martedì 14 ottobre 2014

Quali forze hanno formato i palestinesi di Gaza?


di Randa Farah
Settembre 2014
Abbiamo conquistato vaste zone, massacrando tutta la gente […] Dove potete fuggire? Quale strada prenderete per sfuggirci? […] Il nostro cuore è duro come le montagne […] Non siamo commossi dalle lacrime, né toccati dai lamenti. Solo coloro che invocheranno la nostra protezione saranno salvi. […] Se resistete patirete le più terribili catastrofi. Noi distruggeremo le vostre moschee e sveleremo la debolezza del vostro Dio, e allora uccideremo sia i vostri figli che i vostri anziani. Al momento siete gli unici nemici contro i quali dobbiamo marciare.
Lettera al sultano dell’Egitto Qutuz [inviata] da Hulagu, nipote di Genghis Khan. Qutuz rifiutò di arrendersi e si riconciliò con Baibars, capo dei Mamelucchi. Insieme bloccarono l’avanzata dei Mongoli nella famosa battaglia di ‘Ain Jalut, presso Nazareth, nel settembre del 1260.
Nelle descrizioni popolari, tra i palestinesi ed altri arabi, gli attacchi israeliani sono stati spesso paragonati alle guerre contro i mongoli, o i tartari, durante i quali ogni distruzione era permessa e niente era sacro.
Durante l’attacco israeliano contro Gaza nel luglio-agosto 2014 questi paragoni sono tornati con brutalità. Niente è rimasto indenne dalle modernissime armi di Israele, compresi siti storici, moschee e il porto di Gaza.
Ci sono altri paralleli contemporanei con la battaglia di ‘Ain Jalut del XIII° secolo che mettono in luce sia la forza che la debolezza emerse durante la guerra di Israele contro i palestinesi di Gaza, durata 50 giorni.
Paralleli con il passato
Il primo parallelo consiste nel fatto che i gruppi della resistenza palestinese a Gaza hanno rifiutato in modo unanime di considerare il disarmo come parte dei negoziati per il cessate il fuoco, nonostante abbiano vissuto, loro e la popolazione [civile], terribili morti e distruzioni. Ciò è avvenuto al culmine dell’assedio quasi totale di Israele ai danni di Gaza fin dal 2007 e dopo i precedenti attacchi che la popolazione di Gaza ha dovuto subire in questo decennio e le cui ferite sono ancora da sanare. Il prezzo per i palestinesi è stato di 2.131 morti, dei quali 1.473 erano civili, un numero stimato di 11.000 feriti, alcuni dei quali in modo grave, circa mezzo milione di persone sono sfollate in un’area grande metà di New York.
Questa sorprendente resistenza è stata resa possibile dall’unificazione e dalla collaborazione tra le fazioni palestinesi che si è evidenziata rapidamente dopo che l’attacco è iniziato e che ha unito, tra gli altri, Hamas, Jihad Islamica, Fatah e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. L’unità tra queste fazioni si è manifestata più tardi anche sul piano politico, nelle richieste unitarie presentate dalla delegazione palestinese al governo egiziano che fungeva da mediatore durante i negoziati del Cairo.
Ancor più significativo è stato [il fatto che] la piccola, deliberatamente impoverita e assediata Striscia sia stata in grado di infliggere un colpo umiliante all’esercito israeliano, considerato il sesto più forte al mondo. Nell’operazione “Margine protettivo” di luglio-agosto è stato ucciso un numero di soldati israeliani molto maggiore che nelle precedenti operazioni di Israele: 66 soldati (e sei civili) rispetto ai 10 dell’operazione “Piombo fuso” del 2008-09 e all’unico [soldato ucciso] durante “Pilastro di difesa” nel 2012. Naturalmente la quantità di morti e di distruzioni a danno dei palestinesi evidenzia il cinismo del nome che Israele ha dato alle sue operazioni: chi, durante “Margine protettivo”, aveva bisogno di essere protetto da chi?
Le fazioni della resistenza palestinese a Gaza non avevano gli armamenti [tali] da infliggere niente che potesse raggiungere un livello di distruzione comparabile in Israele, ma la guerra ha lasciato i suoi segni sull’economia israeliana e contribuirà senza dubbio a un’emigrazione da Israele che attualmente è apertamente pubblicizzata.
Inoltre, nonostante la sua preponderanza militare, il governo israeliano non è stato in grado di ottenere una vittoria decisiva contro i movimenti di resistenza gazawi, una debolezza che gli israeliani hanno riconosciuto nei sondaggi successivi alla tregua. Al contrario, l’appoggio ad Hamas e agli altri movimenti di resistenza si è incrementato nei territori palestinesi occupati: dopo l’attacco, il doppio dei palestinesi (61%) afferma che voterebbe per il dirigente di Hamas Ismail Haniye rispetto a quelli che voterebbero per il leader di Fatah Mahmoud Abbas.
La tenace resistenza da parte dei gruppi della resistenza palestinese a Gaza peraltro è minata non solo dalla complessiva debolezza del movimento nazionale palestinese dentro e fuori la Palestina storica, ma anche dalla risposta molto limitata da parte del mondo arabo, di per sé notevolmente indebolito e frammentato da conflitti e divisioni. Il silenzio delle autorità arabe è ancor più stridente se confrontato con il crescente aumento dell’appoggio a Gaza nel resto del mondo e all’indignazione per lo spietato attacco contro un popolo che non ha nessun posto in cui scappare a causa dell’oppressivo assedio mantenuto da Israele, come anche dall’Egitto.
Il recente passato dei palestinesi a Gaza
Quali forze hanno forgiato il popolo che ha ancora una volta resistito contro la potenza militare israeliana, nonostante il grave costo che ciò ha comportato? I palestinesi di Gaza sono stati forgiati dal peso e dalle ferite del loro recente passato. Oggi la maggioranza dei 1.701.437 palestinesi che vivono a Gaza sono rifugiati sopravvissuti alla brutale pulizia etnica della Palestina nel 1948. Questa prima ondata di espulsioni ha quadruplicato la popolazione di Gaza che all’epoca era di 270.000 persone. Le persone registrate come rifugiati dall’ Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) ha raggiunto nel giugno 2014 un totale di 1.328.351. Provengono da cittadine della Palestina centro-meridionale, come Beersheba, Jaffa, Lydda, e villaggi come Al-Faluja, Al- Manshiyyeh, Salama, Hamama, and Al-Batani, tra gli altri. Circa metà della popolazione di rifugiati a Gaza prima della recente invasione israeliana viveva in uno degli otto campi di rifugiati gestiti dall’UNRWA.

Parecchie generazioni hanno vissuto e sono morte in quei campi, in attesa di avere diritto al ritorno. Tra il 1948 ed il 1967 l’Egitto ha governato Gaza in modo temporaneo e ha concesso alla popolazione che ci viveva i documenti come rifugiati. Lo status legale dei palestinesi di Gaza che hanno documenti egiziani è diverso rispetto a quello dei palestinesi della Cisgiordania, che hanno ottenuto la cittadinanza giordana in seguito all’annessione da parte della Giordania all’inizio degli anni ’50. Fino al 1967, soprattutto dopo che il dirigente nazionalista Gamal Abdel Nasser prese il potere in Egitto, era relativamente facile circolare tra Egitto e Gaza. Attraversare la frontiera divenne più difficile nel periodo neoliberale del successore di Nasser., Anwar el-Sadat, e così è rimasto molto ridotto fino a oggi, durante il regime di Hosni Mubarak, la breve presidenza di Mohammed Morsi e l’attuale regime di Abdel Fattah el-Sisi.
I palestinesi di Gaza hanno subito una storia di violenze brutali da parte di Israele. Per citare solo uno degli attacchi più recenti, durante la triplice aggressione militare del 1956 da parte di Israele, Gran Bretagna e Francia, Israele occupò Gaza fino al marzo 1957 e vi uccise tra i 275 e i 515 gazawi, molti dei quali erano civili, comprese alcune dozzine di persone che vennero messe al muro e mitragliate a Khan Younis. La ferocia è continuata dopo l’occupazione di Gaza, della Cisgiordania e di altri territori arabi nel 1967. Il defunto premier israeliano Ariel Sharon si è guadagnato uno dei suoi soprannomi, “il Bulldozer”, per il modo in cui ha demolito la resistenza palestinese all’occupazione di Gaza (un altro soprannome di Sharon era “il macellaio di Beirut”, che gli venne attribuito durante l’invasione del 1982 e i relativi massacri).
Dal 1967 Israele ha impedito alla maggioranza dei palestinesi di Gaza che erano andati a visitare [qualcuno], a studiare o a lavorare fuori [dalla Striscia] di tornare alle loro case, famiglie, e/o campi di rifugiati a Gaza. Ha inoltre controllato rigidamente la loro possibilità di viaggiare alla e dalla zona costiera. Chi aveva documenti egiziani per rifugiati ha incontrato discriminazioni in parecchi paesi, anche arabi. L’UNRWA li ha classificati come “ex-gazawi”, e a quelli che sono finiti in paesi come la Giordania dopo gravi sconvolgimenti nella regione, come l’invasione irakena del Kuwait nel 1990, sono stati anche negati molti diritti, tra gli altri nel lavoro, nell’educazione e nei benefici sociali e sanitari.
In quanto rifugiati apolidi, molti palestinesi di Gaza sono bloccati alle frontiere. Ciò è accaduto, per esempio, a metà degli anni ’90, quando la Libia espulse circa mezzo milione di lavoratori egiziani così come 30.000 palestinesi per protestare contro gli accordi di pace israelo-palestinesi. A quel tempo l’Egitto non permise ai palestinesi di Gaza di attraversare la sua frontiera, e la Libia non consentì loro di tornare. E, ovviamente, molti sono profughi interni a Gaza in seguito agli attacchi israeliani. Attualmente, da quando il suo assedio a Gaza è stato rafforzato in seguito alla vittoria di Hamas nelle elezioni legislative del 2006, Israele continua a controllare i cieli, il mare ed i confini terrestri di Gaza, compreso il valico di Rafah, che sorveglia indirettamente grazie alla collaborazione dell’Egitto. Dopo che è stata raggiunta l’ultima tregua tra Israele e i palestinesi in agosto, Israele ha continuato ad attaccare, come nel passato, i pescatori in mare e gli agricoltori nella zona cuscinetto vicino al confine, unilateralmente dichiarata all’interno di Gaza, e che rappresenta il 17% della terra della Striscia.
Gaza 2014
La resistenza palestinese a Gaza nel 2014 deve essere vista nel più vasto contesto regionale. E’ avvenuta quando le rivolte arabe, che, iniziate con la promessa della primavera del 2011, sono finite in un inverno mortale. Gli Stati arabi come la Siria, l’Iraq e la Libia sono stati distrutti dall’interno quando violenti gruppi reazionari hanno preso il sopravvento sulle richieste popolari di una riforma. Le potenze occidentali, compreso Israele, continuano ad alimentare le divisioni etniche e religiose che stanno smantellando gli Stati-nazione e fanno a pezzi la moderna mappa del Medio Oriente che loro stessi hanno imposto all’inizio del XX° secolo.
Premesso che le dinamiche regionali influenzano la politica palestinese, è vero anche il contrario. Una chiara e unitaria strategia palestinese che comprenda differenti forme di resistenza e una forte unità nazionale avrebbe effetti sul mondo arabo. Ciò dovrebbe riportare il centro della lotta dove dovrebbe essere: contro l’asse Stati Uniti-Israele in quanto [si tratta di] un reale pericolo per la regione e per la Palestina, luogo centrale della lotta. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina/ Autorità Nazionale Palestinese deve rompere definitivamente con gli accordi di Oslo e porre fine alla collaborazione con Israele in materia di sicurezza. Ora che la maggior parte delle fazioni palestinesi ha accettato di firmare lo Statuto di Roma e di rivolgersi alla Corte Penale Internazionale, non ci sono scuse per non andare avanti.
Gaza rimarrà, come un’eco della [battaglia] di ‘Ain Jalut, “l’unico nemico” contro il quale Israele deve marciare, o le battaglie del 2014 sono il presagio di un nuovo capitolo di cambiamenti storici e strategici? I primi segnali del periodo successivo alla tregua non sono incoraggianti, con scambi di accuse tra le autorità di Ramallah e quelle di Gaza che minacciano l’accordo di riconciliazione. Ma c’è da sperare nella crescente forza della società civile palestinese e nel movimento di solidarietà internazionale, che rimane concentrato sul garantire l’autodeterminazione palestinese in modo da ottenere libertà, giustizia e uguaglianza
Randa Farah è professore associato presso il dipartimento di antropologia dell’università dell’Ontario occidentale.
La dott.ssa Farah ha scritto sulla memoria popolare palestinese e sulla ricostruzione dell’identità in base al suo lavoro di ricerca in un campo di rifugiati in Giordania. E’ stata ricercatrice associata presso il Centro di Studi e Ricerche sul Medio Oriente Contemporaneo (CERMOC) in Giordania, dove ha condotto ricerche sui rifugiati palestinesi e l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi (UNRWA). Ha ricoperto varie funzioni come Visiting Fellow e ricercatrice associata presso il Centro Studi per i rifugiati (RSC) dell’università di Oxford.
http://al-shabaka.org/what-forces-shape-palestinians-gaza
(trad. Amedeo Rossi)

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