giovedì 31 dicembre 2009
ATTACCATA LA GAZA FREEDOM MARCH
la polizia attacca una marcia a sostegno dei palestinesi
Gaza Freedom March, feriti due attivisti italiani
Un uomo e una donna sono stati pestati dai poliziotti egiziani. Arabi e pacifisti israeliani si stanno radunando al confine di Erez
La situazione per gli attivisti internazionali, che hanno organizzato una carovana in occasione del primo anniversario dell'operazione israeliana Piombo fuso contro Hamas a Gaza, diventa sempre più difficile. Una manifestazione a sostegno dei palestinesi a Cairo è stata attaccata dalla polizia che ha ferito due dimostranti italiani. Mentre centinaia di arabi e pacifisti israeliani si stanno radunando al confine di Erez, è stata convocata alle 16 una manifestazione di protesta per ciò che è successo davanti alla ambasciata egiziana a Roma.
Articoli Collegati
* Gaza Freedom March, attivisti bloccati dalle autorità egiziane
Oggi al Cairo, dopo il rifiuto delle autorità egiziane di concedere il permesso per recarsi a Gaza, si è tenuta un manifestazione i sostegno dei palestinesi davanti il museo egizio, la polizia è intervenuta pestando i dimostranti. Un uomo e una donna italiani sono rimasti feriti. Ora l’ambasciata d’Italia al Cairo, ha spiega il ministero degli Esteri, «segue attentamente la vicenda» insieme all’unità di crisi.
La testimonianza di ciò che è successo è fornita dal Forum Palestina. «La polizia ci ha prima diviso in due gruppi e poi ci ha violentemente riunito tutti in un unico gruppo – ha raccontato un'attivista. Agenti in tenuta anti-sommossa hanno trascinato i pacifisti con violenza. Ho visto donne trascinate per i capelli, hanno dato pugni e calci e spaccate le telecamere. Ci sono alcuni feriti, ho visto volti sanguinanti».
Mentre centinaia di arabi e pacifisti israeliani si stanno radunando al confine di Erez, è stata convocata alle 16 una manifestazione di protesta per ciò che è successo davanti alla ambasciata egiziana a Roma.
(ami)2009-12-31 13:34:23
Gaza Freedom March, feriti due attivisti italiani
Un uomo e una donna sono stati pestati dai poliziotti egiziani. Arabi e pacifisti israeliani si stanno radunando al confine di Erez
La situazione per gli attivisti internazionali, che hanno organizzato una carovana in occasione del primo anniversario dell'operazione israeliana Piombo fuso contro Hamas a Gaza, diventa sempre più difficile. Una manifestazione a sostegno dei palestinesi a Cairo è stata attaccata dalla polizia che ha ferito due dimostranti italiani. Mentre centinaia di arabi e pacifisti israeliani si stanno radunando al confine di Erez, è stata convocata alle 16 una manifestazione di protesta per ciò che è successo davanti alla ambasciata egiziana a Roma.
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* Gaza Freedom March, attivisti bloccati dalle autorità egiziane
Oggi al Cairo, dopo il rifiuto delle autorità egiziane di concedere il permesso per recarsi a Gaza, si è tenuta un manifestazione i sostegno dei palestinesi davanti il museo egizio, la polizia è intervenuta pestando i dimostranti. Un uomo e una donna italiani sono rimasti feriti. Ora l’ambasciata d’Italia al Cairo, ha spiega il ministero degli Esteri, «segue attentamente la vicenda» insieme all’unità di crisi.
La testimonianza di ciò che è successo è fornita dal Forum Palestina. «La polizia ci ha prima diviso in due gruppi e poi ci ha violentemente riunito tutti in un unico gruppo – ha raccontato un'attivista. Agenti in tenuta anti-sommossa hanno trascinato i pacifisti con violenza. Ho visto donne trascinate per i capelli, hanno dato pugni e calci e spaccate le telecamere. Ci sono alcuni feriti, ho visto volti sanguinanti».
Mentre centinaia di arabi e pacifisti israeliani si stanno radunando al confine di Erez, è stata convocata alle 16 una manifestazione di protesta per ciò che è successo davanti alla ambasciata egiziana a Roma.
(ami)2009-12-31 13:34:23
mercoledì 30 dicembre 2009
MO: GAZA; EGITTO FERMA AL CAIRO MARCIA PACIFISTA/ANSA MILITANTI BLOCCATI E PRIVATI DEI BUS; TRA LORO 140 ITALIANI ROMA (Di Michee Esposito) (ANSA)
(Di Michele Esposito) (ANSA) - ROMA - Bloccati al Cairo, privati dei loro autobus, fermati con durezza dai servizi di sicurezza egiziani: la marcia verso Gaza di 1400 pacifisti provenienti da tutto il mondo si è interrotta in Egitto. Il governo del Cairo oggi ha infatti impedito ai militanti - tra cui figurano 140 italiani - di recarsi alla città di Al-Arish, porta d'accesso per la Striscia di Gaza, dove, a un anno dall'operazione militare israeliana 'Piombo Fuso', le più importanti Ong internazionali hanno organizzato la 'Freedom March'. Per le autorità egiziane, il gruppo di pacifisti - provenienti da 43 Paesi - non ha "i requisiti necessari" per recarsi al confine con la Striscia di Gaza e mettere in atto la marcia per la libertà. E senza le documentazioni richieste, secondo quanto ha riferito all'ANSA l'ambasciata italiana al Cairo, "l'Egitto ritiene illegale qualsiasi manifestazione". Da qui, lo stop agli attivisti giunti nei giorni scorsi al Cairo, da dove poi sarebbero partiti per la Palestina. Questa mattina, infatti, gli autobus che avrebbero dovuto portare i manifestanti al valico di Rafah sono stati sequestrati. "Alcuni autobus non sono neppure arrivati. Le forze dell'ordine prima ci hanno impedito di lasciare l'albergo. Poi ci hanno lasciato andare, comunicandoci però che non possiamo lasciare la città ", ha raccontato all'ANSA Mila Pernice, delegata del Forum Palestina, una delle due Ong italiane - l'altra è Action for Peace - che ha preso parte all'iniziativa. "E' una chiusura inspiegabile", ha spiegato la Pernice, ricordando che qualche settimana fa le autorità egiziane avevano accordato ai manifestanti il permesso di transitare per Al-Arish, indicando nel 28 dicembre e nel 2 gennaio le date di entrata e di uscita da Gaza. "Noi non vogliamo manifestare in Egitto, siamo venuti qui solo per recarci in Palestina", ha precisato la militante. Davanti al 'no' dell'Egitto i pacifisti però non si sono arresi. Alcuni di loro - tra cui 70 italiani - si sono recati, a piedi, guardati a vista dalla polizia, alle ambasciate dei rispettivi Paesi di appartenenza per chiedere di negoziare con il governo del Cairo. Altri hanno protestato davanti alla sede dell'Onu nella capitale egiziana: "Eravamo in centinaia, ci sono stati dei momenti di tensione con le forze dell'ordine", ha raccontato la Pernice. Una delle militanti, Hedy Epstien, 85enne ebrea sopravvissuta all'Olocausto, ha invece cominciato uno sciopero della fame per contestare la posizione egiziana. E' andata peggio a chi è riuscito a raggiungere la frontiera: lì, ieri, sono stati arrestati 38 attivisti internazionali. Tra di loro non c'é nessun italiano. L'ambasciata d'Italia al Cairo ha provveduto a fornire una sistemazione per la notte agli italiani coinvolti. Informandoli del "fermo atteggiamento delle autorità egiziane". Che, in verità, avevano già fatto sapere che avrebbero vietato la manifestazione. A complicare le cose c'é anche il fatto che gli attivisti sbarcati nella capitale sono forniti di visto turistico, mentre, secondo le autorità locali, non si stanno limitando alle attività turistiche. "Se i manifestanti non rispetteranno le regole imposte dall'Egitto rischiano l'arresto", ha puntualizzato l'ambasciata italiana. (ANSA).
Alla faccia del governo democratico di Obama, Bush avrebvbe fatto lo stesso
L’AMBASCIATA AMERICANA AL CAIRO RIFIUTA DI RILASCIARE CITTADINI AMERICANI SOSTENITORI DELLA GAZA FREEDOM MARCH
29 dicembre 2009, Il Cairo, Egitto: Oggi al Cairo alcuni sostenitori della Gaza Freedom March, tra cui un gruppo di circa 30 cittadini statunitensi, sono stati trattenuti in tre separate aree di isolamento all’interno dell’Ambasciata americana, nel complesso di Garden City.
In un’intervista telefonica con Aishah Schwartz, direttore del Muslimah Writers Alliance, Marina Barakau – una delle organizzatrici della Gaza Freedom March - ha dichiarato che “i cittadini americani e 1.400 sostenitori della Gaza Freedom March arrivati da oltre 43 paesi del mondo, stanno chiedendo che l’assedio illegale di Gaza venga rimosso”.
“Ci chiediamo anche come sia possibile che un presunto governo democratico possa partecipare di volentieri alla detenzione dei suoi cittadini presso le proprie ambasciate, e inoltre chiediamo che tutti i dovuti sforzi siano esercitati per assicurare il nostro immediato rilascio”, ha aggiunto Barakau.
Barakau ha inoltre dichiarato di aver contattato il coordinatore del gruppo legale, Sally Newman.
Nello stesso momento, tre membri del gruppo americano che è stato trattenuto hanno avuto un incontro con un funzionario negli uffici dell’Ambasciata.
Per contatti:
Marina Barakau
Tel: +20 197412890
29 dicembre 2009, Il Cairo, Egitto: Oggi al Cairo alcuni sostenitori della Gaza Freedom March, tra cui un gruppo di circa 30 cittadini statunitensi, sono stati trattenuti in tre separate aree di isolamento all’interno dell’Ambasciata americana, nel complesso di Garden City.
In un’intervista telefonica con Aishah Schwartz, direttore del Muslimah Writers Alliance, Marina Barakau – una delle organizzatrici della Gaza Freedom March - ha dichiarato che “i cittadini americani e 1.400 sostenitori della Gaza Freedom March arrivati da oltre 43 paesi del mondo, stanno chiedendo che l’assedio illegale di Gaza venga rimosso”.
“Ci chiediamo anche come sia possibile che un presunto governo democratico possa partecipare di volentieri alla detenzione dei suoi cittadini presso le proprie ambasciate, e inoltre chiediamo che tutti i dovuti sforzi siano esercitati per assicurare il nostro immediato rilascio”, ha aggiunto Barakau.
Barakau ha inoltre dichiarato di aver contattato il coordinatore del gruppo legale, Sally Newman.
Nello stesso momento, tre membri del gruppo americano che è stato trattenuto hanno avuto un incontro con un funzionario negli uffici dell’Ambasciata.
Per contatti:
Marina Barakau
Tel: +20 197412890
lunedì 28 dicembre 2009
Le forze di sicurezza egiziane trattengono partecipanti alla Gaza Freedom March a el-Arish e bloccano le commemorazioni al Cairo
Oggetto: Le forze di sicurezza egiziane trattengono cittadini internazionali a el-Arish e bloccano le commemorazioni per Gaza al Cairo.
Quando: Nel pomeriggio di domenica 27 dicembre, le forze di sicurezza egiziane hanno trattenuto un gruppo di 30 internazionali nei loro hotel a el Arish, e un altro gruppo di 8 internazionali alla stazione dei pullman. Le forze di polizia hanno anche interrotto le commemorazioni del massacro “Piombo Fuso” presso il ponte Kasr al Nil.
Nel pomeriggio del 27 dicembre, le forze di sicurezza egiziane hanno trattenuto un gruppo di 30 attivisti nei loro hotel di el Arish mentre si stavano preparando a partire per Gaza, mettendoli agli arresti domiciliari. I delegati – tutti partecipanti della Gaza Freedom March, composta da 1.300 persone – erano cittadini spagnoli, francesi, inglesi, statunitensi e giapponesi. Le forze di sicurezza egiziane hanno poi finalmente ceduto, permettendo alla maggior parte dei manifestanti di lasciare gli alberghi, ma senza consentire loro di lasciare la città. Quando due giovani delegati – un francese e una donna giapponese – hanno tentato di lasciare el Arish, le autorità egiziane hanno fermato i loro taxi facendogli scaricare i bagagli.
Un altro gruppo composto da otto persone, di cui facevano parte statunitensi, inglesi, spagnoli, giapponesi e greci, sono stati trattenuti invece alla stazione dei pullman di el Arish nel pomeriggio del 27 dicembre. Alle 15.30 circa non erano ancora stati rilasciati.
Contemporaneamente, la polizia egiziana ha interrotto la commemorazione dell’invasione israeliana “Piombo Fuso” di Gaza organizzata dai partecipanti alla Gaza Freedom March presso il ponte di Kasr al Nil, uno dei principali collegamenti tra la Zamalek Island, al centro del fiume Nilo, e la città del Cairo. Come forma di dimostrazione nonviolenta in memoria degli oltre 1.300 palestinesi uccisi durante l’attacco israeliano di Gaza – iniziato un anno fa, il 27 dicembre del 2008 – i partecipanti della Gaza Freedom March hanno legato insieme centinaia di biglietti con pensieri, poesie, disegni, e i nomi delle vittime.
“Siamo amareggiati dal fatto che le autorità egiziane abbiano ostacolato la libertà di movimento dei partecipanti e abbiano interferito con la commemorazione pacifica delle vittime del massacro” ha detto Medea Benjamin di CODEPINK, una delle organizzatrici della Marcia.
Benjamin ha aggiunto che i partecipanti alla Gaza Freedom March stanno continuando a sollecitare il governo egiziano perché consenta loro di raggiungere Gaza. I manifestanti si sono recati presso la Lega Araba, chiedendo supporto, presso diverse ambasciate straniere e il Palazzo Presidenziale, per portare un appello rivolto al presidente Mubarak. Hanno inoltre rivolto un appello a tutti i loro sostenitori nel mondo perché contattassero le ambasciate egiziane sollecitandole a lasciare liberi i manifestanti, consentendo loro di arrivare a Gaza.
Manda la tua email all'Ambasciata Egiziana:
http://www.actionforpeace.org/index.php/apriconfine.html
Quando: Nel pomeriggio di domenica 27 dicembre, le forze di sicurezza egiziane hanno trattenuto un gruppo di 30 internazionali nei loro hotel a el Arish, e un altro gruppo di 8 internazionali alla stazione dei pullman. Le forze di polizia hanno anche interrotto le commemorazioni del massacro “Piombo Fuso” presso il ponte Kasr al Nil.
Nel pomeriggio del 27 dicembre, le forze di sicurezza egiziane hanno trattenuto un gruppo di 30 attivisti nei loro hotel di el Arish mentre si stavano preparando a partire per Gaza, mettendoli agli arresti domiciliari. I delegati – tutti partecipanti della Gaza Freedom March, composta da 1.300 persone – erano cittadini spagnoli, francesi, inglesi, statunitensi e giapponesi. Le forze di sicurezza egiziane hanno poi finalmente ceduto, permettendo alla maggior parte dei manifestanti di lasciare gli alberghi, ma senza consentire loro di lasciare la città. Quando due giovani delegati – un francese e una donna giapponese – hanno tentato di lasciare el Arish, le autorità egiziane hanno fermato i loro taxi facendogli scaricare i bagagli.
Un altro gruppo composto da otto persone, di cui facevano parte statunitensi, inglesi, spagnoli, giapponesi e greci, sono stati trattenuti invece alla stazione dei pullman di el Arish nel pomeriggio del 27 dicembre. Alle 15.30 circa non erano ancora stati rilasciati.
Contemporaneamente, la polizia egiziana ha interrotto la commemorazione dell’invasione israeliana “Piombo Fuso” di Gaza organizzata dai partecipanti alla Gaza Freedom March presso il ponte di Kasr al Nil, uno dei principali collegamenti tra la Zamalek Island, al centro del fiume Nilo, e la città del Cairo. Come forma di dimostrazione nonviolenta in memoria degli oltre 1.300 palestinesi uccisi durante l’attacco israeliano di Gaza – iniziato un anno fa, il 27 dicembre del 2008 – i partecipanti della Gaza Freedom March hanno legato insieme centinaia di biglietti con pensieri, poesie, disegni, e i nomi delle vittime.
“Siamo amareggiati dal fatto che le autorità egiziane abbiano ostacolato la libertà di movimento dei partecipanti e abbiano interferito con la commemorazione pacifica delle vittime del massacro” ha detto Medea Benjamin di CODEPINK, una delle organizzatrici della Marcia.
Benjamin ha aggiunto che i partecipanti alla Gaza Freedom March stanno continuando a sollecitare il governo egiziano perché consenta loro di raggiungere Gaza. I manifestanti si sono recati presso la Lega Araba, chiedendo supporto, presso diverse ambasciate straniere e il Palazzo Presidenziale, per portare un appello rivolto al presidente Mubarak. Hanno inoltre rivolto un appello a tutti i loro sostenitori nel mondo perché contattassero le ambasciate egiziane sollecitandole a lasciare liberi i manifestanti, consentendo loro di arrivare a Gaza.
Manda la tua email all'Ambasciata Egiziana:
http://www.actionforpeace.org/index.php/apriconfine.html
sabato 26 dicembre 2009
Presentazione di Patrizia Cecconi del mio libro "Gabbie" alla MLRP
PRESENTAZIONE DI “GABBIE”. Sabato 19 dicembre 2009. Sede AAMLRP.
E’ sempre con piacere che accolgo l’invito a presentare un lavoro di Miryam Marino, e in questo caso ancor di più per le caratteristiche di questo suo libro.
In questa sede siamo tutti amici del popolo palestinese e questo è un vero conforto e rende particolarmente piacevoli questi momenti. Sono contenta di sedere a fianco di Fabio Amato (che come responsabile esteri del PRC non si è mai dimenticato dei diritti del popolo palestinese e col quale condivido - e condividiamo sicuramente tutti - quella parte del testamento ideale del Che che ci ricorda di sentirci direttamente colpiti da ogni ingiustizia, in qualunque parte del mondo si verifichi).
Sono contenta di sedere accanto ai compagni del Forum Palestina, che svolgono un lavoro straordinario di solidarietà politica forte, affiancata “alla” solidarietà umana, come solo i compagni più autentici sanno fare.
Yousef Salman non ha certo bisogno di presentazioni trattandosi in qualche modo del padrone di casa e dello spirito animatore di ogni iniziativa della Mezza Luna Rossa nel nostro Paese.
Per chi non conoscesse Miryam, scrittrice e attivista ebrea della rete ECO, la presenterò a partire dalle sue stesse parole, parole tratte dall’introduzione di Handala.
Scrive Miryam: “..sapendo della mia militanza sia in un’associazione ebraica che in una palestinese, qualcuno mi domanda se non mi sento un po’ schizofrenica. Rispondo di no, UN ESSERE UMANO E’ COMPOSTO DA MOLTE REALTÀ....” e, ancora, “Mi chiedono spesso perché io, ebrea, mi ostini tanto ad occuparmi della Palestina: la ragione è semplice, il dolore della Palestina ricade su di me.”
Ma non solo il dolore della Palestina ricade su di lei, Miryam in “Gabbie” sa unire la parte della cultura e dell’etica ebraica che comanda: “rispetta lo straniero perché anche noi siamo stati stranieri in terra d’Egitto” col suo essere cittadina italiana, in un momento in cui la democrazia vacilla sotto il peso di leggi che troppo da vicino ricordano momenti neri e palesemente razzisti.
I versi con cui si apre il libro che presentiamo stasera, e da cui questa raccolta di racconti prende il titolo, ci mostrano l’impegno intellettuale con cui Miryam risponde al dolore dell’ingiustizia e dell’esclusione. Leggo, da Gabbie, “ ....... Gabbie/ di ferro/ gabbie di cemento./Il cielo spostato dall’incubo..... Dal mare/ si rovescia sulle coste /un’ondata di dolore (di troppe lacrime son gonfie le maree)..........Gabbie mentali/ bandiere d’odio/ l’essere svuotano da dentro....” .
Scrivere per Miryam è una necessità umana e politica oltre che un’espressione culturale, e non è MAI è un vuoto esercizio intellettuale. L’autrice è convinta che la letteratura abbia, comunque e sempre, una ricaduta nella sfera sociale, e per questo lo scrivere non può essere puro esercizio letterario.
Come nella poesia palestinese (anche la più alta) cogliamo l’eco dell’ingiustizia subita, così, nei racconti raccolti in questo libro, anche in quelli avvolti di umorismo, sentiamo la partecipazione intensa, che Miryam Marino esprime già nella sua premessa, quando scrive “E almeno potessi essere libera e non inchiodata a questo dolore. Libera...d’inventare la mia esistenza dentro la natura e la storia o in una nuvola di passaggio sopra il mare. ...ricordare che dentro di me c’è un universo, che non c’è un unico IO ma una molteplicità, un’infinità di esseri e di possibilità quante sono le stelle in cielo...” Lo stesso concetto che esprimeva nell’introduzione di Handala e che le farà ancora scrivere: “ E sono io quella donna lapidata, quell’uomo torturato, quel migrante ...che emerge dalle acque nere che hanno divorato i suoi fratelli e che fugge per i campi come un animale braccato e la polizia alle calcagna.”
Ecco perché questo volumetto (il diminutivo è riferito alla brevità e non all’intensità e allo spessore del lavoro) mi sembra particolarmente importante, perché quella molteplicità che forma l’umanità dolente viene a manifestarsi nei tanti racconti brevi che formano il libro. In esso è concentrato uno stile letterario giocato sulle contaminazioni tra il reale e il surreale, una scrittura sempre fluida, curata fino a farci sentire come uno schiaffone la fine inaspettata di Shams, affidata all’ultima riga del primo racconto, quello di una bambina inchiodata alla sua sedia a rotelle, che viaggia con la fantasia, attraverso la finestra e le parole di Shams, il cantastorie marocchino che finirà schiacciato da un’auto. O, ancora, la capacità di affidare a poche righe il dramma di Janet, la ragazza somala rapita, violentata e poi morta nel cortile di un pronto soccorso, in cui solo un allievo infermiere sembra vedere nell’immigrata una figura sofferente cui offrire almeno una sedia. In due righe l’autrice declina il paradigma del quotidiano disprezzo dei diritti umani. Leggo, da pag 73, ultimo capoverso: “...pronto soccorso? Né pronto né tardivo. Per lei non c’è mai stato soccorso.”
In alcuni racconti Miryam fa uso del periodo breve come un regista potrebbe farlo della cinepresa mobile per portarci in due sole pagine a scoprire l’ “Insolito evento” che costituisce il titolo di un altro racconto. Anche qui l’autrice mescola sapientemente reale e surreale: la notizia catturata da un soffio di vento che va a dare l’annuncio passando di casa in casa, finché una lunga, lunga fila di persone si troverà incolonnata per vedere con i propri occhi qualcosa che nella Palestina martoriata dagli occupanti sembrava non potesse più accadere: il vecchio Abu Sharif “morto di morte naturale”! E in queste due paginette l’autrice riesce a farci stare dentro al racconto, a farci vedere le case svuotate di vita dall’operato degli occupanti, mentre ci sembra di correre dietro al vento, parola per parola, nell’ansia di arrivare all’ultima riga per scoprire “l’insolito evento”.
Racconti brevi, efficaci, pennellate che compongono un quadro giocando su tante tonalità dello stesso colore. Penso, ad esempio, a Imad, lo studente di Gaza, clandestino in Cisgiordania, sì perché un palestinese di Gaza non può studiare all’università di Bir Zeit, nella sua terra, Israele lo vieta. E allora Imad vive come in una tana e ogni notte sogna di scavare, scavare... e con un’ironia amara come quella che gli ebrei nei campi di sterminio hanno affidato alle loro tremende barzellette, con la stessa amara ironia il racconto si conclude strappando un sorriso tra la pena e la rabbia.
Ecco, anche qui l’autrice sembra trarre dalle sue radici culturali di ebrea, l’energia intellettuale per denunciare il dramma della Palestina occupata e umiliata, col sostegno più o meno diretto dei governi di quella parte di mondo che si definisce “democratico”.
Insomma, ognuno dei 13 racconti che compongono il libro, porta con leggerezza di stile il pesante carico di drammatici contenuti. Dall’Italia alla Palestina all’Irak una denuncia e una richiesta non detta, ma espressa in ogni rigo, la richiesta che Miryam, senza penalizzare l’aspetto letterario, manda ai suoi lettori e alle sue lettrici: quella di sentire sulla propria pelle l’ingiustizia e il tormento dei potenti sui deboli, degli occupanti sugli occupati, degli sfruttatori sugli sfruttati.
Credo che questo libro, per le sue caratteristiche di stile e di contenuto, potrebbe essere adottato nelle scuole e diventare addirittura la base per un laboratorio di scrittura di pace, alias di scrittura di civiltà.
Concludo la mia presentazione con un’ultima breve lettura tratta dall’ultimo racconto: “Sette lettere dall’aldilà”. Quella che ho scelto viene da Falluja ed è indirizzata in modo particolare proprio a noi, a molti di noi “sensibili, ma...”.
Vado a leggere: “Questa lettera la scrivo per te, amico sconosciuto e lontano, affinché tu possa ricordare il fuoco. Non il fuoco buono che riscalda e illumina. (ma) Il fuoco che continua a bruciare...senza misericordia. .............. Per te, amica sconosciuta e lontana, che scendesti in piazza pensando a noi e mettesti una bandiera alla finestra, prima che la marea assassina ci trascinasse ad atroce morte, scrivo al mondo dei vivi. .............Il fuoco non si spegneva ....continuò a bruciare .....lentamente, implacabilmente, la coperta e poi la loro pelle, i muscoli, i nervi fino a che arrivò alle ossa........... i miei piccoli gridarono e arsero ........... Accadde questo e accadde innumerevoli volte, amico che alzasti in piazza la bandiera iridata, ma poi fosti troppo occupato con i politici di casa tua, per ricordarti di noi.”
Ecco, l’urlo che viene da Falluja, ed è lo stesso che viene da Gaza, c’interroga nel nostro essere “p o l i t i c a m e n t e umani”, e non solo “emotivamente umani”.
Quest’urlo lo facciamo nostro e lo passiamo ai nostri politici, ai “nostri” perché sappiamo che gli altri non hanno timpani per udirlo. E con questo passo la parola all’autrice.
E’ sempre con piacere che accolgo l’invito a presentare un lavoro di Miryam Marino, e in questo caso ancor di più per le caratteristiche di questo suo libro.
In questa sede siamo tutti amici del popolo palestinese e questo è un vero conforto e rende particolarmente piacevoli questi momenti. Sono contenta di sedere a fianco di Fabio Amato (che come responsabile esteri del PRC non si è mai dimenticato dei diritti del popolo palestinese e col quale condivido - e condividiamo sicuramente tutti - quella parte del testamento ideale del Che che ci ricorda di sentirci direttamente colpiti da ogni ingiustizia, in qualunque parte del mondo si verifichi).
Sono contenta di sedere accanto ai compagni del Forum Palestina, che svolgono un lavoro straordinario di solidarietà politica forte, affiancata “alla” solidarietà umana, come solo i compagni più autentici sanno fare.
Yousef Salman non ha certo bisogno di presentazioni trattandosi in qualche modo del padrone di casa e dello spirito animatore di ogni iniziativa della Mezza Luna Rossa nel nostro Paese.
Per chi non conoscesse Miryam, scrittrice e attivista ebrea della rete ECO, la presenterò a partire dalle sue stesse parole, parole tratte dall’introduzione di Handala.
Scrive Miryam: “..sapendo della mia militanza sia in un’associazione ebraica che in una palestinese, qualcuno mi domanda se non mi sento un po’ schizofrenica. Rispondo di no, UN ESSERE UMANO E’ COMPOSTO DA MOLTE REALTÀ....” e, ancora, “Mi chiedono spesso perché io, ebrea, mi ostini tanto ad occuparmi della Palestina: la ragione è semplice, il dolore della Palestina ricade su di me.”
Ma non solo il dolore della Palestina ricade su di lei, Miryam in “Gabbie” sa unire la parte della cultura e dell’etica ebraica che comanda: “rispetta lo straniero perché anche noi siamo stati stranieri in terra d’Egitto” col suo essere cittadina italiana, in un momento in cui la democrazia vacilla sotto il peso di leggi che troppo da vicino ricordano momenti neri e palesemente razzisti.
I versi con cui si apre il libro che presentiamo stasera, e da cui questa raccolta di racconti prende il titolo, ci mostrano l’impegno intellettuale con cui Miryam risponde al dolore dell’ingiustizia e dell’esclusione. Leggo, da Gabbie, “ ....... Gabbie/ di ferro/ gabbie di cemento./Il cielo spostato dall’incubo..... Dal mare/ si rovescia sulle coste /un’ondata di dolore (di troppe lacrime son gonfie le maree)..........Gabbie mentali/ bandiere d’odio/ l’essere svuotano da dentro....” .
Scrivere per Miryam è una necessità umana e politica oltre che un’espressione culturale, e non è MAI è un vuoto esercizio intellettuale. L’autrice è convinta che la letteratura abbia, comunque e sempre, una ricaduta nella sfera sociale, e per questo lo scrivere non può essere puro esercizio letterario.
Come nella poesia palestinese (anche la più alta) cogliamo l’eco dell’ingiustizia subita, così, nei racconti raccolti in questo libro, anche in quelli avvolti di umorismo, sentiamo la partecipazione intensa, che Miryam Marino esprime già nella sua premessa, quando scrive “E almeno potessi essere libera e non inchiodata a questo dolore. Libera...d’inventare la mia esistenza dentro la natura e la storia o in una nuvola di passaggio sopra il mare. ...ricordare che dentro di me c’è un universo, che non c’è un unico IO ma una molteplicità, un’infinità di esseri e di possibilità quante sono le stelle in cielo...” Lo stesso concetto che esprimeva nell’introduzione di Handala e che le farà ancora scrivere: “ E sono io quella donna lapidata, quell’uomo torturato, quel migrante ...che emerge dalle acque nere che hanno divorato i suoi fratelli e che fugge per i campi come un animale braccato e la polizia alle calcagna.”
Ecco perché questo volumetto (il diminutivo è riferito alla brevità e non all’intensità e allo spessore del lavoro) mi sembra particolarmente importante, perché quella molteplicità che forma l’umanità dolente viene a manifestarsi nei tanti racconti brevi che formano il libro. In esso è concentrato uno stile letterario giocato sulle contaminazioni tra il reale e il surreale, una scrittura sempre fluida, curata fino a farci sentire come uno schiaffone la fine inaspettata di Shams, affidata all’ultima riga del primo racconto, quello di una bambina inchiodata alla sua sedia a rotelle, che viaggia con la fantasia, attraverso la finestra e le parole di Shams, il cantastorie marocchino che finirà schiacciato da un’auto. O, ancora, la capacità di affidare a poche righe il dramma di Janet, la ragazza somala rapita, violentata e poi morta nel cortile di un pronto soccorso, in cui solo un allievo infermiere sembra vedere nell’immigrata una figura sofferente cui offrire almeno una sedia. In due righe l’autrice declina il paradigma del quotidiano disprezzo dei diritti umani. Leggo, da pag 73, ultimo capoverso: “...pronto soccorso? Né pronto né tardivo. Per lei non c’è mai stato soccorso.”
In alcuni racconti Miryam fa uso del periodo breve come un regista potrebbe farlo della cinepresa mobile per portarci in due sole pagine a scoprire l’ “Insolito evento” che costituisce il titolo di un altro racconto. Anche qui l’autrice mescola sapientemente reale e surreale: la notizia catturata da un soffio di vento che va a dare l’annuncio passando di casa in casa, finché una lunga, lunga fila di persone si troverà incolonnata per vedere con i propri occhi qualcosa che nella Palestina martoriata dagli occupanti sembrava non potesse più accadere: il vecchio Abu Sharif “morto di morte naturale”! E in queste due paginette l’autrice riesce a farci stare dentro al racconto, a farci vedere le case svuotate di vita dall’operato degli occupanti, mentre ci sembra di correre dietro al vento, parola per parola, nell’ansia di arrivare all’ultima riga per scoprire “l’insolito evento”.
Racconti brevi, efficaci, pennellate che compongono un quadro giocando su tante tonalità dello stesso colore. Penso, ad esempio, a Imad, lo studente di Gaza, clandestino in Cisgiordania, sì perché un palestinese di Gaza non può studiare all’università di Bir Zeit, nella sua terra, Israele lo vieta. E allora Imad vive come in una tana e ogni notte sogna di scavare, scavare... e con un’ironia amara come quella che gli ebrei nei campi di sterminio hanno affidato alle loro tremende barzellette, con la stessa amara ironia il racconto si conclude strappando un sorriso tra la pena e la rabbia.
Ecco, anche qui l’autrice sembra trarre dalle sue radici culturali di ebrea, l’energia intellettuale per denunciare il dramma della Palestina occupata e umiliata, col sostegno più o meno diretto dei governi di quella parte di mondo che si definisce “democratico”.
Insomma, ognuno dei 13 racconti che compongono il libro, porta con leggerezza di stile il pesante carico di drammatici contenuti. Dall’Italia alla Palestina all’Irak una denuncia e una richiesta non detta, ma espressa in ogni rigo, la richiesta che Miryam, senza penalizzare l’aspetto letterario, manda ai suoi lettori e alle sue lettrici: quella di sentire sulla propria pelle l’ingiustizia e il tormento dei potenti sui deboli, degli occupanti sugli occupati, degli sfruttatori sugli sfruttati.
Credo che questo libro, per le sue caratteristiche di stile e di contenuto, potrebbe essere adottato nelle scuole e diventare addirittura la base per un laboratorio di scrittura di pace, alias di scrittura di civiltà.
Concludo la mia presentazione con un’ultima breve lettura tratta dall’ultimo racconto: “Sette lettere dall’aldilà”. Quella che ho scelto viene da Falluja ed è indirizzata in modo particolare proprio a noi, a molti di noi “sensibili, ma...”.
Vado a leggere: “Questa lettera la scrivo per te, amico sconosciuto e lontano, affinché tu possa ricordare il fuoco. Non il fuoco buono che riscalda e illumina. (ma) Il fuoco che continua a bruciare...senza misericordia. .............. Per te, amica sconosciuta e lontana, che scendesti in piazza pensando a noi e mettesti una bandiera alla finestra, prima che la marea assassina ci trascinasse ad atroce morte, scrivo al mondo dei vivi. .............Il fuoco non si spegneva ....continuò a bruciare .....lentamente, implacabilmente, la coperta e poi la loro pelle, i muscoli, i nervi fino a che arrivò alle ossa........... i miei piccoli gridarono e arsero ........... Accadde questo e accadde innumerevoli volte, amico che alzasti in piazza la bandiera iridata, ma poi fosti troppo occupato con i politici di casa tua, per ricordarti di noi.”
Ecco, l’urlo che viene da Falluja, ed è lo stesso che viene da Gaza, c’interroga nel nostro essere “p o l i t i c a m e n t e umani”, e non solo “emotivamente umani”.
Quest’urlo lo facciamo nostro e lo passiamo ai nostri politici, ai “nostri” perché sappiamo che gli altri non hanno timpani per udirlo. E con questo passo la parola all’autrice.
AIUTIAMO LA GAZA FREEDOM MARCH
Avrei dovuto diffondere questo post i giorni scorsi, purtroppo non sono riuscita ad alzarmi dal letto a causa della febbre, lo pubblico lo stesso anche se in ritardo forse può ancora servire.
Tra pochi giorni migliaia di volontari (tra cui 140 italiani) partiranno per la Gaza Freedom March per ricordare il primo anniversario del bombardamento di Gaza e rompere l'embargo contro la striscia di Gaza.
Le autorità egiziane hanno annunciato che non intendono lasciar passare i volontari e minacciano arresti e azioni di repressione; lo stato italiano, a sua volta, oscura una notizia che in altre nazioni europee è invece diffusa dai media televisivi.
Vi chiediamo di inviare mail al governo e all'ambasciata egiziana, a giornali, televisioni, radio, amministrazioni locali e istituzioni italiane per sostenere la Gaza Freedom March!
Vi preghiamo di diffondere il più possibile questa mail. Anche chi non parte può aiutare!
Grazie.
Qui di seguito 1) un testo in inglese da inviare a Palestine Division in Ministry of
Foreign Affairs, l'indirizzo è ahmed.azzam@mfa.gov.eg
e 2) due esempi di testo in italiano da inviare all'ambasciata d'Egitto in Italia (ambegitto@yahoo.com, amb.egi@pronet.it o ambegitto@pelagus.it). Con le opportune modifiche si possono utilizzare anche per giornali e istituzioni italiane.
Per telefonare i numeri sono 0644234764, 068440191, 0684241896. I n. di fax sono 068554424 e 0685301175. Coinvolgete amici e parenti; presidi e professori; rappresentanti istituzionali come consiglieri regionali, provinciali, comunali; associazioni culturali, sportive, di volontariato; agenzie di viaggio.
Ricordate di mettere in oggetto Gaza Freedom March
1)
Ref: Gaza Freedom March
Your Excellency,
I address this letter so as to kindly request this message may be passed on to your government:
As an Italian citizen, I hope that your government will allow my fellow-Italians and every member of the Gaza Freedom March to enter the Gaza Strip.
Italian public opinion has been greatly distressed by the siege placed on a million and a half Palestinians in Gaza, victims of continual Israeli aggression as well as by an international embargo reducing hundreds of thousands of innocent people to misery.
A year on from the criminal operation “Molten Lead”, in the light of the Goldstone Report and the condemning of Israeli employment of weapons banned by International Law, voluntary workers from the world over are set to march to the Gaza Strip in a mass show of support.
In the name of friendship and brotherly relations binding the people of Egypt and Italy , highlighted by our keen interest in your country’s tourism and culture, I would be most grateful if Your Excellency might inform your government of our request to allow my fellow-Italians and every Gaza Freedom March participant to enter the Gaza Strip.
Yours sincerely,
firma
oppure semplicemente:
Don't stop the Gaza Freedom March!
firmato
2)
A S.E. Mohamed Ashraf Galm Eldin Rashed
Ambasciatore della Repubblica Araba d'Egitto in Italia
Via Salaria, 267 (Villa Savoia)
00199 Roma
Gaza Freedom March
Scrivo per esprimere il mio pieno sostegno alla Gaza Freedom March del 31 dicembre 2009. Chiedo al Governo egiziano di consentire ai/alle 1.300 delegati/e internazionali di entrare nella Striscia di Gaza attraverso l'Egitto.
Obiettivo della marcia è esigere da Israele la fine dell'assedio. La delegazione internazionale consegnerà anche aiuti medici di cui c'è grande scarsità, così come materiale scolastico e giacche invernali per i bambini di Gaza.
Per favore, lasciate che questa storica Marcia possa procedere.
Cordiali saluti,
firma
oppure
Eccellenza,
mi rivolgo a Lei per chiedere la Sua collaborazione affinché sia consentito l'ingresso nella Striscia di Gaza ai miei concittadini ed a tutti i partecipanti alla Gaza Freedom March. La loro è una missione di pace e la società civile internazionale sente molto l’importanza di questa iniziativa.
L'opinione pubblica del nostro Paese è profondamente turbata per l'assedio imposto ad un milione e mezzo di Palestinesi di Gaza, vittime delle continue aggressioni israeliane e di un embargo internazionale che riduce alla disperazione centinaia di migliaia di innocenti.
Ad un anno dalla criminale operazione "Piombo fuso", alla luce del Rapporto Goldstone e della recentissima denuncia sull'utilizzo da parte di Israele di armi proibite dal Diritto Internazionale, volontari da tutto il mondo si recheranno nella Striscia di Gaza per portare solidarietà.
In nome dei rapporti di amicizia e fratellanza che intercorrono fra il popolo egiziano e quello italiano, testimoniati anche dal nostro grande interesse verso il turismo nel Suo Paese,
Le chiedo
di trasmettere al Suo Governo la mia richiesta di consentire l'accesso ai volontari nella Striscia di Gaza e non essere complice del massacro di vite e di diritti che si consuma quotidianamente grazie all’assedio israeliano. Conto sulla sua attenzione e invio distinti saluti. (firmato)
Tra pochi giorni migliaia di volontari (tra cui 140 italiani) partiranno per la Gaza Freedom March per ricordare il primo anniversario del bombardamento di Gaza e rompere l'embargo contro la striscia di Gaza.
Le autorità egiziane hanno annunciato che non intendono lasciar passare i volontari e minacciano arresti e azioni di repressione; lo stato italiano, a sua volta, oscura una notizia che in altre nazioni europee è invece diffusa dai media televisivi.
Vi chiediamo di inviare mail al governo e all'ambasciata egiziana, a giornali, televisioni, radio, amministrazioni locali e istituzioni italiane per sostenere la Gaza Freedom March!
Vi preghiamo di diffondere il più possibile questa mail. Anche chi non parte può aiutare!
Grazie.
Qui di seguito 1) un testo in inglese da inviare a Palestine Division in Ministry of
Foreign Affairs, l'indirizzo è ahmed.azzam@mfa.gov.eg
e 2) due esempi di testo in italiano da inviare all'ambasciata d'Egitto in Italia (ambegitto@yahoo.com, amb.egi@pronet.it o ambegitto@pelagus.it). Con le opportune modifiche si possono utilizzare anche per giornali e istituzioni italiane.
Per telefonare i numeri sono 0644234764, 068440191, 0684241896. I n. di fax sono 068554424 e 0685301175. Coinvolgete amici e parenti; presidi e professori; rappresentanti istituzionali come consiglieri regionali, provinciali, comunali; associazioni culturali, sportive, di volontariato; agenzie di viaggio.
Ricordate di mettere in oggetto Gaza Freedom March
1)
Ref: Gaza Freedom March
Your Excellency,
I address this letter so as to kindly request this message may be passed on to your government:
As an Italian citizen, I hope that your government will allow my fellow-Italians and every member of the Gaza Freedom March to enter the Gaza Strip.
Italian public opinion has been greatly distressed by the siege placed on a million and a half Palestinians in Gaza, victims of continual Israeli aggression as well as by an international embargo reducing hundreds of thousands of innocent people to misery.
A year on from the criminal operation “Molten Lead”, in the light of the Goldstone Report and the condemning of Israeli employment of weapons banned by International Law, voluntary workers from the world over are set to march to the Gaza Strip in a mass show of support.
In the name of friendship and brotherly relations binding the people of Egypt and Italy , highlighted by our keen interest in your country’s tourism and culture, I would be most grateful if Your Excellency might inform your government of our request to allow my fellow-Italians and every Gaza Freedom March participant to enter the Gaza Strip.
Yours sincerely,
firma
oppure semplicemente:
Don't stop the Gaza Freedom March!
firmato
2)
A S.E. Mohamed Ashraf Galm Eldin Rashed
Ambasciatore della Repubblica Araba d'Egitto in Italia
Via Salaria, 267 (Villa Savoia)
00199 Roma
Gaza Freedom March
Scrivo per esprimere il mio pieno sostegno alla Gaza Freedom March del 31 dicembre 2009. Chiedo al Governo egiziano di consentire ai/alle 1.300 delegati/e internazionali di entrare nella Striscia di Gaza attraverso l'Egitto.
Obiettivo della marcia è esigere da Israele la fine dell'assedio. La delegazione internazionale consegnerà anche aiuti medici di cui c'è grande scarsità, così come materiale scolastico e giacche invernali per i bambini di Gaza.
Per favore, lasciate che questa storica Marcia possa procedere.
Cordiali saluti,
firma
oppure
Eccellenza,
mi rivolgo a Lei per chiedere la Sua collaborazione affinché sia consentito l'ingresso nella Striscia di Gaza ai miei concittadini ed a tutti i partecipanti alla Gaza Freedom March. La loro è una missione di pace e la società civile internazionale sente molto l’importanza di questa iniziativa.
L'opinione pubblica del nostro Paese è profondamente turbata per l'assedio imposto ad un milione e mezzo di Palestinesi di Gaza, vittime delle continue aggressioni israeliane e di un embargo internazionale che riduce alla disperazione centinaia di migliaia di innocenti.
Ad un anno dalla criminale operazione "Piombo fuso", alla luce del Rapporto Goldstone e della recentissima denuncia sull'utilizzo da parte di Israele di armi proibite dal Diritto Internazionale, volontari da tutto il mondo si recheranno nella Striscia di Gaza per portare solidarietà.
In nome dei rapporti di amicizia e fratellanza che intercorrono fra il popolo egiziano e quello italiano, testimoniati anche dal nostro grande interesse verso il turismo nel Suo Paese,
Le chiedo
di trasmettere al Suo Governo la mia richiesta di consentire l'accesso ai volontari nella Striscia di Gaza e non essere complice del massacro di vite e di diritti che si consuma quotidianamente grazie all’assedio israeliano. Conto sulla sua attenzione e invio distinti saluti. (firmato)
Il convoy to Gaza fermo ad Aqaba
ISM-Italia comunicato stampa 2009/12/26/01
Il convoglio inglese di Viva Palestina (www.vivapalestina.org), partito da
Londra il 6 dicembre è giunto ad Aqaba il 24 pomeriggio.
All'una di notte del 25 dicembre il convoglio doveva imbarcarsi per
Nuweiba ma le autorità egiziane hanno fatto sapere che non avrebbero
permesso lo sbarco.
Verso le 19.00 si è tenuto un incontro al consolato egiziano di Aqaba
presenti il console egiziano, il capitano del ferry, un qualcuno forse dei
servizi di sicurezza egiziani, George Galloway e altri tre rappresentanti
del convoglio. Incontro molto teso secondo il successivo rapporto di
Galloway.
Il console egiziano ha posto le seguenti condizioni:
il convoglio dovrebbe arrivare al porto di El Arish (richiesta assurda
perché significherebbe circa 1000 km per arrivare a un porto siriano, un
lunghissimo viaggio per mare e la necessità di salire su 5 ferry piccoli
perché il porto di El Arish non è in grado di accogliere ferry grandi).
il convoglio dovrebbe entrare sotto l'egida dell'UNRWA e consegnare
all'UNRWA i materiali trasportati.
il convoglio dovrebbe chiedere il permesso di entrare sia all'Egitto sia a
Israele.
La delegazione ha ovviamente rifiutato queste assurde pretese chiedendo di
entrare in Egitto senza condizioni. Non è arrivata, ad oggi, 26 dicembre
ore 12.00, nessuna risposta dal governo egiziano, salvo il tentativo di
dividere il convoglio permettendo l'ingresso alla delegazione turca. E'
stato riferito nell'aggiornamento delle 11 che ci sono trattative dirette
tra Erdogan e Mubarak.
E' circolata una email nel pomeriggio di ieri secondo la quale il governo
egiziano avrebbe cambiato posizione, ma la notizia non ha avuto nessuna
conferma. Personalmente ho parlato con Haider Eid a Gaza e mi ha detto che
non ci sono al momento novità.
Il convoglio è ora composto da circa 150 veicoli e da 500 persone.
Almeno due volte al giorno viene fatto il punto in incontri collettivi con
George Galloway e altri della organizzazione.
Naturalmente le cose possono cambiare da un momento all'altro, un amico
dal Cairo mi dice che è una partita a scacchi della quale non si sa bene
chi muove le pedine, agiungo che oltre tutto le pedine non sono tutte
eguali.
Una valutazione di tutta la vicenda, in particolare del valore politico
del convoglio inglese che è composto principalmente da gruppi delle
comunità musulmane inglesi, è prematura.
Ma molti sono gli insegnamenti che se ne dovranno trarre, a partire da un
confronto duro con i paesi arabi moderati. Il boicottaggio, sia pur in
tono minore dell'Egitto alla Fiera del Libro di Torinodel 2009, è un punto
di riferimento e di partenza.
Diana Carminati e Alfredo Tradardi
Aqaba, 26 dicembre 2009
Il convoglio inglese di Viva Palestina (www.vivapalestina.org), partito da
Londra il 6 dicembre è giunto ad Aqaba il 24 pomeriggio.
All'una di notte del 25 dicembre il convoglio doveva imbarcarsi per
Nuweiba ma le autorità egiziane hanno fatto sapere che non avrebbero
permesso lo sbarco.
Verso le 19.00 si è tenuto un incontro al consolato egiziano di Aqaba
presenti il console egiziano, il capitano del ferry, un qualcuno forse dei
servizi di sicurezza egiziani, George Galloway e altri tre rappresentanti
del convoglio. Incontro molto teso secondo il successivo rapporto di
Galloway.
Il console egiziano ha posto le seguenti condizioni:
il convoglio dovrebbe arrivare al porto di El Arish (richiesta assurda
perché significherebbe circa 1000 km per arrivare a un porto siriano, un
lunghissimo viaggio per mare e la necessità di salire su 5 ferry piccoli
perché il porto di El Arish non è in grado di accogliere ferry grandi).
il convoglio dovrebbe entrare sotto l'egida dell'UNRWA e consegnare
all'UNRWA i materiali trasportati.
il convoglio dovrebbe chiedere il permesso di entrare sia all'Egitto sia a
Israele.
La delegazione ha ovviamente rifiutato queste assurde pretese chiedendo di
entrare in Egitto senza condizioni. Non è arrivata, ad oggi, 26 dicembre
ore 12.00, nessuna risposta dal governo egiziano, salvo il tentativo di
dividere il convoglio permettendo l'ingresso alla delegazione turca. E'
stato riferito nell'aggiornamento delle 11 che ci sono trattative dirette
tra Erdogan e Mubarak.
E' circolata una email nel pomeriggio di ieri secondo la quale il governo
egiziano avrebbe cambiato posizione, ma la notizia non ha avuto nessuna
conferma. Personalmente ho parlato con Haider Eid a Gaza e mi ha detto che
non ci sono al momento novità.
Il convoglio è ora composto da circa 150 veicoli e da 500 persone.
Almeno due volte al giorno viene fatto il punto in incontri collettivi con
George Galloway e altri della organizzazione.
Naturalmente le cose possono cambiare da un momento all'altro, un amico
dal Cairo mi dice che è una partita a scacchi della quale non si sa bene
chi muove le pedine, agiungo che oltre tutto le pedine non sono tutte
eguali.
Una valutazione di tutta la vicenda, in particolare del valore politico
del convoglio inglese che è composto principalmente da gruppi delle
comunità musulmane inglesi, è prematura.
Ma molti sono gli insegnamenti che se ne dovranno trarre, a partire da un
confronto duro con i paesi arabi moderati. Il boicottaggio, sia pur in
tono minore dell'Egitto alla Fiera del Libro di Torinodel 2009, è un punto
di riferimento e di partenza.
Diana Carminati e Alfredo Tradardi
Aqaba, 26 dicembre 2009
L'EGITTO OSTACOLA LA GAZA FREEDOM MARCH
LETTERA APERTA AL PRESIDENTE MUBARAK DALLA GAZA FREEDOM MARCH
26 dicembre 2009
Egregio Presidente Mubarak:
Noi, che rappresentiamo 1.362 persone che arriveranno al Cairo per partecipare alla Gaza Freedom March (Marcia della Libertà di Gaza), ci appelliamo agli Egiziani e alla Sua reputazione di ospitalità.
Siamo pacifisti. Non siamo venuti in Egitto per creare problemi o provocare contrasti. Siamo qui perché crediamo che tutta la gente, compresi i Palestinesi di Gaza, dovrebbe avere accesso alle risorse di cui hanno bisogno per vivere con dignità. Ci siamo radunati in Egitto perché eravamo convinti che Lei avrebbe ben accolto e appoggiato il nostro nobile scopo e ci avrebbe aiutato a raggiungere Gaza attraverso il Suo paese.
Come individui che credono nella giustizia e nei diritti umani, abbiamo speso le nostre risorse guadagnate con fatica e talvolta scarse, per comprare i biglietti aerei, per pagare le stanze d’albergo e per assicurarci il trasporto, soltanto per solidarietà con i Palestinesi di Gaza che vivono sotto blocco di Israele che li stritola.
Siamo dottori, avvocati, studenti, accademici, poeti e musicisti. Siamo giovani e vecchi. Siamo musulmani, cristiani, ebrei, buddisti e laici. Rappresentiamo gruppi della la società civile in molte nazioni che hanno coordinato questo grande progetto con la società civile di Gaza.
Abbiamo raccolto decine di migliaia di dollari per aiuti medici, materiali scolastici e capi di abbigliamento invernale per i bambini di Gaza. Ma ci rendiamo conto che oltre all’aiuto materiale, i Palestinesi di Gaza hanno bisogno di appoggio morale. Siamo venuti per offrire questo appoggio nel difficile anniversario di un’invasione che ha recato loro così tanta sofferenza.
L’idea della Gaza Freedom March – una marcia non-violenta che passa oltre al attraversamento Israeliano di Erez – è nata durante uno dei nostri viaggi a Gaza nel maggio scorso, un viaggio che è stato facilitato dalla cortesia del Governo egiziano. Da quando si è avuta l’idea della marcia, abbiamo parlato al Suo governo tramite le ambasciate egiziane all’estero e direttamente al Suo Ministero degli Esteri. I suoi rappresentanti sono stati gentili e collaborativi. Ci è stato richiesto di fornire informazioni su tutti i partecipanti: passaporti, date di nascita, professioni, e lo abbiamo fatto in buona fede. Abbiamo risposto a ogni domanda, abbiamo soddisfatto ogni richiesta. Abbiamo lavorato per mesi presupponendo che il Suo governo avrebbe facilitato il nostro passaggio, come aveva fatto in molte altre occasioni. Abbiamo aspettato a lungo una risposta.
In quel mentre, il tempo si stava riducendo e dovevamo iniziare a organizzarci. Viaggiare durante il periodo di Natale non è facile nelle nazioni dove molti di noi vivono. I biglietti aerei si devono comprare con settimane, se non con mesi, di anticipo. Questo è ciò che hanno fatto 1.362 persone. Hanno speso il proprio denaro o lo hanno raccolto tra le loro comunità per pagarsi il viaggio. Aggiunga a questo il tempo impiegato, gli sforzi e i sacrifici che fanno queste persone a stare lontano dalle proprie case e dai propri cari durante questo periodo festivo.
A Gaza, i gruppi della società civile – studenti, associazioni, donne, agricoltori, gruppi di rifugiati, hanno lavorato senza sosta per mesi per organizzare la marcia. Hanno organizzato workshops, concerti, conferenze stampa, incontri senza fine – e tutto questo con le loro scarse risorse personali. Sono stati sostenuti dalla presenza prevista di così tanti cittadini di tante parti del mondo che sarebbero venuti ad sostenere la loro giusta causa.
Se il governo egiziano deciderà di impedire la Gaza Freedom March, tutto questo lavoro e queste spese saranno perdute.
E non è tutto. E’ praticamente impossibile, a questo punto avanzato del progetto, impedire a tutte queste persone di andare in Egitto, anche se volessimo. Inoltre, la maggior parte di loro non hanno altri programmi in Egitto se non quello di arrivare a un determinato punto di incontro per poi dirigersi insieme verso il confine con Gaza. Se questi piani verranno cancellati, ci sarà molta sofferenza ingiustificata per i Palestinesi di Gaza e per oltre mille persone che provengono da varie parti del mondo e che non avevano altro che nobili intenzioni.
La imploriamo di permettere che la Gaza Freedom March continui in modo che possiamo unirci ai Palestinesi di Gaza per marciare insieme il 31 dicembre 2009.
Speriamo davvero di ricevere una risposta positiva da Lei e la ringraziamo per il Suo aiuto.
Tighe Barry, Gaza Freedom March coordinator
Medea Benjamin, CODEPINK, USA
Kawthar Guediri, Collectif National pour une Paix Juste et Durable entre Palestinens et Israeliens, France
Mark Johnson, Fellowship of Reconciliation
Ehab Lotayef, Gaza Freedom March, Canada
Ziyaad Lunat, Gaza Freedom March, Europe
Alessandra Mecozzi, Action for Peace, Italy
Germano Monti, Forum Palestine, Italy
Thomas Sommer, Focus on The Global South, India
David Torres, ECCP, Belgium
Ann Wright, Gaza Freedom March coordinator
Olivia Zemor, Euro-Palestine, France
Associazione per la Pace
Italian Peace Association
Via India 1 - 00196 Roma
Tel. +39 0695558458
Fax:+39 0623327800
www.assopace.org
assopace.nazionale@assopace.org
26 dicembre 2009
Egregio Presidente Mubarak:
Noi, che rappresentiamo 1.362 persone che arriveranno al Cairo per partecipare alla Gaza Freedom March (Marcia della Libertà di Gaza), ci appelliamo agli Egiziani e alla Sua reputazione di ospitalità.
Siamo pacifisti. Non siamo venuti in Egitto per creare problemi o provocare contrasti. Siamo qui perché crediamo che tutta la gente, compresi i Palestinesi di Gaza, dovrebbe avere accesso alle risorse di cui hanno bisogno per vivere con dignità. Ci siamo radunati in Egitto perché eravamo convinti che Lei avrebbe ben accolto e appoggiato il nostro nobile scopo e ci avrebbe aiutato a raggiungere Gaza attraverso il Suo paese.
Come individui che credono nella giustizia e nei diritti umani, abbiamo speso le nostre risorse guadagnate con fatica e talvolta scarse, per comprare i biglietti aerei, per pagare le stanze d’albergo e per assicurarci il trasporto, soltanto per solidarietà con i Palestinesi di Gaza che vivono sotto blocco di Israele che li stritola.
Siamo dottori, avvocati, studenti, accademici, poeti e musicisti. Siamo giovani e vecchi. Siamo musulmani, cristiani, ebrei, buddisti e laici. Rappresentiamo gruppi della la società civile in molte nazioni che hanno coordinato questo grande progetto con la società civile di Gaza.
Abbiamo raccolto decine di migliaia di dollari per aiuti medici, materiali scolastici e capi di abbigliamento invernale per i bambini di Gaza. Ma ci rendiamo conto che oltre all’aiuto materiale, i Palestinesi di Gaza hanno bisogno di appoggio morale. Siamo venuti per offrire questo appoggio nel difficile anniversario di un’invasione che ha recato loro così tanta sofferenza.
L’idea della Gaza Freedom March – una marcia non-violenta che passa oltre al attraversamento Israeliano di Erez – è nata durante uno dei nostri viaggi a Gaza nel maggio scorso, un viaggio che è stato facilitato dalla cortesia del Governo egiziano. Da quando si è avuta l’idea della marcia, abbiamo parlato al Suo governo tramite le ambasciate egiziane all’estero e direttamente al Suo Ministero degli Esteri. I suoi rappresentanti sono stati gentili e collaborativi. Ci è stato richiesto di fornire informazioni su tutti i partecipanti: passaporti, date di nascita, professioni, e lo abbiamo fatto in buona fede. Abbiamo risposto a ogni domanda, abbiamo soddisfatto ogni richiesta. Abbiamo lavorato per mesi presupponendo che il Suo governo avrebbe facilitato il nostro passaggio, come aveva fatto in molte altre occasioni. Abbiamo aspettato a lungo una risposta.
In quel mentre, il tempo si stava riducendo e dovevamo iniziare a organizzarci. Viaggiare durante il periodo di Natale non è facile nelle nazioni dove molti di noi vivono. I biglietti aerei si devono comprare con settimane, se non con mesi, di anticipo. Questo è ciò che hanno fatto 1.362 persone. Hanno speso il proprio denaro o lo hanno raccolto tra le loro comunità per pagarsi il viaggio. Aggiunga a questo il tempo impiegato, gli sforzi e i sacrifici che fanno queste persone a stare lontano dalle proprie case e dai propri cari durante questo periodo festivo.
A Gaza, i gruppi della società civile – studenti, associazioni, donne, agricoltori, gruppi di rifugiati, hanno lavorato senza sosta per mesi per organizzare la marcia. Hanno organizzato workshops, concerti, conferenze stampa, incontri senza fine – e tutto questo con le loro scarse risorse personali. Sono stati sostenuti dalla presenza prevista di così tanti cittadini di tante parti del mondo che sarebbero venuti ad sostenere la loro giusta causa.
Se il governo egiziano deciderà di impedire la Gaza Freedom March, tutto questo lavoro e queste spese saranno perdute.
E non è tutto. E’ praticamente impossibile, a questo punto avanzato del progetto, impedire a tutte queste persone di andare in Egitto, anche se volessimo. Inoltre, la maggior parte di loro non hanno altri programmi in Egitto se non quello di arrivare a un determinato punto di incontro per poi dirigersi insieme verso il confine con Gaza. Se questi piani verranno cancellati, ci sarà molta sofferenza ingiustificata per i Palestinesi di Gaza e per oltre mille persone che provengono da varie parti del mondo e che non avevano altro che nobili intenzioni.
La imploriamo di permettere che la Gaza Freedom March continui in modo che possiamo unirci ai Palestinesi di Gaza per marciare insieme il 31 dicembre 2009.
Speriamo davvero di ricevere una risposta positiva da Lei e la ringraziamo per il Suo aiuto.
Tighe Barry, Gaza Freedom March coordinator
Medea Benjamin, CODEPINK, USA
Kawthar Guediri, Collectif National pour une Paix Juste et Durable entre Palestinens et Israeliens, France
Mark Johnson, Fellowship of Reconciliation
Ehab Lotayef, Gaza Freedom March, Canada
Ziyaad Lunat, Gaza Freedom March, Europe
Alessandra Mecozzi, Action for Peace, Italy
Germano Monti, Forum Palestine, Italy
Thomas Sommer, Focus on The Global South, India
David Torres, ECCP, Belgium
Ann Wright, Gaza Freedom March coordinator
Olivia Zemor, Euro-Palestine, France
Associazione per la Pace
Italian Peace Association
Via India 1 - 00196 Roma
Tel. +39 0695558458
Fax:+39 0623327800
www.assopace.org
assopace.nazionale@assopace.org
venerdì 25 dicembre 2009
Esercito israeliano sequestra scuolabus costringendo bambini e insegnanti a camminare per più di un'ora per tornare a casa
Operazione Colomba (Operation Dove) / Christian Peacemaker Teams
Masafer Yatta / Colline a sud di Hebron - Domenica 20 dicembre 2009, l'esercito israeliano ha impedito il trasporto di bambini e insegnanti della scuola di Al-Fakheit verso i rispettivi villaggi, sequestrando il pick-up utilizzato come scuolabus.
L'autista palestinese, accompagnato da un membro del CPT, stava raccogliendo bambini e insegnanti dopo la fine della scuola, quando soldati israeliani a bordo di un Humvee hanno seguito e fermato l'automezzo. I soldati hanno quindi trattenuto i documenti dell'autista, lo hanno perquisito e gli hanno ordinato di seguirlo in un campo a sud del villaggio di Jinba.
A causa del sequestro del mezzo, insegnanti e scolari hanno dovuto camminare per le colline per circa un'ora. Il direttore della scuola ha poi riportato che due dei bambini si sono ammalati per aver camminato da soli fino a casa.
L'autista palestinese e il membro del CPT sono stati trattenuti per più di un'ora mentre i soldati eseguivano ogni sorta di controllo sul mezzo. Secondo i soldati la registrazione dell'automezzo non era in regola e hanno quindi allertato la polizia israeliana per l'effettivo sequestro del mezzo. Uno dei soldati ha affermato: "In Israele abbiamo delle regole".
Successivamente, è sopraggiunta un'altra pattuglia di soldati ma non la polizia israeliana. Intorno alle 14.45 i soldati hanno restituito i documenti al palestinese, costringendolo a tornare a casa a piedi.
La scuola di Al-Fakheit è stata aperta quest'anno per accogliere i bambini provenienti dai vicini villaggi di Maghayir Al-Abeed, Markaz, Halawe, Fakheit, Majaaz e Jinba. Prima che fosse aperta questa nuova scuola, i bambini frequentavano la scuola nella città di Yatta, costringendoli a stare lontani dai propri villaggi durante i giorni di scuola. In questo modo quindi, i bambini sono potuti ritornare ai propri villaggi e stare con le proprie famiglie. Ad oggi, gli insegnanti della nuova scuola viaggiano tutti i giorni da Yatta ad Al-Fakheit, raccogliendo i bambini lungo la strada.
Insegnanti e bambini devono così affrontare un viaggio pieno di ostacoli, dal momento che l'esercito israeliano pattuglia di continuo la strada e tutta l'area circostante, ostacolando il movimento e di fatto impedendo il libero accesso all'istruzione per i bambini e al lavoro per gli insegnanti. Lungo la strada i soldati israeliani hanno in più occasioni bloccato e perquisito il pick-up utilizzato come scuolabus. Nell'agosto 2009, l'esercito israeliano aveva tentato di demolire con bulldozer la strada, già in pessime condizioni.
Come risultato di questa strategia, i palestinesi impiegano molto più tempo per raggiungere la propria destinazione e talvolta arrivano tardi a scuola.
Inoltre, l'esercito israeliano minaccia di chiudere la strada in modo permanente, il che significherebbe negare ai palestinesi il diritto all'istruzione, al lavoro e al libero accesso alle proprie terre.
La presenza costante dell'esercito e l'ingerenza sul libero movimento nell'area mina di fatto i diritti umani fondamentali dei palestinesi, ostacolando la possibilità di vivere nei propri villaggi e di coltivare le proprie terre.
Video sulla scuola di Al-Fakheit: http://snipurl.com/tsq3j
Foto della scuola di Al-Fakheit: http://snipurl.com/tsq3b
Foto dei blocchi di terra sulla strada per Jinba: http://snipurl.com/tsq45
Per ulteriori informazioni sulle comunità palestinesi dell'area di Masafer Yatta, scarica il report di B'Tselem: http://snipurl.com/tsq72
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Masafer Yatta / Colline a sud di Hebron - Domenica 20 dicembre 2009, l'esercito israeliano ha impedito il trasporto di bambini e insegnanti della scuola di Al-Fakheit verso i rispettivi villaggi, sequestrando il pick-up utilizzato come scuolabus.
L'autista palestinese, accompagnato da un membro del CPT, stava raccogliendo bambini e insegnanti dopo la fine della scuola, quando soldati israeliani a bordo di un Humvee hanno seguito e fermato l'automezzo. I soldati hanno quindi trattenuto i documenti dell'autista, lo hanno perquisito e gli hanno ordinato di seguirlo in un campo a sud del villaggio di Jinba.
A causa del sequestro del mezzo, insegnanti e scolari hanno dovuto camminare per le colline per circa un'ora. Il direttore della scuola ha poi riportato che due dei bambini si sono ammalati per aver camminato da soli fino a casa.
L'autista palestinese e il membro del CPT sono stati trattenuti per più di un'ora mentre i soldati eseguivano ogni sorta di controllo sul mezzo. Secondo i soldati la registrazione dell'automezzo non era in regola e hanno quindi allertato la polizia israeliana per l'effettivo sequestro del mezzo. Uno dei soldati ha affermato: "In Israele abbiamo delle regole".
Successivamente, è sopraggiunta un'altra pattuglia di soldati ma non la polizia israeliana. Intorno alle 14.45 i soldati hanno restituito i documenti al palestinese, costringendolo a tornare a casa a piedi.
La scuola di Al-Fakheit è stata aperta quest'anno per accogliere i bambini provenienti dai vicini villaggi di Maghayir Al-Abeed, Markaz, Halawe, Fakheit, Majaaz e Jinba. Prima che fosse aperta questa nuova scuola, i bambini frequentavano la scuola nella città di Yatta, costringendoli a stare lontani dai propri villaggi durante i giorni di scuola. In questo modo quindi, i bambini sono potuti ritornare ai propri villaggi e stare con le proprie famiglie. Ad oggi, gli insegnanti della nuova scuola viaggiano tutti i giorni da Yatta ad Al-Fakheit, raccogliendo i bambini lungo la strada.
Insegnanti e bambini devono così affrontare un viaggio pieno di ostacoli, dal momento che l'esercito israeliano pattuglia di continuo la strada e tutta l'area circostante, ostacolando il movimento e di fatto impedendo il libero accesso all'istruzione per i bambini e al lavoro per gli insegnanti. Lungo la strada i soldati israeliani hanno in più occasioni bloccato e perquisito il pick-up utilizzato come scuolabus. Nell'agosto 2009, l'esercito israeliano aveva tentato di demolire con bulldozer la strada, già in pessime condizioni.
Come risultato di questa strategia, i palestinesi impiegano molto più tempo per raggiungere la propria destinazione e talvolta arrivano tardi a scuola.
Inoltre, l'esercito israeliano minaccia di chiudere la strada in modo permanente, il che significherebbe negare ai palestinesi il diritto all'istruzione, al lavoro e al libero accesso alle proprie terre.
La presenza costante dell'esercito e l'ingerenza sul libero movimento nell'area mina di fatto i diritti umani fondamentali dei palestinesi, ostacolando la possibilità di vivere nei propri villaggi e di coltivare le proprie terre.
Video sulla scuola di Al-Fakheit: http://snipurl.com/tsq3j
Foto della scuola di Al-Fakheit: http://snipurl.com/tsq3b
Foto dei blocchi di terra sulla strada per Jinba: http://snipurl.com/tsq45
Per ulteriori informazioni sulle comunità palestinesi dell'area di Masafer Yatta, scarica il report di B'Tselem: http://snipurl.com/tsq72
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ULTIME NOTIZIE
In discussione una nuova legge che permetta a piccole 'comunità' israeliane di scegliersi gli abitanti. Così, il razzismo dei vari comitati delle 'comunità' potrà avere una copertura legale
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3823521,00.html
Onde meglio precisare: detta nuova legge ha già passato il primo esame. Era stata presentata, identica, da un tale del Kadima (= "opposizione") e da un tale dello Yisrael Beitenu (= estrema destra, al governo) (tradotto in italiano: ancora una volta aveva ragione Michele Giorgio)
http://www.ynet.co.il/english/articles/0,7340,L-3817602,00.html
Dibattito parlamentare (con video): http://mondoweiss.net/2009/12/likud-mk-israel-is-not-a-jewish-and-democratic-state-but-rather-a-jewish-state-with-a-democratic-regime.html
In una colonia (ma che sia una colonia Haaretz si dimentica di scriverlo), ragazzine askenazite non vanno a scuola, per protestare contro una decisione della Corte suprema che vieta, in detta scuola ultraortodossa, la separazione fra askenazite e sefardite (che seguono programmi scolastici diversi (!))
http://www.haaretz.com/hasen/spages/1137046.html
Coloni di estrema destra sostenuti dall'ufficio delle tasse (= IRS) USA; con detto denaro sostengono i coloni finiti in carcere per essersi opposti all'esercito (israeliano, ovviamente). Con video (da cui si apprende che rimuovere i coloni dalle colonie è peccato peggiore che mangiare lievito a Pessach (!))
http://mondoweiss.net/2009/12/meet-another-israeli-settler-being-supported-by-the-irs-for-now.html
(il video - dalla televisione israeliana - è in ebraico. Ma un'anima pia ha messo i sottotitoli in inglese.
http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3823521,00.html
Onde meglio precisare: detta nuova legge ha già passato il primo esame. Era stata presentata, identica, da un tale del Kadima (= "opposizione") e da un tale dello Yisrael Beitenu (= estrema destra, al governo) (tradotto in italiano: ancora una volta aveva ragione Michele Giorgio)
http://www.ynet.co.il/english/articles/0,7340,L-3817602,00.html
Dibattito parlamentare (con video): http://mondoweiss.net/2009/12/likud-mk-israel-is-not-a-jewish-and-democratic-state-but-rather-a-jewish-state-with-a-democratic-regime.html
In una colonia (ma che sia una colonia Haaretz si dimentica di scriverlo), ragazzine askenazite non vanno a scuola, per protestare contro una decisione della Corte suprema che vieta, in detta scuola ultraortodossa, la separazione fra askenazite e sefardite (che seguono programmi scolastici diversi (!))
http://www.haaretz.com/hasen/spages/1137046.html
Coloni di estrema destra sostenuti dall'ufficio delle tasse (= IRS) USA; con detto denaro sostengono i coloni finiti in carcere per essersi opposti all'esercito (israeliano, ovviamente). Con video (da cui si apprende che rimuovere i coloni dalle colonie è peccato peggiore che mangiare lievito a Pessach (!))
http://mondoweiss.net/2009/12/meet-another-israeli-settler-being-supported-by-the-irs-for-now.html
(il video - dalla televisione israeliana - è in ebraico. Ma un'anima pia ha messo i sottotitoli in inglese.
domenica 20 dicembre 2009
GAZA INFESTATA DAI VELENI
Michele Giorgio - Il Manifesto
Il rapporto a un anno dai raid israeliani. Gli sfollati ancora in tenda
«Da un anno viviamo in 14 in questa tenda. È il secondo inverno che passiamo al freddo e non sappiamo come ricostruirci la casa. Il cemento è introvabile a Gaza e quel poco che c'è al mercato nero costa troppo per noi». Umm Khaled Ghaleb alza le braccia al cielo raccontando la condizione di senzatetto della sua e di tante altre famiglie di Beit Lahiya, uno dei centri abitati della Striscia di Gaza dove più pesante è stata l'offensiva «Piombo fuso» lanciata il 27 dicembre 2008 da Israele e terminata dopo 22 giorni.
Ma l'anziana palestinese non sa che la sua salute e quella dei suoi familiari non è messa in pericolo solo dal freddo e dalle malattie infettive. Tra le macerie della sua abitazione e di tante altre case distrutte si nasconde un'insidia che mette a rischio la salute dei palestinesi di Gaza. I bombardamenti israeliani, del 2006 e del 2009, hanno lasciato sul terreno forti concentrazioni di metalli tossici - tungsteno, mercurio, molibdeno, cadmio e cobalto - che potrebbero provocare nella popolazione tumori, problemi di fertilità ed effetti diretti sui nuovi nati, come malformazioni e patologie di origine genetica.
A denunciarlo è il New Weapons Research Group (Nwrc), una commissione indipendente di scienziati, con sede in Italia, che studia l'impiego delle armi non convenzionali e i loro effetti. Il Nwrc, in stretta collaborazione con specialisti e medici di Gaza, ha esaminato 4 crateri: due provocati dai bombardamenti del luglio 2006 e due da bombe sganciate nel gennaio 2009. Ha preso in esame anche la polvere residua all'interno del guscio di una bomba al fosforo bianco esplosa vicino all'ospedale di Al Wafa, nel gennaio 2009. Quindi ha messo a confronto i livelli rilevati in questi crateri con quelli indicati in un rapporto sulla presenza di metalli nel suolo di Gaza pubblicato nel 2005. Le analisi hanno evidenziato la forte contaminazione del suolo di Gaza. «Occorre intervenire subito - ha avvertito Paola Manduca, portavoce del Nwrg e docente di genetica all'Università di Genova - per limitare le conseguenze su persone e animali.
Umm Khaled Ghaben non ha mai sentito parlare di questi «metalli» nascosti nel suolo. Gli unici metalli che conosce sono i ferri attorcigliati che spuntano da ciò che resta della sua casa. «Non sappiamo come fare - dice la donna - siamo troppo poveri per affittare un appartamento e non abbiamo alternative». Sono migliaia gli abitanti di Gaza che vivono ancora nelle tende a un anno di distanza da «Piombo fuso», in cui furono uccisi circa 1.400 palestinesi (tra i quali centinaia di civili) e migliaia di case vennero distrutte o danneggiate. Molti dei senzatetto sono stati accolti da parenti e amici, ma tanti altri non hanno avuto questa fortuna e ora sono al gelo. L'inverno è arrivato tardi a Gaza ma da qualche giorno si fa sentire tra coloro che non hanno un'abitazione per ripararsi.
Le scorte di bombole del gas e di gasolio da riscaldamento sono diminuite sensibilmente da quando Israele ha trasferito la distribuzione del carburante per Gaza dal valico di Karni a quello di Kerem Shalom, più piccolo e meno attrezzato. «Gaza ha urgente bisogno di 268mila metri quadrati di vetro per le finestre e altri 67mila metri quadrati di vetro per riparare i pannelli solari per l'acqua calda», ripete da tempo Mike Bailey dell'Ong «Oxfam», evidenziando che numerose scuole, anche dell'Onu, non hanno alle finestre i vetri, andati in frantumi a causa delle esplosioni delle bombe sganciate dagli aerei e delle cannonate. A pagarne le conseguenze sono migliaia di studenti e i loro insegnanti. La ricostruzione non è mai cominciata, perché Israele non lascia entrare a Gaza il cemento, il vetro e altri materiali per l'edilizia. I quattro miliardi di dollari raccolti, a parole, durante il summit «per Gaza» della scorsa primavera, rimangono nelle casse dei paesi donatori per il divieto imposto da Israele e dagli Stati Uniti di cooperare, in qualsiasi forma, con il governo del movimento islamico Hamas.
Nel quartiere di Izbet Abed Rabbo, uno dei più colpiti dalla violenza dei bombardamenti di un anno fa, Firas, con cinque figli piccoli da sfamare che giocano davanti alla tenda in cui vivono da quasi 12 mesi, afferma di poter resistere al freddo. A spaventarlo piuttosto è la mancanza di lavoro, di un reddito minimo per mantenere la sua famiglia. È un contadino e prima dell'offensiva israeliana coltivava la terra per conto di una famiglia ricca, gli Abu Halima. «Ma ora in quei terreni posso andarci solo a rischio della vita - spiega Firas - sono vicini alle postazioni israeliane e i soldati aprono il fuoco su chi si avvicina». Israele ha imposto una «zona-cuscinetto» lungo il confine, ampia 300-400 metri all'interno di Gaza - ufficialmente per fermare i lanci di razzi - privando così la popolazione delle terre più fertili. Ahmad invece non desidera altro che di poter garantire a Muath, il suo bambino di un anno e quattro mesi, affetto da un tumore al fegato, una assistenza medica adeguata, grazie all'aiuto di una associazione italiana, «Angels». Le autorità israeliane non lo fanno uscire da Gaza, impedendone il ricovero al Policlinico Umberto I di Roma.
Il rapporto a un anno dai raid israeliani. Gli sfollati ancora in tenda
«Da un anno viviamo in 14 in questa tenda. È il secondo inverno che passiamo al freddo e non sappiamo come ricostruirci la casa. Il cemento è introvabile a Gaza e quel poco che c'è al mercato nero costa troppo per noi». Umm Khaled Ghaleb alza le braccia al cielo raccontando la condizione di senzatetto della sua e di tante altre famiglie di Beit Lahiya, uno dei centri abitati della Striscia di Gaza dove più pesante è stata l'offensiva «Piombo fuso» lanciata il 27 dicembre 2008 da Israele e terminata dopo 22 giorni.
Ma l'anziana palestinese non sa che la sua salute e quella dei suoi familiari non è messa in pericolo solo dal freddo e dalle malattie infettive. Tra le macerie della sua abitazione e di tante altre case distrutte si nasconde un'insidia che mette a rischio la salute dei palestinesi di Gaza. I bombardamenti israeliani, del 2006 e del 2009, hanno lasciato sul terreno forti concentrazioni di metalli tossici - tungsteno, mercurio, molibdeno, cadmio e cobalto - che potrebbero provocare nella popolazione tumori, problemi di fertilità ed effetti diretti sui nuovi nati, come malformazioni e patologie di origine genetica.
A denunciarlo è il New Weapons Research Group (Nwrc), una commissione indipendente di scienziati, con sede in Italia, che studia l'impiego delle armi non convenzionali e i loro effetti. Il Nwrc, in stretta collaborazione con specialisti e medici di Gaza, ha esaminato 4 crateri: due provocati dai bombardamenti del luglio 2006 e due da bombe sganciate nel gennaio 2009. Ha preso in esame anche la polvere residua all'interno del guscio di una bomba al fosforo bianco esplosa vicino all'ospedale di Al Wafa, nel gennaio 2009. Quindi ha messo a confronto i livelli rilevati in questi crateri con quelli indicati in un rapporto sulla presenza di metalli nel suolo di Gaza pubblicato nel 2005. Le analisi hanno evidenziato la forte contaminazione del suolo di Gaza. «Occorre intervenire subito - ha avvertito Paola Manduca, portavoce del Nwrg e docente di genetica all'Università di Genova - per limitare le conseguenze su persone e animali.
Umm Khaled Ghaben non ha mai sentito parlare di questi «metalli» nascosti nel suolo. Gli unici metalli che conosce sono i ferri attorcigliati che spuntano da ciò che resta della sua casa. «Non sappiamo come fare - dice la donna - siamo troppo poveri per affittare un appartamento e non abbiamo alternative». Sono migliaia gli abitanti di Gaza che vivono ancora nelle tende a un anno di distanza da «Piombo fuso», in cui furono uccisi circa 1.400 palestinesi (tra i quali centinaia di civili) e migliaia di case vennero distrutte o danneggiate. Molti dei senzatetto sono stati accolti da parenti e amici, ma tanti altri non hanno avuto questa fortuna e ora sono al gelo. L'inverno è arrivato tardi a Gaza ma da qualche giorno si fa sentire tra coloro che non hanno un'abitazione per ripararsi.
Le scorte di bombole del gas e di gasolio da riscaldamento sono diminuite sensibilmente da quando Israele ha trasferito la distribuzione del carburante per Gaza dal valico di Karni a quello di Kerem Shalom, più piccolo e meno attrezzato. «Gaza ha urgente bisogno di 268mila metri quadrati di vetro per le finestre e altri 67mila metri quadrati di vetro per riparare i pannelli solari per l'acqua calda», ripete da tempo Mike Bailey dell'Ong «Oxfam», evidenziando che numerose scuole, anche dell'Onu, non hanno alle finestre i vetri, andati in frantumi a causa delle esplosioni delle bombe sganciate dagli aerei e delle cannonate. A pagarne le conseguenze sono migliaia di studenti e i loro insegnanti. La ricostruzione non è mai cominciata, perché Israele non lascia entrare a Gaza il cemento, il vetro e altri materiali per l'edilizia. I quattro miliardi di dollari raccolti, a parole, durante il summit «per Gaza» della scorsa primavera, rimangono nelle casse dei paesi donatori per il divieto imposto da Israele e dagli Stati Uniti di cooperare, in qualsiasi forma, con il governo del movimento islamico Hamas.
Nel quartiere di Izbet Abed Rabbo, uno dei più colpiti dalla violenza dei bombardamenti di un anno fa, Firas, con cinque figli piccoli da sfamare che giocano davanti alla tenda in cui vivono da quasi 12 mesi, afferma di poter resistere al freddo. A spaventarlo piuttosto è la mancanza di lavoro, di un reddito minimo per mantenere la sua famiglia. È un contadino e prima dell'offensiva israeliana coltivava la terra per conto di una famiglia ricca, gli Abu Halima. «Ma ora in quei terreni posso andarci solo a rischio della vita - spiega Firas - sono vicini alle postazioni israeliane e i soldati aprono il fuoco su chi si avvicina». Israele ha imposto una «zona-cuscinetto» lungo il confine, ampia 300-400 metri all'interno di Gaza - ufficialmente per fermare i lanci di razzi - privando così la popolazione delle terre più fertili. Ahmad invece non desidera altro che di poter garantire a Muath, il suo bambino di un anno e quattro mesi, affetto da un tumore al fegato, una assistenza medica adeguata, grazie all'aiuto di una associazione italiana, «Angels». Le autorità israeliane non lo fanno uscire da Gaza, impedendone il ricovero al Policlinico Umberto I di Roma.
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