La missione Welcome to Palestine infine ce l’ha fatta. Non sembri trionfalismo visionario, ce l’ha fatta non significa che i circa 1500 attivisti siano riusciti a rompere il muro di complicità che consente a Israele di esercitare il suo illegale potere sul mondo. Oltre che sui Territori Palestinesi.
Ce l’ha fatta significa che, nonostante il comprensibile scetticismo di molti e grazie alla straordinaria tenacia politica di chi ha lanciato la missione, gli aeroporti europei, e non solo europei, hanno visto decine o centinaia di attivisti pronti a dichiarare che la Palestina esiste e che lì, proprio lì, nella città di Betlemme, erano diretti.
Che la missione sia riuscita lo dimostra anche il fatto che una parte dei mass media, colpevolmente silenziosa in tante occasioni, stavolta ha raccolto l’invito a trasmettere l’informazione su questa battaglia di civiltà che non si fermerà qui.
Israele è tanto potente da aver la forza di dettare legge ai governi e alle stesse compagnie aeree le quali, ricattate da una minaccia, probabilmente illegittima, di sanzioni, hanno scelto di chinare la testa al diktat di Netanyahu e di violare i diritti dei propri utenti: le compagnie aeree hanno negato l’imbarco a cittadini incensurati e pacifici, ma sgraditi a Israele perché capaci di dichiarare a voce alta che la loro meta è la Palestina.
In questo modo le compagnie aeree - contro le quali si stanno preparando azioni legali - hanno accidentalmente comunicato al mondo che Israele ASSEDIA anche la Cisgiordania, circondandola e stabilendo a suo arbitrio chi passa e chi no, a seconda che si umili dicendo penose bugie che finiscono per avallarne l’illegalità e chi invece ha detto BASTA BUGIE, vado in Palestina perché è mio diritto.
In tutto quel che è successo negli aeroporti c’è, però, qualcosa di particolarmente inquietante e cioè: “chi ha fornito a Israele i nomi dei numerosi pacifisti incensurati che avevano intenzione di arrivare a Tel Aviv dichiarando la loro “pericolosa” intenzione di recarsi in Palestina per aiutare a costruire una scuola?”. Cercheremo di capirlo e di denunciarlo attraverso un’azione legale, ma è chiaro che siamo spiati da uno Stato che non rispetta decine di Risoluzioni ONU, che uccide senza processo quelli che ritiene suoi nemici, che detiene un numero impressionante di testate nucleari, che usa armi proibite in guerre proibite, tutto nella più totale impunità.
Noi siamo sicuri che l’azione del 15 aprile ha aperto una breccia, seguendo la via di precedenti azioni non violente che ne hanno disegnato il percorso. La scelta del 15 aprile non è stata casuale, voleva essere la dimostrazione che c’è un gran numero di combattenti per i diritti umani che ha raccolto il testimone lasciato da Vittorio Arrigoni e che non si fermerà davanti alla violenza e all’arbitrio israeliani, lo dimostra il fatto che le poche decine di attivisti riusciti a passare e ingiustamente imprigionati non hanno chinato la testa e hanno iniziato lo sciopero della fame contro la detenzione illegittima. Dobbiamo sostenerli! Così come dobbiamo sostenere gli attivisti israeliani arrestati perché colpevoli di contestare l’assedio, l’occupazione e la politica di apartheid del loro governo.
Della delegazione italiana, composta di 15 attivisti, 8 sono stati bloccati negli aeroporti, e tra questi la sottoscritta, colpevole, forse, di presiedere un’associazione umanitaria che si occupa di tutelare l’infanzia ferita o resa orfana dall’esercito israeliano, ed altri 3 iscritti alla stessa associazione. Gli altri 4, bloccati forse perché “colpevoli” di aver manifestato contro la guerra e a favore dei diritti umani ovunque vengano violati. Degli altri 7 riusciti ad arrivare a Tel Aviv, 5 sono stati posti in detenzione appena pronunciata la pericolosissima frase “VADO A BETLEMME, IN PALESTINA”e costretti all’espatrio con minacce di diversa natura. Due sono giunti a Betlemme, di questi una probabilmente perché molto anziana e quando ha pronunciato la fatidica frase non l’hanno capita nel suo significato “sovversivo”, e l’altro per aver derogato alla decisione comune per non lasciare senza testimonianze dirette la missione. Quindi, nonostante le strette maglie dell’illegale sistema israeliano, la missione segna un successo. Sicuramente parziale, ma significativo per andare avanti.
Il prossimo passo si gioca in ambito legale ma, comunque vada, Benvenuti in Palestina proseguirà finché ce ne sarà necessità. E il governo israeliano seguiterà a sprofondare nel ridicolo e a far vergognare quei pochi suoi cittadini consapevolmente democratici, per l’immagine che offre al mondo. Un’immagine che oscilla tra quella di uno stato colpevole di crimini contro l’umanità e quella di uno stato che ha paura perfino di chi arriva cantando, coi bambini in spalla, armato del desiderio di costruire una scuola…in Palestina!
E’ solo questione di tempo, ma se non vogliamo che il tempo sia troppo lungo, abbiamo bisogno del sostegno di tutti, istituzioni e società civile, per fermare l’illegalità e l’arbitrio israeliano e arrivare a una pace giusta in Medio Oriente.
Patrizia Cecconi – coordinamento Benvenuti in Palestina 2012
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