giovedì 30 maggio 2013
Ecco quali sono le condizioni dei bambini palestinesi nelle carceri israeliane
fonte: The Free Samer Issawi Campaign
Al Jalame è diventata famosa come la prigione israeliana per bambini con la sua infame cella 36, di cui tanti bambini hanno testimoniato.
All'interno del carcere Al Jalame, in profondità a tre piani sotto la superficie è localizzata la cella per bambini piccoli, buchi neri, dove i bambini palestinesi, anche a soli 12 anni sono tenuti in isolamento, alcuni per 65 giorni.
In un'intervista del Guardian due bambini hanno descritto la cella 36:
"la cella è lunga 2m e larga 1m, grande come un materasso. Si mette giù il materasso e nella parte anteriore c'è un WC... Non non c'è nessuna finestra... manca l'aria, si soffoca".
La stanza è appena più ampia rispetto al materasso sporco sottile che copre il pavimento. Il materasso è molto sottile, solo 5cm di spessore. Una luce gialla è tenuta accesa 24 ore al giorno per impedire di dormire, mentre le pareti presentano sporgenze taglienti impedendo al bambino di stare appoggiato.
La consegna del cibo avviene attraverso uno sportello ancorato alla porta, è l'unico modo per contare i giorni, dividendo il giorno dalla notte. La colazione è servita alle 4 del mattino attraverso lo sportello della porta situato a 30cm dal pavimento. Se il vassoio della colazione non è preso in tempo il cibo si rovesciano sul pavimento, il bambino è punito se non riesce a mangiare tutto.
Dove finisce il materasso c'è un basso muro di cemento dietro c'è la toilette: un buco nel pavimento.
La puzza dal gabinetto invade la stanza senza finestre.
Per i bambini l'unica via di fuga da questa gabbia è la stanza degli interrogatori, dove, incatenati mani e piedi, sono maltrattati dalla polizia segreta israeliana per oltre 6 ore alla volta, fino a confessare, solitamente lanciare una pietra corrisponde ad una pena fino a 20 anni.
I bambini descrivono le le sei ore di interrogatorio: "sul terreno c'è un anello di ferro, dove sono agganciate le manette che bloccano entrambi le mani . le caviglie sono bloccate alle gambe della sedia... Non è possibile spostarsi… come una statua. Minacciano che potrebbero arrestare mio padre e mia madre e portarli qui se non confesso".
I carcerieri ci dicono "Tu ci costringi a portarli qui, cerca di capire che noi abbiamo lo stato di Israele dietro di noi, dietro di te c'è il nulla"
I bambini hanno testimoniato di essere sessualmente abusati dagli interroganti e minacciati di sodomia con un oggetto al fine di costringere una confessione, la prigione di Ofer è gestita da G4S. (G4S è una multinazionale security services fondata in Danimarca "per soddisfare le esigenze nel tempo della sicurezza globale" http://www.g4s.com/)
Durante l'interrogatorio in fase di arresto prima di entrare nella struttura, bambini hanno testimoniato che soldati israeliani utilizzano anche cani.
Un ragazzo ha raccontato come, dopo essere incatenato così da non potersi muovere, hanno versato sulla sua testa cibo per cani, il cane si è a scatenato per mangiargli la testa, ha descritto la paura, la saliva dei cani che colava sul suo viso.
Hanno poi messo cibo per cani vicino ai genitali ragazzi...
trad. Invictapalestina
approfondimento in inglese, gennaio 2012.
http://www.guardian.co.uk/world/2012/jan/22/palestinian-children-detained-jail-israel
mercoledì 29 maggio 2013
A proposito dell'intervento di Manlio di Stefano
Dopo l'intervento in aula di Manlio di Stefano, deputato 5 stelle, il quale chiedeva al ministro dello sport di esprimere solidarietà al popolo palestinese e auspicava un ripensamento riguardo alla decisione di tenere l'incontro di coppa Uefa di calcio under 21 in Israele il 5 giugno di quest'anno, considerato che Israele è un paese che non rispetta i diritti umani e quindi assolutamente inadeguato ad ospitare tale manifestazione, prontamente è arrivato l'attacco di un portavoce della Comunità ebraica di Roma, tale Fabio Perugia.
Prima di commentare le sue affermazioni voglio ricordare che la coppa Uefa si dovrebbe giocare nelle città di Gerusalemme,Tel Aviv, Nethania e Petah Tikva, città costruite o espanse su villaggi palestinesi distrutti nel corso della Nakba.
Le affermazioni di Fabio Perugia non sono nuove, essendo parte dei luoghi comuni con i quali Israele e i suoi amici raccontano fin dall'inizio della colonizzazione della Palestina la storia degli eventi che si sono succeduti negli ultimi 65 anni. Non sono nuove eppure ogni volta che le sento mi monta un'indignazione potente nel sentire ancora una volta quelle menzogne che ripetute mille volte pretendono di diventare verità.
Secondo il Perugia i grillini dovrebbero andare a lezione di storia e si informano su siti web non “certificati” inciampando nelle più “becere teorie antisemite”. E quale certificazione dovrebbero avere questi siti web incriminati, forse il bollino di “Roma ebraica” o meglio “Informazione corretta”? E' evidente che qui il Perugia inciampa nella confusione assolutamente voluta tra antisionismo e antisemitismo. Secondo il punto di vista di Israele e dei suoi amici infatti ogni critica ad Israele, sebbene più che certificata, si inscrive nell'ambito dell'antisemitismo. Per costoro è falso storico il fatto che Israele ha messo in atto da molti anni un ben consolidato regime di apartheid, che espande nel territorio palestinese continuamente le sue colonie, che arresta 700 bambini all'anno giudicati poi da un tribunale militare, che ruba acqua e risorse, che ricorre disinvoltamente alla detenzione amministrativa, che impedisce il libero movimento di merci e persone palestinesi, che demolisce interi villaggi, che toglie ai palestinesi ogni diritto: da quello di possedere una casa a quello di essere certi di essere vivi anche il giorno dopo. In una parola che calpesta quotidianamente e senza rimorsi ogni diritto umano e civile dei palestinesi. Per quanto riguarda lo sport e altre manifestazioni artistico-letterarie lo schema non cambia. Israele si fa carico di impedirle tutte e se non basta arresta e distrugge come è avvenuto per lo stadio di Gaza bombardato dall'aviazione israeliana nel novembre 2012 e come ben sa il giovane calciatore della nazionale palestinese Mahmoud Sarsak detenuto per 3 anni senza imputazione né processo. Sarsak ora è libero sebbene dopo la detenzione la sua carriera calcistica sia stata distrutta, ma altri due calciatori sono tuttora in carcere.
Il Perugia poi afferma che durante la guerra dei 6 giorni Israele non attaccò, ma si difese dall'aggressione dei paesi arabi confinanti salvandosi così dalla distruzione. Ma questo dovrebbe ribadirlo ai 300mila nuovi profughi palestinesi che durante quella guerra andarono ad aggiungersi a quelli del 48. Forse se ne sentirebbero confortati. Forse si sentirebbero meglio i palestinesi cisgiordani sapendo che l'aver perso anche l'ultimo respiro di libertà e essere finiti sotto occupazione militare servì a salvare l'intero popolo di Israele! In realtà per quanto la narrazione israeliana possa mentire quella fu una guerra di espansione e Israele non fu mai in pericolo.
Ultima perla, la più insultante per ogni libera intelligenza: Israele si è ritirata dalla striscia di Gaza lasciandola al controllo delle varie autorità palestinesi. Ora secondo questa logica si dovrebbe poter liberamente esercitare l'amministrazione del proprio territorio avendo il controllo militare dell'occupante sullo spazio aereo, sul mare, sui confini, sulla terra e malgrado un embargo che impedisce di portare nella Striscia una lunga lista di prodotti, molti necessari alla vita, altri specificamente punitivi e arbitrari, malgrado l'impossibilità di libera circolazione sia degli abitanti di Gaza sia di chiunque voglia andarci. Se questo si chiama pace in cambio di territori, si sono dimenticati di aggiungere che la pace auspicata è la pace eterna per i gazawi. In realtà le colonie furono spostate da Gaza solo per poterle maggiormente espandere in Cisgiordania, perchè per Israele era troppo dispendioso mantenerle e infine perchè così le incursioni a tappeto come quella di “Piombo fuso” e molte altre non rischiavano di colpire neppure per sbaglio i coloni. Chiunque sia appena un po' informato sa bene che nessuna autorità palestinese esercita un vero controllo sia in Cisgiordania sia a Gaza e niente può fare che non voglia Israele.
Per concludere non è chi è a capo di 5 stelle che deve mandare a lezione di storia i propri parlamentari, ma sono questo propagandisti di menzogne che devono convincersi che non si può nascondere sempre la verità sotto un tappeto sdrucito dal tempo e consumato dall'ipocrisia e dall'odio per la giustizia e per chiunque contrasti i loro interessi colonialisti.
Miriam Marino
APPELLO-TANGENTI SULLA VENDITA D’ ARMI : QUANTO VA AI PARTITI?
di Alex Zanotelli
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L’inchiesta giudiziaria della Procura di Napoli su Finmeccanica, il colosso italiano che ingloba una ventina di aziende specializzate nella costruzione di armi pesanti, mi costringe a porre al nuovo governo Letta e al neo-eletto Parlamento alcune domande scottanti su armi e politica. Questa inchiesta, condotta dai pm. V. Piscitelli e H. John Woodcock della Procura di Napoli (ora anche da altre Procure), ci obbliga a riaprire un tema che nessuno vuole affrontare: che connessione c’è tra la produzione e vendita d’armi e la politica italiana? E’ questo uno dei capitoli più oscuri della nostra storia repubblicana.
Le indagini della Procura di Napoli hanno già portato alle dimissioni nel 2011 del presidente e dell’amministratore delegato di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini, nonché di sua moglie, Marina Grossi, amministratrice delegata di Selex Sistemi Integrati , una controllata di Finmeccanica. Anche il nuovo presidente di Finmeccanica, G.Orsi, è stato arrestato il 12 febbraio su ordine della Procura di Busto Arsizio e verrà processato il 19 giugno, per la fornitura di 12 elicotteri di Agusta Westland al governo dell’India, del valore di 566 milioni di euro, su cui spunta una tangente di 51 milioni di euro. Sale così di un gradino l’inchiesta giudiziaria per corruzione internazionale e riciclaggio che ipotizza tangenti milionarie ad esponenti politici di vari partiti.
Nell’altra indagine della Procura di Napoli spunta una presunta maxitangente di quasi 550 milioni di euro (concordata, ma mai intascata) su una fornitura di navi fregate Fremm al Brasile ,del valore di 5 miliardi di euro. Per questa indagine sono indagati l’ex-ministro degli Interni, Claudio Scajola e il deputato PDL M. Nicolucci .
Un’altra ‘commessa’ sotto inchiesta da parte della Procura di Napoli riguarda l’accordo di 180 milioni di euro con il governo di Panama per 6 elicotteri e altri materiali su cui spunta una tangente di 18 milioni di euro. Per questo, il 23 ottobre il direttore commerciale di Finmeccanica, Paolo Pozzessere è finito in carcere.
La Procura sta indagando anche su una vendita di elicotteri all’Indonesia su cui spunta ‘un ritorno’ tra il 5 e il10%.
E’ importante sottolineare che il 30% delle azioni di Finmeccanica sono dello Stato Italiano.
Dobbiamo sostenere la Procura di Napoli ,di Busto Arsizio e di Roma perché possano continuare la loro indagine per permetterci di capire gli intrecci tra il commercio delle armi e la politica.
Noi cittadini abbiamo il diritto di sapere la verità su questo misterioso intreccio. E’ in gioco la nostra stessa democrazia. Soprattutto ora che l’Italia sta investendo somme astronomiche in armi. Secono il SIPRI di Stoccolma, l’Italia, nel 2012, ha speso 26 miliardi in Difesa a cui bisogna aggiungere 15 miliardi di euro stanziati per i cacciabombardieri F-35.
Ecco perché diventa sempre più fondamentale capire la connessione fra armi e politica.
E’ stata questa la domanda che avevo posto al popolo italiano come direttore della rivista Nigrizia negli anni ‘85-’87, pagandone poi le conseguenze.
All’epoca avevo saputo che alla politica andava dal 10 al 15 per cento, a seconda di come tirava il mercato.
Tutti i partiti avevano negato questo.
Noi cittadini italiani abbiamo il diritto di sapere se quella pratica è continuata in questi ultimi 20 anni. In questi anni l’industria bellica italiana è cresciuta enormemente. Abbiamo venduto armi, violando tutte le leggi, a paesi in guerra come Iraq e Iran e a feroci dittature da Mobutu a Gheddafi, che hanno usato le nostre armi per reprimere la loro gente.
Noi chiediamo al governo Letta e ai neo-eletti deputati e senatori di sapere la verità sulle relazioni tra armi e politica.
Per questo chiediamo che venga costituita una commissione incaricata di investigare la connessione tra vendita d’armi e politica. Non possiamo più accettare che il Segreto di Stato copra tali intrecci!
Ci appelliamo a voi, neodeputati e neosenatori ,perché abbiate il coraggio di prendere decisioni forti, rifiutandovi di continuare sulla via della morte(le armi uccidono!) e così trovare i soldi necessari per dare vita a tanti in mezzo a noi che soffrono.
E’ immorale per me spendere 26 miliardi di euro in Difesa come abbiamo fatto lo scorso anno, mentre non troviamo soldi per la sanità e la scuola in questa Italia.
E’ immorale spendere 15 miliardi di euro per i cacciabombardieri F-35 che potranno portare anche bombe atomiche, mentre abbiamo 1 miliardo di affamati nel mondo.
E’ immorale il colossale piano dell’Esercito Italiano di ‘digitalizzare’ e mettere in rete tutto l’apparato militare italiano, un progetto che ci costerà 22 miliardi di euro,mentre abbiamo 8 milioni di italiani che vivono in povertà relativa e 3 milioni in povertà assoluta.
E’ immorale permettere sul suolo italiano che Sigonella diventi entro il 2015 la capitale dei droni e Niscemi diventi il centro mondiale di comunicazioni militari, mentre la nostra costituzione ‘ripudia’ la guerra come strumento per risolvere le contese internazionali.
Mi appello a tutti i gruppi, associazioni, reti, impegnati per la pace , a mettersi insieme, a creare un Forum nazionale come abbiamo fatto per l’acqua. Cosa impedisce al movimento della pace, così ricco, ma anche così frastagliato, di mettersi insieme, di premere unitariamente sul governo e sul Parlamento?
E’ perché siamo così divisi che otteniamo così poco.
Dobbiamo unire le forze che operano per la pace, partendo dalla Lombardia e dal Piemonte come stanno tentando di fare con il convegno a Venegono Superiore(Varese) , fino alla Sicilia dove è così attivo il movimento pacifista contro il MUOS a Niscemi.
Solo se saremo capaci di metterci insieme , di fare rete, credenti e non, ma con i principi della nonviolenza attiva, riusciremo ad ottenere quello che chiediamo.
Alex Zanotelli
Napoli, 28maggio 2013
martedì 28 maggio 2013
La coppa UEFA Under 21 si giocherà in città sorte in gran parte su villaggi palestinesi distrutti nella Nakba del 1948
da BDS Italia
I villaggi palestinesi distrutti tra il ’47 e il ’48, e cancellati dalla faccia della terra, in quella che è chiamata la Nakba (catastrofe), furono 532: gli abitanti, 750.000 ma secondo alcune fonti 900.000 furono cacciati con la forza o uccisi.[1]
I prossimi campionati EUFA Under 21 si svolgeranno in quattro città, Gerusalemme, Tel Aviv, Nethania e Petah Tikva, che in parte sono state costruite o si sono estese al di sopra dei villaggi distrutti.
Prima di presentare la ricognizione dei villaggi distrutti sulle cui fondamenta oggi sorgono le quattro città, o loro parti, che ospiteranno i giuochi, presentiamo una sintesi di uno scritto di Gideon Levy, che così titola il suo racconto sui villaggi palestinesi distrutti e nascosti sotto Tel Aviv.[2]
“La nostra amata Tel Aviv, la cui reputazione di città illuminata ed aperta è famosa nel mondo
è costruita in parte sulle rovine dei villaggi palestinesi – e rifiuta di riconoscerlo”.
Uno dei corsi più importanti, e più orrendi, di Tel Aviv, il Jerusalem Boulevard di Tel Aviv-Jaffa, una volta si chiamava Jamal Pashà Boulevard e poi Al Nazha Bouleward. Le strade di questa città che una volta era araba e ora è mista, portano nomi di rabbini, i vecchi nomi arabi sono quasi scomparsi e al posto dei villaggi ora ci sono quartieri ebrei.
Kfar Shalem, una volta Salama, dove il passato fa capolino tra le torri di nuovi appartamenti e vecchie case, svuotate dai loro originari abitanti. Qui vivevano circa 7.800 persone, ancora si vede una moschea abbandonata il cui ingresso è sbarrato su ogni lato. Sopra quello che era un cimitero, tra antichi eucalipti, ora ci sono un parco giochi ed un giardino pubblico.
La vecchia casa del MUkhtar, l’anziano del villaggio, è ancora in piedi, ma solo le verande sono ancora di costruzione araba, tutto il resto sono aggiunte, come molte altre case del quartiere che vennero invase. In una vecchia scuola del villaggio oggi vi è un istituto di riabilitazione. La torre di appartamenti che oggi cresce sul perimetro dell’ex villaggio si chiama “Tel Avivi – il vostro angolino di paradiso in città”.
A Nordovest di qui c’era il quartiere di Al Manshyya: nel 48 vi abitavano 12.000 residenti, tutti Palestinesi, sia cristiani che musulmani, e vi erano 20 caffè, 14 falegnamerie, 12 panifici, 10 lavanderie, 4 scuole, 3 negozi di biciclette, 3 farmacie e 4 moschee. Tutto è stato distrutto e raso al suolo, solo la moschea di Hassan Bek, il l’Etzel Museum e la stazione rimangono ancora in piedi. Ora vi è un parco, Gan Hakovshim (Parco dei conquistatori): poco più in là si elevano le torri della City di Tel Aviv. Una volta, le vecchie case si estendevano fino al mare….., chissà come apparirebbe questa zona se le persone che hanno vissuto qui e le loro famiglie potessero tornare.
La stazione ferroviaria è oggi il principale luogo di ritrovo yuppie di Tal Aviv, conosciuto come Hatahana. Alle pareti dei magnifici edifici restaurati sono appese vecchie foto che raccontano dei Turchi e dei Templari, che sono stati qui, non una parola sui Palestinesi. Eppure, in queste fotografie, si possono riconoscere le vecchia case affollate del quartiere di Al-Mahta, dove vivevano gli arabi.
Subito a nord, Mitham Semel, cioè la vecchia Summayl, 190 case prima del ’48, campi coltivati e alberi di agrumi, una scuola (distrutta), un cimitero (distrutto), e la tomba dello sceicco (distrutta). Oggi vi si trovano invece Migdal Ham’mea, gli edifici della federazione dei lavoratori Hisdadrut, la scuola superiore ebraica di Herzliya e la sinagoga Heichal Yehuda. Sulla scogliera, dove una volta era il nucleo del villaggio, un mucchio di case ad un piano, il cui passato è stato cancellato, ed il futuro incerto, perché le vecchie case degli arabi si sono trasformate in controversie immobiliari dei nuovi venuti.
A Nordovest di qui, non lontano dalla lussuosa Akirov Tawers, tra la vegetazione ci sono i resti del villaggio di Jamassin: oggi, tra le altre cose, funge da cimitero delle automobili, - innumerevoli automobili scassate giacciono tra i rovi e le canne. Sulle vecchie case arabe sono cresciute le nuove case di Tel Aviv, recintate e circondate da giardini, e con una marea di cartelli, che qui, come altrove, invitano perentoriamente ad allontanarsi. Una volta vi abitavano centinaia di palestinesi, che a differenza degli abitanti degli altri villaggi distrutti, non si sa dove siano andati.
Infine si arriva a Shaykh Muwannis, oggi Ramat Aviv, dove, al posto della vecchia vasca di irrigazione di Paresiya e della terra coltivata sorgono oggi la casa, il giardino e la piscina dello stesso Gydeon Levy, che su questo molto ha scritto, e che è tra i pochi israeliani che con coraggio cercano di riscoprire la vera storia della Palestina.
Al posto del villaggio scomparso di Khayriyya, che significa “La benedizione della terra, oggi esiste la discarica di Tel Aviv.
LE CITTÀ DI OGGI, DOVE SI SVOLGERANNO I GIOCHI, E I VILLAGGI DISTRUTTI
TEL AVIV
I giochi si svolgeranno nello stadio BLOOMFIELD già BASA, dal quale è stato espulso il club palestinese Shabab el-Arab nel 1948. Come stadio di riserva, sempre a Tel Aviv, è stato individuato RAMAT GAN. Gli stadi ricoprono i terreni sequestrati, in base alla legge sulle proprietà degli "assenti", ad abitanti dei villaggi palestinesi di Jarisha e al-Jammasin al-Sharqi. Di seguito alcune notizie sui villaggi distrutti e sottostanti Tel Aviv.
Jarisha, era un piccolo villaggio, circondato da terre coltivate ad agrumi, che è stato completamente distrutto e ripulito dai suoi 220 abitanti. L’operazione di pulizia etnica avvenne il 1° maggio 1948, ad opera della banda dell’Irgun Zwai Leumi, nonostante fosse stata concordata una tregua. Ora è ricoperto completamente da sopraelevate e case di periferia.
Al-Jamassin. In realtà qui vi erano due villaggi gemelli, situati pochi Km a nord di Giaffa: Al-Jammasin al Sharkqi e Al-Jammasin al Gharbi, entrambi occupati e distrutti il 17 marzo del 1948, con l’eccezione di poche case che furono poi riempite da coloni ebrei. Nel dicembre del 1947, o forse nel gennaio successivo, i maggiorenti del due villaggi avevano avuto un incontro, unitamente ai rappresentanti di Shaykh al Muwannis, al-Mas’udiyya, e ai mukhtar di Arab Abu Kishk e Ijlil, con alcuni rappresentanti dell’Haganah nella casa di Avraham Schapira a Petah Tikwa. Qui avevano espresso la propria volontà di pace, assicurando che non avrebbero permesso lo stanziamento di truppe e milizie arabe nei loro villaggi. Ma le bande dell’Haganah non rispettarono il patto e tutti i villaggi subirono la distruzione e la pulizia etnica.
Al-Jammasin Al Gharbi, era un villaggio di 1253 abitanti, discendenti di nomadi provenienti dalla valle del Giordano, per la maggior parte agricoltori che coltivavano piantagioni di agrumi e cereali.
Al-Jammasin al Sharkqi, era un villaggio di 847 abitanti, che coltivavano agrumi e cereali. Anch’essi provenivano dalla valle del Giordano.
I vecchi villaggi di Al-Jammasin e parte della loro terra, sono occupati dalla Municipalità di Tel Aviv, da edifici della sua Università e dal quartiere baraccopoli di Givat Amal. Alcune case tipiche arabe risparmiate e occupate da famiglie ebree, sono ora inglobate nella grande Tel Aviv. Dove siano finiti gli abitanti, non si sa.
Al-Shaykh Muwannis. Nel 1948 contava 2,239 abitanti, che coltivavano una terra fertile quasi completamente occupata da piantagioni di agrumi e cerali. Sull’antico cimitero palestinese oggi sorgono i nuovi dormitori della Università di Tel Aviv.
Il villaggio fu occupato e quasi completamente distrutto dalle gang della Irgun Zwat Leumi il 30 marzo del 1948. Anche questo villaggio aveva partecipato alla trattativa e all’accordo con l’Haganah con i villaggi di al-Jammasin, ma furono tutti traditi. Anche gli abitanti di Al Shaykh Muwannis furono costretti a fuggire nel terrore dopo che l’Haganah aveva rapito i cinque leader del villaggio.
Nella grande Tel Aviv, che lo ricopre, sono ancora riconoscibili alcune delle vecchie case arabe di varia architettura, ora occupate da ebrei.
Salama. Nel 1948 contava 7.800 persone. La terra era quasi tutta coltivata con piantagioni di agrumi, ulivi, e cereali. Ora è completamente ricoperta dalla città di Tel Aviv. Fu occupata nel corso dell’operazione Chametz, condotta dalla famigerata brigata Alexandroni, il 25 aprile del 1948. Gli abitanti dopo una breve resistenza furono costretti a fuggire, e la cittadina fu completamente distrutta con l’eccezione di dieci case e delle scuole.
Summayl. Nel 1948 contava 190 abitanti. Nei primi del ‘900 fu rinominato al-Mas'udiyya ed ora è completamente ricoperto dalla città di Tel Aviv. Fu occupato il 25 dicembre del 1948 dalle truppe dell’Haganah. Inizialmente gli abitanti cercarono rifugio nel vicino villaggio di Jammasin, ma poi dovettero fuggire anche da quello. Da principio vi era stato un accordo di pace con l’Haganah, che però non lo rispettò ed il villaggio fu completamente distrutto, tranne una casa che restò deserta, mentre il nucleo storico vicino al mare fu trasformato per residenti ebrei.
NETANYA
Sotto la città di Netanya, ci sono due villaggi, quello di Umm Khalid e quello di Bayyarat Hannoun, entrambi a distanza di circa 15 Km da Tulkarem.
Umm Khalid, 1125 abitanti nel ’48, era situato su una collina di arenaria a distanza di soli 2 Km dal mar Mediterraneo. Resti di pietra focaia, trovati nei dintorni, fanno pensare che fosse abitato fin dai tempi preistorici. Tra i siti archeologici, vi era il Castello Lombardo di Rogers, costruito dai Crociati. Um Khalid, noto anche, per il suo clima mite, come luogo di riposo e di vacanza, era un villaggio molto fiorente circondato da coltivazioni ed alberi da frutta, irrigati da una ricca falda idrica sotterranea. Le case in pietra erano costruite attorno alla moschea, ad una scuola elementare e a quattro negozi di alimentari e tessuti.
Um Khalil fu pressoché raso al suolo, dopo che la popolazione venne terrorizzata e costretta a fuggire, il 28 marzo 1948. Stessa sorte toccò ad altri villaggi vicini. Quest’area era già stata presa da varie colonie ebree, ed era considerata dai sionisti come il cuore del futuro stato ebraico.
Le poche case rimaste in piedi sono ora usate come abitazioni da coloni ebrei o per scopi commerciali. I terreni sono coltivati con agrumi.
I giochi si svolgeranno nel Netanya Stadium, che incombe sull'unico edificio rimasto del villaggio palestinese di Bayyarat Hannun, non molto lontano dalla costa. Il 31 marzo 1948, il villaggio, è stato quasi completamente distrutto e ripulito col terrore dai suoi abitanti, nell’ambito dell’operazione Coastal Clearing (Ripulitura della costa). Ciò che resta è una casa a due piani, vuota e deserta. Dove siano andati i suoi abitanti non si sa.
PETAH TIKVA
La città si è estesa fino a ricoprire totalmente la terra e quello che una volta era il villaggio di Fajja, 1400 abitanti, sorto su antichi resti archeologici che, prima della distruzione erano ancora visibili. Il 17 febbraio del 1948 le bande terroristiche dell’Haganà e dell’Irgun terrorizzarono gli abitanti costringendoli a fuggire. La pulizia etnica fu completata il 15 maggio. Il villaggio venne completamente distrutto tranne una casa. I giochi si svolgeranno nello stadio HaMoshava
GERUSALEMME
40, furono i villaggi distrutti, e sottoposti a pulizia etnica: su di essi si è espansa la grande Gerusalemme.
Nell’aprile del ’48, truppe e bande sioniste attaccarono la città. Il 9 aprile ci fu il massacro di Deir Yassin: il villaggio fu completamente distrutto e gli abitanti massacrati. Alla fine i morti erano oltre 100. Tale massacro sparse il terrore negli altri villaggi ed iniziò la fuga. Il 14 maggio la parte nuova di Gerusalemme fu occupata, mentre 40 villaggi ad ovest della città furono in parte distrutti, e ripuliti di tutti i loro abitanti. Più di 90.000 persone, che abitavano Gerusalemme e i villaggi confinanti persero tutti loro averi e il diritto di vivere nelle loro case. Il 7 giugno 1967, le forze militari israeliane occuparono anche Gerusalemme Est, che fu annessa a Gerusalemme Ovest.
Ma il trasferimento silenzioso continua tutt’oggi. La presenza dei palestinesi a Gerusalemme infatti non si fonda su presupposti legali ma sul buon cuore di Israele. Nel 1967, le nuove autorità israeliane contarono 66.000 persone a cui venne concessa la carta di residenti: furono esclusi per sempre tutti quei palestinesi che in quel momento erano fuori città. Dal 1995 i palestinesi che non sono in grado di dimostrare che la loro vita si svolge in città, perdono lo status di residenti. Sono migliaia i Palestinesi di Gerusalemme a cui sono state ritirate le Carte di identità, e sono stati costretti a lasciare la città oppure a rimanervi da clandestini. Intere famiglie vivono separate per questo motivo. La pulizia etnica procede, attraverso questo trasferimento silenzioso, reso possibile dalle insidie della burocrazia e della pianificazione urbana, ma anche dalle quotidiane occupazioni delle case di palestinesi da parte dei coloni.
Nell’opera di distruzione dei villaggi intorno a Gerusalemme si distinse la brigata Harel di Hitzhak Rabin, futuro primo ministri e premio Nobel per la pace, che distrusse ed evacuò le case, facendole esplodere.
I giochi si svolgeranno nel TEDDY STADIUM, costruito accanto al villaggio palestinese, quasi completamente distrutto di al-Maliha, 5.798 abitanto prima dell’occupazione.
Il villaggio è stato etnicamente ripulito dai suoi abitanti il 15 luglio del 1948, ad opera di bande dell’Irgun Zvai Leumi e del Palmach. Molte case sono state distrutte ma molte esistono ancora e sono abitate da coloni ebrei. Anche la moschea è ancora in piedi col suo minareto che si erge, ormai in stato di abbandono, al centro del villaggio.
Il Teddy Stadium è anche la sede della famigerata squadra israeliana Beitar Jerusalem, i cui tifosi hanno dato alle fiamme la sede amministrativa del club nel febbraio del 2013, dopo che sono entrati nella squadra due giocatori musulmani provenienti dalla Cecenia. Un mese dopo, quando uno di loro ha segnato il suo primo gol, i tifosi hanno lasciato lo stadio. Moshe Zimmermann, uno storico dello sport presso l’Università ebraica, smentisce le affermazioni che i tifosi del Beitar Jerusalem siano solo una frangia estremista, e dichiara "Il fatto è che la società israeliana nel suo complesso diventa sempre più razzista, o almeno più etnocentrica, e questi fatti ne sono un'espressione.
A cura di BDS Italia
Note:
[1] Molte delle informazioni sono tratte da PalestineRemembered.com, che si è avvalso per le ricostruzioni di materiali tratti dagli archivi israeliani e di rapporti dell’Intelligence Militare.
[2] Da un articolo di Gideon Levy, su Haaretz del 31 agosto 2012
domenica 26 maggio 2013
Gaza, fare arte in prigione
Un'esibizione permanente a Gaza City celebra le opere dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Dipinti, manufatti e sculture che raccontano la Palestina.
di Joe Catron
Gaza, 21 maggio 2013 - Per l'ex detenuto palestinese Abdelfattah Abu Jahil, l'arte in prigione è une vittoria. "All'inizio è stato molto difficile - dice dei dipinti, delle sculture e dei manufatti prodotti durante la sua prima detenzione nel 1983 - Era proibito. Dovevamo nasconderlo dalle guardie. E dovevamo contrabbandare gli strumenti, come perle e fili, per fare arte".
Tutto è cambiato quando uno sciopero della fame di massa ha costretto l'Israeli Prison Service a permettere ai detenuti palestinesi di avere strumenti per fare arte."Le più grandi conquiste del movimento dei prigionieri sono arrivate nel 1985 - dice Abu Jahil - Abbiamo scioperato per costringere gli israeliani a fare delle concessioni. Io ho rifiutato il cibo per 79 giorni". Il loro successo ha permesso all'arte in prigione di fiorire, spiega: "Siamo stati in grado di chiedere alle nostre famiglie di mandarci il materiale, o di comprarlo nei piccoli negozi della prigione".
Oggi Abu Jahil, che è stato finalmente rilasciato dalla sua quarta detenzione nel 2002, continua a fare arte e ha come tema i detenuti e il movimento dei prigionieri a Gaza.
Collezione permanente. Con lo stipendio che il Ministero dei Prigionieri palestinese gli gira per il suo lavoro, ha realizzato molte opere per un'esibizione permanente dell'arte in prigione, ospitata dal Ministero. La collezione, che ha aperto i battenti nel 2010, occupa una stanza del quartier generale del dicastero a Gaza City, nel quartiere di Tal Al-Hawa.
Ne fanno parte lavori di ogni tipo, come un modello dorato della Cupola della Roccia fatto con dentifricio, il foglietto di rame del tubetto e schizzi su carta velina usata per avvolgere la frutta e la verdura in prigione. I pezzi più stravaganti mostrano gli effetti dell'utilizzo di nuovi materiali dal 1985 ad oggi, così come la continua partecipazione al progetto degli ex detenuti.
"Mai arrendersi". Imponenti ritratti di prigionieri veterani, paesaggi pastello di Gerusalemme e della campagna di Gaza, sculture in cartapesta della mappa della Palestina e della nave Mavi Marmara diretta a Gaza con aiuti umanitari, sono stati ovviamente fatti a Gaza o trasportati qui dalle prigioni con il consenso dell'Israeli Prison Service.
Alcuni dei manufatti più piccoli sono stati invece nascosti dai familiari in visita ai prigionieri o dagli stessi ex detenuti una volta rilasciati, raccontano gli impiegati del Ministero: "L'esibizione mostra che i palestinesi non si arrendono mai - dice la portavoce del Ministero, Mukarram Abu Alouf, che aiuta a curare la mostra - Noi possiamo essere creativi anche nelle circostanze più difficili. Mostra anche che i palestinesi, non importa di quale partito o classe siano, sono uniti".
Molte delegazioni che visitano Gaza vanno a vedere la mostra. Le università locali o altre gallerie spesso prendono in prestito alcune opere. Alcune sono state portate nella tenda di protesta che la Waed Captive and Liberators Society ha eretto nel complesso Saraya a Gaza City il 17 aprile, Giornata del Prigioniero Palestinese. Il sito è stato una della tre prigioni in cui Abu Jahil è stato detenuto: "Sono stato a Nafha, Ashkelon e Saraya. Era chiamata la galera di Gaza prima del 1994. È stata demolita dagli aerei israeliani il 28 dicembre 2008".
Emozioni. "Ho prodotto circa 50 opere di diverso genere - spiega raccontando dei sette anni di prigionia - Molte hanno a che fare con il folklore palestinese, con i contadini, i vestiti tradizionali e le vecchie case palestinesi. Un altro tipo riguarda la lotta palestinese contro l'occupazione israeliana, come la bandiera, la mappa e i combattenti. Il terzo tipo è più personale, fatto per mia madre, mia moglie, i miei figli. Sono le mie opere preferite", dice mostrando un manufatto di perle che formano un cuore e due candele che ha preparato per il giorno della mamma.
"Ci sono tante ragioni per fare arte - continua - Primo, per tenermi occupato, per non avere troppo tempo libero a non fare nulla. Secondo, per permettere alle mie emozioni di uscire. Terzo, perché è uno sforzo collettivo. Quarto, fare felici le nostre famiglie quando li ricevono. E infine, per provare al mondo che anche se sei in prigione, sotto pressione e torture, puoi ancora fare qualcosa. Le torture non hanno danneggiato il nostro stato mentale".
Rawsa Habeeb, ricercatrice ed ex detenuta artista, sottolinea che l'arte era un modo per portare l'eredità palestinese dentro le prigioni: "Amavamo farlo perché è parte della nostra cultura, di cui siamo tutti orgogliosi". L'esercito israeliano ha catturato Habeeb il 20 maggio 2007 e l'ha condannato a due anni e mezzo di carcere. Come molti altri detenuti di Gaza, è stata arrestata mentre attraversava il checkpoint di Erez per andare in Israele per ragioni mediche. È stata liberata il 4 ottobre 2009, l'ultima delle 20 prigioniere rilasciate da Israele in cambio di un video del soldato dell'IDF Gilad Shalit. Lavoro di squadra. Suo cugino, il piccolo Yousef al-Zaq, è stato il 21esimo prigioniero rilasciato in quello scambio, insieme a sua madre, Fatima al-Zaq, la zia di Habeeb. Era il giorno del suo secondo compleanno, il più giovane prigioniero del mondo. Ha iniziato a frequentare l'asilo nido a Gaza lo scorso settembre.
"Abbiamo fatto tanta arte, è parte della cultura palestinese - spiega Habeed parlando della sua detenzione nella prigione di Sharon - Preparavamo cuscini, dipinti, coperte e scatole di fazzoletti. Era un lavoro di squadra. Per esempio, quando volevamo fare un quadro ricamato, una di noi preparava il ricamo, una la cornice di legno e una il vetro. Ci siamo insegnate a vicenda come lavorare".
Mentre era in prigione, Habeed ha studiato servizi sociali. Dopo il rilascio, ha completato il corso di laurea all'università al-Azhar di Gaza City e si è focalizzata sulla vita fuori dalla prigione. "Non ho continuato a fare arte una volta fuori. Questo tipo di lavoro richiede molto tempo, che ora non ho. Ho un marito, quattro figli e un lavoro, però".
Abu Jahuil, che ha vissuto di acqua e sale per 79 giorni per ottenere pennarelli e pennelli, non ha intenzione di smettere: "I prigionieri possono essere creativi - dice - Sopravviviamo sempre. Essere arrestati e detenuti in una prigione israeliana non è la fine della nostra lotta. Continueremo sempre a lottare".
(tradotto a cura di Nena New
sabato 25 maggio 2013
Storie di ordinari soprusi, ancora pescatori arrestati a Gaza e derubati della barca
Due pescatori palestinesi arrestati nelle acque di Gaza e la loro barca confiscata
Pubblicato da Rosa Schiano a 23:05
Mahmoud Mohammed Zayed, 25 anni, e suo fratello Khaled, 24 anni, sono due giovani pescatori di Gaza. Verso le 21:00 di domenica 19 Maggio 2013, stavano pescando sulla loro piccola imbarcazione a remi nelle acque a nord di Gaza, di fronte la spiaggia di Beit Lahiya. Le forze navali israeliane, dopo aver attaccato i pescatori con colpi di arma da fuoco, li hanno arrestati e portati nel porto di Ashdod in Israele. I soldati israeliani hanno confiscato la loro barca e le reti ed hanno rilasciato i due pescatori la mattina del giorno successivo, lunedi 20 maggio.
Abbiamo incontrato Mahmoud e suo fratello Khaled nell' ufficio dell' Uawc (Union of Agricultural WorkCommittes), che si occupa di supportare con progetti ed iniziative contadini e pescatori in Gaza e nei Territori Occupati.
Il viso di Mahmoud mi era familiare.
Mentre cercavo di ricordare dove ci eravamo incontrati, lui mi ha detto che mi aveva vista nella scuola dell' Unrwa durante l'offensiva militare di novembre 2012, quando l'aviazione militare israeliana ha lanciato migliaia di volantini attraverso cui intimava la popolazione a lasciare le proprie case e centinaia di famiglie residenti nel nord della Striscia di Gaza sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni e a rifugiarsi nelle scuole dell' Unrwa in Gaza city. Raccolti a terra su materassi e coperte, si era uniti nella paura. La casa di Mahmoud poi e' stata danneggiata dai bombardamenti.
Eppure ricordavo di aver visto Mahmoud anche in un'altra occasione. Ecco, lo scorso febbraio 2012, avevo incontrato un altro membro della sua famiglia, Ahmed Zayed, anche lui arrestato dalla marina militare israeliana mentre pescava nelle acque a nord di Gaza.
E quando penso ai pescatori di Beit Lahiya, non posso non ricordare il volto di Fahmy Abu Ryash, pescatore di 23 anni ucciso il 28 settembre da un soldato israeliano mentre pescava sulla spiagga. Ucciso da proiettili ad espansione che gli hanno distrutto gli organi interni. Ho chiesto a Mahomud se l'avesse conosciuto. Mahmoud mi ha detto che tante volte avevano pescato insieme.
E cosi' qui si mischiano ricordi, esperienze comuni, che ci uniscono in un sentimento profondo di legame fraterno.
Penso allora alla vita di queste persone, scandita da lutti, da ferite, dalla resistenza quotidiana, dalla ricerca della libertà, dalla lotta per il diritto alla vita.
Mahmoud così ha iniziato a raccontarci ciò che è successo domenica: «Siamo andati a pescare verso le 17.30, con la nostra piccola barca a remi. Eravamo a circa mezzo miglio di distanza dalla spiaggia di Beit Lahiya, insieme ad altre imbarcazioni. Verso le 21.00 due motoscafi hanno iniziato ad attaccare noi e gli altri pescatori con colpi di arma da fuoco. L'attacco è durato quasi un'ora. Successivamente i soldati si sono avvicinati alla nostra barca, hanno iniziato a girare attorno a noi per creare delle onde e ci hanno gridato di fermare la barca. Abbiamo risposto che saremmo tornati a casa. C'erano 5 soldati su ogni motoscafo.
Siamo caduti in acqua, poi siamo risaliti a bordo. Khaled si è sentito male. Poi due soldati ci hanno arrestati».
Mahmoud ci ha spiegato che di solito ai pescatori viene chiesto di spogliarsi, di tuffarsi in acqua e di raggiungere a nuoto la nave israeliana. Questa volta invece i due pescatori sono stati arrestati direttamente dalla loro barca.
Una volta saliti a bordo della nave israeliana, i due pescatori sono stati bendati, ammanettati, spogliati e sono stati dati loro una maglia gialla ed un pantalone blu.
"La cosa strana - ci ha raccontato Mahmoud - è che i soldati mi hanno chiesto perchè mio fratello Khaled fosse con me sulla barca. Khaled di solito pesca su un'altra barca a motore. Ma quando ha finito il suo lavoro è venuto con me per aiutarmi». Le domande dei soldati fanno capire quanto questi tengano sotto controllo la gente di Gaza e con quali scuse arrestino i pescatori. I soldati hanno poi chiesto loro il nome, la carta d'identità, il numero dell barca. I due pescatori sono stati poi portati al porto di Ashdod in Israele. Qui i due pescatori sono stati portati all' interno di una stanza dove è stato chiesto loro nome ed identità ed il numero di telefono. Un dottore ha controllato il loro stato di salute e visitato Khaled che era malato ed a cui e' stata fatta una iniezione. «Ho chiesto loro di togliere le manette perche' mi facevano male - ci ha raccontato Mahmoud - ma hanno rifiutato» . I due hanno poi trascorso la notte in prigione, ammanettati. Il mattino seguente, ai due pescatori, in manette, e' stato posto il proprio nome sulla maglietta e sono stati fotografati. Successivamente Mahmoud e' stato interrogato. I soldati gli hanno mostrato una mappa di Gaza, e gli hanno chiesto informazioni indicando alcuni punti sulla mappa, in particolare sull'area di Soudania, poi gli hanno chiesto da quale punto di Gaza salpa in mare, successivamente i soldati gli hanno mostrato una stazione di polizia ed una pompa idraulica. Mahmoud ha chiesto della sua barca, ma i soldati gli hanno detto che per riavere la sua barca deve rivolgersi ad un avvocato. I soldati sanno benissimo che i pescatori non hanno i soldi per poter permettersi un avvocato e neanche le spese per affrontare un processo. Dopo l'interrogatorio, che e' durato 30-40 minuti, Mahmoud e' stato bendato di nuovo. Dopo circa 15 minuti, i soldati hanno ammanettato anche le gambe dei pescatori, li hanno portati in una automobile della polizia e li hanno trasportati ad Erez, dove i due pescatori sono stati rilasciati senza soldi. I pescatori avevano 100 skhekels, soldi che avevano guadagnato con a la vendita del pesce il giorno precedente.
Abbiamo chiesto ai due pescatori cosa pensassero del nuovo limite di 6 miglia nautiche imposto da Israele. Ci hanno spiegato che è un buon passo, ma che a livello economico non c'è nessun cambiamento, fatta eccezione per il periodo della pesca delle sardine. Sulle 8 miglia infatti c'è una barriera rocciosa che impedisce l'ingresso ai pesci più grandi, per cui i pescatori dovrebbero pescare oltre le 8 miglia nautiche dalla costa.
I soldati israeliani hanno confiscato la barca dei due pescatori ed anche le reti, che erano nuove.
"Questa barca era la principale fonte di guadagno per noi", ci ha detto Mahmoud.
Entrambi sono spostati ed hanno entrambi un figlio. Vivono insieme ai loro genitori ed al resto della famiglia, che conta in tutto 13 membri. Tutta la loro famiglia dipende dall'attivita' della pesca. Ora solo suo padre e suo fratello possono pescare con un'altra barca.
Abbiamo chiesto a Mahmoud se vuole lasciare un messaggio ai nostri paesi. "Vorremmo di nuovo la nostra barca. Vorremmo che la marina militare israeliana cessi gli attacchi. Chiediamo alle persone dei vistri paesi di forzare il governo israeliano ad aprire il mare, a lasciarci pescare".
Bisogna notare che l'attacco è avvenuto entro le 3 miglia nautiche dalla costa.
Israele ha progressivamente imposto restrizioni ai pescatori palestinesi sull'accesso al mare. Le 20 miglia nautiche stabilite sotto gli accordi di Jericho nel 1994 tra Israele e l'Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP), sono state ridotte a 12 miglia sotto l'Accordo Bertini nel 2002. Nel 2006, l'area acconsentita alla pesca è stata ridotta a 6 miglia nautiche dalla costa. A seguito della offensiva militare israeliana "Piombo Fuso" (2008-2009) Israele ha imposto un limite di 3 miglia nautiche dalla costa, impedendo ai palestinesi l'accesso all' 85% delle acque a cui hanno diritto secondo gli accordi di Jericho del 1994.
Gli accordi raggiunti tra Israele e la resistenza palestinese dopo l'offensiva militare israeliana di novembre 2012, "Pilastro di Difesa", hanno acconsentio ai pescatori di Gaza di raggiugere nuovamente le 6 miglia nautiche dalla costa. Nonostante questi accordi, la marina militare israeliana non ha cessato gli attacchi contro i pescatori di Gaza, anche all'interno di questo limite. A Marzo 2013, Israele ha imposto nuovamente un limite di 3 miglia nautiche dalla costa, affermando che tale decisione era stata presa a seguito dell'invio di alcuni razzi palestinesi verso il sul di Israele. Mercoledi' 22 maggio, le autorità militari israeliane hanno diffuso attraverso alcuni media la decisione di estendere nuovamente il limite a 6 miglia nautiche dalla costa.
Ci uniamo all'appello dei pescatori e chiediamo ai nostri governi di pressare Israele affinché smetta di attaccare ed arrestare i pescatori palestinesi e perché consenta loro di pescare liberamente.
Pubblicato da Rosa Schiano a 23:05
Mahmoud Mohammed Zayed, 25 anni, e suo fratello Khaled, 24 anni, sono due giovani pescatori di Gaza. Verso le 21:00 di domenica 19 Maggio 2013, stavano pescando sulla loro piccola imbarcazione a remi nelle acque a nord di Gaza, di fronte la spiaggia di Beit Lahiya. Le forze navali israeliane, dopo aver attaccato i pescatori con colpi di arma da fuoco, li hanno arrestati e portati nel porto di Ashdod in Israele. I soldati israeliani hanno confiscato la loro barca e le reti ed hanno rilasciato i due pescatori la mattina del giorno successivo, lunedi 20 maggio.
Abbiamo incontrato Mahmoud e suo fratello Khaled nell' ufficio dell' Uawc (Union of Agricultural WorkCommittes), che si occupa di supportare con progetti ed iniziative contadini e pescatori in Gaza e nei Territori Occupati.
Il viso di Mahmoud mi era familiare.
Mentre cercavo di ricordare dove ci eravamo incontrati, lui mi ha detto che mi aveva vista nella scuola dell' Unrwa durante l'offensiva militare di novembre 2012, quando l'aviazione militare israeliana ha lanciato migliaia di volantini attraverso cui intimava la popolazione a lasciare le proprie case e centinaia di famiglie residenti nel nord della Striscia di Gaza sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni e a rifugiarsi nelle scuole dell' Unrwa in Gaza city. Raccolti a terra su materassi e coperte, si era uniti nella paura. La casa di Mahmoud poi e' stata danneggiata dai bombardamenti.
Eppure ricordavo di aver visto Mahmoud anche in un'altra occasione. Ecco, lo scorso febbraio 2012, avevo incontrato un altro membro della sua famiglia, Ahmed Zayed, anche lui arrestato dalla marina militare israeliana mentre pescava nelle acque a nord di Gaza.
E quando penso ai pescatori di Beit Lahiya, non posso non ricordare il volto di Fahmy Abu Ryash, pescatore di 23 anni ucciso il 28 settembre da un soldato israeliano mentre pescava sulla spiagga. Ucciso da proiettili ad espansione che gli hanno distrutto gli organi interni. Ho chiesto a Mahomud se l'avesse conosciuto. Mahmoud mi ha detto che tante volte avevano pescato insieme.
E cosi' qui si mischiano ricordi, esperienze comuni, che ci uniscono in un sentimento profondo di legame fraterno.
Penso allora alla vita di queste persone, scandita da lutti, da ferite, dalla resistenza quotidiana, dalla ricerca della libertà, dalla lotta per il diritto alla vita.
Mahmoud così ha iniziato a raccontarci ciò che è successo domenica: «Siamo andati a pescare verso le 17.30, con la nostra piccola barca a remi. Eravamo a circa mezzo miglio di distanza dalla spiaggia di Beit Lahiya, insieme ad altre imbarcazioni. Verso le 21.00 due motoscafi hanno iniziato ad attaccare noi e gli altri pescatori con colpi di arma da fuoco. L'attacco è durato quasi un'ora. Successivamente i soldati si sono avvicinati alla nostra barca, hanno iniziato a girare attorno a noi per creare delle onde e ci hanno gridato di fermare la barca. Abbiamo risposto che saremmo tornati a casa. C'erano 5 soldati su ogni motoscafo.
Siamo caduti in acqua, poi siamo risaliti a bordo. Khaled si è sentito male. Poi due soldati ci hanno arrestati».
Mahmoud ci ha spiegato che di solito ai pescatori viene chiesto di spogliarsi, di tuffarsi in acqua e di raggiungere a nuoto la nave israeliana. Questa volta invece i due pescatori sono stati arrestati direttamente dalla loro barca.
Una volta saliti a bordo della nave israeliana, i due pescatori sono stati bendati, ammanettati, spogliati e sono stati dati loro una maglia gialla ed un pantalone blu.
"La cosa strana - ci ha raccontato Mahmoud - è che i soldati mi hanno chiesto perchè mio fratello Khaled fosse con me sulla barca. Khaled di solito pesca su un'altra barca a motore. Ma quando ha finito il suo lavoro è venuto con me per aiutarmi». Le domande dei soldati fanno capire quanto questi tengano sotto controllo la gente di Gaza e con quali scuse arrestino i pescatori. I soldati hanno poi chiesto loro il nome, la carta d'identità, il numero dell barca. I due pescatori sono stati poi portati al porto di Ashdod in Israele. Qui i due pescatori sono stati portati all' interno di una stanza dove è stato chiesto loro nome ed identità ed il numero di telefono. Un dottore ha controllato il loro stato di salute e visitato Khaled che era malato ed a cui e' stata fatta una iniezione. «Ho chiesto loro di togliere le manette perche' mi facevano male - ci ha raccontato Mahmoud - ma hanno rifiutato» . I due hanno poi trascorso la notte in prigione, ammanettati. Il mattino seguente, ai due pescatori, in manette, e' stato posto il proprio nome sulla maglietta e sono stati fotografati. Successivamente Mahmoud e' stato interrogato. I soldati gli hanno mostrato una mappa di Gaza, e gli hanno chiesto informazioni indicando alcuni punti sulla mappa, in particolare sull'area di Soudania, poi gli hanno chiesto da quale punto di Gaza salpa in mare, successivamente i soldati gli hanno mostrato una stazione di polizia ed una pompa idraulica. Mahmoud ha chiesto della sua barca, ma i soldati gli hanno detto che per riavere la sua barca deve rivolgersi ad un avvocato. I soldati sanno benissimo che i pescatori non hanno i soldi per poter permettersi un avvocato e neanche le spese per affrontare un processo. Dopo l'interrogatorio, che e' durato 30-40 minuti, Mahmoud e' stato bendato di nuovo. Dopo circa 15 minuti, i soldati hanno ammanettato anche le gambe dei pescatori, li hanno portati in una automobile della polizia e li hanno trasportati ad Erez, dove i due pescatori sono stati rilasciati senza soldi. I pescatori avevano 100 skhekels, soldi che avevano guadagnato con a la vendita del pesce il giorno precedente.
Abbiamo chiesto ai due pescatori cosa pensassero del nuovo limite di 6 miglia nautiche imposto da Israele. Ci hanno spiegato che è un buon passo, ma che a livello economico non c'è nessun cambiamento, fatta eccezione per il periodo della pesca delle sardine. Sulle 8 miglia infatti c'è una barriera rocciosa che impedisce l'ingresso ai pesci più grandi, per cui i pescatori dovrebbero pescare oltre le 8 miglia nautiche dalla costa.
I soldati israeliani hanno confiscato la barca dei due pescatori ed anche le reti, che erano nuove.
"Questa barca era la principale fonte di guadagno per noi", ci ha detto Mahmoud.
Entrambi sono spostati ed hanno entrambi un figlio. Vivono insieme ai loro genitori ed al resto della famiglia, che conta in tutto 13 membri. Tutta la loro famiglia dipende dall'attivita' della pesca. Ora solo suo padre e suo fratello possono pescare con un'altra barca.
Abbiamo chiesto a Mahmoud se vuole lasciare un messaggio ai nostri paesi. "Vorremmo di nuovo la nostra barca. Vorremmo che la marina militare israeliana cessi gli attacchi. Chiediamo alle persone dei vistri paesi di forzare il governo israeliano ad aprire il mare, a lasciarci pescare".
Bisogna notare che l'attacco è avvenuto entro le 3 miglia nautiche dalla costa.
Israele ha progressivamente imposto restrizioni ai pescatori palestinesi sull'accesso al mare. Le 20 miglia nautiche stabilite sotto gli accordi di Jericho nel 1994 tra Israele e l'Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP), sono state ridotte a 12 miglia sotto l'Accordo Bertini nel 2002. Nel 2006, l'area acconsentita alla pesca è stata ridotta a 6 miglia nautiche dalla costa. A seguito della offensiva militare israeliana "Piombo Fuso" (2008-2009) Israele ha imposto un limite di 3 miglia nautiche dalla costa, impedendo ai palestinesi l'accesso all' 85% delle acque a cui hanno diritto secondo gli accordi di Jericho del 1994.
Gli accordi raggiunti tra Israele e la resistenza palestinese dopo l'offensiva militare israeliana di novembre 2012, "Pilastro di Difesa", hanno acconsentio ai pescatori di Gaza di raggiugere nuovamente le 6 miglia nautiche dalla costa. Nonostante questi accordi, la marina militare israeliana non ha cessato gli attacchi contro i pescatori di Gaza, anche all'interno di questo limite. A Marzo 2013, Israele ha imposto nuovamente un limite di 3 miglia nautiche dalla costa, affermando che tale decisione era stata presa a seguito dell'invio di alcuni razzi palestinesi verso il sul di Israele. Mercoledi' 22 maggio, le autorità militari israeliane hanno diffuso attraverso alcuni media la decisione di estendere nuovamente il limite a 6 miglia nautiche dalla costa.
Ci uniamo all'appello dei pescatori e chiediamo ai nostri governi di pressare Israele affinché smetta di attaccare ed arrestare i pescatori palestinesi e perché consenta loro di pescare liberamente.
sabato 11 maggio 2013
La coppa UEFA Under 21 si giocherà in città sorte in gran parte su villaggi palestinesi distrutti nella Nakba del 1948
10 Maggio 2013
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I villaggi palestinesi distrutti tra il ’47 e il ’48, e cancellati dalla faccia della terra, in quella che è chiamata la Nakba (catastrofe), furono 532: gli abitanti, 750.000 ma secondo alcune fonti 900.000 furono cacciati con la forza o uccisi.[1]
I prossimi campionati EUFA Under 21 si svolgeranno in quattro città, Gerusalemme, Tel Aviv, Nethania e Petah Tikva, che in parte sono state costruite o si sono estese al di sopra dei villaggi distrutti.
Prima di presentare la ricognizione dei villaggi distrutti sulle cui fondamenta oggi sorgono le quattro città, o loro parti, che ospiteranno i giuochi, presentiamo una sintesi di uno scritto di Gideon Levy, che così titola il suo racconto sui villaggi palestinesi distrutti e nascosti sotto Tel Aviv.[2]
“La nostra amata Tel Aviv, la cui reputazione di città illuminata ed aperta è famosa nel mondo
è costruita in parte sulle rovine dei villaggi palestinesi – e rifiuta di riconoscerlo”.
Uno dei corsi più importanti, e più orrendi, di Tel Aviv, il Jerusalem Boulevard di Tel Aviv-Jaffa, una volta si chiamava Jamal Pashà Boulevard e poi Al Nazha Bouleward. Le strade di questa città che una volta era araba e ora è mista, portano nomi di rabbini, i vecchi nomi arabi sono quasi scomparsi e al posto dei villaggi ora ci sono quartieri ebrei.
Kfar Shalem, una volta Salama, dove il passato fa capolino tra le torri di nuovi appartamenti e vecchie case, svuotate dai loro originari abitanti. Qui vivevano circa 7.800 persone, ancora si vede una moschea abbandonata il cui ingresso è sbarrato su ogni lato. Sopra quello che era un cimitero, tra antichi eucalipti, ora ci sono un parco giochi ed un giardino pubblico.
La vecchia casa del MUkhtar, l’anziano del villaggio, è ancora in piedi, ma solo le verande sono ancora di costruzione araba, tutto il resto sono aggiunte, come molte altre case del quartiere che vennero invase. In una vecchia scuola del villaggio oggi vi è un istituto di riabilitazione. La torre di appartamenti che oggi cresce sul perimetro dell’ex villaggio si chiama “Tel Avivi – il vostro angolino di paradiso in città”.
A Nordovest di qui c’era il quartiere di Al Manshyya: nel 48 vi abitavano 12.000 residenti, tutti Palestinesi, sia cristiani che musulmani, e vi erano 20 caffè, 14 falegnamerie, 12 panifici, 10 lavanderie, 4 scuole, 3 negozi di biciclette, 3 farmacie e 4 moschee. Tutto è stato distrutto e raso al suolo, solo la moschea di Hassan Bek, il l’Etzel Museum e la stazione rimangono ancora in piedi. Ora vi è un parco, Gan Hakovshim (Parco dei conquistatori): poco più in là si elevano le torri della City di Tel Aviv. Una volta, le vecchie case si estendevano fino al mare….., chissà come apparirebbe questa zona se le persone che hanno vissuto qui e le loro famiglie potessero tornare.
La stazione ferroviaria è oggi il principale luogo di ritrovo yuppie di Tal Aviv, conosciuto come Hatahana. Alle pareti dei magnifici edifici restaurati sono appese vecchie foto che raccontano dei Turchi e dei Templari, che sono stati qui, non una parola sui Palestinesi. Eppure, in queste fotografie, si possono riconoscere le vecchia case affollate del quartiere di Al-Mahta, dove vivevano gli arabi.
Subito a nord, Mitham Semel, cioè la vecchia Summayl, 190 case prima del ’48, campi coltivati e alberi di agrumi, una scuola (distrutta), un cimitero (distrutto), e la tomba dello sceicco (distrutta). Oggi vi si trovano invece Migdal Ham’mea, gli edifici della federazione dei lavoratori Hisdadrut, la scuola superiore ebraica di Herzliya e la sinagoga Heichal Yehuda. Sulla scogliera, dove una volta era il nucleo del villaggio, un mucchio di case ad un piano, il cui passato è stato cancellato, ed il futuro incerto, perché le vecchie case degli arabi si sono trasformate in controversie immobiliari dei nuovi venuti.
A Nordovest di qui, non lontano dalla lussuosa Akirov Tawers, tra la vegetazione ci sono i resti del villaggo di Jamassin: oggi, tra le altre cose, funge da cimitero delle automobili, - innumerevoli automobili scassate giacciono tra i rovi e le canne. Sulle vecchie case arabe sono cresciute le nuove case di Tel Aviv, recintate e circondate da giardini, e con una marea di cartelli, che qui, come altrove, invitano perentoriamente ad allontanarsi. Una volta vi abitavano centinaia di palestinesi, che a differenza degli abitanti degli altri villaggi distrutti, non si sa dove siano andati.
Infine si arriva a Shaykh Muwannis, oggi Ramat Aviv, dove, al posto della vecchia vasca di irrigazione di Paresiya e della terra coltivata sorgono oggi la casa, il giardino e la piscina dello stesso Gydeon Levy, che su questo molto ha scritto, e che è tra i pochi israeliani che con coraggio cercano di riscoprire la vera storia della Palestina.
Al posto del villaggio scomparso di Khayriyya, che significa “La benedizione della terra, oggi esiste la discarica di Tel Aviv.
LE CITTÀ DI OGGI, DOVE SI SVOLGERANNO I GIOCHI, E I VILLAGGI DISTRUTTI
TEL AVIV
I giochi si svolgeranno nello stadio BLOOMFIELD già BASA, dal quale è stato espulso il club palestinese Shabab el-Arab nel 1948. Come stadio di riserva, sempre a Tel Aviv, è stato individuato RAMAT GAN. Gli stadi ricoprono i terreni sequestrati, in base alla legge sulle proprietà degli "assenti", ad abitanti dei villaggi palestinesi di Jarisha e al-Jammasin al-Sharqi. Di seguito alcune notizie sui villaggi distrutti e sottostanti Tel Aviv.
Jarisha, era un piccolo villaggio, circondato da terre coltivate ad agrumi, che è stato completamente distrutto e ripulito dai suoi 220 abitanti. L’operazione di pulizia etnica avvenne il 1° maggio 1948, ad opera della banda dell’Irgun Zwai Leumi, nonostante fosse stata concordata una tregua. Ora è ricoperto completamente da sopraelevate e case di periferia.
Al-Jamassin. In realtà qui vi erano due villaggi gemelli, situati pochi Km a nord di Giaffa: Al-Jammasin al Sharkqi e Al-Jammasin al Gharbi, entrambi occupati e distrutti il 17 marzo del 1948, con l’eccezione di poche case che furono poi riempite da coloni ebrei. Nel dicembre del 1947, o forse nel gennaio successivo, i maggiorenti del due villaggi avevano avuto un incontro, unitamente ai rappresentanti di Shaykh al Muwannis, al-Mas’udiyya, e ai mukhtar di Arab Abu Kishk e Ijlil, con alcuni rappresentanti dell’Haganah nella casa di Avraham Schapira a Petah Tikwa. Qui avevano espresso la propria volontà di pace, assicurando che non avrebbero permesso lo stanziamento di truppe e milizie arabe nei loro villaggi. Ma le bande dell’Haganah non rispettarono il patto e tutti i villaggi subirono la distruzione e la pulizia etnica.
Al-Jammasin Al Gharbi, era un villaggio di 1253 abitanti, discendenti di nomadi provenienti dalla valle del Giordano, per la maggior parte agricoltori che coltivavano piantagioni di agrumi e cereali.
Al-Jammasin al Sharkqi, era un villaggio di 847 abitanti, che coltivavano agrumi e cereali. Anch’essi provenivano dalla valle del Giordano.
I vecchi villaggi di Al-Jammasin e parte della loro terra, sono occupati dalla Municipalità di Tel Aviv, da edifici della sua Università e dal quartiere baraccopoli di Givat Amal. Alcune case tipiche arabe risparmiate e occupate da famiglie ebree, sono ora inglobate nella grande Tel Aviv. Dove siano finiti gli abitanti, non si sa.
Al-Shaykh Muwannis. Nel 1948 contava 2,239 abitanti, che coltivavano una terra fertile quasi completamente occupata da piantagioni di agrumi e cerali. Sull’antico cimitero palestinese oggi sorgono i nuovi dormitori della Università di Tel Aviv.
Il villaggio fu occupato e quasi completamente distrutto dalle gang della Irgun Zwat Leumi il 30 marzo del 1948. Anche questo villaggio aveva partecipato alla trattativa e all’accordo con l’Haganah con i villaggi di al-Jammasin, ma furono tutti traditi. Anche gli abitanti di Al Shaykh Muwannis furono costretti a fuggire nel terrore dopo che l’Haganah aveva rapito i cinque leader del villaggio.
Nella grande Tel Aviv, che lo ricopre, sono ancora riconoscibili alcune delle vecchie case arabe di varia architettura, ora occupate da ebrei.
Salama. Nel 1948 contava 7.800 persone. La terra era quasi tutta coltivata con piantagioni di agrumi, ulivi, e cereali. Ora è completamente ricoperta dalla città di Tel Aviv. Fu occupata nel corso dell’operazione Chametz, condotta dalla famigerata brigata Alexandroni, il 25 aprile del 1948. Gli abitanti dopo una breve resistenza furono costretti a fuggire, e la cittadina fu completamente distrutta con l’eccezione di dieci case e delle scuole.
Summayl. Nel 1948 contava 190 abitanti. Nei primi del ‘900 fu rinominato al-Mas'udiyya ed ora è completamente ricoperto dalla città di Tel Aviv. Fu occupato il 25 dicembre del 1948 dalle truppe dell’Haganah. Inizialmente gli abitanti cercarono rifugio nel vicino villaggio di Jammasin, ma poi dovettero fuggire anche da quello. Da principio vi era stato un accordo di pace con l’Haganah, che però non lo rispettò ed il villaggio fu completamente distrutto, tranne una casa che restò deserta, mentre il nucleo storico vicino al mare fu trasformato per residenti ebrei.
NETANYA
Sotto la città di Netanya, ci sono due villaggi, quello di Umm Khalid e quello di Bayyarat Hannoun, entrambi a distanza di circa 15 Km da Tulkarem.
Umm Khalid, 1125 abitanti nel ’48, era situato su una collina di arenaria a distanza di soli 2 Km dal mar Mediterraneo. Resti di pietra focaia, trovati nei dintorni, fanno pensare che fosse abitato fin dai tempi preistorici. Tra i siti archeologici, vi era il Castello Lombardo di Rogers, costruito dai Criociati. Um Khalid, noto anche, per il suo clima mite, come luogo di riposo e di vacanza, era un villaggio molto fiorente circondato da coltivazioni ed alberi da frutta, irrigati da una ricca falda idrica sotterranea. Le case in pietra erano costruite attorno alla moschea, ad una scuola elementare e a quattro negozi di alimentari e tessuti.
Um Khalil fu pressochè raso al suolo, dopo che la popolazione venne terrorizzata e costretta a fuggire, il 28 marzo 1948. Stessa sorte toccò ad altri villaggi vicini. Quest’area era già stata presa da varie colonie ebree, ed era considerata dai sionisti come il cuore del futuro stato ebraico.
Le poche case rimaste in piedi sono ora usate come abitazioni da coloni ebrei o per scopi commerciali. I terreni sono coltivati con agrumi.
I giochi si svolgeranno nel Netanya Stadium, che incombe sull'unico edificio rimasto del villaggio palestinese di Bayyarat Hannun, non molto lontano dalla costa. Il 31 marzo 1948, il villaggio, è stato quasi completamente distrutto e ripulito col terrore dai suoi abitanti, nell’ambito dell’operazione Coastal Clearing (Ripulitura della costa). Ciò che resta è una casa a due piani, vuota e deserta. Dove siano andati i suoi abitanti non si sa.
PETAH TIKVA
La città si è estesa fino a ricoprire totalmente la terra e quello che una volta era il villaggio di Fajja, 1400 abitanti, sorto su antichi resti archeologici che, prima della distruzione erano ancora visibili. Il 17 febbraio del 1948 le bande terroristiche dell’Haganà e dell’Irgun terrorizzarono gli abitanti costringendoli a fuggire. La pulizia etnica fu completata il 15 maggio. Il villaggio venne completamente distrutto tranne una casa. I giochi si svolgeranno nello stadio HaMoshava
GERUSALEMME
40, furono i villaggi distrutti, e sottoposti a pulizia etnica: su di essi si è espansa la grande Gerusalemme.
Nell’aprile del ’48, truppe e bande sioniste attaccarono la città. Il 9 aprile ci fu il massacro di Deir Yassin: il villaggio fu completamente distrutto e gli abitanti massacrati. Alla fine i morti erano oltre 100. Tale massacro sparse il terrore negli altri villaggi ed iniziò la fuga. Il 14 maggio la parte nuova di Gerusalemme fu occupata, mentre 40 villaggi ad ovest della città furono in parte distrutti, e ripuliti di tutti i loro abitanti. Più di 90.000 persone, che abitavano Gerusalemme e i villaggi confinanti persero tutti loro averi e il diritto di vivere nelle loro case. Il 7 giugno 1967, le forze militari israeliane occuparono anche Gerusalemme Est, che fu annessa a Gerusalemme Ovest.
Ma il trasferimento silenzioso continua tutt’oggi. La presenza dei palestinesi a Gerusalemme infatti non si fonda su presupposti legali ma sul buon cuore di Israele. Nel 1967, le nuove autorità israeliane contarono 66.000 persone a cui venne concessa la carta di residenti: furono esclusi per sempre tutti quei palestinesi che in quel momento erano fuori città. Dal 1995 i palestinesi che non sono in grado di dimostrare che la loro vita si svolge in città, perdono lo status di residenti. Sono migliaia i Palestinesi di Gerusalemme a cui sono state ritirate le Carte di identità, e sono stati costretti a lasciare la città oppure a rimanervi da clandestini. Intere famiglie vivono separate per questo motivo. La pulizia etnica procede, attraverso questo trasferimento silenzioso, reso possibile dalle insidie della burocrazia e della pianificazione urbana, ma anche dalle quotidiane occupazioni delle case di palestinesi da parte dei coloni.
Nell’opera di distruzione dei villaggi intorno a Gerusalemme si distinse la brigata Harel di Hitzhak Rabin, futuro primo ministri e premio Nobel per la pace, che distrusse ed evacuò le case, facendole esplodere.
I giochi si svolgeranno nel TEDDY STADIUM, costruito accanto al villaggio palestinese, quasi completamente distrutto di al-Maliha, 5.798 abitanto prima dell’occupazione.
Il villaggio è stato etnicamente ripulito dai suoi abitanti il 15 luglio del 1948, ad opera di bande dell’Irgun Zvai Leumi e del Palmach. Molte case sono state distrutte ma molte esistono ancora e sono abitate da coloni ebrei. Anche la moschea è ancora in piedi col suo minareto che si erge, ormai in stato di abbandono, al centro del villaggio.
Il Teddy Stadium è anche la sede della famigerata squadra israeliana Beitar Jerusalem, i cui tifosi hanno dato alle fiamme la sede amministrativa del club nel febbraio del 2013, dopo che sono entrati nella squadra due giocatori musulmani provenienti dalla Cecenia. Un mese dopo, quando uno di loro ha segnato il suo primo gol, i tifosi hanno lasciato lo stadio. Moshe Zimmermann, uno storico dello sport presso l’Università ebraica, smentisce le affermazioni che i tifosi del Beitar Jerusalem siano solo una frangia estremista, e dichiara "Il fatto è che la società israeliana nel suo complesso diventa sempre più razzista, o almeno più etnocentrica, e questi fatti ne sono un'espressione.
A cura di BDS Italia
Note:
[1] Molte delle informazioni sono tratte da PalestineRemembered.com, che si è avvalso per le ricostruzioni di materiali tratti dagli archivi israeliani e di rapporti dell’Intelligence Militare.
[2] Da un articolo di Gideon Levy, su Haaretz del 31 agosto 2012
mercoledì 8 maggio 2013
ONU: "I ribelli usano armi chimiche"
La commissione d'inchiesta sulla Siria accusa le opposizioni. Resta alta la tensione tra Siria e Israele. Gli Stati Uniti non sapevano dei raid contro Damasco.
dalla redazione
Gerusalemme, 6 maggio 2013, Nena News - Mentre il mondo occidentale affila le armi contro il regime del presidente siriano Bashar al-Assad, le Nazioni Unite accusano i "ribelli" dell'utilizzo di gas nervino, la cosiddetta "linea rossa" per la quale Damasco rischia l'intervento esterno.
Ieri la commissione di inchiesta sulla Siria dell'Onu ha presentato un rapporto nella quale una serie di testimonianze raccolte tra lo staff medico siriano indicano l'utilizzo di armi chimiche da parte dei gruppi di opposizione. Nessuna prova, invece, che tali armi siano state usate anche dal governo siriano.
A presentare il rapporto è stata Carla Del Ponte, ex procuratore del Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia: "I nostri investigatori sono stati nei Paesi vicini per intervistare vittime, medici e ospedali da campo e, secondo i rapporti che hanno presentato la scorsa settimana, ci sono sospetti concreti e forti - seppur non prove incontrovertibili - dell'utilizzo di gas nervino. L'uso è avvenuto da parte delle opposizioni, dei ribelli, e non del governo".
I giorni scorsi sono stati caratterizzati da una tensione latente, dopo le deboli accuse mosse da Washington al presidente Assad: Obama aveva più volte ripetuto di avere in mano elementi che facevano pensare all'utilizzo di armi chimiche, senza però poter specificare chi, quando e dove le aveva utilizzate. Un modo delicato, forse, per preparare un intervento esterno dopo due anni di guerra civile.
E se Obama non aveva ancora intenzione di lanciare un vero e proprio intervento esterno, come al solito, Tel Aviv ha agito indisturbata. Due notti di attacchi quelle perpetrate dall'aviazione israeliana contro Damasco, sabato e domenica. Oggi i venti di guerra tacciono, ma Israele si prepara: due batterie anti-missile Iron Dome sono state posizionate al confine Nord del Paese, ad Haifa e a Safed. I voli civili verso il Nord d'Israele sono stati temporaneamente cancellati, fino a giovedì.
Un'azione-reazione seguita alle parole del ministro dell'Informazione siriano, Omran Zoubi: "L'aggressione israeliana apre le porte ad ogni possibilità e conferma l'organica correlazione tra i gruppi terroristi e il nemico israeliano". Da parte sua il vice ministro degli Esteri ha definito l'aggressione al pari di una dichiarazione di guerra.
L'iniziativa israeliana, secondo fonti diplomatiche europee e statunitensi, non era esplicitamente nota ai governi occidentali. Israele aveva avvertito che avrebbe potuto agire in futuro per fermare il trasferimento di missili ad Hezbollah, ma senza indicare quando né come. Tel Aviv non aveva avvertito nessuno, tantomeno Washington, dell'azione: un funzionario dell'intelligence Usa, in condizione di anonimato, ha detto che gli Stati Uniti hanno saputo dei raid solo "dopo il fatto". Nena News
NO ALL’OCCUPAZIONE, NO AL RAZZISMO, NO ALL’APARTHEID, NO AGLI EUROPEI DI CALCIO IN ISRAELE!
NO ALL’OCCUPAZIONE, NO AL RAZZISMO, NO ALL’APARTHEID, NO AGLI EUROPEI DI CALCIO IN ISRAELE!
http://www.freedomflotilla.it/wp-content/uploads/2013/05/GazaStadium.jpg
Lo stadio di Gaza bombardato dall’aviazione israeliana nel novembre 2012
Dal prossimo 5 giugno, si svolgerà la fase finale degli Europei di calcio under 21, per i quali si è qualificata anche la Nazionale italiana. Il torneo si giocherà in Israele.
A noi sembra assurdo che si possa tenere una manifestazione sportiva in uno Stato che non solo occupa e colonizza da decenni la terra di un altro popolo – il popolo palestinese – ma impedisce al popolo sottomesso anche di praticare una qualsiasi attività sportiva, calcio compreso.
Per restare alla più stretta attualità, lo Stato di Israele ha bombardato e distrutto lo stadio di Gaza, ha impedito alle atlete ed agli atleti di Gaza di partecipare alla maratona di Betlemme ed ha tenuto in carcere per tre anni senza processo e senza accuse Mahmoud Sarsak, giocatore della Nazionale di calcio palestinese. Grazie alla mobilitazione degli sportivi e dell’opinione pubblica internazionale, ora Mahmoud è libero, ma restano in carcere senza processo altri due nazionali palestinesi, Omar Abu Rouis e Mohammed Nemer.
La pratica dello sport continua ad essere negata ai Palestinesi, come sono negati loro dall’occupazione israeliana tutti i diritti umani fondamentali. Prendendo atto di questa situazione, ci chiediamo come sia possibile pensare che una manifestazione sportiva importante come gli Europei di calcio under 21 possa svolgersi in un Paese che nega a milioni di persone i diritti umani fondamentali, compreso quello di praticare lo sport.
Noi non siamo disposti a far finta di nulla. Intendiamo informare l’opinione pubblica italiana e tutti gli sportivi della realtà in cui milioni di Palestinesi sono costretti a vivere sotto il tallone di ferro dell’occupazione israeliana, una realtà inaccettabile per ogni uomo ed ogni donna amanti della giustizia, dei diritti umani e dello sport inteso come messaggio di fratellanza. Per questo motivo, pensiamo che i calciatori italiani debbano rifiutarsi di partecipare ad un torneo che servirebbe principalmente a diffondere l’immagine di Israele come un Paese “normale”, rinnovando la vergogna dei Mondiali giocati nel 1978 nell’Argentina insanguinata dei generali fascisti e stragisti.
Ci rivolgiamo a tutti i democratici, alle donne ed agli uomini che amano lo sport e pensano che debba affratellarci e non dividerci: boicottiamo la partecipazione italiana agli Europei di calcio under 21 in Israele. Boicottiamo l’occupazione, boicottiamo il razzismo di uno Stato che impedisce a milioni di Palestinesi anche di partecipare alle competizioni sportive.
Manifestiamo nelle strade e nelle piazze la nostra opposizione a questa colossale ipocrisia. Manifestiamo la nostra indignazione, mobilitandoci in occasione del ritiro della Nazionale italiana.
De Coubertin diceva che lo spirito olimpico si manifesta nella partecipazione, al di là della vittoria o della sconfitta: se a qualcuno viene impedito di partecipare, lo sport è morto.
Coordinamento Freedom Flotilla Italia
Info e adesioni a roma@freedomflotilla.it
domenica 5 maggio 2013
Comunicato stampa della Campagna per l’Amore in Tempo di Apartheid sull’estensione della Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele. *
(Il seguente comunicato è stato pubblicato da The Love in the Time of Apartheid Campaign il 23.04.2013)
Il regime di Apartheid israeliano che si autoproclama una “democrazia”, ha esteso la Legge razzista sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele (Disposizione Temporanea) per la tredicesima volta in 11 anni, ignorando le sofferenze di decine di migliaia di famiglie palestinesi.
Il 14 aprile 2013, il governo di occupazione e apartheid dello Stato di Israele ha esteso per l’undicesimo anno di fila la Legge razzista sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele (Disposizione Temporanea).
Oggi, lunedì 22 aprile 2013, il parlamento israeliano ha ratificato l’estensione della legge per la tredicesima volta dal 2003. La legge ignora le sofferenze di decine di migliaia di famiglie palestinesi, cui sono negati i diritti più elementari, come ad esempio il diritto di condurre una vita familiare dignitosa sotto lo stesso tetto. Essa denota pure il completo disprezzo del regime israeliano di apartheid e di occupazione per le risoluzioni delle Nazioni Unite. Diversi organismi delle Nazioni Unite hanno condannato la Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele (Disposizione Temporanea) per violazione del diritto internazionale, in particolare il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR), [1] la Convenzione sui Diritti del Bambino (CRC), [2] e la Convenzione sulla Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne (CEDAW) [3]. Il Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti Umani, ad esempio, ha richiesto esplicitamente la revoca di tale legge nel 2003 e nel 2010 [4]. Il Comitato delle Nazioni Unite sull’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) ha pure richiesto diverse volte la revoca di tale legge razzista [5]. (Dettagli sulle violazioni delle norme del diritto internazionale e sulle varie dichiarazioni di condanna da parte degli organismi internazionali sono nell’allegato giuridico).
L’arbitraria e razzista Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele (Disposizione Temporanea) impedisce alle famiglie palestinesi di condurre una vita familiare dignitosa e di usufruire dei propri diritti sociali, civili e di altro tipo. La legge è stata approvata dal governo nel 2002 come Disposizione di Sospensione Temporanea ed è stata poi approvata dalla Knesset Israeliana; è stata emendata più volte, mentre sono stati respinti i vari ricorsi presentati alla Corte Suprema da diverse organizzazioni per i diritti umani e giuridici. Più di recente, l’11 gennaio 2012, la Corte Suprema ha rimarcato nuovamente la “costituzionalità” di tale legge (Delibera 466/07), che era stata definita “razzista” da esperti di diritto internazionale provenienti da diversi paesi del mondo.
La Campagna “Amore al Tempo dell’Apartheid” è una parte inscindibile della lotta del popolo palestinese contro l’occupazione israeliana e l’Apartheid che ogni giorno viola la nostra dignità. Pertanto invitiamo il popolo palestinese a opporsi a questa legge razzista con tutti i mezzi possibili, dei quali il più importante è l’approfondimento dei legami sociali, nazionali, familiari e culturali tra tutte le persone del nostro popolo ovunque ci troviamo, a prescindere dal luogo di residenza e dal tipo di documenti che siamo costretti ad avere. La Campagna invita inoltre le istituzioni della società civile palestinese a mobilitarsi, ognuno in base alle proprie risorse, a livello popolare e internazionale, per opporsi a questa legge.
Affinché l’amore palestinese non rimanga ostaggio dell’occupazione e dell’apartheid israeliano, la campagna invita le organizzazioni internazionali per i diritti umani e la società civile, come pure tutta la gente di coscienza sparsa nel mondo, a intervenire perché Israele venga considerato riprovevole e venga isolato in tutti i forum regionali e internazionali, fino a che questa legge razzista non venga abrogata, e inoltre, fino a che Israele non si conformi al diritto internazionale e non si attenga alle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Siamo pure grati della risposta di scrittori e giornalisti, a livello locale e internazionale, che la prossima settimana si uniranno a noi nel risvegliare l’opinione pubblica sia in sede locale che internazionale riguardo a questa legge e nel divulgare le politiche di apartheid del governo e del parlamento dello stato israeliano. A tale riguardo, diamo il benvenuto alle più recenti mobilitazioni di varie forze politiche, istituzioni e attivisti. Riteniamo questo diverso sforzo collettivo, locale e internazionale, un passo importante verso l’unione delle nostre forze e l’isolamento internazionale di Israele fino all’abrogazione da parte sua della Legge razzista sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele (Disposizione Temporanea).
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[1] – International Convention on Economic, Social and Cultural Rights (adottata il 16 dicembre 1966) UNGA Ress2200(XXI) (ICESCR) art.10(1)
[2] – Convention on the Rights of the Child (adottata il 20 novembre 1989, entrata in vigore il 2 settembre 1990) 1577 UNTS 3 (CRC) art 10(1). Il documento dell’OHCHR nota che le raccomandazioni del Committee on Rights of Child punta a un’interpretazione di questa disposizione nel senso del ricongiungimento familiare.
[3] – Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women (adottata il 18 dicembre 1979, entrata in vigore il 3 settembre 1981) 1249 UNTS 13 (CEDAW) art 15(4).
[4] – Human Rights Committee Concludine Osservations of the Human Rights Committee (21 agosto 2003) UN Doc CCPR/CO/78/ISR, paras. 21, 22.
[5] – Committee on the Elimination of Racial Discrimination ‘Concluding Observations of the Committee on the Elimination of Racial Discrimination’ (marzo 2007) UN Doc CERD/ISR/CO/13, para. 20.
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* - Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele (Disposizione Temporanea) – La legge considera gli abitanti di Iran, Afghanistan, Libano, Libia, Sudan, Siria, Iraq, Pakistan, Yemen, Cisgiordania e Striscia di Gaza non ammissibili per la concessione automatica della cittadinanza israeliana e per l’ottenimento di permessi di soggiorno, che solitamente sono conseguibili attraverso il matrimonio con un cittadino israeliano (ricongiungimento familiare). L’effetto della legge dovrebbe essere temporaneo. Il suo carattere discriminatorio non è tanto da attribuirsi a presunte esigenze di sicurezza, quanto alla necessità di realizzare e mantenere il carattere “ebraico” dello stato di Israele, favorendo l’esodo dei palestinesi da Israele e impedendo nel contempo l’incremento della componente araba della popolazione israeliana. [n.d.t.]
(tradotto da mariano mingarelli)
sabato 4 maggio 2013
venerdì 3 maggio 2013
Il Sindaco di Assisi modifica il "Cantico delle Creature
Laudato si’, mi Signore, per frate fosforo, per lo quale illumini Gaza,
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte. (Invictapalestina)
Allora è proprio una fissazione, oppure stiamo diventando più sionisti dei sionisti. Dopo la proposta della cittadinanza onoraria allo scrittore David Grossman avanzata dal comune di Cagliari, ora anche ad Assisi si briga per dare la cittadinanza onoraria a un sionista ancora peggiore. Assisi che dovrebbe essere la città della pace, di S. Francesco, con tutto quello che richiama alla mente, si prepara a dare tale onorificenza a un criminale di guerra e di pace a cui fu conferito il nobel per la pace per aver pianificato l'occupazione in modo più scientifico tramite i nefasti accordi di Oslo. Un uomo che è sempre stato per la guerra, che ha ucciso centinaia di civili inermi in Libano e a Gaza.
Ma anche papa Francesco malgrado la sua retorica lo ha accolto in vaticano prima di qualsiasi altro capo di stato.
E' evidente che Israele sta allargando le maglie della sua propaganda per avere ulteriori appoggi alla sua politica di morte e di occupazione militare e che qui in Italia trova pronti e accoglienti sempre nuovi complici, come se non fosse già abbastanza mantenere accordi militari e commerciali con un paese che si macchia quotidianamente di crimini odiosi ai danni di tutto il popolo palestinese.
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