venerdì 28 giugno 2013

Gaza, disabili per sempre

Nena News pubblica il servizio speciale realizzato dalla fotoreporter Rosa Schiano sulle disabilità a Gaza, frutto di operazioni e raid militari israeliani di Rosa Schiano Gaza, 26 giugno 2013, Nena News - Nel corso delle frequenti operazioni militari condotte dall'esercito israeliano sulla Striscia di Gaza molti civili palestinesi feriti hanno riportato amputazioni totali o parziali degli arti, e gli stessi palestinesi con disabilità non sono stati immuni ai crimini di guerra. Secondo "L'ultimo Rapporto sull'Aggressione israeliana contro i cittadini della Striscia di Gaza iniziata il 14 novembre 2012", redatto il 26 novembre 2012 dal Ministero della Salute dell'Autorità nazionale Palestinese e dal Palestinian Health Information Center (PHIC), il numero totale delle vittime è 1573, di cui 174 persone uccise (151 maschi e 23 femmine) e 1399 feriti (994 maschi e 410 femmine).Secondo il report, la percentuale di disabilità nei feriti è del 7.5 % (106 feriti). Le disabilità includono amputazioni (8) ,paraplegia (3), fratture (30), ustioni (3), gravi ferite addominali (12), trauma cranici (22), gravi ferite al torace (5), gravi ferite multiple (18), gravi ferite vascolari (3), traumi da schiacciamento (2). I numeri di questo report, redatto a soli 5 giorni dalla fine dell'offensiva, saranno destinati ad aumentare nei giorni successivi, quando si sono verificati decessi di feriti in gravi condizioni ed ulteriori disabilità. Inoltre, il Palestinian Centre for Human Rights riporta che dall'inizio del 2012, tre palestinesi con disabilità sono stati uccisi dall'esercito israeliano. A rendere difficile la condizione dei disabili palestinesi è innanzitutto l'assedio illegale che Israele ha imposto sulla Striscia di Gaza, e che entra ora nel settimo anno, e che costituisce anche una violazione del diritto alla salute. Come riportato dal Palestinian Center for Human Rights, vi è una costante mancanza di medicinali e di attrezzature mediche, mancanza che si è fatta particolarmente sentire durante i mesi di marzo, giugno e novembre 2012, ovvero in occasione delle escalation delle operazioni militari israeliane sulla Striscia di Gaza. Oltre alla mancanza di medicinali, è diminuito nel 2012 il numero di pazienti che hanno ottenuto il permesso per attraversare il valico di Erez per accedere agli ospedali in Israele, Gerusalemme e la Cisgiordania. L'ultimo report del Pchr sugli effetti dell'assedio infatti dichiara che sono 8596 i pazienti che hanno attraversato il valico di Erez nel 2012, mentre prima dell'imposizione dell'assedio, i pazienti a cui era permesso attraversare il valico erano circa 20,000. Israele continua ora a negare ai pazienti il diritto a ricevere cure negli ospedali in Cisgiordania, compreso in Gerusalemme, ed in Israele. Le autorità israeliane hanno negato l'accesso all'assistenza sanitaria a migliaia di pazienti, con differenti scuse, tra cui ragioni di sicurezza, attese per un altro appuntamento, o per una risposta israeliana dopo essere stati interrogati. I pazienti inoltre sono spesso ricattati dalla sicurezza interna israeliana che cerca di forzare I palestinesi a collaborare fornendo informazioni. Le autorità israeliane hanno iniziato anche a negare l'attraversamento del valico ad una nuova categoria di pazienti, sotto il pretesto che il loro caso non richiede un intervento salvavita ma costituisce un "lusso". L'ultima categoria include pazienti che hanno perso vista ed arti.Il dottor Ayman Al Halaby, Direttore dell' Unità di Fisioterapia e Riabilitazione che agisce in cooperazione con il Ministero della Salute di Gaza, ha riferito che durante l'offensiva militare Pilastro di Difesa, sono stati forniti servizi sanitari di due tipi, servizi ambulatoriali per pazienti esterni e servizi per pazienti interni. Il Dottor Al Halaby ha sottolineato lo stato di emergenza che si è verificato durante l'offensiva Pilastro di Difesa, che ha costretto i medici a cambiare il programma di riabilitazione e non ha permesso ad alcuni pazienti di portarlo a termine. E' stato possibile un coordinamento con Ong internazionali e locali capaci di muoversi in auto e d in grado di fornire materiali ed attrezzature. Una parte dei pazienti sono stati trasferiti all'ospedale riabilitativo Wafa. Il dottor Al Halaby ha aggiunto che uno dei punti principali su cui si sta lavorando è la raccolta di dati di pazienti da cui ci si aspetta possano soffrire di disabilità. Al Halaby ha poi sottolineato la scarsa qualità delle attrezzature, in particolare di sedie per disabili. "L'assedio colpisce in maniera negativa il nostro settore. Non ci sono fondi per acquistare apparecchi acustici, macchine o veicoli per disabili. La maggior parte della nostra attrezzatura dipende dalle donazioni che vengono dall'esterno. Succede, infatti, che, dopo l'arrivo di una donazione di attrezzature, bisogna cercare il paziente che ha bisogno di questi supporti, e non il contrario", ha aggiunto Al Halaby, che ha infine sottolineato le difficoltà di fornire ai pazienti una riabilitazione completa.Ci sono in Gaza diverse associazioni che si occupano di disabili e che cercano di fornire loro supporto. Alcune associazioni ricevono fondi dall'estero attraverso progetti specifici per l'acquisto di attrezzature, medicine, dispositivi medici per disabili, e laddove possibile, riescono a coprire i costi del trasporto di eventuali feriti all'esterno. In altri casi tali supporti arrivano tramite convogli organizzati da associazioni internazionali. Ci sono però casi di pazienti che non riescono a sostenere le spese per ricevere un'adeguata fisioterapia, a causa delle enormi difficoltà economiche in cui si trova la maggior parte della popolazione di Gaza dovute alla mancanza di lavoro. Un' eccezione nella Striscia di Gaza è rappresentata dall' Artificial Limbs & Polio Center (ALPC), connesso alla Municipalità di Gaza, in grado di fornire servizi protesici ed ortopedici a molti pazienti, grazie al contributo del Comitato Internazionale della Croce Rossa Internazionale (ICRC) che fornisce supporti tecnici quali i materiali e le componenti necessarie per costruire e produrre protesi ed ortesi, e che forma il proprio staff all'estero.Gli amputati ricevono inoltre una specifica fisioterapia per essere allenati e rieducati a camminare. Il progetto di fisioterapia post chirurgica, insieme al Ministero della Salute e all'Unita' di riabilitazione fisica mira a ridurre il rischio di disabilità a seguito di interventi chirurgici ed è attualmente implementato negli ospedali Shifa, Nasser ed European. Purtroppo, ironia della sorte, la Croce Rossa Internazionale acquista tutti i materiali per il centro in Israele, che quindi guadagna dai bombardamenti sulla popolazione di Gaza. I feriti amputati durante l'operazione Pilastro di Difesa sono stati generalmente tutti trasferiti in ospedali in Egitto o Turchia, a seconda della gravità dei loro casi, per poi terminare la fisioterapia in Gaza. La situazione di emergenza che si era verificata durante quei giorni infatti non permetteva ricoveri di lunga durata a causa del sovraffollamento degli ospedali e dell'incessante arrivo di feriti minuto dopo minuto.Oltre alle difficoltà per l'ottenimento di un impiego, questi disabili affrontano difficoltà di movimento anche per accedere alle proprie abitazioni, in quanto spesso gli edifici antichi sono privi di ascensori e in altri casi a seconda delle fasce orarie manca la corrente perché possano funzionare. Di seguito alcuni casi dei feriti divenuti disabili durante l'operazione militare "Pilastro di Difesa", iniziata il 14 novembre 2012 e terminata il 21 novembre 2012. "C'è determinazione": il caso di Khader Hader Al-Zahar Khader Hader Al-Zahar, 25 anni, è uno dei cameramen feriti durante l'offensiva militare israeliana di novembre 2012. Durante la notte del 18 novembre 2012, verso le 2, gli aerei militari israeliani hanno lanciato 4 missili sull'ufficio della televisione al-Quds, all'undicesimo piano dell'edificio Shawa and Hussari in Gaza City. I missili sono entrati dal soffitto dell'edificio e sono esplosi all'interno. Sette fra giornalisti e tirocinanti sono rimasti feriti. Khader al-Zahar ha perso la gamba destra nell'attacco ed è rimasto ferito da frammenti di esplosivo su tutto il corpo. Khader era andato a casa soltanto una volta in quei giorni. Era, come molti giornalisti e cameramen palestinesi in continuo movimento per riportare ciò che stava accadendo. Si trovava insieme ad i suoi colleghi all'interno dell'ufficio. "Quando Israele ha bombardato l'edificio ho pensato fosse un sogno, che non fosse reale", ha detto Khader. Dopo il primo missile lanciato sull'edificio, tutti sono scappati, tranne Khader, che era rimasto ferito alle gambe. I quattro missili sono stati lanciati sull'edificio con un intervallo di tempo di 3-4 minuti. Dopo il primo missile, che l'aveva ferito alle gambe, Khader era inconscio. Uno dei suoi colleghi è tornato sul posto per trascinarlo all'esterno, ma ha potuto farlo solo per una breve distanza, perché poi un secondo missile ha colpito il palazzo. Successivamente la stessa persona l'ha poi trascinato sulle scale, pensando fosse morto perché era inconscio, poi il terzo missile. Il ragazzo è scappato nuovamente per poi tornare e trascinarlo all'ottavo piano, quando il quarto missile si è abbattuto sull'edificio. Nel frattempo Khader aveva ripreso i sensi. Si era reso conto che non poteva muoversi. Un'ambulanza l'ha trasferito inconscio all'ospedale Shifa dove è stato ricoverato nel Reparto di Terapia Intensiva dalle 3.30 alle 10.00 del mattino. Durante l'intervento chirurgico la sua gamba è stata amputata. Successivamente i dottori dello Shifa hanno avviato la procedure per il trasferimento di Khader in Egitto. Alle 14.00 del giorno successive Khader ha lasciato Gaza ed è arrivato al Cairo alle 11.30 di sera, dove è stato ricoverato nell'ospedale El Zaytoun per 3 mesi. Durante il primo mese ha ricevuto 12 operazioni alla gamba destra. La parte posteriore della gamba infatti era distrutta, per questo era stata amputata. Khader è rimasto anche ferito da frammenti di esplosivo, che tuttora sono presenti all'interno del corpo e che gli provocano dolore quando il tempo è freddo. Khader è tornato a Gaza il 13 febbraio 2013, in condizioni stabili. E' rimasto a Gaza tre mesi, per poi tornare in Egitto, dove i dottori gli hanno fornito una protesi ed ha effettuato fisioterapia. Khader è rientrato a Gaza il 15 giugno 2013. Ogni sei mesi dovrà tornare obbligatoriamente in Egitto per un controllo medico. Il Doha Centre for Media Freedom ha coperto tutte le spese mediche ed i suoi trasferimenti. Khader tornerà a lavoro tra una settimana. Probabilmente occuperà un ruolo diverso all'interno della televione Al Quds, si dedicherà di monitor ed editing. La sua determinazione a voler continuare il suo lavoro e la sua capacità di resistenza sono state alte. Khader vive con i suoi genitori, ha 4 sorelle e 2 fratelli. Suo padre aveva una fattoria, Khader era solito andare ad aiutarlo, ora non può camminare per lunghe distanze, o stare in piedi per molto tempo. "Molte cose sono cambiate" - ha detto Khader - ma Fi aziima, c'è determinazione". "La vita dei disabili è molto difficile". Il caso di Mohammed Awad Durante il sesto giorno di offensiva, il 20 novembre 2012, verso le 09.15 del mattino, un aereo militare israeliano ha lanciato un missile su un gruppo di cacciatori di uccelli nel terreno di Hamada in Beit Lahia, nel Nord della Striscia di Gaza, uccidendo Yahia Mohammed Awad, 17 anni, e ferendo suo padre Mohammed Awad, 43 anni."La guerra è iniziata durante la stagione della caccia. Ogni giorno andavo a cacciare nel Nord della Striscia di Gaza, dove c'erano anche alcuni figli di beduini. Yahia, mio figlio maggiore, mi chiedeva con insistenza di venire, ma ho sempre rifiutato. Quel giorno ho accettato. Un nuovo tipo di uccelli richiedeva l'uso di reti supportate da due alte stecche. Improvvisamente un missile ci ha colpiti", ha detto Mohammed. Privo di sensi, Mohammed è stato trasportato all'ospedale Al Awda, dove è stato operato e la gamba destra è stata amputata. Successivamente è stato trasportato all'ospedale Kamal Odwan dove è stato ricoverato nel Reparto di Terapia Intensiva. Il mattino successivo è stato trasportato in Egitto, ad Arish, dove è stato ricoverato 10 giorni, 3 dei quali in Terapia Intensiva. "Quando mi sono svegliato ho chiesto di mio figlio, mi hanno detto che era rimasto ferito, non che fosse morto. Quando ho chiamato mia moglie, lei non mi ha detto che Yahia era morto. Quando mia sorella è venuta in Egitto mi ha detto la verità". Successivamente Mohammed è stato trasferito all'ospedale Al Haram di Giza, dove è rimasto ricoverato 37 giorni. Qui non è stato sottoposto ad interventi né gli è stata fornita una protesi. Mohammed non ha chiesto nemmeno di poter avere una protesi perché consapevole dei costi elevati che essa richiede. Ha effettuato una fisioterapia nel centro ALPC di Gaza per rafforzare il muscolo della gamba così che in futuro possa usare una protesi. Forse la Unrwa potrebbe coprire parte delle spese insieme alla ICRC. E' attualmente in attesa di una risposta. Mohammed attualmente per muoversi usa un deambulatore. Esce solo per andare al centro di fisioterapia. Vive al quinto piano di un edificio senza ascensore. "Mi sento imbarazzato se devo camminare in strada ed incontro degli operai o dei lavoratori, perché ora ho bisogno di aiuto per muovermi, per lavorare. Ho bisogno di aiuto anche se sono in casa. La vita dei disabili è molto difficile, nessuno può capirlo. Se prima eri una persona attiva e dopo diventi disabile, ti senti inutile, senti di essere un ostacolo anche per la tua stessa famiglia. Non posso immaginare me stesso fra 10-15 anni in questa stessa situazione".Mohammed ha due figli maschi e due femmine, mentre il terzo figlio maschio è morto durante l'attacco. "Yahia era uno studente, mi aveva solo chiesto di potermi accompagnare", ha detto Mohammed. Mohammed riceve uno stipendio dall'Autorità Palestinese, che però non è sufficiente a coprire tutte le spese che lui e la sua famiglia devono affrontare. Il bombardamento inaspettato. Il caso di Abdel Malek Jawad Oqail Abdel ha 26 anni. Il 17 novembre 2012, verso le 8 del mattino, stava camminando sulla corsia di Al Amal, in Khan Younis, per dirigersi verso la casa di suo fratello. Un caccia F-16 ha improvvisamente bombardato un'abitazione precedentemente evacuata. Abdel stava camminando accanto all'abitazione quando è avvenuto il bombardamento ed è rimasto ferito. Non ha perso i sensi, ha cercato di rialzarsi ma si è reso conto che non poteva camminare. Un'ambulanza è arrivata sul posto dopo circa 15 minuti e l'ha trasportato al Nasser Hospital. Il giorno seguente Abdel è stato trasportato in Egitto, nell'ospedale Nasser del Cairo, dove la sua gamba destra è stata amputata e dove è stato operato al braccio sinistro in quanto fratturato. I dottori hanno posto un fissaggio esterno e successivamente un fissaggio interno al braccio che sarà rimosso dopo un anno. Abdel ha passato 7 giorni al Cairo, per poi tornare a Gaza. E' rimasto ferito anche da frammenti di esplosivo sotto il polmone, ma tali frammenti, che gli causano dolore, non possono essere rimossi a causa della pericolosità dell'intervento. Abdel è rimasto 5 mesi a Gaza e nel mese di aprile 2013 è stato trasportato in Turchia, attraverso l'associazione Assalama. In Turchia i dottori gli hanno fornito una protesi ed hanno operato il suo braccio sinistro, aggiungendo una parte di fissaggio interno. Dopo circa 2 mesi in Turchia, Abdel è tornato a Gaza una settimana fa.Abdel non lavora. Si è laureato in scienze della formazione e potrebbe insegnare in una scuola elementare, ma non vi sono posti disponibili in questo momento. Ha fatto richiesta di lavoro a diverse scuole prima dell'offensiva militare e sta ancora aspettando risposta. Abdel vive in un campo di rifugiati ad Ovest di Khan Younis. La madre di Abdel trema, si è ammalata di diabete a causa del troppo stress. La sua famiglia è originaria del villaggio di Beit Darras, sottoposto nel 1948 ad un sanguinoso massacro da parte delle truppe israeliane contro gli abitanti del villaggio, che l'hanno circondato e bombardato. A Gaza, in alcuni casi i civili possono rimanere feriti non da diretti bombardamenti ma da missili o oggetti inesplosi rimasti sulle strade delle città. Di seguito il caso di un bambino divenuto disabile circa 15 giorni prima dello scoppio dell'offensiva militare di novembre 2012. Il caso di Feras Mohammed M. Al Tahrawi Era il 29 ottobre 2012. "Stavamo tornando da scuola quando l'incidente è avvenuto. Un missile non esploso. Ho iniziato a giocare con questo oggetto di metallo come con un giocattolo, è esploso immediatamente". L'esplosione ha causato a Feras la cecità ad entrambi gli occhi, la perdita di quattro dita della mano sinistra, ed alcuni frammenti di esplosivo l'hanno colpito alla testa. Feras è stato trasportato all'ospedale Shifa, dove è stato ricoverato per 15 giorni nel reparto di Terapia Intensiva. Successivamente è stato trasferito all'ospedale Saint Joseph di Gerusalemme, dove è rimasto per più di 40 giorni. Lì non è stato sottoposto a nessun intervento chirurgico, ma ha effettuato solo delle analisi del sangue e radiografie. La madre di Feras racconta che non è stato facile raggiungere Gerusalemme. Al primo tentativo, le autorità israeliane le avevano detto che non c'era nessuna possibilità di raggiungere Gerusalemme attraverso il confine di Erez. La famiglia di Feras ha inviato la richiesta attraverso l'ospedale Shifa, ma l'intelligence israeliana ha chiamato suo padre comunicando: "Non accetteremo Feras qui". Il padre di Feras, disperato, aveva risposto che se non avessero accettato suo figlio, l'avrebbe portato in altri Paesi, in Giordania per esempio, e che non avrebbe permesso che l'umiliassero. Successivamente l'ospedale Shifa è riuscito ad ottenere il coordinamento e Feras ha potuto attraversare il valico di Erez dopo 4-5 giorni insieme ad una sua zia. L'Autorità Palestinese ha coperto le spese del viaggio. Quandoè rientrato a Gaza Feras era in condizioni molto gravi. È stato trasferito nuovamente all'ospedale Shifa e da lì all'ospedale Wafa. Qui ha effettuato un periodo di fisioterapia. Successivamente Feras è stato trasportato in Egitto, nell'ospedale Al Qahera Al Fatimia del Cairo, dove ha subito un intervento chirurgico all'occhio perché vi era una possibilità di recuperarlo. Ha passato in ospedale 3 mesi. L'operazione è riuscita ed attualmente Feras può vedere attraverso il suo occhio destro, anche se la vista è offuscata. Ogni 3 mesi Feras dovrebbe tornare in Egitto per un controllo alla vista.Forse con il tempo la sua vista potrebbe migliorare. La madre di Feras spera che suo figlio possa in futuro ricevere un intervento chirurgico anche all'occhio sinistro. Le cure in Egitto sono state e saranno a carico della sua famiglia. Uno dei dottori ha consigliato a Feras di non praticare sport né esercizi per almeno due anni.Feras non può andare a scuola. Ogni il suo viso esprime smorfie di dolore, Feras soffre ogni giorno di dolori alla testa, ed ha un raffreddore causato dall'operazione all'occhio. Feras ha frammenti di esplosivo nella testa ed alcuni anche all'interno del corpo. Il dottore ha detto che necessiterebbe di un intervento chirurgico, ma che è molto rischioso. Il dolore alla testa è causato dalla pressione dei frammenti. Quando il dolore si presenta, è talmente forte che Feras potrebbe cadere a terra, non ha l'equilibrio per restare in piedi. Per quanto riguarda la mano sinistra, quando era ricoverato all'ospedale Shifa i dottori avevano concentrato l'attenzione solo sugli occhi. Successivamente, una delegazione francese di dottori è arrivata in ospedale ed ha eseguito un intervento chirurgico alla sua mano. Feras ha perso quattro dita."Mi sento sempre annoiato, soffro per mia disabilità perché non posso vedere i miei amici, non posso giocare, non posso andare a scuola, ed a causa del dolore improvviso ho bisogno di un letto", ha detto Feras. Sua madre ha aggiunto che Feras è diventato molto nervoso anche con i suoi fratelli e sorelle. Feras sognava di diventare un dottore, e questo è ancora oggi il suo sogno. La madre spera che Feras possa avere una mano alternativa, lo aiuterebbe molto. Fares è all'ultimo anno necessario di scuola prima di poter accedere al liceo. Ha bisogno di corsi privati per poter continuare la formazione, ma sono molto costosi. "Gli insegnanti non gli hanno reso nemmeno visita, e questo lo ha amareggiato molto", ha detto sua madre. Feras frequentava una scuola dell'Unrwa, la Al Falah school, nel quartiere di Tuffah. Sua madre ha chiesto al direttore della scuola assistenti sociali o una persona che possa andare a casa per aiutare Feras, ma la richiesta è stata rifiutata. Il direttore della scuola si è limitato a dire che non avrebbero cacciato Feras dalla scuola a causa delle assenze, ed ha rifiutato di inviare insegnanti. Nena News

giovedì 27 giugno 2013

Footbal sotto il muro

Israele vieta anche le marionette palestinesi

Israele vieta anche le marionette palestinesi Il Ministero della Sicurezza Interna chiude un teatro a Gerusalemme Est e fermato un festival per bambini. La città sempre più schiacciata dalle politiche israeliane. di Emma Mancini Gerusalemme, 25 giugno 2013, Nena News - Nel mirino delle autorità israeliane finiscono ora anche le marionette palestinesi. Venerdì il ministro della Sicurezza Interna, Yitzhak Aharonovitch, ha ordinato la chiusura del teatro El-Hakawati a Gerusalemme Est e impedito lo svolgimento di un festival per bambini. "Aharonovitch ha preso la decisione venerdì perché le attività in questione erano organizzate sotto la direzione e la sponsorizzazione dell'Autorità Palestinese", ha spiegato il portavoce della polizia israeliana, Liba Samri. Una sponsorizzazione considerata illegale a Gerusalemme Est perché priva di autorizzazioni. Immediata la reazione del teatro: il direttore, Mohammed Halayiqa, ha definito la chiusura "vergognosa" e ha aggiunto che l'ANP non era coinvolta nell'organizzazione dell'International Puppet Festival, finanziato soltanto da gruppi internazionali. "Le loro fonti hanno riportato che i fondi arrivavano dall'ANP, anche se non è così, e hanno ordinato la chiusura del teatro per una settimana, impedendo così lo svolgimento del festival". Il direttore racconta della delusione provata quando, dopo giorni e giorni trascorsi a decorare il teatro, i servizi di sicurezza hanno imposto la chiusura dal 22 al 30 giugno. Ma a lasciare a bocca aperta, al di là delle giustificazioni date da Israele, è il target scelto dalle autorità: i bambini e le loro marionette. Nessun fine politico, solo un divertimento per i bambini palestinesi di Gerusalemme, costretti a vivere in condizioni sempre peggiori: secondo dati pubblicati a maggio dalle Nazioni Unite (e ripresi da una ricerca dell'Association for Human Rights in Israel), il 79% dei quasi 300mila residenti palestinesi nella Città Santa vive sotto la soglia di povertà, un tasso che sale all'82% per i minori di 18 anni (contro il 45% dei bambini israeliani). L'Onu aveva a maggio puntato il dito contro le politiche di giudaizzazione della città implementate dal governo di Tel Aviv: la costruzione del Muro di Separazione, la scarsa integrazione dell'economia palestinese, la separazione dalle terre agricole hanno in pochi anni provocato la perdita di oltre 760 milioni di euro a Gerusalemme Est, sotto forma di crollo delle opportunità di lavoro e del settore commerciale. A pesare sono le discriminazioni nel riconoscimento del diritto di cittadinanza (i palestinesi di Gerusalemme non sono considerati cittadini israeliani, ma solo residenti) e dei servizi pubblici: pur pagando elevate tasse comunali, le famiglie arabe non godono di molti servizi, come la raccolta dei rifiuti e i mezzi pubblici, oltre all'impossibilità di costruire nuove abitazioni o strutture permanenti. Infine, la mancanza di scuole: solo il 46% degli studenti palestinesi è in grado di frequentare gli istituti pubblici perché mancano le classi. Nena News

mercoledì 26 giugno 2013

lA MADRE DI FAMIGLIA FERITA DAI CRIMINALI ISRAELIANI

l'ASSALTO DELLE TRUPPE

Selezionati per distruggere: pogrom dell'esercito di occupazione contro una famiglia palestinese

LA CILIEGINA SULLA TORTA DELL'IDF Non c'è un solo israeliano che possa immaginare come debba essere svegliarsi nel cuore della notte e vedere nella propria casa decine di soldati armati e violenti, cani e granate. di Gideon Levy L’unità Duvdevan delle Forze di Difesa Israeliane è solo il meglio, anche se con un po' meno lustro del Shayetet, del Tayeset e dell'”Unità” – rispettivamente: l’élite del commando navale del IDF, l’élite del commando forza aerea, e il Sayeret Matkal, l’élite dello stato maggiore per le operazioni-speciali. I veterani della Duvdevan sono amati nella società israeliana. I suoi soldati sono accuratamente selezionati - unità di élite o no. E, e fintanto che stiamo parlando di "uguaglianza", allora possiamo dire che portano il pesante "fardello" del servizio nazionale. Nella notte del 25 maggio, questi soldati erano impegnati in un'altra operazione transfrontaliera, in Cisgiordania, nel villaggio palestinese di Budrus. I loro comandanti dovevano essersi riuniti per un ultimo briefing pre-missione prima del tramonto. Sicuramente era stato detto loro del pericoloso terrorista che avrebbero dovuto arrestare; avevano senza dubbio sentito che il suo fratello adolescente era stato ucciso appena quattro mesi prima, in modo riprovevole – ucciso da una pallottola da distanza ravvicinata mentre cercava di fuggire, dopo aver lanciato dei sassi contro il muro di separazione. Il raid iniziò alle 02:00. Qualcuno sentì il comandante dire ai suoi soldati: "Non abbiate pietà in questa casa." In questa casa in lutto, indegne della misericordia di Duvdevan, dormivano otto ragazze adolescenti e giovani donne, i loro genitori e il loro fratello più giovane - i membri della famiglia Awad. Sul tetto dormiva il pericoloso ricercato - un cameriere del vicino villaggio di Na'alin, sospettato di aver lanciato pietre, condotta scorretta. Reati così gravi. Ciò che accadde dopo fu poco di meno di un mini-pogrom. C'erano decine di soldati e cani. La porta d'ingresso fu segata, le finestre fracassate, furono lanciate in casa e contro gli abitanti innumerevoli granate assordanti. L'uomo ricercato fu gettato giù per le scale e ferito così gravemente da svenire. Alle donne e alle ragazze calci e colpi. Il giorno dopo Il portavoce dell'IDF sostenne che "i familiari avevano violentemente opposto resistenza all'arresto." Inizialmente l'ufficio dichiarò che nessun soldato era rimasto ferito, poi cambiò idea: "Nel corso della vicenda due soldati sono stati leggermente feriti e curati sulla scena." Il Venerdì ho raccontato i dettagli dell'incidente su Haaretz ("Casa attaccata, Famiglia distrutta"). Questo fine settimana il portavoce dell'IDF si è preso la briga di mandarmi un video come prova della resistenza violenta della famiglia: 50 secondi, attentamente curati e senza suono, in cui le donne di casa gridano disperatamente di fronte a innumerevoli soldati armati nella piccola casa, l'uomo ricercato, Abed, nascondendosi dietro di loro, terrorizzato, gemeva per il dolore. Sulla clip il portavoce dell’ufficio delle IDF aveva cerchiato un piccolo coltello da frutta nella mano di una delle donne e una falce in miniatura tenuta da un altro, che venivano sventolati in aria. Non ho mai visto un video così ridicolo in mia vita. Ogni minimo dubbio che avrei ancora potuto nutrire su quello che era accaduto a Budrus quella notte fu spazzato via da quella clip, che mi rivelò in modo inequivocabile che si era trattato di una operazione criminale. Cominciamo con il fatto che ha avuto luogo nella casa di una famiglia in lutto, un cui membro adolescente era stato ucciso dai soldati in circostanze che anche l'IDF ammette fossero "brutte". Ci si poteva aspettare un trattamento diverso di una famiglia così - una famiglia che ha, tra l'altro, molti amici israeliani. Poi c'è il bersaglio: voleva lanciare sassi. E il mezzo: un raid notturno con un numero assurdo di soldati dotati di un numero non meno assurdo di armi. E il risultato: quattro donne ferite, a una delle quali sono stati necessari otto punti di sutura in testa, e un sospetto preso in custodia sanguinante e incosciente. Nessuno, ovviamente, si è preoccupato di dire alla famiglia, il giorno dopo, dove era stato portato e che cosa gli era successo. Ciò che è accaduto in casa Awad è stato un fatto di routine. Non c'è un solo israeliano che possa immaginare come debba essere svegliarsi nel cuore della notte e vedere nella propria casa decine di soldati armati e violenti, cani e granate. Questo è avvenuto per ordine del Comando Centrale GOC, del generale maggiore Nitzan Alon, che i coloni hanno additato come "di sinistra" e "moderato", nell’ennesima disgustosa campagna per cambiare le istruzioni per “aprire il fuoco”, una campagna che non è altro che sete di sangue palestinese. E tutto questo viene fatto dai nostri giovani migliori - non (questa volta) dalla polizia di frontiera o dalla Brigata Kfir, che sono noti per la loro brutalità, ma la ciliegina sulla torta della creme de la creme (Duvdevan in ebraico significa ciliegia) del controllo violento dei territori. E in un periodo relativamente tranquillo. Gli israeliani vogliono condividere questo peso equamente - in modo che tocchi a tutti, non solo agli ebrei sionista laici e religiosi. Questa è la misura israeliana degli standard etici, per il volontariato, perché contribuisca allo Stato e ne porti il fardello. Ed è anche quello che l'IDF vuole che faccia l'obiettore di coscienza Natan Blanc. Ed è quello che fanno i soldati della Duvdevan, quasi ogni notte, mentre guardiamo il "Grande Fratello" I veterani della Duvdevan sono amati nella società israeliana. I suoi soldati sono accuratamente selezionati - unità di élite o no. E, e fintanto che stiamo parlando di "uguaglianza", allora possiamo dire che portano il pesante "fardello" del servizio nazionale. Nella notte del 25 maggio, questi soldati erano impegnati in un'altra operazione transfrontaliera, in Cisgiordania, nel villaggio palestinese di Budrus. I loro comandanti dovevano essersi riuniti per un ultimo briefing pre-missione prima del tramonto. Sicuramente era stato detto loro del pericoloso terrorista che avrebbero dovuto arrestare; avevano senza dubbio sentito che il suo fratello adolescente era stato ucciso appena quattro mesi prima, in modo riprovevole – ucciso da una pallottola da distanza ravvicinata mentre cercava di fuggire, dopo aver lanciato dei sassi contro il muro di separazione. Il raid iniziò alle 02:00. Qualcuno sentì il comandante dire ai suoi soldati: "Non abbiate pietà in questa casa." In questa casa in lutto, indegne della misericordia di Duvdevan, dormivano otto ragazze adolescenti e giovani donne, i loro genitori e il loro fratello più giovane - i membri della famiglia Awad. Sul tetto dormiva il pericoloso ricercato - un cameriere del vicino villaggio di Na'alin, sospettato di aver lanciato pietre, condotta scorretta. Reati così gravi. Ciò che accadde dopo fu poco di meno di un mini-pogrom. C'erano decine di soldati e cani. La porta d'ingresso fu segata, le finestre fracassate, furono lanciate in casa e contro gli abitanti innumerevoli granate assordanti. L'uomo ricercato fu gettato giù per le scale e ferito così gravemente da svenire. Alle donne e alle ragazze calci e colpi. Il giorno dopo Il portavoce dell'IDF sostenne che "i familiari avevano violentemente opposto resistenza all'arresto." Inizialmente l'ufficio dichiarò che nessun soldato era rimasto ferito, poi cambiò idea: "Nel corso della vicenda due soldati sono stati leggermente feriti e curati sulla scena." Il Venerdì ho raccontato i dettagli dell'incidente su Haaretz ("Casa attaccata, Famiglia distrutta"). Questo fine settimana il portavoce dell'IDF si è preso la briga di mandarmi un video come prova della resistenza violenta della famiglia: 50 secondi, attentamente curati e senza suono, in cui le donne di casa gridano disperatamente di fronte a innumerevoli soldati armati nella piccola casa, l'uomo ricercato, Abed, nascondendosi dietro di loro, terrorizzato, gemeva per il dolore. Sulla clip il portavoce dell’ufficio delle IDF aveva cerchiato un piccolo coltello da frutta nella mano di una delle donne e una falce in miniatura tenuta da un altro, che venivano sventolati in aria. Non ho mai visto un video così ridicolo in mia vita. Ogni minimo dubbio che avrei ancora potuto nutrire su quello che era accaduto a Budrus quella notte fu spazzato via da quella clip, che mi rivelò in modo inequivocabile che si era trattato di una operazione criminale. Cominciamo con il fatto che ha avuto luogo nella casa di una famiglia in lutto, un cui membro adolescente era stato ucciso dai soldati in circostanze che anche l'IDF ammette fossero "brutte". Ci si poteva aspettare un trattamento diverso di una famiglia così - una famiglia che ha, tra l'altro, molti amici israeliani. Poi c'è il bersaglio: voleva lanciare sassi. E il mezzo: un raid notturno con un numero assurdo di soldati dotati di un numero non meno assurdo di armi. E il risultato: quattro donne ferite, a una delle quali sono stati necessari otto punti di sutura in testa, e un sospetto preso in custodia sanguinante e incosciente. Nessuno, ovviamente, si è preoccupato di dire alla famiglia, il giorno dopo, dove era stato portato e che cosa gli era successo. Ciò che è accaduto in casa Awad è stato un fatto di routine. Non c'è un solo israeliano che possa immaginare come debba essere svegliarsi nel cuore della notte e vedere nella propria casa decine di soldati armati e violenti, cani e granate. Questo è avvenuto per ordine del Comando Centrale GOC, del generale maggiore Nitzan Alon, che i coloni hanno additato come "di sinistra" e "moderato", nell’ennesima disgustosa campagna per cambiare le istruzioni per “aprire il fuoco”, una campagna che non è altro che sete di sangue palestinese. E tutto questo viene fatto dai nostri giovani migliori - non (questa volta) dalla polizia di frontiera o dalla Brigata Kfir, che sono noti per la loro brutalità, ma la ciliegina sulla torta della creme de la creme (Duvdevan in ebraico significa ciliegia) del controllo violento dei territori. E in un periodo relativamente tranquillo. Gli israeliani vogliono condividere questo peso equamente - in modo che tocchi a tutti, non solo agli ebrei sionista laici e religiosi. Questa è la misura israeliana degli standard etici, per il volontariato, perché contribuisca allo Stato e ne porti il fardello. Ed è anche quello che l'IDF vuole che faccia l'obiettore di coscienza Natan Blanc. Ed è quello che fanno i soldati della Duvdevan, quasi ogni notte, mentre guardiamo il "Grande Fratello". (tradotto da barbara gagliardi per l’Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus) VIDEO DELL'IDF: http://bcove.me/xc22pc6t

Guerrafondai: Obama come Bush

Obama supera la «linea rossa» Armamenti massicci all'opposizione e «no fly zone» di 40 chilometri dalle basi in Giordania di Michele Giorgio «Il regime di Assad ha usato armi chimiche», ha superato la «linea rossa» tuona l'Amministrazione Usa. Fino alla scorsa settimana c'erano solo sospetti. La sconfitta militare subita dai ribelli a Qusayr li ha trasformati in «certezze». Damasco protesta, definisce «menzogne» e «falsificazioni», «una vagonata di bugie» le accuse di Washington. Aggiunge che la decisione di fornire armi ai ribelli è la prova del doppio standard usato dagli americani. Ma la Siria sapeva che l'ingresso diretto nella guerra civile degli Usa era scontato, solo una questione di tempo. Barack Obama fornirà armi «letali» ai ribelli che combattono contro Bashar Assad e cercherà di convincere del «crimine commesso dal regime siriano» il presidente russo Putin quando lo incontrerà faccia a faccia in Irlanda del Nord, a margine del vertice del G8. Non sarà facile. Il Cremlino per bocca del presidente Commissione Affari Esteri, Alexei Pushkov non usa mezzi termini. «Obama sta prendendo la stessa deriva di Bush», ha detto ieri Pushkov, ricordando «le bugie sulle armi di distruzione di massa» per la guerra in Iraq. Sul tavolo però non ci sono solo le forniture di armi. La strada ora è aperta anche a un intervento militare internazionale, cioè americano, con la possibile partecipazione anglo-francese. Anche se difficilmente assumerà le dimensioni di quello avvenuto in Libia. L'attacco dall'esterno si avverte nell'aria. Immediato è stato il cambio di tono di buona parte dei media occidentali. Avvenne lo stesso nel 2003 prima dell'attacco anglo-americano all'Iraq di Saddam Hussein. Un fiume di articoli e schede, anche di prestigiose testate sull'«incubo delle armi chimiche», preparò l'opinione pubblica americana e occidentale alla «necessità della guerra». In Iraq nessuno le trovò mai le «armi di distruzione di massa» denunciate e minuziosamente descritte dai vertici dell'Amministrazione Bush. Potrebbe accadere lo stesso anche in Siria, accusata da Washington di aver usato armi chimiche nella sua lotta contro i ribelli, facendo almeno 150 morti. «Ci sono le prove» del crimine contro l'umanità commesso dal regime di Assad, oltre ogni dubbio, proclama l'Amministrazione Usa, subito appoggiata dal segretario della Nato Rasmussen che ha intimato a Damasco di autorizzare l'ingresso di ispettori dell'Onu. Nessun peso viene dato alle rivelazioni fatte nei giorni scorsi da Carla Del Ponte, membro della Commissione Onu di inchiesta sulle violazioni dei diritti umani in Siria, che ha accusato anche i ribelli di aver usato armi chimiche. I dubbi sulla linea di Washington sono tanti e non tutti desiderano imbarcarsi nella nuova avventura bellica in Medio Oriente. La promessa di armare i ribelli in Siria rischia di creare una «corsa agli armamenti» nel paese devastato dalla guerra preoccupa il ministro degli esteri svedese Carl Bildt. È forte il rischio di minare le condizioni per il processo politico, sottolinea il capo della diplomazia di Stoccolma, che ha già capito che è morta e sepolta la conferenza internazionale sulla Siria che Usa e Russia dicevano di voler organizzare a Ginevra. Scuote la testa anche il segretario generale dell'Onu, Ban Kimoon: «La fornitura di armi ad alcuna delle due parti in Siria non contribuirà a risolvere la situazione attuale... non esiste una soluzione militare alla crisi. L'unica soluzione è quella politica». Secondo il New York Times l'assistenza militare degli Usa ai ribelli siriani annunciata dalla Casa Bianca potrebbe includere per la prima volta armi leggere e munizioni ma nessuna arma antiaerea. Tra le consegne, coordinate dalla Cia, potrebbero esserci anche razzi anticarro, come vuole il senatore ed ex candidato presidenziale John McCain, lo sponsor più accanito di Salim Idriss, il «capo di stato maggiore» dell'Esercito libero siriano, la milizia ribelle, che sarà l'interlocutore dell'Occidente. Gli americani stanno valutando anche la creazione di una «no fly zone» di una quarantina di km all'interno della Siria, a ridosso del confine con la Giordania. Sanno però di non poterla ottenere al Consiglio di Sicurezza dell'Onu e allora pensano di attuarla dal territorio giordano, scriveva ieri il Wall Street Journal . Secondo gli strateghi di Washington, per poter armare e addestrare i ribelli in Giordania è necessario tener lontano dal confine gli aerei siriani che sarebbero presi di mira e abbattuti con missili aria-aria sparati dallo spazio aereo giordano. Saranno utilizzati i caccia F-16 e i missili Patriot che gli Usa avevano inviato per le esercitazioni militari occidentali-arabe in Giordania (con la partecipazione italiana).

Gaza, disabili per sempre

Nena News pubblica la prima parte del servizio speciale realizzato dalla fotoreporter Rosa Schiano sulle disabilita' a Gaza, frutto di operazioni e raid militari israeliani adminSito mercoledì 26 giugno 2013 09:48 di Rosa Schiano Gaza, 26 giugno 2013, Nena News - Nel corso delle frequenti operazioni militari condotte dall'esercito israeliano sulla Striscia di Gaza molti civili palestinesi feriti hanno riportato amputazioni totali o parziali degli arti, e gli stessi palestinesi con disabilità non sono stati immuni ai crimini di guerra. Secondo "L'ultimo Rapporto sull'Aggressione israeliana contro i cittadini della Striscia di Gaza iniziata il 14 novembre 2012", redatto il 26 novembre 2012 dal Ministero della Salute dell'Autorità nazionale Palestinese e dal Palestinian Health Information Center (PHIC), il numero totale delle vittime è 1573, di cui 174 persone uccise (151 maschi e 23 femmine) e 1399 feriti (994 maschi e 410 femmine). Secondo il report, la percentuale di disabilità nei feriti è del 7.5 % (106 feriti). Le disabilità includono amputazioni (8) ,paraplegia (3), fratture (30), ustioni (3), gravi ferite addominali (12), trauma cranici (22), gravi ferite al torace (5), gravi ferite multiple (18), gravi ferite vascolari (3), traumi da schiacciamento (2). I numeri di questo report, redatto a soli 5 giorni dalla fine dell'offensiva, saranno destinati ad aumentare nei giorni successivi, quando si sono verificati decessi di feriti in gravi condizioni ed ulteriori disabilità. Inoltre, il Palestinian Centre for Human Rights riporta che dall'inizio del 2012, tre palestinesi con disabilità sono stati uccisi dall'esercito israeliano. A rendere difficile la condizione dei disabili palestinesi è innanzitutto l'assedio illegale che Israele ha imposto sulla Striscia di Gaza, e che entra ora nel settimo anno, e che costituisce anche una violazione del diritto alla salute. Come riportato dal Palestinian Center for Human Rights, vi è una costante mancanza di medicinali e di attrezzature mediche, mancanza che si è fatta particolarmente sentire durante i mesi di marzo, giugno e novembre 2012, ovvero in occasione delle escalation delle operazioni militari israeliane sulla Striscia di Gaza. Oltre alla mancanza di medicinali, è diminuito nel 2012 il numero di pazienti che hanno ottenuto il permesso per attraversare il valico di Erez per accedere agli ospedali in Israele, Gerusalemmme e la Cisgiordania. L'ultimo report del Pchr sugli effetti dell'assedio infatti dichiara che sono 8596 i pazienti che hanno attraversato il valico di Erez nel 2012, mentre prima dell'imposizione dell'assedio, i pazienti a cui era permesso attraversare il valico erano circa 20,000. Israele continua ora a negare ai pazienti il diritto a ricevere cure negli ospedali in Cisgiordania, compreso in Gerusalemme, ed in Israele. Le autorità israeliane hanno negato l'accesso all'assistenza sanitaria a migliaia di pazienti, con differenti scuse, tra cui ragioni di sicurezza, attese per un altro appuntamento, o per una risposta israeliana dopo essere stati interrogati. I pazienti inoltre sono spesso ricattati dalla sicurezza interna israeliana che cerca di forzare I palestinesi a collaborare fornendo informazioni. Le autorità israeliane hanno iniziato anche a negare l'attraversamento del valico ad una nuova categoria di pazienti, sotto il pretesto che il loro caso non richiede un intervento salvavita ma costituisce un "lusso". L'ultima categoria include pazienti che hanno perso vista ed arti. Il dottor Ayman Al Halaby, Direttore dell' Unità di Fisioterapia e Riabilitazione che agisce in cooperazione con il Ministero della Salute di Gaza, ha riferito che durante l'offensiva militare Pilastro di Difesa, sono stati forniti servizi sanitari di due tipi, servizi ambulatoriali per pazienti esterni e servizi per pazienti interni. Il Dottor Al Halaby ha sottolineato lo stato di emergenza che si è verificato durante l'offensiva Pilastro di Difesa, che ha costretto i medici a cambiare il programma di riabilitazione e non ha permesso ad alcuni pazienti di portarlo a termine. E' stato possibile un coordinamento con Ong internazionali e locali capaci di muoversi in auto e d in grado di fornire materiali ed attrezzature. Una parte dei pazienti sono stati trasferiti all'ospedale riabilitativo Wafa. Il dottor Al Halaby ha aggiunto che uno dei punti principali su cui si sta lavorando è la raccolta di dati di pazienti da cui ci si aspetta possano soffrire di disabilità. Al Halaby ha poi sottolineato la scarsa qualità delle attrezzature, in particolare di sedie per disabili. "L'assedio colpisce in maniera negativa il nostro settore. Non ci sono fondi per acquistare apparecchi acustici, macchine o veicoli per disabili. La maggior parte della nostra attrezzatura dipende dalle donazioni che vengono dall'esterno. Succede, infatti, che, dopo l'arrivo di una donazione di attrezzature, bisogna cercare il paziente che ha bisogno di questi supporti, e non il contrario", ha aggiunto Al Halaby, che ha infine sottolineato le difficoltà di fornire ai pazienti una riabilitazione completa. Ci sono in Gaza diverse associazioni che si occupano di disabili e che cercano di fornire loro supporto. Alcune associazioni ricevono fondi dall'estero attraverso progetti specifici per l'acquisto di attrezzature, medicine, dispositivi medici per disabili, e laddove possibile, riescono a coprire i costi del trasporto di eventuali feriti all'esterno. In altri casi tali supporti arrivano tramite convogli organizzati da associazioni internazionali. Ci sono però casi di pazienti che non riescono a sostenere le spese per ricevere un'adeguata fisioterapia, a causa delle enormi difficoltà economiche in cui si trova la maggior parte della popolazione di Gaza dovute alla mancanza di lavoro. Un' eccezione nella Striscia di Gaza è rappresentata dall' Artificial Limbs & Polio Center (ALPC), connesso alla Municipalità di Gaza, in grado di fornire servizi protesici ed ortopedici a molti pazienti, grazie al contributo del Comitato Internazionale della Croce Rossa Internazionale (ICRC) che fornisce supporti tecnici quali i materiali e le componenti necessarie per costruire e produrre protesi ed ortesi, e che forma il proprio staff all'estero. Gli amputati ricevono inoltre una specifica fisioterapia per essere allenati e rieducati a camminare. Il progetto di fisioterapia post chirurgica, insieme al Ministero della Salute e all'Unita' di riabialitazione fisica mira a ridurre il rischio di disabilità a seguito di interventi chirurgici ed è attualmente implementato negli ospedali Shifa, Nasser ed European. Purtroppo, ironia della sorte, la Croce Rossa Internazionale acquista tutti i materiali per il centro in Israele, che quindi guadagna dai bombardamenti sulla popolazione di Gaza. I feriti amputati durante l'operazione Pilastro di Difesa sono stati generalmente tutti trasferiti in ospedali in Egitto o Turchia, a seconda della gravità dei loro casi, per poi terminare la fisioterapia in Gaza. La situazione di emergenza che si era verificata durante quei giorni infatti non permetteva ricoveri di lunga durata a causa del sovraffollamento degli ospedali e dell'incessante arrivo di feriti minuto dopo minuto. Oltre alle difficoltà per l'ottenimento di un impiego, questi disabili affrontano difficoltà di movimento anche per accedere alle proprie abitazioni, in quanto spesso gli edifici antichi sono privi di ascensori e in altri casi a seconda delle fasce orarie manca la corrente perché possano funzionare.

martedì 25 giugno 2013

Gli inutili soccorsi dopo l'uccisione dell'ebreo francese che aveva "osato" invocare Allah

Invoca Allah. Freddato.

Invoca Allah. Freddato. Doron Ben Shlush, un ebreo 46enne di origine francese, è stato crivellato di colpi ieri al Muro del Pianto di Gerusalemme per aver pronunciato "Allah-u-Akhbar" di Michele Giorgio Gerusalemme, 22 giugno 2013 - Forte sdegno dei musulmani di Israele per il fatto che nel Paese si apra il fuoco verso una persona che si limiti a invocare in pubblico il nome di Allah. Ieri una guardia di sicurezza al Muro del Pianto di Gerusalemme, ha freddato (con una decina di colpi) un israeliano, peraltro un ebreo, che aveva urlato «Allah-u akhbar» (Allah è grande) nei pressi del luogo santo. Qualcuno in Israele ha giudicato l'accaduto un "eccesso di sicurezza", altri una "reazione comprensibile" di fronte a una frase che talvolta accompagna azioni violente, altri ancora uno "spiacevole incidente". Fatto sta che Doron Ben Shlush, un ebreo 46enne di origine francese, frequentatore abituale della Spianata del Muro del Pianto e, dice chi lo conosceva, sostenitore del dialogo tra arabi ed ebrei, è stato ucciso con una scarica di colpi solo per aver pronunciato ad alta voce la più nota delle invocazioni islamiche. E a rendere l'accaduto più inquietante è il fatto che la guardia di sicurezza che ha sparato è un israeliano druso, quindi un arabo. Quando nei pressi del Muro del Pianto ieri si sono sentite le esplosioni di un'arma da fuoco, nei presenti si è diffuso il panico. Molti si sono gettati con la faccia a terra e si sono coperti la testa con le braccia. Quindi sono intervenuti gli agenti di sorveglianza e un'ambulanza. Poco dopo, l’uomo gravemente ferito è stato trascinato all'aperto e sottoposto a disperati quanto inutili tentativi di rianimazione. Accanto a lui, una guardia spiegava: «Ha urlato Allah-u akhbar... poi ha cercato di estrarre qualcosa da una tasca ...allora ho sparato». Un "tragico malinteso". Resta il fatto a dir poco preoccupante che invocare il nome di Dio in arabo è sinonimo di "atto di terrorismo", persino per un druso.

domenica 23 giugno 2013

COPERTINA DEL LIBRO

Il 20 luglio alla libreria Fandango Incontri ci sarà l'ultima presentazione romana del mio libro "Festa di rovine". Invito tutti coloro che saranno a Roma in quella data a non mancare questo ultimo appuntamento. Seguirà locandina.

SCHEDA DEL LIBRO "FESTA DI ROVINE” di Miriam Marino ediz. “Città del Sole” Una raccolta di racconti brevi ambientati nel periodo della seconda Intifada e della guerra preventiva scatenata dagli USA ai danni dell'Iraq nel 2003. Nel libro è messo in rilievo soprattutto la sofferenza dei bambini vittime innocenti e privilegiate delle guerre e delle occupazioni militari. E ai bambini vittime della seconda Intifada è dedicato il libro che si apre con un elenco di nomi corredati dalle circostanze in cui i bambini sono stati uccisi. E' un elenco molto parziale e soprattutto simbolico con cui l'autrice ha voluto lanciare un grido di protesta e di orrore per lo scandalo di queste uccisioni. L'assedio di Betlemme, bambini rimasti soli con il cadavere della loro madre che va in putrefazione perchè gli assedianti ne impediscono il seppellimento, la distruzione di Jenin, la disperazione che porta giovani a compiere atti estremi, la violenza insensata degli occupanti israeliani che rispondono alle proteste con inaudita ferocia facendo strage di innocenti e distruggendo ogni infrastruttura civile, la devastazione di Nablus, sono alcuni degli argomenti affrontati dai racconti, ma non mancano spiragli di speranza in alcuni racconti in cui anche in qualcuno degli occupanti si fa strada il dubbio se non la coscienza che i “nemici” spesso bambini o adolescenti sono essere umani come loro e degni di rispetto, e quindi la possibilità di tornare ad essere umani. Nei racconti dedicati all'Iraq assistiamo a storie atroci di rastrellamenti e campi di detenzioni, torture e terrore. In tre racconti “Bambini di Bagdad” si narra la storia di tre bambini della stessa famiglia sotto i bombardamenti. Ogni racconto termina con un'appendice poetica che riprende l'argomento del racconto stesso, come se le parole della prosa non potessero esprimere pienamente tanto dolore e tanta ingiustizia. Racconti forti, asciutti, amari e a volte ironici con i quali l'autrice ha voluto commemorare un passato non troppo lontano, mentre nel presente continua la pulizia etnica strisciante, l'apartheid la distruzione di villaggi, il furto di risorse il confinamento e la povertà indotta da parte dell'occupante israeliano ai danni del popolo palestinese che ancora attende giustizia, mentre la guerra all'Iraq ha portato solo alla disgregazione di un paese, a un terrorismo che prima della guerra era assente, e a un'enorme perdita di esseri umani perchè ogni guerra è assassina.

venerdì 21 giugno 2013

Palestinese assalito dal cane israeliano

Cani dell'esercito israeliano contro i palestinesi

Haaretz.com 14.06.2013 http://www.haaretz.com/weekend/twilight-zone/despite-idf-denials-evidence-shows-dogs-still-being-used-to-attack-palestinian-suspects.premium-1.529779 Nonostante il diniego dell’IDF, una testimonianza rivela che vengono ancora usati i cani per assalire sospetti palestinesi. Mohammed Amla, di 29 anni, è stato assalito selvaggiamente da un cane dell’IDF mentre cercava di sgusciare furtivamente attraverso il confine per recarsi al suo luogo di lavoro a Tel Aviv. di Gideon Levy "Mi chiamano il telaviviano," ci racconta con un simpatico sorriso, che cede il passo ai gemiti di dolore. La schiena e il collo di Mohammed Amla – un giovane di 29 anni con due figlie – sono segnati da cicatrici per tutta la loro lunghezza dovute al morso di un cane delle Forze di Difesa Israeliane. Di recente i soldati gli hanno aizzato contro il cane mentre cercava di passare di soppiatto attraverso il confine, come era solito fare, per recarsi al posto di lavoro e stare nascosto in un appartamento di Tel Aviv. Nei 12 anni passati, Amla ha lavorato nel centro del paese come tuttofare, ed è stato arrestato diverse volte per questi suoi tentativi. Negli ultimi anni, si è dato da fare per ottenere un permesso di lavoro, ma dopo che la figlia sorda ha avuto bisogno di un costoso intervento all’orecchio, non è stato più in grado di permettersi di pagare il denaro per garantirsi che il suo procacciatore gli prolungasse il permesso. I lavoratori palestinesi sono costretti a pagare la somma di 2.000 – 2.200 NIS al mese ai loro procacciatori di lavoro, in modo che questi procurino loro i permessi di lavoro. Le autorità competenti non sollevano un dito per porre fine a questo sfruttamento. Quando lavora legalmente, Amla spende la maggior parte del denaro per questa tangente e per i costi del viaggio. Ogni volta che entra di nascosto in Israele , la cosa gli costa 200 NIS e quando è privo di permesso, il ritorno a casa costa 100 NIS. Per un lavoratore l’affitto è di 500 NIS al mese. E per una giornata di lavoro i salari di Amla sono di 200 – 250 NIS. Dice che, dopo aver dedotto le spese, gli restano 1.500 NIS al mese – e per una tale cifra tutto quel rischio non vale la pena. Talvolta viene catturato, e, in questa occasione, i soldati gli hanno pure lanciato addosso i cani. E’ una prassi che era in uso fino a meno di due anni fa. Si pensava che non ci fosse più, ma a quanto pare è tornata in auge. Di norma, Amla resta in città per una settimana o due, in un alloggio miserabile di Ha’aliyah Street nella zona meridionale di Tel Aviv, che condivide con altri sei lavoratori palestinesi. Poi ritorna a casa per trascorrere il fine settimana con la sua famiglia. Vive nella località di Beit Ula, ad ovest di Hebron, ed è solito introdursi di nascosto in Israele attraverso un varco nella barriera di separazione nei pressi del villaggio di Ramadin. Circa un mese fa, lui e due suoi amici decisero di sfidare la fortuna passando attraverso un’apertura diversa – una, nella zona della West Bank proprio di fronte a Beit Guvrin, che era stata tagliata nel reticolato molto tempo fa e che nessuno si era preso la briga di riparare. Un sistema ben lubrificato di procacciatori e di autisti, su entrambi i lati della barriera, trasporta gli operai ai loro posti di lavoro. Se vengono catturati, il fatto si conclude di solito con i lavoratori che vengono fatti ritornare sull’altro lato del reticolato. Talvolta devono pagare una multa di 1.000 – 3.000 NIS. Una volta Amla venne condannato a tre mesi di carcere per il crimine di residenza illegale. Nella West Bank, le difficoltà di portare a casa i soldi per il sostentamento, per mancanza di un’altra fonte di guadagno, costringono migliaia di giovani ad attraversare il confine ogni notte. Lo stesso successe la sera del 15 maggio. Anche se il permesso di lavoro di Amla era ancora valido, il procacciatore glielo aveva sequestrato perché non aveva pagato la tangente per il mese successivo. In assenza di altra alternativa, egli decise di entrare ancora di nascosto in Israele "Avevamo paura" Quelli che attraversano illegalmente il confine lo consigliarono di farlo di sera. Alle 6:30 circa del pomeriggio, se ne andò da casa insieme a Jihad e Omar, suoi compagni di lavoro di Beit Ula. Poco dopo giunsero al reticolato, nel quale, al momento, c’erano due larghe aperture di 3-6 metri di diametro. I tre giovani aspettarono qualche minuto per essere certi che non ci fossero soldati nell’area – "per vedere chi-cosa-dove," come la presenta – e quindi cominciarono a camminare velocemente verso l’apertura. Ancor prima che riuscissero ad attraversare la barriera, da otto a dieci soldati sbucarono da un nascondiglio, dove erano rimasti in attesa di tendere un’imboscata a coloro che si fossero infiltrati. I soldati gridarono loro di fermarsi, altrimenti avrebbero sparato e li avrebbero uccisi. Amla racconta che i tre cercarono di correre indietro. "Avevamo paura," confessa. I soldati cominciarono a sparare loro pallottole di gomma, e poi dal lato palestinese della barriera saltò fuori un altro gruppo di sette soldati. Erano mascherati e accompagnati da cani. I giovani, spaventati, cercarono di continuare la fuga, indietro, verso il loro villaggio, e a quel punto i soldati aizzarono i cani contro di loro. "Il cane mi balzò addosso," racconta Amla, "mi afferrò con forza, mi mise le zampe sulla schiena e poi mi azzannò con i denti anche al collo. Non aveva la museruola alla bocca. Caddi a faccia in giù. Soffocavo. Mi sentivo di morire, di morire. Una sofferenza incredibile. E gridavo ai soldati: "Tenetelo [il cane], liberatemi", e loro non ne facevano di nulla. Erano a soli 100 metri. Cercai di liberarmi del cane. Gli tenevo la testa, ma lui manteneva la presa su di me con una forza maggiore. "Dopo almeno sette minuti, i soldati si avvicinarono e allontanarono il cane da me. Li sentii parlargli per placarlo. E occorsero altri due minuti prima che il cane mi mollasse il collo e in bocca gli rimase solo la mia maglietta. Il soldati mi dissero di togliermela. Tutta la schiena era piena di sangue e mi faceva male, e mi sentivo come fossi morto. E all’altro giovane, Omar – un cane gli aveva azzannato la mano, e Jihad si era preso una pallottola di gomma alla gamba. "Dopo che i soldati staccarono il cane da me, mi legarono le mani dietro con manette, molto forte. Un soldato mi mise la gamba sulla schiena mentre ero ancora sdraiato a terra e un altro mi calciò alle costole. La mia faccia era a terra e loro mi prendevano a calci. Ci misero una benda agli occhi e ci portarono alla loro jeep. Ci condussero alla loro base a Tarqumiya. Omar strillò: "La mia mano," e io gridai: "La mia schiena e il mio collo." In seguito, arrivò un soldato – dall’apparenza un paramendico – e mi mise una pomata sulla schiena. Un’ora e mezza dopo, giunse un’ambulanza e portò me e Omar al Barzilai Medical Center di Ashkelon. Verso la mezzanotte, rilasciarono Jihad al checkpoint di Tarqumiya dopo che questi aveva detto loro di soffrire di dolori al petto." I due feriti vennero portati all’ospedale bendati e ammanettati. I medici li esaminarono, li fasciarono e dettero istruzioni perché fossero ricoverati nel reparto chirurgico dell’ospedale. Amla venne messo in un letto, ma non c’era posto per Omar, che venne costretto a starsene seduto per tutta la notte su una sedia a rotelle. Non venne permesso loro di telefonare a casa. I medici prescrissero che venissero ricoverati per 24 ore, ma 12 ore dopo, a mezzogiorno, vennero prelevati dall’ospedale. Amla racconta di essere stato seduto ammanettato per circa sette ore su una panca all’esterno dell’ospedale, insieme a un soldato che doveva fargli la guardia, fino all’arrivo del mezzo che li avrebbe evacuati. Dice di aver sofferto molto per le sue ferite. Il certificato di dismissione del Barzilai Medical Center riportava: "Referto principale: morso di cane. Enfisema sottocutaneo sparso sul collo ed estrusione di….morsi nella parte posteriore del cranio, sul dietro del collo….ferite aperte….una ferita invasiva nella parte posteriore del collo." I due vennero portati alla stazione di polizia di Kiryat Arba. All’1:00 di notte, Amla ricevette un ordine di comparizione a un processo fissato per dicembre. La polizia dichiarò che avrebbero potuto essere rilasciati qualora avessero versato una cauzione di 1.000 NIS per ciascuno. Loro non avevano una somma di tale entità, per cui telefonarono al villaggio, ai loro amici, che arrivarono alle 4:30 con il denaro per la cauzione. "Yalla, vai", disse il poliziotto, e loro andarono in auto direttamente al Al-Ahli Hospital di Hebron, dove Amla venne ricoverato per altre 24 ore. Musa Abu Hashhash, un ricercatore sul campo per B’Tselem che lo ha visitato costì, ha raccolto la sua testimonianza e ha fotografato le sue ferite. Questa settimana, il portavoce dell’IDF ha riferito ad Haaretz che la faccenda è all’esame. Le ferite devono ancora guarire. Amla cammina piegato; una spalla è inclinata. Di notte, non riesce a trovare una posizione comoda. I soldati gli dissero che era un "kalb alman", termine arabo per "canelupo tedesco" – cioè un pastore tedesco. A dicembre inizierà il processo, ma per ora egli cerca un modo per fare causa a coloro che gli aizzarono contro i cani. Dice che, nel prossimo futuro, non tenterà di recarsi di nuovo sul suo luogo di lavoro. E’ tuttora inabile al lavoro fisico e, soprattutto, è tremendamente spaventato (tradotto da mariano mingarelli) .

mercoledì 19 giugno 2013

Continua il disgustoso apartheid in Israele, i cittadini palestinesi di serie b subiscono una segregazione più serrata di quella che c'era in Sud Africa, ma gli israeliani sono più subdoli: non l'hanno ratificata, la mettono semplicemente in atto!

A Bambini col cancro vietato l’ingresso a una piscina israeliana in quanto arabi. Dopo il parco Superland, altro caso di segregazione in Israele: la piscina di Mabu'in vieta l'ingresso a bambini malati di cancro "perché arabi". di Ali Abunimah Una piscina pubblica israeliana ha vietato l'ingresso ad un gruppo di bambini malati di cancro perché arabi. Il video é della tv israeliana Channel 2: la dottoressa Gali Zohar voleva fare una sorpresa a venti bambini beduini malati di cancro regalando loro un giorno di divertimento alla piscina del villaggio di Mabu'im, a Sud di Israele. Zohar ha telefonato alla piscina e i manager le hanno detto che avrebbero fatto entrare i bambini gratis. Tutto è andato bene fino a quando i manager non hanno scoperto che i bambini erano palestinesi. Allora hanno detto che non avrebbero permesso loro di entrare perché avrebbero rappresentato un "problema". I beduini che vivono a Sud della Palestina storica sono a tutti gli effetti cittadini israeliani ma subiscono continue minacce di espulsione dalle loro terre di origine, parte delle politiche razziste israeliane di "giudaizzazione" del Paese. Il servizio di Channel 2 riporta anche la registrazione di una telefonata nel quale il manager della piscina specifica che la struttura non autorizzerà l'ingresso a bambini del "settore arabo". Il servizio si conclude con la notizia che l'Università di Ben Gurion si è fatta avanti per invitare i bambini a usare le loro strutture. L'incredibile episodio è venuto alla luce pochi giorni dopo la notizia che il parco divertimenti Superland divide gli studenti arabi da quelli ebrei, facendoli accedere in giorni diversi. Se i bambini arabi ed ebrei in Israele vanno in scuole separate, la segregazione razziale nelle strutture pubbliche come parchi e piscine non è stabilita dalla legge come durante il regime di apartheid in Sud Africa o negli Stati Uniti. Ma i cittadini palestinesi di Israele subiscono abitualmente tali discriminazioni. Lo stesso accade a milioni di palestinesi che vivono sotto occupazione e assedio in Cisgiordania e a Gaza: le dure chiusure israeliane, i blocchi, il sistema dei permessi impedisce loro di raggiungere strutture ricreative, parchi e spiagge nella Palestina storica. Negli ultimi anni, donne palestinesi e israeliane hanno sfidato questa draconiana restrizione al movimento organizzando insieme gite "illegali" in spiaggia. Gli ultimi casi di razzismo ricordano un episodio registrato lo scorso anno in un video: delle famiglie palestinesi erano state cacciate da un resort sul Mar Morto, mentre europei, israeliani e cani venivano fatti entrare senza problemi. VIDEO: Bedouin children with cancer refused into swimming pool http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=lkIadeF-pMA (Tradotto a cura di Nena News)

domenica 16 giugno 2013

Piano Prawer, beduini in marcia contro Israele

Piano Prawer, beduini in marcia contro Israele Cittadini israeliani ma da sempre discriminati da Tel Aviv, i beduini palestinesi rischiano il trasferimento forzato e la perdita delle terre e del loro stile di vita. di Emma Mancini Betlemme, 14 giugno 2013, Nena News - I beduini palestinesi del Negev continuano la loro battaglia contro lo Stato di Israele. Ieri in migliaia sono scesi in strada e hanno marciato verso il Comune di Beer Sheva per protestare contro il cosiddetto Piano Prawer, progetto di trasferimento forzato e urbanizzazione di circa 40mila beduini del deserto del Negev. Un progetto a cui le autorità israeliane lavorano da tempo e che ha come obiettivo ultimo la distruzione di 45 villaggi beduini non riconosciuti dallo Stato e il trasferimento della popolazione residente in "township", città costruire ad hoc dal governo. Da tempo i 70mila beduini del Negev, cittadini israeliani, hanno messo in piedi una serie di azioni legali sostenuti da organizzazioni israeliane per i diritti umani, al fine di evitare quella che ritengono un'espulsione forzata. E ieri sono scesi in strada: circa 4mila beduini hanno camminato verso la sede del Comune di Beer Sheva sventolando bandiere palestinesi e cantando slogan. Intanto i bambini restavano a casa e partecipavano alla protesta non presentandosi a scuola. Awad Abdel Fattah, membro del Comitato di Monitoraggio Arabo, ha annunciato che la battaglia proseguirà nei prossimi dieci giorni, in attesa della decisione finale del parlamento prevista per il 24 giugno. "La gente è arrabbiata - ha detto Abdel Fattah durante la manifestazione di ieri - Abbiamo dovuto evitare scontri tra i giovani e la polizia. Il problema non è solo dei beduini del Negev, ma di tutta la popolazione araba israeliana". La pratica del trasferimento forzato perpetrata in Negev rientra, infatti, nella più vasta politica di giudaizzazione dello Stato di Israele, nell'obiettivo di concentrare il massimo della popolazione palestinese nello spazio più ridotto.Una politica che ha effetti concreti a Gerusalemme Est e nelle città miste, come Jaffa o Led. Dal canto suo il Piano Prawer, arrivato mercoledì alla Knesset per la prima approvazione, prevede un complesso sistema di rimborsi, confisca di terre e trasferimenti forzati. Il timore delle comunità beduine è che a breve le autorità israeliane ricevano l'ok definitivo e procedano agli sgomberi. Tra le clausole del Piano, ce n'è una che annullerebbe il potere della magistratura e la sua capacità di intervenire: il Piano Prawer non può essere fermato da alcun tribunale. E la clausola in questione non è l'unico trucco messo in piedi dal governo israeliano: secondo il Piano Prawer, i 40mila beduini che saranno cacciati dai loro villaggi "non riconosciuti" (e quindi privati finora di ogni tipo di servizio pubblico, acqua, elettricità, scuole, fognature) riceveranno in cambio dei risarcimenti risibili. Chi avrà la possibilità di dimostrare la proprietà della terra, riceverà in cambio la metà di quanto posseduto. Ovvero, chi era titolare di 100 dunam di terra, se ne vedrà consegnati solo 50 in un'area a scelta di Tel Aviv. Chi, invece, non riuscirà a dimostrare la proprietà, riceverà 5.000 shekel (circa mille euro) per ogni dunam di terra reclamato (un dunam è pari a mille metri quadrati). Peccato che un dunam di terra agricola nelle nuove città in cui Israele chiuderà i beduini costa 30mila euro. Difficile che una famiglia beduina, che ha vissuto per generazioni di agricoltura e pastorizia, possa permettersi tanto. Ed è proprio questo a spaventare di più la popolazione beduina: una volta rinchiusi in città, "urbanizzati", i beduini perderanno il loro tradizionale stile di vita, una quotidianità semplice e fatta di contatto diretto con la natura. Al contrario, finiranno in città totalmente gestite dalle autorità israeliane dove dovranno rinunciare alle greggi e alla terra. Una conseguenza visibile nelle sette "township" che Tel Aviv ha già costruito e dove vivono 135mila beduini: il tasso di disoccupazione è alle stelle, mentre il tasso di educazione scolastica è dieci volte più basso della media israeliana. Nena News

venerdì 14 giugno 2013

FUORI LA GUERRA DALLA STORIA

Fuori la guerra dall’università!

Fuori la guerra dall’università! 19 giugno 2013 – STOP INFOWAR Posted on giugno 10, 2013 by freepalestine Il documento che pubblichiamo spiega quali rapporti si consolidano costantemente fra l’accademia e l’industria di guerra. Il 19 giugno vorrebbero celebrare i loro progetti mortiferi all’interno dell’università La Sapienza, parteciperemo perciò alle giornate informative e agli appuntamenti di chi rifiuta di collaborare e di rimanere in silenzio. Diffondete l’appello dei ricercatori e delle ricercatrici contro la partecipazione dell’università alle ricerche di cyber-guerra: Fuori Mazinga dall’università. Contribuiamo ad amplificare l’attenzione pubblicando banner e grafiche sui nostri siti web. bannertutti STOP INFOWAR: fuori la guerra dall’università! da officinafisica.noblogs.org Il 19 Giugno 2013 si terrà nell’aula magna de “La Sapienza” la quarta conferenza sulla cyber warfare, la seconda ospitata dall’università. La conferenza è organizzata da centri di ricerca del “La sapienza” e dell’università di Firenze, unitamente a partner privati tra cui, Vitrociset (Finmeccanica) e Maglan (ideatrice e finanziatrice). Tra i vari e numerosi relatori interverranno ad esempio il Colonello Giandomenico Taricco (II Reparto [Informazioni e Sicurezza] dello Stato Maggiore Difesa), specialisti del ministero dell’interno, esponenti del ministero della difesa, insomma il fior fiore dell’industria bellica, della difesa e dell’esercito italiani. infowarBenché il titolo della conferenza “Protezione Cibernetica delle Infrastrutture Nazionali” non sembri nulla di pericoloso l’intero ciclo di queste conferenze mira a rafforzare e propagandare il sodalizio tra l’università pubblica e applicazioni belliche. Il tema trattato, l’information warfare, è infatti l’ultima frontiera della guerra tecnologica, ovvero delle applicazioni informatiche e tecniche utilizzate nel conflitto globale, sia che esso riguardi un nemico esterno, come una nazione estera, o interno, come l’opinione pubblica o eventuali dissidenze. La guerra dell’informazione è articolata in vari punti applicativi: raccolta di informazioni tattiche, propaganda e disinformazione (allo scopo di manipolare sia il nemico sia il pubblico), guerra psicologica, economica e il cyberwarfare. Proprio queste tematiche sono state al centro degli incontri precedenti, tra cui quello in aula magna”La Sapienza” dello scorso 8 Novembre: nel convegno a porte chiuse sono stati presentati i più avanzati strumenti tecnologici in materia di distruzione delle infrastrutture critiche di un paese (sistemi di distribuzione idrica ed energetica, telecomunicazioni, ecc.) attraverso attacchi cibernetici. Lo scenario descritto è molto simile a quello che abbiamo davanti ai nostri occhi nell’attuale scenario di guerra in Siria e nel precedente conflitto in Libia. Attraverso il sito del convegno (www.infowar.it) i partecipanti ci comunicano che un cyber-attacco massicciamente destabilizzante (una sorta di “11 settembre 2001 cibernetico”), portato avanti anche tramite azioni più subdole di manipolazione ed “eterodirezione” della sua opinione pubblica e leadership politica, produce una situazione di diffusa e intensa incertezza che indebolisce le capacità dello Stato aggredito di contrastare l’escalation di una eventuale crisi. L’incontro è finalizzato a rafforzare la “sinergia” tra ricerca tecnologica pubblica e privata. L’accordo, già firmato dal “Magnifico rettore Frati”, punta non solo a garantire una costante entrata di fondi privati nell’ambito della ricerca, direzionandola secondo le esigenze di mercato ed in particolare verso quelle militari, ma, soprattutto, a garantire una formazione adeguata ai nuovi lavoratori della guerra. wewantuA tal scopo è stato fondato a “La Sapienza” un apposito centro di ricerca, il CIIS (Cyber Intelligence and Information Security), collaborazione tra vari dipartimenti e facoltà, in particolare ingegneria e informatica. Un centro di ricerca, come dichiara in un’intervista uno dei dirigenti Finmeccanica, “finalizzato a produrre tecnici in costruzione di armi cibernetiche”. Questo è il regalo lasciatoci da una serie di riforme universitarie che hanno determinato l’ingente entrata dei privati sia come finanziatori, sia come partner operativi di ricerca. Nel caso specifico le aziende che partecipano a quest’”avventura scientifica” sono Finmeccanica, il primo produttore di armi in Italia e la Maglan, società israeliana di difesa ed informazione, leader nel settore della cyber-guerra: controllo dei droni, coordinamento di operazioni offensive, raccolta di informazioni tattiche ecc. La Maglan è ideatore e principale finanziatore dell’intera operazione: questa azienda stanzia circa un milione di euro l’anno per favorire collaborazioni con enti di ricerca pubblici internazionali, da affiancare ai suoi laboratori nei dintorni di Tel Aviv. StopSu questa collaborazione Shai Blitzblau, il fondatore della Maglan nel 1998, ha dichiarato: “Lo sviluppo rapido della cyberguerra pone delle sfide di difesa e di intelligence che esigono delle reazioni rapide nello spazio cibernetico. C’è un bisogno costante di trovare e sviluppare tecnologie di punta innovative, tattiche di difesa, d’attacco e di raccolta di risorse cibernetiche. La ricerca Universitaria è per ora disconnessa dalla cyberguerra operativa. Noi speriamo che quest’iniziativa possa mettere in piedi un programma di ricerca pratico che fornirà una piattaforma flessibile per la promozione della ricerca e sviluppo nel campo della cyberguerra, in particolare di provenienza di altri ambienti rispetto a quello universitario classico. Più allargheremo la nostra riserva di conoscenze tecnologiche sulla base di strumenti di ricerca attuali,. Più saremo in grado di offrire armi molto innovative per la difesa del cyber spazio.” Da una rapida consultazione del materiale che questi stessi figuri rendono disponibile attraverso il loro sito, diventa lampante come la ricerca per scopi dichiaratamente bellici sia fondamentale per l’attuazione del nuovo conflitto globale; è inoltre spaventoso prendere coscienza delle nuove frontiere della guerra tecnologica e dei “problemi” che essa si pone: Legittima difesa preventiva, armi ad energia diretta, accomunazione di concetti come militari-miliziani-civili-insorgenti in previsione di conflitti asimmettrici (il confronto militare tra un esercito “ordinario” e operazioni di guerriglia attuate da popolazioni insorgenti e resistenze popolari) L’università, collaborando con la Maglan, contribuisce attivamente allo sviluppo di strumenti volti al massacro di migliaia di esseri umani, al controllo sociale, addomesticamento e distruzione del dissenso. Se la collaborazione con un’azienda bellica israeliana non fosse sufficiente a testimoniare l’impianto guerrafondaio e repressivo dell’intera operazione, per avere un’idea dell’ideologia che permea questi centri di ricerca, si può fare visita al sito del CSSII, il corrispettivo fiorentino del CIIS di Roma. Sul suddetto sito, infatti, è possibile ammirare i link che inneggiano alla liberazione di Girone e La Torre, i due Marò responsabili dell’uccisione di due pescatori indiani. La lista delle aziende private che sostengono l’iniziativa è purtroppo lunga e agghiacciante:un altro partecipante è la ELT, azienda che produce i software per guidare aerei militari. COLLAGEE’ scandaloso veder organizzare, per di più all’interno di un’università, la sfilata delle più potenti aziende militari che si fanno pubblicità e arruolano cervelli per i lori sporchi interessi, il tutto patrocinato dal Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Affari Esteri, Ministero della Difesa, Ministero dell’Interno, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministro per la Pubblica, Amministrazione e l’Innovazione, Polizia di Stato e con niente meno che l’adesione del Presidente della Repubblica. Ci teniamo a ribadire che i loro scopi, travestiti (male) da intenti vaghi e generici di “difesa delle infrastrutture nazionali”, mirano a migliorare l’arsenale tecnologico-militare per estendere il dominio sui territori, il controllo sociale e il profitto. Non è un caso che la sede di questa conferenza dopo Unicredit e Confidustria, sia già dallo scorso anno l’università la Sapienza: infatti il percorso di privatizzazione e militarizzazione dell’università, unito alla svalutazione dei lavoratori della ricerca, resi sempre più ricattabili e soggetti al controllo esterno dei privati, sta portando velocemente al monopolio della ricerca da parte di aziende come Finmeccanica. Inoltre c’è il problema, enorme, della mancata presa di coscienza e posizione da parte di studenti e lavoratori della ricerca. Troppo spesso si sente dire che la scienza è neutra e che è un mero strumento, il cui utilizzo non riguarda il ricercatore. Il problema, purtroppo, non è solo sociale o politico. Lavorare per Finmeccanica in un università significa, nella realtà, partecipare a progetti di sterminio, dominio e controllo, chiudendo entrambi gli occhi per racimolare un magrissimo stipendio spesso guadagnato in condizioni di lavoro miserevoli. É ovvio che la ricattabilità e la svalutazione di questi lavoratori dà una grossa spinta a coloro che non si fanno scrupoli a lavorare per la guerra rispetto a chi vorrebbe poter fare altro. Chi crede in un ruolo diverso della ricerca, al servizio della conoscenza, dell’utilità e del benessere collettivo deve misurarsi con questa situazione che non fa che peggiorare di anno in anno. Ma senza prendere posizione, senza far sentire almeno la propria voce, non cambierà alcunché Lo viviamo, ogni giorno, come studenti e ricercatori precari. STOP-INFOWAR-300x201Ci fa incazzare non poco vedere sua altezza il monarca mafioso Luigi Frati, imbellettato per l’occasione, dare il benvenuto e calarsi le braghe verso l’industria della guerra offrendo in sacrificio centinaia di ricercatori precari, incoscienti quanto ignavi, utilizzati come supporto tecnico del braccio armato. Alla luce di tutto questo in primo luogo è per noi importante rendere noti a tutti questi progetti già in atto, di cui fanno parte anche iniziative di facciata come questa conferenza. Non è la prima e non sarà l’ultima. Vogliamo inoltre stimolare un dibattito e una presa di coscienza “interna” all’università, da parte di studenti, ricercatori e professori. Questi problemi non sono secondari e troviamo urgente un confronto che risulti, alla fine, in una presa di posizione, che per noi è già chiara: non c’è spazio, e non deve avere spazio la ricerca bellica, tanto meno in un università. Ma scoperchiare il “vaso di Pandora” dell’industria tecno-militare in collaborazione con l’università e la ricerca evidentemente non basta, occorre organizzarsi per impedire che queste iniziative abbiano luogo. Finché non troverà un opposizione, questa gente continuerà nella più totale tranquillità. No alla ricerca di guerra! Fuori la guerra dall’università!

Stadio di Gaza bombardato da Israele

Stadio di Gaza bombardato da Israele

Stadio di Gaza bombardato

Da un volontario italiano a Gaza

Under-21 European Football Championship In questi giorni si stanno svolgendo in Israele gli Europei di calcio Under 21. Vorrei ricordare ai miei connazionali che esultano per i successi della nazionale italiana, che l'Italia non sta vincendo; l'Italia ha perso nel momento esatto in cui ha deciso di partecipare a questi europei che si stanno regolarmente svolgendo nonostante i numerosi appelli al boicottaggio lanciati anche da personaggi famosi: http://www.bdsitalia.org/index.php/altre-campagne/sportivo/723-tutu È stato per me ancora più doloroso vedere come italiani che si definiscono vicini alla causa palestinese abbiano esultato per la vittoria dell'Italia nei confronti di Israele o siano felici di ogni sconfitta della squadra israeliana, come se questo potesse in qualche modo alleviare il dolore palestinese causato da un'occupazione militare quotidiana, violenta e razzista. Non c'è niente da esultare. Tutte le squadre che hanno accettato di giocare in Israele hanno perso ed hanno le divise macchiate di sangue palestinese. Ha perso la UEFA complice del razzismo israeliano. Ha perso lo Sport. Questo periodo di calma solo apparente, qua a Gaza i contadini e i pescatori continuano ad essere attaccati quasi quotidianamente, non durerà molto. Finite le partite e spenti i riflettori riprenderà regolare il massacro dei palestinesi. Cari spettatori, non state assistendo ad un semplice evento sportivo, aprite gli occhi: alle vostre spalle si sta consumando una tragedia umana e i vostri soldi, spesi in Israele, serviranno a finanziare la costruzione delle prossime armi che distruggeranno la vita dei civili palestinesi. Se non volete essere complici, disertate le partite e tornate nei vostri paesi. Il senso di qualsiasi manifestazione sportiva dovrebbe essere quello di promuovere i valori sportivi, soprattutto fra i giovani: le immagini dello stadio di Gaza bombardato dall'esercito israeliano dimostrano chiaramente quali siano i valori promossi da Israele: http://vimeo.com/66776199

domenica 9 giugno 2013

BAMBINI PALESTINESI: ISRAELE SI IMPEGNA A FARE DELLA LORO VITA UNA TORTURA

RIPROPONGO QUESTO MIO LUNGO INTERVENTO RISALENTE AL DICEMBRE 20011 NEL CORSO DI UN'INIZIATIVA PER I BAMBINI PALESTINESI AFFETTI DA DISTURBI POST TRAUMATICI SVOLTASI A VENEZIA. lO FACCIO PER RICHIAMARE L'ATTENZIONE SULLA SITUAZIONE DEI BAMBINI PALESTINESI. SITUAZIONE DI ESTREMA DRAMMATICITA' A CUI MOLTI NON RIESCONO A CREDERE, VISTA LA STRANA REAZIONE DI DIFFIDENZA SULLE NOTIZIE DEL CARCERE AL JALAMI.     Prologo   Il trauma subito dai bambini palestinesi, in particolare dai bambini di Gaza, è un trauma continuato. Ci sono nella vita avvenimenti traumatici da cui si riemerge con fatica, ma si tratta di un episodio, per i bambini palestinesi questi episodi sono rinnovati tutti i giorni della loro vita. Anni fa una delle associazioni in cui sono impegnata organizzò una mostra di disegni di bambini palestinesi, erano ovviamente disegni di carri armati, bombe che cadevano, morti e sangue. Mi colpì in particolare il disegno di un bambino di 8 anni: un petto aperto con un cuore trafitto da un pugnale sull’impugnatura era disegnata una stella a sei punte. Quel bambino esprimeva in quel disegno il suo cuore spezzato. Un altro disegno di un bambino più grande, di 12 o 13 anni, molto bello, rappresentava un’immagine apparentemente idillica: una bimba si dondolava sull’altalena, solo che sotto l’altalena c’era una voragine e un altro di Betlemme aveva disegnato una scena di natività, la madonna s. Giuseppe il bue e l’asinello e sulla mangiatoia al posto del piccolo Gesù c’era una bomba made in USA. In fondo al corposo libro con la traduzione in italiano del rapporto Goldstone su “Piombo fuso” ci sono pagine e pagine di nomi, sono l’elenco dei morti di quell’incursione. Pagine fittissime dove ogni rigo è un cadavere e in neretto i nomi di centinaia di bambini. L’incursione “Piombo fuso” non fu né la prima né l’unica incursione, fu solo la più efferata. Ne voglio ricordare alcune: “Giorni del pentimento” a ridosso del Kippur:70 morti, “Pioggia d’estate” come ritorsione della cattura di Shalit: centinaia di morti e la distruzione dell’unica centrale elettrica. Un successivo attacco provocò più di cento morti e la distruzione delle strutture del “Medical Relief” la clinica il centro disabili, ambulanza, medicinali e attrezzature. Ma già in quell’ultimo mese erano morti 93 bambini per via dell’assedio. Il ministro degli esteri israeliano promise in quell’occasione una shoah a Gaza. E prima c’era stata l’”Operazione Arcobaleno” eccetera ecc. Se Gaza è una prigione mortale, i punti più critici nei TPO sono Hebron e il distretto di Nablus, dove coloni e soldati scorazzano provocando morte e devastazione.   I molti modi di traumatizzare la vita dei bambini:   Incursioni: I bambini sono le prime vittime delle incursioni, a Gaza più della metà della popolazione è composta da bambini. Israele usa armi come il fosforo bianco e le bombe dime vietate dalle leggi internazionali e dopo Piombo fuso non fornì ai medici palestinesi le istruzioni per curare quelle particolari ferite, il risultato fu che morirono moltissimi feriti che avrebbero potuto salvarsi. Israele usa normalmente le freccette, sono proiettili che esplodendo a 30 metri dal suolo disperdono uno sciame da 8mila freccette investendo un’area di 300 metri le quali colpiscono facilmente i bambini. A Gaza i soldati giocano con la vita dei bambini alla playstation. Nelle torrette di avvistamento lungo il confine armi simili alla playstation consentono ai soldati di uccidere schiacciando un bottone. Si chiama “LOCALIZZA E SPARA”. NE FANNO LE SPESE I BAMBINI CHE RACCOLGONO LA GHIAIA da utilizzare per materiali da costruzione che non possono entrare a Gaza.   Povertà indotta La situazione di impoverimento palestinese non è dovuta a un disastro naturale ma all’occupazione che a Gaza in particolare, con l’assedio, e in tutti i TPO cresce con la distruzione di greggi e oliveti, con il furto di risorse e di terra, con il furto delle tasse doganali, con l’espropriazione delle case. Di questo ne fanno le spese soprattutto i bambini che vivono in uno stato di povertà che non consente loro di vivere serenamente e spesso sono obbligati a lasciare la scuola per aiutare la famiglia. A Gaza sono soprattutto loro che si infilano nei tunnel di Rafah con il rischio di rimanere seppelliti vivi. Il gioco è un’utopia, non ci sono spazi e a Gaza Israele ha proibito l’ingresso di giocattoli come se volesse punire in primo luogo i bambini.   Mancanza d’acqua   L’acqua è una risorsa vitale, l’occupazione israeliana ruba l’acqua ai palestinesi, in particolare nella valle del Giordano, costringendoli poi ad acquistarla a caro prezzo dalla società israeliana Mekorot. A Gaza la falda acquifera è inquinata, mentre il terreno è cosparso di veleni e fosforo bianco, questo danneggia fortemente la salute dei bambini che in particolare a Gaza sono affetti da anemia per il 52% (medical relief) e soffrono di gravi carenze nutrizionali, le malattie respiratorie sono numerose. I bambini affetti da talassemia non possono essere curati a Gaza perché Israele impedisce l’ingresso del farmaco specifico per la cura di questa malattia.   Demolizioni e boicottaggio dell’istruzione   Le demolizioni di case lasciano i bambini senza un rifugio. Israele demolisce case a Gerusalemme, nella valle del Giordano e nel Neghev. Il 7 agosto 2010 Israele ha demolito un intero villaggio nel Neghev lasciando senza casa 200 bambini. Israele oltre le case ha distrutto oliveti e frutteti, risorse vitale degli abitanti di al Araqib, per lo più bambini e anziani, che sono stati lasciati nelle macerie senza riparo e senza acqua sotto un sole cocente. Il fine della distruzione è rendere disponibili i progetti del Fondo nazionale Ebraico per piantare un bosco che chiameranno “Bosco della pace” forse della pace eterna. La stessa sorte è toccata a Ein il Hilwe, un villaggio nella valle del Giordano. Israele non si limita a distruggere case greggi e campi, distrugge anche le scuole, perfino quando sono tende.  I bambini del villaggio andavano a scuola nel villaggio di Tayasir, a 13 km di distanza, dovevano prendere un autobus e passare attraverso un check point israeliano, Troppo spesso erano oggetto di vessazioni da parte dei soldati al check point, alcuni sono stati costretti a scendere dal bus e fare a piedi i 13 km per andare e tornare da scuola. Per questo molti bambini hanno abbandonato la scuola. Lo scorso nov. La Campagna “Salva la valle del Giordano” ha costruito una tenda scuola per 35 bambini. A febbraio i volontari volevano costruire una seconda tenda scuola per altri 65 bambini, ma è arrivata sul posto una jeep militare che ha m minacciato di demolire entrambe le tende. Anche nel villaggio Ka’abneh era stata costruita una scuola per 66 studenti, per la scuola sono stati emessi 6 ordini di demolizione. Nel villaggio di Jiftlik, i bambini avevano abbandonato la scuola per il lungo percorso e i maltrattamenti dei soldati. Il villaggio ha costruito una tenda scuola  e tra il 2003 e il 2008 gli israeliani hanno demolito la scuola sette volte. Anche la scuola di gomme costruita da Vento di terra è a rischio demolizione, a Gaza non può entrare la carta per libri e quaderni, un trattamento speciale ha ricevuto la scuola di  Qurtuba a Hebron in Shuhada Street, la principale via all’interno della città vecchia il cui transito è proibito ai palestinesi dal 2000 a causa di un’ordinanza militare considerata illegale dalla stessa alta corte d’Israele. Ogni giorno per andare A SCUOLA GLI ALUNNI DEVONO ATTRAVERSARE UN PASSAGGIO ELETTRIFICATO CHE SEPARA L’AREA 1 DALL’AREA 2 DI Hebron. La presenza capillare delle colonie e il divieto per i palestinesi  di utilizzare le by pass road obbligano gli studenti a camminare per molti km per frequentare le lezioni. Il 13 ottobre coloni di Beit Hadassan hanno tirato pietre e bottiglie contro la scuola interrompendo le lezioni. Il giorno dopo l’IDF ha chiuso il checkpoint elettrificato verso Shuhada street impedendo agli studenti l’accesso alla scuola. I soldati hanno occupato le strade della città vecchia bloccando alunni e insegnanti che hanno reagito tenendo lezione davanti al check point. Due giorni dopo chiudevano la scuola per “ragioni di sicurezza”: Gli insegnanti e la preside si sono rifiutati di rispettare la chiusura. Ci sono state reazioni e i soldati hanno lanciato contro i bambini e i manifestanti proiettili di gomma, gas lacrimogeni e bombe sonore. 20 alunni sono rimasti feriti e intossicati. Gli insegnanti e i bambini hanno continuato la protesta al check point.   Maltrattamenti, prigione, tortura.   Israele non rispetta in nessun modo la vita dei bambini e si sente in diritto di ucciderli, imprigionarli, usarli come scudi umani, torturarli, togliere loro il diritto all’istruzione. Perfino la loro maggiore età è anticipata di due anni e le ordinanze militari decretano che si può arrestare un bambino di 12 anni come se fosse un nemico combattente. Nell’ottobre del 2010 un bambino di 8 anni fu investito da un colono con la macchina, il colono venne fermato e poi rilasciato, il bambino invece venne arrestato nella notte prelevandolo da casa sua perché aveva tirato una pietra sulla macchina del colono. Un rapporto di Defence for children international documenta l’aumento della violenza dei coloni sui bambini, arrestati poi dai soldati in piena notte, torturati e condannati a mesi di prigione per aver tirato una pietra contro i cani dei coloni dall’altra parte della strada. All’aumento della violenza dei coloni corrisponde la totale impunità dei responsabili. L’ass. ha chiesto di aprire un’inchiesta su 14 casi di abusi sessuali di cui ha avuto conoscenza commessi da soldati e poliziotti da gennaio 2009 a aprile 2010. Alla fine del 2008  durante l’incursione Piombo fuso, un bambino fu costretto dai soldati a ispezionare sacchetti sospetti di contenere esplosivi, il procuratore militare che ha cercato di comminare una mite condanna a tre mesi ai soldati è stato minacciato e i due se ne sono andati liberi perché la corte militare ha definito il loro atto un semplice errore. Dai soldati israeliani i bambini vengono sottoposti a shock elettrici per costringerli a confessare crimini come aver lanciato pietre e a volte inventati. I bambini di Gaza dove gli israeliani sparano tutti i giorni hanno incubi e la notte non riescono a dormire, poi quando si fa buio liberano branchi di cani pericolosi al confine. Vicino al confine c’è la torre di controllo e i bambini devono passare per quella strada per andare a scuola, hanno paura perché i soldati sparano e spesso sono mandati a casa prima della fine delle lezioni perchè ci sono spari e incursioni nell’area attorno all’edificio. A Nabi Saleh, un villaggio che come tanti altri in Cisgiordania lotta settimanalmente contro l’espansione degli insediamenti, mesi fa era stata organizzata una manifestazione in risposta a un appello di giovani palestinesi, si chiamava “Colora la tua libertà”. I bambini del villaggio hanno sfilato assieme ad attivisti israeliani e palestinesi indossando maschere e vestiti colorati. Portavano con se palloncini e aquiloni, mentre si dirigevano verso la collina per far volare gli aquiloni l’esercito ha cominciato a lanciare lacrimogeni. Quando si sono trovati di fronte a dei bambini con le faccine colorate che cantavano per la strada non hanno esitato a sparare, due bambini di 4 e 11 anni sono stati feriti. Non solo i bambini vengono arbitrariamente arrestati, detenuti in prigioni israeliane dove non possono contattare un avvocato o vedere i propri familiari, non solo vengono trattati e detenuti in prigioni per adulti, non solo vengono picchiati, maltrattati, torturati fisicamente e psicologicamente, non solo vengono spesso minacciati di abusi sessuali, ma Israele ha anche trovato il modo di specularci ancora sopra e di arricchirsi con i bambini palestinesi arrestati. A Gerusalemme est la polizia rapisce i bambini e impone alle famiglie il pagamento di multe salate con l’accusa di aver tirato pietre ai militari. Oltre 9cento mila dollari di sanzioni sono state fatte pagare alle famiglie dei bambini arrestati per il loro rilascio, in pochi mesi. Gli israeliani, soldati e coloni non hanno pietà neppure per gli animali, in un villaggio i coloni hanno bruciato vive le pecore di un gregge, ad At Tuwani a sud di Hebron i soldati hanno arrestato un ragazzino palestinese e disperso il gregge di proprietà della famiglia, quando i soldati se ne sono andati con il giovane prigioniero la famiglia ha trovato un agnello ucciso, una pecora accecata, altre 4 con le zampe spezzate, due pecore avevano abortito e 21 erano sparite.   Storie emblematiche     I numeri e i dati ci documentano le situazioni e bastano da soli a farci indignare, ma quando si vanno a vedere le singole storie, l’indignazione, la rabbia, l’emozione diventano travolgenti, questi numeri e questi dati sono bambini in carne e ossa, hanno un nome e una storia che ci colpisce come un cazzotto allo stomaco e ci viene da gridare “Fermiamo questi mostri”. Voglio raccontare qualche storia particolare che rivela tutto il disprezzo degli israeliani per la vita dei bambini palestinesi:   Abeer una e due. Iman   Abeer è un nome che profuma di fiori ma che non ha portato fortuna alle due bambine barbaramente uccise. La prima è Abeer Aramim, suo padre è un membro dell’ass. israelo-palestinese “Combattenti per la pace” Aveva 9 anni e quando è uscita da scuola un soldato le ha sparato uccidendola, non stava lanciando pietre. La seconda Abeer ha visto suo padre arrestato e portato via di casa. Questo le ha provocato un grande dolore, avrebbe voluto almeno abbracciarlo quando è andata a trovarlo in carcere, ma un vetro spesso lo separava da lei. Suo padre era irraggiungibile dall’altra parte, perduto. Abeer ha cominciato a battere i pugni sul vetro e a piangere, a casa ha continuato ad agitarsi e il dolore della perdita le ha provocato una paralisi e il coma. Mentre la piccola moriva suo padre in prigione ha avuto un infarto nell’apprendere la notizia. Abeer è morta di dolore, si uccide non solo con le pallottole ma anche con la crudeltà. Iman invece si è trovata a camminare a cento metri da una postazione militare ben protetta. Aveva la divisa della scuola e lo zainetto dei libri. Un soldato parlando via radio da una torre di avvistamento con un collega  dice di aver visto una bambina spaventata a morte. Il capitano R. è uscito dalla postazione ed ha sparato alla bambina due volte alla testa, si è allontanato, poi è tornato indietro e le ha scaricato addosso tutto il caricatore. Il medico che controllò la bambina all’ospedale di Rafah contò 17 proiettili in varie parti del corpo, proiettili grandi e sparati da una distanza ravvicinata. Il capitano R. ha dichiarato che avrebbe fatto lo stesso anche se la bambina non avesse avuto 13 anni , ma tre, “perché questo è l’ordine, tutto ciò che si muove nella zona di sicurezza, anche se si tratta di un bambino di tre anni deve essere ucciso”. IL suo rapporto dopo l’omicidio: “Stiamo andando più vicino per confermare l’uccisione….Riceverete una relazione sulla situazione. Abbiamo sparato e l’abbiamo uccisa….HO ANCHE CONFERMATO L’UCCISIONE, PASSO”. Il capitano è stato dichiarato non colpevole, NON È REATO UCCIDERE I BAMBINI PALESTINESI, confermare l’omicidio è una pratica standard. Dopo il verdetto il capitano R. è scoppiato in lacrime e si è rivolto al pubblico dichiarando “Vi avevo detto che ero innocente!”   Mohamed Halabiyeh  Mazin Zawahreh   Mohamed fu arrestato dalla polizia ad ABu Dis la sua città mentre passeggiava con alcuni amici. Nel vedere i poliziotti avvicinarsi si spaventò e si mise a correre cadendo in una buca e fratturandosi una gamba. Quando i militi lo raggiunsero cominciarono a colpirlo in particolare sulla gamba fratturata, le torture proseguirono per giorni anche all’ospedale Hadassa dove venne ricoverato., I poliziotti gli spingevano siringhe sulle mani e sulle gambe, lo colpivano coprendogli la bocca con un cerotto adesivo, gli davano pugni dappertutto e lo minacciavano perché non rivelasse le torture subite. Il ragazzo non si lasciò intimidire e durante l’interrogatorio descrisse gli abusi e le torture. Dopo altri interrogatori fu trattenuto e subì abusi sessuali e tentativi di ammazzarlo. Inspiegabilmente, i torturatori non ebbero nessun fastidio mentre lui fu arrestato e messo in una gabbia, poi nella prigione di Ofer in un una sezione per adulti. Questo episodio accadde nel sett. 2010 e fu denunciato da Addamer l’ass. non governativa palest. per il sostegno dei diritti umani dei prigionieri.   Mazin, 14 anni, di Betlemme fu arrestato l’11 sett. Scorso. Stava giocando a pallone con tre amici quando 7 soldati israeliani lo aggredirono colpendolo con il calcio del fucile. Lo misero in ginocchio, gli strapparono i vestiti, gli legarono le mani e gli coprirono gli occhi con la sua maglietta e poi lo picchiarono per due ore. I familiari furono avvertiti da un conoscente che aveva visto il ragazzo in quelle condizioni, altrimenti non avrebbero saputo nulla di che fine aveva fatto. Nel carcere israeliano di Mascobia a Gerusalemme fu interrogato per 29 giorni, tenuto in uno stanzino sotto terra legato al letto in una posizione forzata che gli ha provocato problemi respiratori. Dopo la prima udienza a cui i familiari non hanno potuto assistere è stato trasferito nel carcere di Offeq per criminali comuni subendo ripetutamente percosse e minacce, tenuto in isolamento, privato di luce e aria costretto a dormire per terra in condizioni che hanno aggravato i suoi problemi respiratori. Qui ha subito anche vaste bruciature in tutto il corpo. Il secondo processo si è risolto con la richiesta di un pagamento di 20mila shekel. Il 4 novembre è stato liberato a un centinaio di km da Betlemme. Il processo resta aperto e il ragazzino rischia di essere ancora incarcerato. Rivolgendosi alla corte il padre di Mazin ha espresso la sua disperazione dichiarando che era meglio che uccidessero subito suo figlio invece di farlo giorno per giorno.