ed evitare di mettere a rischio i soldi pubblici in affari che violano i diritti umani.

Chiede inoltre che il Comune di Roma, in quanto azionista di maggioranza, prenda ogni misura perché quest’accordo non abbia seguito e si eviti ogni futura collaborazione che disattenda l’avviso sugli insediamenti. Fa appello a tutti gli enti locali il cui servizio idrico è affidato a società partecipate da Acea affinché si attivino per far ritirare l’accordo.

Il Comitato No all’Accordo Acea-Mekorot rammenta anche l’obbligo giuridico secondo il diritto internazionale che impegna gli Stati e le loro istituzioni a non dare copertura o assistenza alle violazioni israeliane.

Comitato No all’Accordo Acea-Mekorot
fuorimekorotdallacea@gmail.com

Note:
[1] http://www.esteri.it/MAE/IT/Sala_Stampa/ArchivioNotizie/Approfondimenti/2014/06/20140627_insediamenticittadiniimpreseUe.htm
[2] http://bdsitalia.org/index.php/campagna-no-mekorot/1059-whoprofits-mekorot
http://bdsitalia.org/index.php/campagna-no-mekorot/1123-dossier-mekorot
[3] http://bdsitalia.org/index.php/comunicati-nomekorot/1047-vitens

__._,_.___
Inviato da: Comitato No Accordo Acea Mekorot

venerdì 27 giugno 2014

ISRAELE: Italia e Spagna avvertono: stop agli affari nelle colonie



27 giu 2014


Roma e Madrid rivolgono un “avvertimento formale” ai propri cittadini affinché non investano in attività impreditoriali negli insediamenti illegali. Ieri la Francia ha esortato i suoi imprenditori a fare lo stesso, ma non si tratta di boicottaggio, spiegano i tre Paesi




della redazione

Roma, 27 giugno 2014, Nena News – Italia e Spagna si sono unite al gruppo dei Paesi dell’Unione europea che hanno lanciato una sorta di boicottaggio nei confronti di Israele per la sua politica degli insediamenti. Una mossa attesa, ha commentato l’ambasciatore dell’Unione europea in Israele, Lars Faaborg-Andersen: “Gli Stati membri stanno perdendo la pazienza. Se continua l’espansione degli insediamenti, altri Paesi emaneranno simili avvertimenti”.

Quello formulato oggi da Roma e Madrid è un “avvertimento” formale agli imprenditori italiani e spagnoli che intendano fare affari nelle e con le colonie ebraiche dei Territori occupati, cioè in Cisgiordania, a Gerusalemme est e nelle Alture del Golan. Insediamenti illegali, secondo il diritto internazionale, su cui l’Ue non riconosce la sovranità israeliana. Chiunque faccia affari qui, dunque, si espone a rischi finanziari e legali, hanno detto i ministri degli Esteri italiano e spagnolo, unendosi al coro di altri Stati dell’Unione: Germania, Gran Bretagna e ieri pure la Francia.

Il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, che a metà luglio sarà in visita in Israele, ha parlato di “implementazione tecnica di una scelta politica precedente”, presa al Consiglio Europeo del dicembre 2012. Stessa linea della Spagna. Non si tratta di boicottaggio verso Tel Aviv, hanno precisato dal ministero degli Esteri spagnolo, ma di un allineamento a decisioni prese a livello europeo: “Non abbiamo intenzione di mettere a repentaglio la cooperazione economica con Israele all’interno delle frontiere riconosciute internazionalmente”, cioè quelle del 1967, si legge in una nota riportata dal quotidiano israeliano Haaretz. Tuttavia “la situazione attuale potrebbe portare a dispute per la terra, l’acqua e le altre risorse naturali in cui si potrebbe investire e la aziende devono prendere in considerazione che investimenti negli insediamenti potrebbero coinvolgerle in una violazione del diritto internazionale e dei diritti umani”.

Ieri sulla questione si era espressa Parigi, con un avvertimento simile ai suoi imprenditori, mentre Berlino e Londra l’avevano fatto già mesi fa. La Francia ha esortato i suoi cittadini a consultare un legale prima di fare affari con imprese che lavorano negli insediamenti. L’allineamento dei cinque Paesi europei ha sullo sfondo la discussione accesasi a Bruxelles nelle ultime settimane sull’opportunità che la Commissione europea emani un avvertimento per tutti gli imprenditori dell’Unione che siano impegnati, o intendano impegnarsi in attività economiche con aziende israeliane che operano negli insediamenti. Nena News
- See more at: http://nena-news.it/israele-italia-e-spagna-stop-agli-affari-nelle-colonie/#sthash.vGMFpYTQ.dpuf

giovedì 26 giugno 2014

LETTERA AL SINDACO DI NAPOLI

1
URGENTE!
Sindaco di Napoli sig. de Magistris
Assessori della Giunta del Comune di Napoli
Consiglieri del Consiglio Comunale di Napoli
Gentile Sindaco di Napoli.
Gentili Assessori
e
Consiglieri del Comune di Napoli,



La nostra città è gemellata con le due città palestinesi di Nablus e di Ramallah recentemente a lutto per l’uccisione di loro giovani figli e teatro di durissime incursioni militari israeliane, che sono state da più parti considerate «punizioni collettive",vietate dalla quarta Convenzione di Ginevra. Ramallah sta piangendo
Ahmed Sabarin di 21 anni ed Ahmed Arafat di 19 anni del campo profughi di Jalazon e Mohammed Tafiri di 30 anni. Nablus ha seppellito
Ahmed Saaed Al Saud Khaled,del campo profughi di Ein Beit
al-­‐Mai (a ovest di Nablus) di 27 anni.
Napoli, città  gemella, non può tacere di fronte al loro lutto ed alla tragedia che le ha investite. I raid, rastrellamenti dell'esercito israeliano anche in queste due città hanno sparso con la morte, anche distruzione materiale, terrore ed angoscia. Dopo il presunto rapimento il 12 giugno di due coloni israeliani nell'area C, a totale controllo israeliano, della città di
Al-­‐Khalil, Hebron, le forze israeliane hanno messo a ferro e fuoco la Cisgiordania, sequestrando, tra gli altri, bambini anche sotto i 12 anni, donne, 5 giornalisti e11 membri del Parlamento Palestinese, portando così a 24 il numero dei parlamentari palestinesi imprigionati nelle carceri israeliane. Molti di essi sono trattenuti in «detenzione amministrativa» cioè senza capo d'accusa. Durante questa cosa detta «Operation
Brother’s Keeper” l’esercito israeliano ha preso a bersaglio città, villaggi, proprietà private, scuole,
università come la Bir Zeit University e centri medici come il Al-Sadaq Medical Society di
Betlemme, ha raso al suolo case, danneggiato o distrutto attrezzature e suppellettili, sequestrato computer. Bombardamenti su Gaza, violando gli accordi di cessate il fuoco stipulati con l’Egitto il 21 novembre
2012, sono di nuovo stati effettuati più di 15 raid aerei e tra le vittime anche due bambini di 7 e 5
anni. http://electronicintifada.net/blogs/ali-abunimah/us-academics-condemn-barbaric-israeli-raidspalestinian-
universities
2
Mentre circa 200 prigionieri politici palestinesi portavano avanti il loro sciopero della fame, giunto
al 63esimo giorno (all’alba del 25/6 sciopero cessato per 63 prigionieri), contro l’infamia della
“detenzione amministrativa” (senza capo d’accusa, rinnovabile senza limiti di sei mesi in sei mesi),
i media italiani si distoglievano dai campionati mondiali per condannare la misteriosa scomparsa
dei tre giovani coloni israeliani, ma non certo quella, contemporanea e per nulla misteriosa, perché
termina nelle prigioni israeliane, di oltre 500 palestinesi di tutte le età, anche minori di 12 anni (a
seguito di questa operazione sono più di 250 i bambini palestinesi nelle carceri israeliane
http://www.infopal.it/il-numero-di-bambini-palestinesi-nelle-carceri-israeliane-supera-i-250/) né
per parlare dei motivi che spingono questi prigionieri a privarsi del cibo, fino allo sfinimento ed a
rischio della vita, con una coraggiosa lotta nonviolenta. Se essere città sorelle non significa dar voce
l’una all’altra nel momento della prova e del bisogno, in che cosa consiste questa “sorellanza”?!
Nablus e Ramallah condividono con tutto il popolo di cui sono parte le ferite che in questi giorni si
aggiungono alle abituali umiliazioni e violazioni di diritti e sarebbe ben debole e vile legame quello
che non lo riconoscesse, deprivandole della loro identità.
L’associazione palestinese di diritti umani e di sostegno ai prigionieri, Addameer, fa sapere di aver
documentato finora 104 nuovi ordini di detenzione amministrativa. http://nenanews.
it/cisgiordania-samer-al-issawi-di-nuovo-carcere/#sthash.GcvKa81o.dpuf
Samer Issawi, prigioniero senza accusa che ottenne la libertà e di tornare alla sua Gerusalemme,
rifiutando la deportazione, grazie ad uno sciopero della fame di otto mesi, è stato nuovamente
sequestrato dalle forze israeliane, che dall’inizio di quest’anno hanno imprigionato anche la sorella
avvocato Shireen, in sciopero della fame.
Vi chiediamo di manifestare alle amministrazioni delle due città di Nablus e di Ramallah i sentimenti di fratellanza e di vicinanza della cittadinanza della città di Napoli in tali inaccettabili circostanze che si configurano come «punizione collettiva» contro la cittadinanza di Nablus e di Ramallah e di presentare loro il nostro cordoglio per le vittime loro concittadini e connazionali. Vi chiediamo di levare forte la voce della nostra città medaglia d'oro della Resistenza, contro il reiterarsi delle violazioni dei diritti umani della popolazione palestinese e in particolare contro il sequestro di oltre 500 palestinesi effettuato a partire dal 12 giugno ad oggi 23 giugno, l'uccisione di 9 palestinesi, chiusure, rastrellamenti e raid, distruzione e vandalizzazione di abitazioni private e sedi di servizi medici ed Università. Vi chiediamo di sollecitare il governo ed il Parlamento italiani di farsi interpreti presso il governo israeliano delle istanzedi giustizia e legalità che da decenni l'ONU sostiene presso Israele, e che rimangono ancora disattese.
http://www.paxchristi.it/?p=8843
.
Vi chiediamo di sostenere la richiesta deklle organizzazioni palestinesi indirizzata a Catherine Ashtonil 21 giugno
http://www.addameer.org/etemplate.php?id=702
-E­‐perchè© l’UE esprima una forte condanna di queste punizioni collettive. Richieda il rilascio dei palestinesi detenuti arbitrariamente, inclusi quelli in detenzione amministrativa. Richieda che israele prontamente investighi secondo gli standard della legalità internazionale e consideri anche le uccisioni di palestinesi, inclusi Ahmad Sama’da eMahmoud Jiahd Mohammad Dudeen;
-Chieda a israele di appellarsi all'Avvocatura Generale per chiarire a tutti gli ufficiali della sicurezza che la tortura è assolutamente proibita.

3
Vi chiediamo di accogliere la richiesta dei prigionieri palestinesi che hanno
effettuato uno sciopero della fame di 63 giorni contro l’obbrobrio giuridico della“detenzione amministrativa”, facendo vostra la loro richiesta e proponendo al Governo italiano di sostenerla presso il Governo
israeliano.
http://www.addameer.org/etemplate.php?id=703
Vi chiediamo di chiedere a Parlamento e Governo italiani di sospendere gli Accordi di cooperazione militare con
Israele Stato belligerante e che viola le Convenzioni di Ginevra sulle popolazioni civili sotto occupazione militare.
Vi chiediamo, in fine, di sostenere la richiesta del movimento pacifista e del movimento BDS per la revoca della consegna degli aerei d’addestramento militare M346 Aermacchi ad Israele, poichè©essa viola la legge italiana 185/1990, che vieta all’Italia di fornire armi a paesi in guerra. Napoli, 25 giugno 2014
Comitato
BDS
Campania
Comitato
Pace,
Disarmo
e
Smilitarizzazione
del
Territorio
–Campania
Confederazione
COBAS
Napoli
Bisca
Gridas-­‐
Gruppo
risveglio
dal
sonno
Pax
Christi
Napoli

Palestina: è come un’Intifada, ma di notte







LENÌUS
25 Jun 2014
Anna
1

Palestina: è come un'Intifada, ma di notte

Dall’inizio dell’operazione israeliana “Brother’s keeper”:
5 i palestinesi uccisi
Ahmed Arafat, 19 anni, campo profughi di Jalazone (Ramallah)
Mahmoud Jihad Muhammad Dudeen, 13 anni, villaggio di Dura (Hebron)
Ahmad Fahmawi, 26 anni, campo profughi di Al-Ein (Nablus)
Mustafa Aslan, 23 anni, campo profughi di Qalandyia (Ramallah)
Mahmoud Ismail Atallah Tarifi, 30 anni, Betuniya (Ramallah)
471 il totale dei palestinesi arrestati durante i circa
400 raids israeliani nelle città, campi profughi, università e istituzioni della West Bank.

Ramallah come non l’avevo mai vista. Devastata. Tutto si ferma. Tutto chiude. Al funerale di Mahmoud Tarifi, a cui partecipa tanta gente, coloni ebrei fanno irruzione e cominciano a sparare.

La Striscia di Gaza viene nuovamente bombardata, stavolta dopo il lancio di alcuni razzi palestinesi verso Israele.

Continueremo a resistere, ci sono molti motivi per continuare a farlo.

È ciò che mi viene detto quando, dopo l’incursione avvenuta nel campo profughi di Dheisheh (Bethlehem), chiedo conferme dirette ai rifugiati del campo. Cinque feriti e 35 palestinesi arrestati. La porta del Centro culturale Ibdaa viene fatta esplodere e ancora una volta i soldati israeliani sono riusciti nel loro intento di devastare e saccheggiare (computer, archivi, memorie, anni di lavoro). Vedo anche alcune foto della casa che mi ha accolta ed ospitata per più di una notte, adesso completamente stravolta. E ancora a Betlemme, un raid nella Bethlehem Charitable Society, organizzazione a sostegno dei bambini orfani. Confiscati e distrutti beni.

Palestina: è come un'Intifada, ma di notteLa violenta incursione del campo profughi di Dheisheh, lo stesso in cui qualche settimana fa si è recato Papa Francesco, mi lascia un pesante senso di tristezza. Ma proprio la notte successiva, un altro raid, quello nel campo profughi di New Askar, mi fa capire cosa significa essere terrorizzati.

Sono le 3 di notte circa quando uno dei ragazzi del campo mi invia un messaggio per avvertirmi che i soldati israeliani hanno cominciato ad entrare in alcune case.

Funziona così, il primo che sa, lo comunica subito agli altri. Poi seguono i messaggi per aggiornarci sugli spostamenti dei soldati e in quale casa si trovano. In questo modo a volte è possible prevedere in quale casa faranno irruzione con qualche secondo di anticipo.

Cominciano boati, luci bianche, esplosioni, spari, gas. Ne respiro solo un po’ prima di riuscire a chiudere la finestra, e già sento bruciare gola, naso e occhi. Esco dalla stanza e vedo le donne della casa piangere, una trema, una prega, una infonde coraggio. Io sono terrorizzata. Un ragazzo del campo viene ferito. Arrivano i soccorsi. Mi dicono che stanotte non entreranno in questa casa, possiamo tornare tutti a dormire.

Il giorno dopo il ragazzo presso cui hanno fatto incursione, mi racconta:

Stavo dormendo, ho aperto gli occhi e mi sono trovato un fucile puntato sulla fronte – ride – Hanno distrutto tutto, anche il mio computer e hanno rubato il mio cellulare. Ma io sono contento perché non hanno arrestato né me né mio padre. Hanno detto che torneranno.

Qual è il nesso tra la scomparsa dei tre coloni e queste barbarie? Quale diritto hanno di irrompere in piena notte, dentro le case di queste persone, terrorizzarle, arrestarle, distruggere e saccheggiare i loro beni e affetti?

Abbiamo cominciato a lanciare pietre. Poi se ne sono andati. È come un’Intifada, ma di notte.

Palestina: è come un'Intifada, ma di notteEppure, adesso, le incursioni si verificano, talvolta, anche in pieno giorno, come nel caso di Tulkarem. Si susseguono senza sosta, tanto che non riesco più a tenere il conto. Raids, scontri, martiri, arresti, posti di blocco volanti e checkpoints chiusi a tempo indeterminato.

Ancora un’altra incursione presso l’università Birzeit (Ramallah). E ne seguono altre in altre università: Al Quds (Gerusalemme est), Polytechnic University di Hebron, l’Arab American University di Jenin. E di nuovo, confiscati computer e altro materiale.

La questione dei tre coloni diventa un’arma, molto potente, per esasperare i palestinesi.

Noi non vogliamo la guerra, noi vogliamo la pace. Vogliamo vivere senza la paura che le nostre case vengano distrutte, i nostri figli arrestati, i nostri padri uccisi. Siamo esseri umani. E questa non è vita.

Il mondo dov’è?

Robert Serry, coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, si dice ‘profondamente preoccupato’ ed invita Israele a rispettare il diritto internazionale. Ban Ki-Moon, segretario generale delle Nazioni Unite, esprime la solita ‘concern’ di circostanza. Jen Psaki, portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, si mantiene neutrale invitando entrambe le parti ad evitare azioni estreme. L’Unione Europea suggerisce invece una più stretta collaborazione tra l’Autorità Nazionale Palestinese e le forze di sicurezza israeliane per ritrovare i tre coloni.

Se in un primo momento Abu Mazen afferma la volontà di collaborare con Israele, incrementando la rabbia e la frustrazione dei palestinesi (una sede della polizia dell’Anp viene presa a sassate), in un secondo momento, condanna gli arresti su vasta scala e le uccisioni a sangue freddo da parte delle forze israeliane.

Nel frattempo?

Nel frattempo, 125 palestinesi nelle carceri israeliane per detenzione amministrativa cominciano il loro terzo mese di sciopero della fame. Nel frattempo, prosegue la colonizzazione israeliana con l’approvazione di nuove unità abitative destinate a coloni ebrei presso la colonia di Har Homa, situata nella West Bank, tra Gerusalemme e Betlemme. Nel frattempo, Sakher Dorgham Zaamel, 17 anni, muore dopo aver calpestato una mina inesplosa nella valle del Giordano. Nel frattempo, la resistenza:

Quella notte io li ho visti i soldati nel campo. Stavo studiando, da grande voglio fare la maestra. Io non ho paura, tu?

martedì 24 giugno 2014

Comunicato di ECO



Quello che sta avvenendo in questi giorni in Cisgiordania e a Gaza è un nuovo attacco omicida all'intera popolazione palestinese da parte di un esercito che assedia e distrugge e non si ferma neppure davanti alla vita di bambini e neonati. Recentemente Samer Yssawi liberato dopo mesi di sciopero della fame, in punto di morte, è stato nuovamente arrestato. Le carceri israeliane sono colme di palestinesi, anche bambini, in detenzione amministrativa. La giustificazione della ricerca dei tre rapiti, rapimento avvenuto in zona C sotto pieno controllo israeliano, è inaccettabile. Non si cercano tre scomparsi violando continuamente la quarta convenzione di Ginevra. Tutto questo avviene di fronte a un mondo muto e indifferente attento solo alle partite dei mondiali.

Come ulteriore insulto Israele è stata eletta alla vicepresidenza della commissione ONU per la decolonizzazione.

La rete ECO indignata e sconvolta per quanto sta accadendo invita a manifestare contro questi nuovi crimini.

Chiede alla UE e in particolare all'Italia che sta per trovarsi alla sua presidenza di mobilitarsi e attivarsi presso il Consiglio di sicurezza dell'ONU perché la violenza venga FERMATA E VENGANO RISPETTATI I DIRITTI UMANI.

CHIEDE ALLA CROCE ROSSA E AD AMNESTY DI DENUNCIARE FORTEMENTE LE GRAVISSIME VIOLAZIONI ISRAELIANE.

CHIEDE AL PRIMO MINISTRO ITALIANO DI INTERROMPERE SOSTEGNO E COMPLICITÀ CON LO STATO DI ISRAELE E PRENDERE POSIZIONE IN FAVORE DELLA PACE, DELLA GIUSTIZIA E DEI DIRITTI UMANI.

Rete ECO (Ebrei contro l'occupazione)

Cosa c'è dietro ai presunti rapimenti dei 3 coloni


WWW.CONTROLACRISI.ORG
24/06/2014 09:03 POLITICA - INTERNAZIONALE | Autore: federica pitoni
Israele con la scusa dei tre coloni rapiti ha aperto un'altra cruenta offensiva contro i palestinesi
Di quanto sta accadendo in Palestina dai media non si viene a sapere nulla. Cosa ci raccontano i media? Ci dicono che sono stati rapiti tre adolescenti israeliani, ci dicono che sono stati quelli di Hamas, ci fanno vedere la grande preoccupazione dell'intero mondo per loro. Ma nessuno sta raccontando quel che accade veramente in questi giorni in Palestina.

Andiamo con ordine e proviamo a ricapitolare alcuni ultimi fatti, che possono sembrare slegati tra loro, ma proverò a spiegarvi perché invece tutto è collegato.
Agli inizi di questo mese, dopo una serie di difficili colloqui e un lavorio diplomatico interno, in Palestina si è dato vita a un nuovo governo di riconciliazione, comprendete le due fazioni palestinesi più grandi: Fatah e Hamas. Lavorio diplomatico difficile, in quanto ormai da anni le due fazioni si guerreggiavano, militarmente e politicamente, senza esclusione di colpi. Questo governo dovrebbe portare a breve termine, qualche mese al massimo, a nuove elezioni. Cosa non da poco, dato che da anni ci si trovava di fronte a una situazione per cui Hamas di fatto impediva lo svolgersi di elezioni, rifiutandole, e giustamente l'Anp non voleva, andando a elezioni solamente in Cisgiordania, porre nei fatti quella impossibile e scandalosa divisione del territorio palestinese, tanto cara al governo di Tel Aviv, ma che nessun palestinese può accettare. E questo creava una situazione di stallo inaccettabile ormai.

Questo nuovo governo di riconciliazione stava ridando delle pur labili speranze al popolo palestinese, e soprattutto aveva incassato un risultato non da poco: il riconoscimento da parte di tutte le nazioni, Stati Uniti compresi. Israele, quindi, si era per la prima volta forse, trovato in un momento di grave isolamento politico, con gravi difficoltà di politica interna e nudo davanti al mondo che cominciava a vedere come la politica degli insediamenti illegali, per esempio, aveva minato nel profondo ogni possibilità di colloqui di pace. Persino l'amministrazione statunitense dava segni di imbarazzo per la protervia nella politica degli insediamenti del governo Netanyahu.

C'era poi stata la visita del Papa nella regione, una visita da molti sottovalutata, ma che ha avuto un peso politico non piccolo. Innanzitutto la scelta del Vaticano di andare sia in Israele che in Palestina: praticamente una dichiarazione politica. La Palestina riconosciuta ufficialmente come Stato dal Vaticano. E poi dei segnali, apparentemente piccoli, ma di grande importanza: in visita in Palestina, il Papa, dovendo raggiungere Betlemme per la messa, ha fatto saltare ogni protocollo e ha voluto fare una visita al muro di divisione israeliano. Una presa di posizione politica, se la si sa leggere: fermarsi lì, farsi fotografe di fronte al muro simbolo dell'occupazione della Palestina, far vedere al mondo intero quello che normalmente non viene visto, portare l'intera stampa mondiale a dover raccontare del muro e a parlare di Palestina. Tutto il resto del viaggio, le visite, gli incontri, fanno parte di un protocollo strettissimo cui non ci si può sottrarre. Quel passaggio, no. Per questo anche ha valore. Ha messo Israele di fronte alle sue responsabilità. Senza dire parole che non avrebbe potuto pronunciare, ha trovato una modalità di condanna dell'occupazione. Bene, questo è lo scenario in cui si trovava Israele fino a qualche giorno fa: politicamente difficile, con un isolamento che non aveva mai vissuto.

Cosa è accaduto poi? E' notizia questa che avete certamente letto su tutti i giornali: tre adolescenti israeliani, tre coloni, sono scomparsi nel nulla. Immediatamente Israele ha gridato al rapimento. Immediatamente. La cosa singolare in questa vicenda è che tutte le notizie che si hanno in merito, anche le presunte rivendicazioni, vengono da fonte israeliana. Infatti non ha tardato ad arrivare una rivendicazione da parte di Hamas. O per lo meno così ci hanno raccontato gli israeliani.
E ora la parte che meno si conosce, perché nessuno l'ha raccontata. In tutta la Palestina si è scatenato l'inferno. Qui non si tratta di normali ricerche di presunti rapiti, ma di deliberati atti di terrorismo. No, non parlo di guerra, perché una guerra è dichiarata e si combatte almeno su due fronti. Qui ci troviamo di fronte a raid, rastrellamenti, perquisizioni, devastazioni, limitazioni di movimento, giacché le principali città e moltissimi villaggi sono stati immediatamente dichiarati zona militare chiusa. Spostarsi in Palestina è divenuto impossibile. E la notte si trema, perché è di notte che si scatenano nelle loro rappresaglie.

Un po' di numeri per capire l'entità di quel che sto raccontando: dall'inizio della campagna israeliana, neanche dieci giorni, sono stati uccisi 5 palestinesi e ne sono stati arrestati ad oggi 529 (mentre scrivo è questa la cifra, ma cresce sensibilmente di ora in ora, soprattutto di notte in notte): 179 a Hebron, 87 a Nablus, 75 a Betlemme, 52 a Jenin, 49 a Ramallah, 36 a Gerusalemme, 23 a Tulkarem, 13 a Qalqilya, 7 a Tubas, 7 a Salfit e uno a Gerico. Già questi numeri ci danno un'idea della sproporzione della reazione israeliana. E' straziante vedere ogni giorno quel che accade: il conteggio degli arrestati, gli assassinati (sì, assassinati, perché un ragazzino di 13 anni che stava vendendo dolci per le strade di Hebron, o un ragazzo che si accingeva ad andare al lavoro, o un altro ragazzo che pascolava le pecore, uccisi con colpi da distanza ravvicinata, fanno più pensare a veri e propri omicidi che ad altro), e le foto delle devastazioni delle case perquisite, delle città messe a ferro e fuoco, e ancora dei funerali dove partecipano sempre migliaia di persone, e i volti delle madri e dei figli, il dolore e la rabbia. E' difficile spiegare cosa si prova di fronte a tutto questo. La sensazione e la paura, che tutti hanno, soprattutto in Palestina, è che Israele, come sua consuetudine, voglia attuare di nuovo la politica del fatto compiuto: annettersi tutta la Palestina e mettere il mondo di fronte a questo fatto. Il pretesto? La sicurezza dei propri confini, che sempre più si allargano.

Ecco, dietro alla vicenda dei tre coloni sionisti scomparsi (e che ci auguriamo, ovviamente possano tornare a casa, mentre purtroppo non torneranno a casa i palestinesi assassinati da Israele), c'è tutto questo e molto altro ancora. E c'è il dolore e la rabbia di un popolo che lotta da più di 66 anni per veder riconosciuti i propri diritti




venerdì 20 giugno 2014

NON SI ERA MAI SENTITO NIENTE DI PIÙ GROTTESCO SPECIE IN QUESTO MOMENTO Israele ai vertici della Commissione Onu per la decolonizzazione 0

Israele ai vertici della Commissione Onu per la decolonizzazione
0
20 giu 2014
by Redazione

La vicepresidenza ottenuta con l’incondizionato sostegno di Usa, Canada e Paesi europei. Gli Stati Arabi insorgono. Intanto, Tel Aviv continua ad annunciare nuovi insediamenti nei Territori occupati


della redazione

Roma, 20 giugno 2014, Nena News - Se non fosse per il dramma quotidiano dei palestinesi nei Territori occupati, la designazione di Israele alla vicepresidenza della IV Commissione delle Nazioni Unite (Politiche speciali e Decolonizzaione) susciterebbe una grossa risata. Invece ha mostrato ancora una volta quanto la cosiddetta comunità internazionale, per lo meno quella parte che sostiene Tel Aviv, sia schierata in maniera acritica a fianco allo Stato ebraico, tanto da metterlo ai vertici di un organismo che ha lo scopo di affermare e garantire il diritto dei popoli all’autodeterminazione e all’indipendenza. Un diritto negato ai palestinesi, le cui terre sono continuamente occupate dagli insediamenti israeliani, in barba a risoluzioni Onu e al diritto internazionale.

Così, questa vicenda della Commissione per la decolonizzazione oscilla dall’assurdo al tragicomico. Mentre Gran Bretagna, Canada (“risoluto sostegno”), Stati Uniti (“Inequivocabile sostegno”) e altri Stati europei votavano per Tel Aviv, incontrando l’opposizione (sbalordita) del blocco dei Paesi arabi, i soldati israeliani demolivano le case dei palestinesi per fare spazio a nuovi insediamenti. Mercoledì scorso sette famiglie palestinesi hanno perso la propria casa. Una settimana fa il governo di Benjamin Netanyahu ha annunciato nuovi progetti di blocchi abitativi per gli israeliani in Cisgiordania. E nel deserto del Naqab (Negev) è in atto la cacciata della comunità beduina palestinese, una vera pulizia etnica.

Il Qatar, a nome di tutti gli Stati arabi, ha ricordato che Israele viola il diritto internazionale, che occupa territori non suoi da 66 anni e, pertanto, “non è qualificato” a presiedere a decisioni che riguardano le “questioni pertinenti i profughi palestinesi” e “le indagini sulle proprie attività illegali”. Le obiezioni del blocco arabo non hanno fatto breccia e a News York si è stata presa un’assurda decisione. Una scelta che l’Arabia Saudita ha descritto come “l’equivalente morale di mettere a capo della commissione contro il razzismo il regime Sudafricano dei tempi dell’Apartheid”. Nena News
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martedì 17 giugno 2014

Ebrei, palestinesi, antisemitismo. Stravolgimento di fatti idee e parole per difendere l’indifendibile

Esteri


Ebrei, palestinesi, antisemitismo. Stravolgimento di fatti idee e parole per difendere l’indifendibile

di Nino Lisi


Ha ragioni da vendere Gianni Rossi (Articolo 21 – Esteri, 5 giugno 2014) nel segnalare, preoccupato, che il razzismo e l’antisemitismo serpeggianti nei paesi europei   hanno fortemente influenzato i risultati delle ultime elezioni europee, oltre che essersi manifestati  in una serie di   allarmanti episodi, anche cruenti, verificatisi  pure  negli ultimi tempi. Ha ragioni da vendere, perché si tratta di mali endemici delle società europee, che si riverberano nelle culture, nelle politiche e nei comportamenti di singoli e gruppi, sino a dar luogo a formazioni e movimenti politici che li assumono come capisaldi dei propri statuti fondativi. Mali endemici che vengono da lontano e non risparmiano alcuno. Come è noto, si acutizzano in tempi di crisi, quando il disfacimento dei vincoli di solidarietà causato dall’incalzare delle restrizioni e dei patimenti portano alla facile ricerca di capri espiatori cui addebitare l’origine delle sofferenze. Luciano Canfora – storico  di indubbio prestigio – mise in luce alcuni decenni fa che la Germania nazista del  Terzo Reich e l’Italia fascista non furono i primi stati ad emanare nel XX secolo le leggi razziali; furono preceduti  di almeno un paio da uno dei paesi considerati culla della democrazia: la Gran Bretagna. Le degenerazioni cui dettero luogo e gli orrori che ne seguirono sono stati tali che non possiamo permetterci di sottovalutare il pericolo del loro riemergere  ora, ancora una volta  in tempi di crisi. Tanto più che l’Europa,da sempre  luogo di incontro di popoli, culture e  tradizioni differenti,  sta accogliendo ed ancor più accoglierà  nel  prossimo futuro, come lo stesso Gianni Rossi sottolinea,    consistenti nuovi afflussi  di popolazioni mussulmane  in  paesi  diversi da quelli in cui l’Islam è radicato da secoli. E se è vero che la diversità è  ricchezza, è parimenti vero che   per realizzare il convivio delle differenze occorre   gestirne l’interazione  con sapienza ed accortezza, ciò che non sempre riesce. Sicché dovrebbe l’Europa attrezzarsi per affrontare un periodo ricco di opportunità, ma non privo di rischi.


Le ragioni di Gianni Rossi finiscono qui per cedere il posto ad alcuni  gravissimi suoi torti.
Anzitutto l’analisi di dove si verificheranno i maggiori incrementi delle popolazioni islamiche solo  apparentemente è condotta in forma obiettiva; in realtà il raffronto delle cifre, crudo e senza commenti, sembra fatto a posta per  suscitare  forti preoccupazioni. Una, poi, sovrasta le altre ed  esplode senza alcun preavviso: “Nell’Unione Europea, insomma, vivono 17 milioni di islamici, a fronte di 1 milione e 200 mila ebrei…… In Francia, la polveriera dell’antisemitismo e della xenofobia, vive la maggiore comunità ebraica europea (attorno ai 600 mila ebrei), e qui vi è presente anche la più grande comunità islamica dell’Unione” Ebbene?


Che senso hanno  questi raffronti ridotti a due sole entità, come se nei paesi europei, Francia compresa,  non vi fossero  milioni di cattolici, milioni  di protestanti, milioni di ortodossi e – perché no? – milioni di atei ed agnostici, grazie a dio? Il senso di siffatti raffronti è evidente: si ripropone la sindrome dell’assedio. In Europa come in Medio Oriente  minoranze ebraiche sono  circondate, assediate, da milioni di musulmani.
Ora, che gli ebrei abbiano costituito una minoranza perseguitata per 2000 anni  non si può certo metterlo in dubbio; che per questa persecuzione abbiano pagato prezzi altissimi, culminati nella Shoa è fuori discussione.  Che tutto ciò abbia generato in alcuni ambienti ebraici, in piccole comunità  la sindrome dell’assedio si può comprendere. Ma perché un fine intellettuale come Gianni Rossi si presta ad alimentarla?


Eppure alimentare la sindrome, invece che tentare di sedarla,  a Rossi non basta. Va oltre. Dal momento che ormai è risaputo che l’origine della crisi attuale e dell’impoverimento di decine e centinaia   di milioni di esseri umani  in tutto il mondo sta nella finanza internazionale e poiché vi è ancora chi ricorda che  per la crisi del ’29 fu chiamata in causa anche la finanza ebraica, ecco una puntualizzazione: “Nonostante quanto si cerca di far credere attraverso la propaganda negazionista e neo-revisionista, la comunità ebraica non è più preponderante nel sistema economico-finanziario europeo”. Segue quindi l’indicazione delle odierne responsabilità: “Gli investimenti nei titoli di stato, bond e obbligazioni pubbliche dei principali stati è per un terzo in mano ai Fondi sovrani arabi, un terzo a quelli cinesi e il resto alle banche europee, a quelle russe e dei paesi emergenti asiatici e sudamericani. La finanza araba è maggioritaria negli investimenti alla City di Londra, la principale Borsa affari del mondo in questo settore”. Di nuovo si ripropone dunque, questa volta a livello di finanza, l’opposizione tra arabi ed ebrei.


Il perché di questa insistenza – che  può rinfocolare, indirizzandole però verso gli arabi, quelle tensioni razzistiche che all’inizio dell’articolo sono state denunciate come un rischio incombente – lo si comprende leggendo quanto l’autore scrive a proposito dell’antisemitismo. Esso  avrebbe più volti, uno di destra ed uno di sinistra, uno violento ed un altro ”dai guanti bianchi, non violento  che accomuna tutti i movimenti di destra e di sinistra in una sorta di lotta attraverso i mezzi legali forniti dall’Unione Europea per contrastare la politica d’Israele”.


Si palesa così la “logica” dell’articolo di Gianni Russo! Gli ebrei sono assediati ovunque; anche Israele è assediato. Per di più l’antisemitismo dilaga e ne sono affetti, oltre alla stessa Unione Europea,  grandi istituti bancari, come la danese Danske Bank e la tedesca Deutsche Bank che “hanno inserito nella lista delle imprese con le quali non bisogna investire l’israeliana Bank Hapoalim”, nonché il più grande fondo pensione olandese, PGGM, che  “ha ritirato i propri investimenti da cinque banche israeliane, colpevoli di svolgere le proprie attività anche negli insediamenti in Cisgiordania”. E via lamentando.


Si contrabbandano  così la denuncia, l’opposizione  e le lotte contro le politiche di Israele, anche  la    Campagna BDS nella quale sono impegnate anche associazioni e consistenti gruppi di ebrei,  con l’antisemitismo. Ma ciò  è un falso, un grandissimo falso! Opposizione e lotta non sono contro gli ebrei   e l’ebraismo in quanto tali  (nel che consiste l’antisemitismo) ma contro le politiche razziste e coloniali che Israele conduce in aperta violazione del diritto internazionale, come è ampiamente acclarato, dopo che


-   87 Risoluzioni dell’Onu,   a partire dalla 242 del 1967, hanno dichiarato  illegale   la occupazione dei Territori Palestinesi ed intimato ad Israele di ritirarsi da essi;
-   la Risoluzione 476/80  ha condannato  l’annessione di Gerusalemme, avvenuta nel luglio 1980
-   5 Risoluzioni dell’Onu (446, 452, 465, 471  e 476) hanno dichiarato illegali le 140 colonie israeliane, nelle quali vivono abusivamente 650.000 coloni, costruite da Israele nei Territori Palestinesi Occupati;
-   il   IV Comma dell’articolo 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale dichiara “crimini di guerra” il trasferimento, diretto o indiretto, ad opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati o la deportazione o il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di tale territorio>, cioè le   modalità con le quali Israele costruisce le colonie;
-   la Dichiarazione del 9 settembre 2009 della Unione Europea ha   affermato che “Gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale e costituiscono un ostacolo alla pace”;
-   la  Sentenza del 9 luglio 2004 della Corte Europea di Giustizia e la Risoluzione del 2 agosto 2004 dell’Assemblea Generale dell’ONU  hanno condannato la costruzione del muro in Cisgiordania che  non segue  i Territori Palestinesi Occupati nel ’87, ma  li attraversa.


Non potendo difendere ciò che ormai è indifendibile, cioè Israele, il suo governo e le sue politiche,   si  stravolgono    fatti idee e parole   e si accusano di  antisemitismo le lotte per la democrazia, per il rispetto dei diritti umani, per il ripristino della legalità internazionale. E’ una mistificazione non più tollerabile, che va smascherata.
Pur nello squilibrio delle risorse, la Campagna BDS come la solidarietà con il Popolo Palestinese ed il supporto  ai Comitati Popolari per la Resistenza non violenta proseguiranno.
Proseguiranno  fin quando Israele non cesserà di opprimere il Popolo Palestinese e di rappresentare un atroce vulnus per la nobiltà dell’ebraismo.

17 giugno 2014

Netanjau "Noi trattiamo bene i vostri figli e voi rapite i nostri" Questo è il buon trattamento

A tutti i media in Italia: ARRIVA LA NOTTE QUI IN PALESTINA

A tutti i media in Italia: ARRIVA LA NOTTE QUI IN PALESTINA


Egregi organi d'informazione italiani, sono Samantha Comizzoli, attivista per i diritti umani qui in Palestina.
Molti di voi sono fra i miei contatti facebook, quindi, sono certa non vi dirò nulla di nuovo quando vi descriverò cosa sta succedendo qui, ma non è per informarvi che vi scrivo.

Qualche giorno fa, tutti voi, avete dato notizia del “rapimento di 3 adolescenti israeliani in Palestina”...... I 3 “adolescenti” sono in realtà 3 soldati sionisti coloni che hanno illegalmente occupato la Palestina da tempo. Ma aldilà della manipolazione della notizia, che non sorprende nemmeno gli asini, state totalmente oscurando che in meno di 72 ore:

sono stati rapiti 200 PALESTINESI, fra i quali: donne incinta, bambini, vecchi, 20 deputati, giornalisti, studenti universitari.
Che tutta la Cisgiordania è stata chiusa e siamo pertanto chiusi qui dentro, chiusi in ogni città, in ogni casa.
Che per “trovare” i rapiti è stata bombardata Gaza 3 volte.
Che per “trovare” i rapiti i soldati israeliani stanno ispezionando tutte le case, distruggendo il loro interno e rubando i soldi.
Che per “trovare” i rapiti hanno ucciso un ragazzo di 23 anni, ferito una bambina di 3 anni, ferito palestinesi che stavano rientrando dal lavoro da spari dei coloni israeliani sulle auto, sparato sulle ambulanze e impedito che soccorressero i feriti.

E molto altro ancora......

Da ieri, tutti coloro che sono qui, sono in pericolo per la pericolosa e violenta ondata dei nazisti israeliani, tutti, attivisti compresi.
Sta scendendo la seconda notte qui in Palestina e vorrei che non arrivasse mai questa notte.... Forse domani non sarò più qui a scrivere o forse no, continuerò a fare il mio lavoro volontario e prenderanno qualcun altro.
Ma ho voluto per questo motivo, scrivervi oggi, ripeto, non per informarvi ma per rammentare a voi e a tutti:
che voi siete colpevoli del più grande genocidio della storia
ed altresì
che noi stiamo rispondendo ai nazisti, a israele, ma voi un giorno dovrete rispondere a Dio, se esiste e se non esiste dovrete almeno rispondere alla Storia che noi tutti noi, Palestinesi ed attivisti, stiamo scrivendo.

Nel caso mi sbagliassi sul vostro operato, aiutateci, divulgate la verità per fermare israele.

Buonanotte e Vaffanculo


Samantha Comizzoli

sabato 14 giugno 2014

Il piano Prawler, edizione speciale per la Cisgiordania


Il piano Prawler, edizione speciale per la Cisgiordania

Silenziosamente, senza manifestazioni o consultare le parti interessate, l’Amministrazione civile sta preparando un piano per spostare i Beduini della Cisgiordania in nuove township affollate.

di Amira Hass

Haaretz 01/06/2014

Che cosa vi ricorda questo? Migliaia di persone vengono costrette, sotto la minaccia delle armi, a lasciare le loro case. Sono raggruppati insieme e la gente con le armi li costringe a vivere insieme con un livello di affollamento che contrasta con il loro modo di vivere e di procurarsi di che sostenersi.

Non importa realmente che cosa questo ci ricorda. L’Amministrazione Civile nella Cisgiordania, parte del potere esecutivo del governo israeliano, sta diligentemente lavorando a produrre un’altra calamità [che colpirà] migliaia di persone. Per noi si tratta di un piccolo cambiamento, vero? Un piccolo brivido della stampante quando butta fuori le pagine a comando.

Un ente designato, non eletto da coloro il cui destino è nelle sue mani, composto da impiegati civili, coloni e personale militare in pensione o in attività, sta preparando un’ altra versione draconiana del cosiddetto piano Prawler. Il piano originario doveva trasferire con la forza i Beduini nel Neghev, mentre quello nuovo prende di mira i Beduini della Cisgiordania. L’Amministrazione Civile non chiede loro cosa desiderano né li ascolta o prende in considerazione la loro storia o il loro futuro. I territori che verranno ripuliti saranno utilizzati per costruire migliaia di appartamenti per ebrei e anche, probabilmente, parchi come anche fattorie unifamiliari

(queste ultime conosciute come“fattorie isolate”, solo per ebrei). Così semplice, così facile.

Questa volta sono state prese di mira le comunità dei Beduini [residenti] tra Gerusalemme e Gerico, e anche a nord di Gerico, che comprendono nel complesso dai 15mila ai 20mila [abitanti]. Siamo abituati a vedere i Beduini nelle tende e in baracche di lamiera lungo le nuove autostrade, oppure che cercano l’erba per far pascolare il loro gregge, su piccoli appezzamenti di terra tra le colonie in espansione e le basi militari. Molti ritengono che il loro modo di vivere sia primitivo, duro e senza senso. Questo atteggiamento viene usato per giustificare le espulsioni di massa e la loro concentrazione ora stabilita dalla Amministrazione Civile, quel messaggero di modernità e progresso.

L’Amministrazione Civile sta organizzando per loro tre township, come il mese scorso il responsabile del governo per i territori ha assicurato i rappresentanti delle colonie di quell’area, molto preoccupati della vicinanza con i Beduini. Nei dieci anni passati, lo Stato ha notificato alla Suprema Corte di Giustizia i propri progetti, utilizzandoli per giustificare il divieto per le comunità [beduine] di collegarsi alla rete idrica ed elettrica, di costruire scuole o nuove case per mettersi al passo con la crescita naturale. Il tutto a una distanza ravvicinata con le lussuose colonie ebraiche.

La township più grande programmata per persone di tre differenti tribù beduine, è adiacente al villaggio di Nu’eimeh, a nord di Gerico. Si trova su un territorio di 2.000 dunam[20 ettari] appartenente alla Stato, nella Zona C (sotto il pieno controllo di Israele secondo gli accordi di Oslo). È un piccolo appezzamento di terreno, adiacente a e circondata dall’enclave di Gerico [Zona] A (sotto il pieno controllo palestinese secondo gli accordi di Oslo).

Sono state introdotte diverse modifiche al piano per assecondare le obiezioni dei coloni di quella zona. La settimana scorsa doveva essere annunciato il termine ultimo per pubblicare la versione finale del piano e le obiezioni da presentare, ma non è stato stabilita nessuna data. Il portavoce del responsabile del governo per i territori [COGAT] ha detto che i piani per sviluppare Nu’eimeh erano ancora oggetto di negoziati con gli abitanti. Negoziati? A due clan della tribù di Rashadiyeh che già abitano lì vicino si è fatto credere che il piano riguardasse solamente loro, cosicché lo hanno approvato. Non sono venuti a sapere che è previsto che anche clan delle tribù dei Kaabneh e Jahalin sono stati inseriti tra coloro che verranno trasferiti con la forza a Nu’eimeh: tutte e tre le tribù si sono fortemente opposte al piano.

In un comunicato l’ufficio del COGAT [sarebbe l’Amministrazione Civile] ha affermato: “E’ previsto che il Comitato Supremo della Pianificazione, che è stato incaricato di discutere le obiezioni, si riunisca presto”.

In altre parole, riprenderanno le discussioni sulla pianificazione della prossima catastrofe umanitaria. Il piano prevede di ammassare da 3800 a 6000 Beduini in appezzamenti di terra su cui dovranno essere costruite le [loro] abitazioni, con una densità di popolazione e con una vicinanza agli altri clan e tribù che cozza contro le loro tradizioni e il loro modo di vivere. Le donne si troveranno a muoversi in spazi più limitati. Buona parte delle pecore e delle capre dovranno essere vendute, per mancanza di spazio. Far vivere clan e tribù differenti in simili quartieri così ristretti significa produrre litigi e discussioni che possono rapidamente degenerare. Il trauma per il trasferimento forzato non renderà per niente la situazione più facile. Per esperienza, si sa che un’innocente disputa fra ragazzi può provocare un incendio. Nel caso di una grave lite, una delle parti non sarà più in grado di avvolgere le tende e andarsene, come si suole fare ora..

L’avamposto Mevo’ot Yeriho, la colonia Yitav, una fattoria di un solo colono e un campo militare bloccheranno l’accesso ai pascoli dall’ovest e dal nord. Il villaggio palestinese Nu’eimeh a sudovest e la prevista città palestinese di Medinat Qamar e un progetto palestinese di agroindustria (nella zona A) chiuderanno completamente la township da est. La principale forma di sostentamento dei Beduini, l’asse intorno al quale un’antica tradizione millenaria si è sviluppata, sarà spazzata via.

Un così grande incremento di popolazione diverrà un enorme aggravio nella disponibilità idrica del villaggio di Nu’eimeh e dei suoi campi. La vicinanza di una grande base della polizia palestinese ha già ridotto del 40 per cento la quantità [d’acqua] delle due sorgenti del villaggio. Il vicino campo profughi di Ein al-Sultan dispone di una sola sorgente, e nei mesi estivi l’erogazione dell’acqua è irregolare e insufficiente. Il campo fronteggerà anche maggiori carenze d’acqua se una parte della sua disponibilità verrà dirottata verso i nuovi vicini. Gli abitanti delle nuove township saranno in concorrenza con quelli del campo profughi anche rispetto alla limitata offerta di lavoro nella zona e per i servizi educativi e sanitari già ridotti al minimo offerti dall’assistenza e dal centro per l’impiego delle Nazioni Unite a Ein al-Sultan.

La maggior parte dei Beduini nella Cisgiordania e in particolare nella Zona C sono stati espulsi dai loro villaggi d’origine nel Neghev dopo il 1948, o sono discendenti da coloro che furono espulsi. Si sono distribuiti in tutta la Cisgiordania, mantenendo una ben calcolata distanza tra ciascun clan e tribù. Alcuni hanno comprato la terra. Ma poi è arrivato il 1967. Con i soliti trucchi (esproprio di terre, zone militari di esercitazione, riserve naturali, confisca di armenti, demolizioni, espulsioni), Israele ha progressivamente ridotto i movimenti e i mezzi di sostentamento dei Beduini.

E ora ci stiamo avvicinando alla fase finale della distruzione. Questo è quello che succederà se nessuno si sveglia e dice: Basta [ a quello che è già successo]
(traduzione di carlo tagliacozzo)

mercoledì 11 giugno 2014

ISRAELE: sì al nutrimento forzato dei detenuti palestinesi




Lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi in detenzione amministrativa, iniziato il 24 aprile, entra oggi nel 48° giorno. Da allora, almeno 80 dei circa 280 sono stati ricoverati in ospedale a causa delle gravissime condizioni di salute. Ma i detenuti temono ora di essere soggetti ad un’altra violazione: il nutrimento forzato.

Testo di Rosa Schiano

Roma,10 giugno 2014, Nena News - La Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato ieri la prima lettura di un progetto di legge che dovrebbe permettere il nutrimento forzato dei detenuti in sciopero della fame. Il progetto di legge allo stato corrente dovrebbe consentire il capo del servizio carcerario israeliano di contattare una corte distrettuale e richiedere l’autorizzazione per costringere un detenuto in sciopero della fame a mangiare forzatamente. Questo sarebbe acconsentito solo se un dottore affermasse che il detenuto si trovi in gravi condizioni di salute.

A quel punto, secondo la legge, la corte considererebbe la valutazione del dottore e quella del comitato di valutazione del codice etico-comportamentale ospedaliero prima di emanare una sentenza. Oltre alle condizioni di salute, il giudice dovrebbe tenere in considerazione motivi di “sicurezza”. Nel caso in cui il nutrimento forzato in un caso particolare fosse approvato dal giudice, il personale del servizio carcerario sarebbe in grado di nutrire i detenuti amministrativi contro la loro volontà ed usare la forza per farlo. Il progetto di legge è passato con 29 voti a favore e 18 contrari.

Una legge, quella del nutrimento forzato, voluta dal primo ministro israeliano Netanyahu, su richiesta fatta del servizio segreto israeliano Shin Bet, secondo il quotidiano israeliano Haaretz.

Secondo il quotidiano israeliano, durante le recenti consultazioni, il direttore dello Shin Bet Yoram Cohen ha espresso il suo supporto all’approvazione di questa legge dicendo che sarebbe una “soluzione adeguata” all’ondata di scioperi della fame intrapresi dai prigionieri in detenzione amministrativa nelle carceri di Israele. Lo Shin Bet dichiara che la detenzione amministrativa è “uno strumento necessario nella guerra al terrorismo” e ammette che non vi sono prove sufficienti per accusare i detenuti.

Nel frattempo, il presidente della Waed Association for Prisoners and Ex-prisoners, Tawfiq Abu Naem, domenica ha confermato che sono 80 i detenuti ricoverati in ospedale dall’inizio dello sciopero della fame.

Le loro condizioni di salute peggiorano, come denuncia la Società dei prigionieri palestinesi (Palestinian Prisoner’s Society) secondo cui il servizio carcerario israeliano (IPS) sta mettendo a rischio la vita di alcuni detenuti palestinesi in sciopero della fame che soffrono di emorragia gastrointestinale cercando di portarli a fermare lo sciopero della fame in cambio del trattamento medico di cui hanno bisogno. Un avvocato della Società dei prigionieri palestinesi, Jawad Polis, che ha visitato alcuni detenuti nell’ospedale “Tal HaShomer”, ha riferito in un comunicato che “il servizio carcerario israeliano sta prendendo misure arbitrarie contro i detenuti accolti negli ospedali”.

L’avvocato ha sottolineato il deterioramento delle loro condizioni di salute, in quanto alcuni hanno iniziato a soffrire di dolore ai muscoli e problemi alla vista, mentre altri due sono svenuti e portati al reparto di terapia intensiva. Un buon numero di detenuti in sciopero della fame soffre di diabete ed altri problemi di salute, 11 detenuti hanno rifiutato di prendere medicine in protesta alla detenzione. Secondo l’avvocato, i detenuti hanno perso circa 16 chili in quanto assumono solo acqua ed alcune vitamine. Ufficiali del servizio carcerario mangiano di fronte ai detenuti nel tentativo di tormentarli psicologicamente.

I detenuti palestinesi nel carcere di Ayalon, di Kaplan e Wolfson Medical Centers hanno riportato agli avvocati dell’associazione Addamer, che si occupa di diritti umani e diritti dei detenuti, del peggioramento delle loro condizioni, ma rimangono comunque determinati nelle loro richieste perché termini la detenzione amministrativa. Circa 80 detenuti in sciopero della fame sono ricoverati in 9 ospedali, incluso: Meir, Aykhlouf, Kaplan, Birzelei, Tel Hashomer, Belinson, Afoula, Suroka, and Wolfson. Alcuni detenuti nell’ospedale di Kaplan hanno riportato agli avvocati di Addamer che i dottori hanno minacciato di praticare la nutrizione forzata ai detenuti in sciopero della fame in caso di perdita di conoscenza.


I dottori avrebbero minacciato di “introdurre cibo nel corpo attraverso il naso nello stomaco senza consenso, ammanettando (i prigionieri)”. Secondo Addamer, la legge, se approvata al Parlamento israeliano, costituirebbe un pericoloso passo verso l’istituzionalizzazione della tortura sui detenuti in sciopero della fame, cosi come viene considerata dal diritto internazionale e dalla World Medical Association. Secondo quest’ultima, infatti, “il nutrimento forzato sui detenuti in sciopero della fame è immorale, e mai legittimo”.

I protocolli aggiuntivi alla Convenzione di Ginevra affermano esplicitamente che è vietato sottoporre i detenuti “ad un intervento medico che non sia motivato dal loro stato di salute e non sia conforme alle norme sanitarie generalmente riconosciute e applicate in circostanze mediche analoghe alle persone che godono della libertà”. Secondo il protocollo, “le persone che esercitano una attività di carattere medico non potranno essere costrette a compiere atti o effettuare lavori contrari alla deontologia”.

Ai detenuti palestinesi in sciopero della fame è stato comunicato il rischio che corrono per la propria vita, la condizione dei loro muscoli centrali sta deteriorando ed il grasso muscolare scompare dal corpo. Alcuni dottori hanno informato i detenuti della possibilità di soffrire di attacchi di cuore o infarti in qualsiasi momento. Alcuni detenuti soffrono di emorragia intestinale, vomitano sangue e svengono oltre a soffrire di grave perdita di peso, diminuzione del battito cardiaco ed aumento dello zucchero nel sangue.

L’associazione Addamer riporta che i detenuti palestinesi negli ospedali sono legati ai loro letti con gambe e mani per 12 ore al giorno e legati con una gamba per le restanti 12 ore.

I detenuti devono chiedere permesso ai sorveglianti per usare il bagno, e non è permesso loro usarlo durante la notte. In quanto costantemente legati, ai detenuti è vietato camminare nelle stanze, nonostante le raccomandazioni del Ministero della Salute di permettere loro di camminare per mantenere la circolazione del sangue.

I detenuti in sciopero della fame sono anche vittime di maltrattamenti da parte del personale medico negli ospedali e nelle cliniche delle prigioni. I dottori rifiutano di svelare completamente gli integratori che somministrano ai detenuti, rendendoli così timorosi di assumere integratori che comporterebbero una rottura dello sciopero della fame non intenzionale.

Nel frattempo, nelle carceri israeliane il servizio penitenziario impone spesso misure punitive contro chi rifiuta il cibo, incluso isolamento, violenze fisiche, privazione di assistenza sanitaria, confisca di prodotti per l’igiene e affetti personali, visite familiari e legali negate o posticipate.

Il 1 maggio 2014, riporta Addamer, c’erano 5271 detenuti politici palestinesi nelle carceri israeliane. Di questi, 192 tenuti sotto regime di detenzione amministrativa (di cui 8 membri del Consiglio Legislativo Palestinese), 196 minori (27 sotto I 16 anni) e 17 donne. Nena News
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martedì 3 giugno 2014

Intervista a Myriam Marino, voce della Rete degli Ebrei per la Pace. Oltre l’occupazione, contro l’occupazione. Ebrei per la vita e per la pace, appunto. Una festa di rovine


Intervista di Cristina Mattiello


Myriam, sei un’esponente
di spicco della Rete Ebrei
per la pace: puoi darci una
valutazione degli attuali
sviluppi della situazione
in Palestina?

La situazione in Palestina
non è¨ migliorata dopo l’ok
dell’ONU allo Stato palestinese.
I punti critici restano i
soliti: Gaza, dove la vivibilità 
è sempre più difficile, ha visto
dall’inizio dell’anno un
intensificarsi della violenza
dell’esercito israeliano, che
ha martellato la Striscia con
incursioni, attacchi ai pescatori,
uccisioni e ferimenti di bambini, aggressioni ai
giovani della resistenza palestinese
che ogni venerdì¬
si riuniscono a est di Jabalia.
Questo si aggiunge alla
chiusura del valico di Rafah
da parte dell’Egitto che,
dopo il cambio di regime, si
comporta con i gazawi non
diversamente da Israele.
L’Egitto ha dichiarato che
Hamas è un’organizzazione
terrorista e ciò si ripercuote
sulla popolazione. Dal canto
suo Israele recentemente
ha impedito a 70 malati di
passare dal valico di Erez
per andare a curarsi, come
misura punitiva perchè¨ sui
loro documenti c’era scritto
“Stato di Palestina”. A
Gerusalemme continuano
le demolizioni di abitazioni
palestinesi, Israele potrebbe
abbattere nei prossimi anni
migliaia di case per spingere
i palestinesi ad andarsene
dalla città . Crescono le
colonie e, accanto a quelle
legali per Israele, ma illegali
per le leggi internazionali, si
moltiplicano gli avamposti
“illegali” su terreni di proprietà 
palestinese.
Altro punto critico: gli arresti,
la situazione terribile
dei prigionieri: ieri Israele
ha arrestato, dopo un blitz
che ha distrutto la sua casa,
Shireen Yssawy, la sorella di
Samer, simbolo della lotta
dei prigionieri. Continuano
gli arresti di bambini sempre
più piccoli. Gli abusi sui
piccoli palestinesi sono numerosi
e quotidiani; recentemente
l’amministrazione
civile israeliana ha lanciato
un drone sulla scuola di
gomme costruita da Vento
di terra nel villaggio beduino
di Khan al Amar e ha
confiscato gli scivoli e attrezzature
di gioco per i bambini
appena donati dal governo
italiano. Altro punto centrale
è l’acqua. Una vera
tortura per i palestinesi,
che hanno a disposizione
una quantità  di acqua 4
volte inferiore a quella degli
israeliani. Molto tempo,
energie, denaro vengono
sprecati dai palestinesi per
procurarsi l’acqua togliendoli
alla loro vita sociale.
Nella valle del Giordano
gli abitanti devono portare
l’acqua nelle taniche da
lontano e di nascosto, sebbene
il territorio contenga
falde acquifere, ma l’acqua è
rubata dalla Mekorot che la
convoglia nelle fattorie delle
colonie e loro sono costretti
a comprare la loro acqua da
questa società  israeliana a
caro prezzo. Dopo gli accordi
di Oslo, ci sono ulteriori
divieti per i palestinesi di
procurarsi l’acqua del loro
territorio. A Gaza l’acqua è
poca e inquinata e la depurazione
delle acque è resa
impossibile dall’assedio che
impedisce di portare all’in-



32 Mosaico di pace aprile 2014
terno le attrezzature necessarie.
Recentemente Israele,
nel tentativo di dividere i
palestinesi, ha proposto una
legge secondo la quale i palestinesi
cristiani sarebbero
promossi a semplici cristiani
e potrebbero fare il servizio
militare. Inoltre si moltiplicano
le uccisioni per motivi
futili o in assenza di motivi,
ma tutto è giustificato da
Israele con la parola magica
“sicurezza”.

Quale è oggi in Israele il
quadro dell’opposizione
alle politiche governative?

In Israele ci sono numerose
associazioni e gruppi di opposizione,
che lottano assieme
ai palestinesi sia partecipando
alle loro manifestazioni,
specie quelle del venerdì¬ nei
villaggi, sia documentando
i soprusi, come Bet’selem.
Purtroppo è molto difficile
per loro perchè chi si pone
fuori dal pensiero comune
ritenuto un pazzo o un
ingenuo.


Come vi muovete qui in
Italia?


In vari modi, cercando di
rompere il muro del silenzio
e della connivenza dei media
facendo informazione, manifestando
ecc, ma la lotta
più importante e efficace è
quella del BDS (Boicottaggio,
Disinvestimento e Sanzioni
contro Israele), che ha già 
ottenuto dei risultati considerevoli.
La Campagna lanciata dai
palestinesi nel 2005 ha
trovato appoggio in tutto
il mondo. Attualmente è in
corso la Campagna contro
la Sodastream, un’azienda
israeliana che produce
acqua gassata. L’azienda
ha uno stabilimento nella
colonia di Mishor Adumim
e si sta espandendo in Italia.
Il BDS fa molta paura a
Israele, che cerca di opporsi
come può In particolare
teme che, se falliranno i negoziati
a causa della crescita
delle colonie, la Campagna
per il BDS avrà  un’impennata
notevole. Perfino in
Israele il boicottaggio si sta
espandendo a strati sempre
più larghi di popolazione
insofferente per le politiche
di Netanjau verso le colonie.
E' un boicottaggio silenzioso,
non dichiarato, ma in atto,
che si aggiunge a quello della
sinistra. Sempre più persone
boicottano i prodotti
delle colonie, i negozianti
non se ne riforniscono perchè
resterebbero invenduti,
ma non possono dirlo altrimenti
incorrerebbero in
sanzioni.

Vedi uno spiraglio per il
futuro immediato?

Purtroppo no, non per il futuro
immediato. Ora sono in
corso i negoziati, ma credo
che non porteranno nulla
di buono per i palestinesi.
La conclusione dei negoziati
è prossima, in aprile, ma
ciò che è avvenuto finora è
una conferma che si tratta
della solita farsa. Ha destato
sconcerto nei palestinesi la
dichiarazione di Nabil Amro
secondo cui qualche forma
di riconoscimento dello Stato
ebraico potrebbe essere accolta
dall’ANP se fosse presentata
in modo accettabile.
Il riconoscimento dello stato
ebraico comporterebbe la
cancellazione del diritto al
ritorno per i profughi e una
possibile deportazione per
quelli del 1948, nel quadro
di scambio dei territori
proposta da Liberman. Oltretutto
Abu Mazen si è detto
disposto ad accettare truppe
israeliane di occupazione
ancora per 3 anni nell’eventuale
Stato palestinese e disponibile
alla presenza di
una terza parte in funzione
di rassicurazione per Israele,
proponendo la NATO.
Dall’inizio dei negoziati sono
state fondate 10mila colonie,
219 case palestinesi sono
state distrutte e 40 palestinesi
sono stati uccisi.
Accanto ai palestinesi c’è solo
la società  civile che sostiene il
BDS, i governi sono conniventi
con Israele e concludono
affari, accordi commerciali,
militari e avallano le sue
menzogne. L’Europa offre
aiuti ai palestinesi, ma in
questo modo non fa che pagare
i costi dell’occupazione,
mentre spesso le strutture
donate vengono distrutte o
sequestrate. Ai palestinesi
serve verità  e appoggio politico.
L’Italia, che in passato è
stata molto più solidale con
i palestinesi, oggi continua
a trattare Israele come un
partner privilegiato ed è sorda
e indifferente rispetto alla
sofferenza dei palestinesi. Ora
con il nuovo governo Renzi le
cose peggioreranno ancora…
Renzi infatti piace molto a
Israele, i suoi consiglieri sono
dei sionisti e non ci aspettiamo
niente di buono.



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PALESTINA. Si aggravano le condizioni dei prigionieri in sciopero della fame




Quaranta dei novanta detenuti che rifiutano il cibo dal 24 aprile, per protestare contro la pratica israeliana della detenzione amministrativa, sono stati ricoverati in ospedale. La lettera delle madri e delle mogli al papa. FOTO






testo di Rosa Schiano

Gaza City, 31 maggio 2014, Nena News – “Noi siamo in sciopero della fame non solo per noi stessi e per tutti i detenuti amministrativi in carcere, ma per tutto il popolo palestinese esposto a questo tipo di detenzione arbitraria, amministrativa, a cui può essere sottoposto qualunque figlio del popolo palestinese, in qualsiasi momento, ed io e miei fratelli scioperanti non termineremo il nostro sciopero fino al raggiungimento delle nostre richieste”, così ha dichiarato Ahmad Rimawi, 19 anni, il più giovane dei prigionieri politici palestinesi in detenzione amministrativa ed in sciopero della fame.

Novanta prigionieri in detenzione amministrativa avevano iniziato lo sciopero della fame il 24 aprile, a loro decine di detenuti si sono uniti in solidarietà. Le autorità carcerarie israeliane non solo hanno rifiutato di ascoltare le loro richieste, ma impongono misure punitive contro chi rifiuta il cibo, incluso isolamento, violenze fisiche, privazione di assistenza sanitaria, confisca di prodotti per l’igiene e affetti personali, visite familiari e legali negate o posticipate. I maltrattamenti sono comunque sistematici ed iniziano dal momento dell’arresto, le violenze fisiche e verbali continuano poi durante gli interrogatori.




A 38 giorni dall’inizio della protesta, vi è un grave deterioramento delle condizioni di salute dei detenuti. Almeno 40 dei prigionieri in sciopero della fame dal 24 aprile sono stati ricoverati negli ospedali. L’avvocato Jawad Bulous, che lavora per la Palestinian Prisoner’s Society, ha riferito che la maggior parte degli ospedali israeliani dal Soroka Medical Center nel Sud di Israele al Meir Medical Center in Kfar Saba nell’area centrale hanno ricevuto detenuti.

Secondo Bulous, il servizio carcerario israeliano avrebbe tentato di raggiungere un accordo con i detenuti in sciopero della fame. Gli ufficiali israeliani avrebbero suggerito un incontro con i leader dei prigionieri palestinesi al carcere di Rimon, ma la richiesta è stata respinta perché gli israeliani avrebbero rifiutato la partecipazione alla discussione di un rappresentate dei detenuti in sciopero della fame.





Oltre a chiedere il proprio rilascio, i detenuti chiedono la fine della “detenzione amministrativa”, una pratica che consente ad Israele di arrestare persone senza accusa o processo e per un tempo indefinito.

Alcuni prigionieri hanno vissuto anni in detenzione amministrativa. Questa pratica, infatti, è usata da Israele per trattenere in carcere palestinesi da uno a sei mesi, indefinitivamente rinnovabili. Ordini di detenzione sono emanati senza accuse, senza processo e senza una prova a cui il detenuto o l’avvocato possa accedere, viene negato loro il diritto ad un regolare processo. La detenzione amministrativa viene spesso utilizzata quando non ci sono prove sufficienti per accusare palestinesi. I prigionieri politici amministrativi non conoscono le ragioni per cui sono in carcere, non sanno di cosa sono accusati né perché sono stati privati della loro libertà. Si tratta di uomini e donne, persone di tutte le età ed esperienze, studenti, lavoratori, insegnanti e leader politici. Tra essi c’è anche un noto difensore dei diritti umani, Murad Eshtewi, coordinatore del comitato popolare di Kufr Qaddum, in detenzione da circa 4 settimane. Tra i noti leader politici, ci sono Ahmad Sa’adat e Marwan Barghouti.





In occasione della visita del Papa in Palestina, le madri e le mogli dei prigionieri palestinesi in detenzione amministrativa hanno rivolto un appello urgente al Pontefice. “Noi, le madri e le mogli dei detenuti amministrativi palestinesi nelle carceri dell’occupazione israeliana, ti diamo il benvenuto nella nostra Palestina occupata, ed esprimiamo la nostra profonda ammirazione per la tua umiltà ed il forte impegno per la giustizia sociale”, così inizia la lettera delle donne palestinesi preoccupate per le sorti dei loro cari. “Noi, le madri e le mogli vorremmo esprimerti la nostra profonda preoccupazione per le vite dei nostri figli e dei nostril mariti che sono in sciopero della fame da più di 4 settimane per protestare contro la pratica della detenzione amministrativa. I nostri figli ed i nostri mariti stanno soffrendo di gravi conseguenze come risultato del loro prolungato sciopero della fame, cosi come delle crudeli punizioni perpetrate dagli ufficiali del servizio carcerario, inclusi perquisizioni in cui vengono spogliati, reclusione in isolamento, insulti e umiliazioni durante incursioni quotidiane nelle celle e visite negate dei loro familiari ed avvocati”.

Il 22 maggio 18 organizzazioni per diritti umani avevano inviato una lettera al segretario generale delle nazioni unite Ban Ki Moon per chiedere urgentemente il rilascio dei detenuti in sciopero della fame. Addamer, associazione palestinese per diritti umani e per i diritti dei prigionieri palestinesi, riporta che il 1 maggio 2014 c’erano 5271 detenuti politici palestinesi nelle carceri israeliane. Di questi, 192 tenuti sotto regime di detenzione amministrativa (di cui 8 membri del Consiglio Legislativo Palestinese), 196 minori (27 sotto I 16 anni) e 17 donne. Nena News