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Le vittime ebree del sionismo
Ella Shohat
introduzione di Vera Pegna
a cura di Cinzia Nachira
Edizioni Q
Non ci sono molte pubblicazioni né informazioni sul ruolo e sulla storia degli ebrei arabi emigrati in Israele quindi questo libro, assieme al precedente «Ebrei arabi: terzo incomodo?» a cura di Susanna Senigaglia, contribuisce a colmare un vuoto fornendo informazioni preziose per comprendere la dinamica delle contraddizioni interne allo stato israeliano e per smascherare la falsità della narrazione ufficiale. Gli ebrei arabi, o mizrachi, sono la maggioranza della popolazione israeliana, specialmente se ci si aggiunge il 20 per cento dei palestinesi del '48, è perciò abbastanza sconcertante che la storia della loro immigrazione, così significativa ai fini della comprensione della natura dello stato israeliano fin dall'inizio, sia stata trascurata, anche dagli stessi nuovi storici che pure gettarono luce sulla pulizia etnica della Palestina e su altre nefandezze. Ma qual'è il racconto ufficiale dello stato israeliano rispetto a questo argomento ce lo spiega molto bene Ella Shohat, secondo tale racconto gli ebrei arabi avrebbero sofferto nei loro paesi d'origine discriminazione e abusi e sarebbero poi stati salvati e redenti dallo stato sionista che li avrebbe sollevati dalla loro condizione primitiva di semi-selvaggi accogliendoli nel suo seno secondo il progetto di «riunificazione degli esiliati dai quattro angoli del mondo» portandoli dalla condizione premoderna alla modernità, dall'oscurantismo e arretratezza dei loro paesi levantini ad una società democratica e rispettosa dei diritti civili. Dal saggio di Ella Shohat apprendiamo che questa costruzione è falsa dall'inizio alla fine, la Shohat la smonta pezzo per pezzo, ma già Vera Pegna nel saggio introduttivo, ricordando la propria esperienza di vita in Egitto, ci informa che «da sempre gli arabi di religione ebraica si sono confusi naturalmente tra la popolazione circostante e non si sono mai considerati -né altri li hanno considerati- un popolo a se, distinto dagli altri arabi fossero essi musulmani, cristiani o seguaci di altre religioni e sette presenti nei paesi arabi». Se ne deduce che non si sono verificate discriminazioni o pogrom e che gli ebrei arabi hanno vissuto in pace nei loro paesi fino a che non è giunto il sionismo a sconvolgere le loro vite e tutta la regione. Se problemi ci sono stati infatti essi sono stati creati dal sionismo e dalla fondazione dello stato sionista. Sia il saggio di Vera Pegna che quello di Ella S. ci informano che le immigrazioni degli ebrei levantini non sono avvenute per l'ardente desiderio della «terra promessa» ma a suon di bombe e altre numerose intimidazioni. «Di fronte alla scarsa adesione al progetto sionista dimostrata dagli ebrei egiziani il mossad decise di passare alle maniere forti prima diffondendo voci di pericolo per chi si rifiutasse di partire e poi compiendo, nei confronti degli ebrei, atti ostili da attribuire alle autorità egiziane» (Vera Pegna). Bombe furono piazzate nella sinagoga di Bagdad, ad Alessandria la bomba scoppiò in tasca all'agente del mossad prima che la collocasse in un cinema. Ogni volta che c'era un calo nelle liste di attesa di coloro che decidevano di partire avveniva una nuova esplosione a terrorizzare queste comunità spingendole a partire.
Gli ebrei arabi non dimostravano interesse per lo stato sionista, il sionismo del resto prima della Shoah e della fondazione di Israele era un movimento di minoranza che lasciava indifferente la maggior parte degli ebrei e da altri era fieramente contrastato. ( L'unione generale dei lavoratori ebrei di Russia, Polonia e Lituania -BUND- osteggiava il sionismo ritenendo che l'emancipazione e la dignità del popolo ebraico sarebbero state ottenute con il socialismo e l'internazionalismo perciò era contrario alla fondazione di uno stato ebraico). Per quanto riguarda poi la decantata modernità «questa visione elude la realtà dei processi storici tacendo una serie di verità, gli ashkenaziti come i sefarditi , provenivano da paesi che erano ai margini del capitalismo mondiale de avevano iniziato la loro industrializzazione come il loro sviluppo tecnologico e scientifico quasi contemporaneamente» (E. S.) Ma i
sionisti che avevano voluto fondare uno stato di stampo occidentale nel cuore del Medio Oriente erano ebrei europei (ashkenaziti) e come nella migliore tradizione colonialista e orientalista nutrivano profondo disprezzo per i popoli orientali. Gli ebrei arabi non furono accolti come uguali ma fatti oggetto di ogni possibile sopruso e violenza dal rapimento dei loro bambini alla sterilizzazione forzata delle donne, all'esposizione di migliaia di bambini a radiazioni che provocarono tumori e altre malattie gravi, alle condizioni di estrema povertà a cui furono costrette, nelle baracche dei campi di transito, intere famiglie per anni, dopo aver lasciato i loro beni nei paesi d'origine secondo gli accordi dei sionisti con gli stati arabi.
Ai sionisti era indispensabile l'immigrazione della massa degli ebrei arabi sia perché l'immigrazione dall'Europa si andava esaurendo, sia perché necessitava mano d'opera a basso costo e questi ebrei percepiti come «lavoratori naturali» potevano a un tempo sostituire i lavoratori palestinesi o entrare in concorrenza con loro, e mantenere l'obiettivo del «lavoro ebraico» uno dei miti del sionismo.
Nel suo impeto di occidentalizzare la società israeliana l'establishment ashkenazita era fortemente preoccupata dalla propria contraddizione interna: gli ebrei orientali e temeva che questi avrebbero potuto orientalizzare la società per cui li integrarono ai livelli più bassi della società dove il loro impatto sarebbe stato ininfluente. Essi furono insediati nelle zone periferiche e di frontiera e utilizzati nel controllo delle popolazioni native e delle loro terre.
Ai mizrachi fu chiesto di scegliere tra l'essere arabi o ebrei, di convincersi che la loro storia e cultura non aveva radici nei paesi orientali da dove provenivano ma negli shtetl della Lituania, di convincersi che erano parte della generale persecuzione che in ogni paese e in ogni epoca avevano subito gli ebrei, che nei loro paesi c'erano stati i pogrom come in Russia e infine di trasformarsi nel modello sionista del nuovo ebreo, che entrava gloriosamente di nuovo nella storia dopo secoli di persecuzioni e di esilio. Questa universalizzazione del vittimismo ebraico giustificava il progetto nazionalista e coloniale dei sionisti e a un tempo lo sradicamento di popolazioni dai loro paesi e dalle loro storie e culture. Storie e culture che dovevano essere cancellate per unificarsi alla narrazione ufficiale. Nell'ultima parte del libro, nel corso dell'intervista, Ella S. scrive: «...la separazione operata da Euro-Israele della parte ebraica da quella mediorientale si è tradotta nello smantellamento delle comunità ebraiche del mondo islamico come anche in forti pressioni sugli ebrei orientali affinché adeguassero la loro identità ebraica ai paradigmi sionisti...gli ebrei dell'Islam hanno dovuto far fronte per la prima volta nella loro storia al dilemma a loro imposto: la scelta tra arabicità e ebraicità all'interno di un contesto geopolitico che ha riprodotto, da un lato, l'equazione arabicità-mediorientalità-Islam e dall'altro lato quella di ebraicità-europeità-occidentalità. Un altro aspetto determinante del racconto...la «nazione ebraica» combatteva un comune nemico storico» -l'arabo musulmano- sviluppando una duplice amnesia relativamente alla storia giudeo-islamica e alla spartizione coloniale della Palestina. Le false analogie tra arabi e nazisti sono diventate non solo un punto fisso della retorica sionista ma anche un sintomo dell'incubo ebraico-europeo proiettato sulle dinamiche politiche, strutturalmente distinte, del conflitto israelo-palestinese» e conclude « nel contesto dei massacri e delle privazioni inflitte al popolo palestinese la sovrapposizione della figura dell'arabo musulmano a quella dell'europeo oppressore degli ebrei mette la sordina alla storia degli insediamenti coloniali dello stesso Euro-Israele».
Sotto un'incredibile pressione, impossibilitati a tornare indietro nei loro paesi, impoveriti e discriminati molti mizrachi hanno finito per interiorizzare l'immagine che la retorica sionista aveva di loro, giungendo a un disprezzo di se che proiettavano a loro volta sui palestinesi. Questo si è tradotto in un desiderio di assimilazione e a integrarsi con la cultura dominante, senso di inferiorità, e una forte spinta a migliorare il basso livello socio-economico. «Anche quando ufficialmente celebrano la loro eredità araba e medio orientale , lo fanno rifiutando «l'arabo". Così l'ideologia orientalista del «noi" contro «loro" è stata talvolta adottata dagli stessi ebrei orientali soprattutto con lo spegnersi, generazione dopo generazione ,della
memoria del sincretismo storico e culturale giudeo-islamico." (E. S.) Questo risultato può senz'altro essere definito una vittoria del sionismo. Non solo il sionismo ha fondato uno stato che ha inventato un popolo, ma ha anche costruito una mitologia e una storia, funzionale ai suoi fini politici, che doveva essere la storia di ogni ebreo,distruggendo «la consapevolezza di poter essere ebrei secondo forme molteplici di appartenenza.». Ma esiste anche un'altra faccia della realtà sefardita, molti ebrei orientali hanno resistito e lottato, come le «Pantere nere» degli anni '70 i quali pensavano di essere un «intermediario naturale» per la pace e lanciarono un appello per un «vero» dialogo con i palestinesi, o i giovani mizrachi che nel corso della primavera araba firmarono una lettera aperta ai fratelli arabi: «noi crediamo che in quanto ebrei mizrachi israeliani la nostra lotta per avere diritti economici, sociali e culturali debba basarsi sull'idea che un cambiamento politico ...può solo venire da un dialogo intraregionale e interreligioso che si riconnetta alle diverse lotte e ai movimenti attualmente attivi nel mondo arabo. Nello specifico, dobbiamo dialogare ed essere solidali con le lotte dei cittadini palestinesi di Israele che combattono per uguali diritti economici e politici e per l'abolizione delle leggi razziste, e con la lotta del popolo palestinese che vive sotto l'occupazione israeliana , nella West Bank e a Gaza, quando chiede la fine dell'occupazione stessa e l'indipendenza nazionale palestinese». «Benché sia stata cancellata e oscurata la resistenza sefardita continua ad evolversi rinnovando i modelli organizzativi» scrive E. S. «Gli sforzi che mirano a seminare discordia tra ebrei orientali e palestinesi non sono riusciti nell'intento di dissuadere i primi dal difendere un'equa soluzione per i palestinesi. In Israele e all'estero numerosi sefarditi non chiedono di meglio che di poter fungere da mediatori per la pace con gli arabi e con i palestinesi ma l'establishment ha sempre compromesso i loro sforzi in questo senso.»
La ragione per cui la storia dei mizrachi è così poco conosciuta non è misteriosa: Israele doveva occultare le sue azioni più crudeli per non offuscare l'immagine che si sforza di dare di sé e per tacitare le voci critiche, il lavoro costante della propaganda sionista tenta di arginare un rischio potenziale «Una minaccia si aggira sul sionismo: tutte le sue vittime -i palestinesi, i sefarditi, (così come gli ashkenaziti dissidenti etichettati come degli eterni insoddisfatti che rimuginano sul loro odio di sé) potrebbero cogliere gli elementi che accomunano la violenza che li opprime. L'establishment sionista di Israele ha fatto di tutto per allontanare questa minaccia: ha fomentato guerre e ha costruito un vero culto della sicurezza nazionale, ha dato della resistenza palestinese l'immagine semplicistica del terrorismo, ha creato le condizioni della discordia tra sefarditi e palestinesi attraverso il sistema educativo e i mass media ha incitato i sefarditi a odiare gli arabi e a rifiutare la propria cultura ha represso o cooptato tutti quegli elementi che potevano favorire un'alleanza progressista tra palestinesi e ebrei orientali.»
Noi confidiamo nel fatto che molto presto questa consapevolezza possa risultare chiara e far crollare l'immane muro di menzogne del sionismo, e per concludere con le parole di E. S. « la pace non è possibile senza il rispetto per «l'Oriente" in tutte le sue componenti dagli ebrei orientali ai palestinesi e ai vicini arabi musulmani. Superando l'inerzia di un immaginario paralizzato Israele dovrebbe smettere di essere uno stato canaglia e diventare lo stato di tutti i suoi cittadini.»
Miriam Marino
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