Migliaia di detenuti palestinesi si coordinano in uno sciopero della fame senza precedenti per protestare contro ingiusti e illegali metodi di detenzione.
ELENA VIOLA
Roma, 17 aprile 2012, Nena News – All’incirca 1600 detenuti palestinesi sono in sciopero della fame, in concomitanza con la Giornata dei Prigionieri e la scarcerazione del loro famoso compagno Khader Adnan (protagonista di un lunghissimo digiuno nelle scorse settimane) prevista oggi sulla base di un accordo con le autorita’ israeliane. Una protesta contro le condizioni di vita nelle carceri israeliane e detenzioni frutto di arresti illegali, alla quale non a caso e’ stato dato il nome di Karameh (Dignità).
Lasciando la parola a Hana Shalabi, che nei mesi scorsi si è fatta simbolo di una lotta personale contro la detenzione amministrativa dalla più ampia connotazione popolare, diventa chiaro come, “gli scioperi della fame siano un ottimo ed efficace mezzo, forse l’unico, grazie al quale i prigionieri possono davvero ottenere qualcosa.” Sebbene Shalabi non abbia negato come la sua prolungata astinenza da cibo – 43 giorni di sciopero in totale – “fosse stata fisicamente molto dura,” non ha mai smesso di rimarcare come “il suo morale fosse alto.”
Secondo le stime dell’Associazione per il Supporto e i Diritti Umani dei Prigionieri-Addameer, il numero odierno di detenuti palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane ammonta a più di 4600 individui. Tra questi, almeno 320 sono prigionieri in detenzione amministrativa, cioè all’oscuro dei reali motivi dietro la loro prolungata detenzione, privi di qualsivoglia diritto a un normale processo e in totale balia del volere dei giudici militari israeliani.
Non è un caso che settimane addietro siano stati alcuni prigionieri in detenzione amministrativa a dare avvio all’odierno sciopero della fame. Essi si sono fatti promotori di una campagna di sensibilizzazione volta ad abbracciare l’intera e numerosissima classe di prigionieri palestinesi vittime di diversi maltrattamenti – isolamento, torture e abusi sia verbali che fisici, illegale deportazione dai territori occupati alle carceri situate nel territorio israeliano ecc. – da parte degli appuntati israeliani.
Tra gli 11 detenuti in questione, due rifiutano il cibo da 46 giorni. Secondo ciò che riportano i Medici per i Diritti Umani, il ventisettenne Bilal Diab, detenuto con procedura amministrativa dall’agosto scorso, ha cominciato a non accettare alcun tipo di soluzione fisiologica e ha perso conoscenza numerose volte. Tha’er Halahi, che di anni ne ha 34, è invece in detenzione amministrativa da 22 mesi, pena che si va a sommare ad altre cinque scontate da lui precedentemente.
Utilizzare l’arma non-violenta dello sciopero della fame come “unico mezzo del quale i prigionieri palestinesi dispongono per veder riconosciuti i loro diritti,” come una dichiarazione congiunta di tutti i prigionieri apparso due giorni fa su Ajnet news afferma, “e per fare pressione sul potere occupante per spingerlo a negoziare su alcune basilari richieste,” non è nuovo nella storia palestinese.
Il primo sciopero della fame – che per essere considerato tale deve avere una durata minima di 48 ore secondo il Servizio delle Prigioni Israeliane – ha avuto luogo nelle carceri di Nablus nel 1968. Da quel momento, in cui i palestinesi hanno alzato la testa contro gli abusi fisici e ripetuti subiti dai soldati israeliani, la storia di affermazione di dignità e diritti dei prigionieri palestinesi non si è mai fermata davvero.
Detto ciò, qualcosa è cambiato a cavallo tra 2011 e 2012. Prima il rilascio farsa, visto che metà è stata riacciuffata in seguito o deportata nella prigione a cielo aperto di Gaza, di un migliaio di detenuti palestinesi in cambio dell’unico soldato israeliano Gilad Shalit, poi le rinnovate e reiterate campagne di tante organizzazioni locali e internazionali dopo l’intensificarsi delle misure repressive adottate dal governo israeliano ai danni dei palestinesi. Quindi, la forza e l’ostinazione di Khader Adnan e Hana Shalabi, pronti ad assurgere al ruolo di martiri nazionali pur di riaffermare i propri diritti calpestati d’individui alla mercè di sistemi ingiusti e partitici.
Khader Adnan ha battuto ogni record in terra palestinese: 66 giorni di completa astinenza da cibo. L’attenzione mediatica e il supporto locale e internazionale gli hanno permesso di strappare una piccola concessione all’integerrimo potere occupante, e questo proprio quando le speranze di vita per lui stavano venendo a mancare. Più fortunato del tristemente noto Bobby Sands irlandese, Adnan potrebbe, o dovrebbe, essere rilasciato quest’oggi, scontando così ‘solo’ quattro mesi in illegale detenzione amministrativa contro gli almeno sette inizialmente previsti.
Dopo Adnan è stata la volta di Hana Shalabi: giovane donna a capo di una personale battaglia contro le umiliazioni e i maltrattamenti fisici e verbali subiti in carcere dai soldati israeliani e contro l’ingiusta e diffusa pratica della detenzione amministrativa, che avvicina a lei tanti palestinesi dalla diversa età e classe politica. Dopo 43 giorni, Shalabi ha accettato il verdetto della corte: deportazione nella Striscia di Gaza, lontana da familiari e amici, per tre lunghi anni.
Adnan e Shalabi sono isolati esempi di resistenza non-violenta dall’insolito successo. Se hanno fatto da modello allo sciopero della fame generale fissato per oggi, nondimeno si distanziano dalla portata totalitaria di quest’importante evento odierno. Adnan e Shalabi hanno alle spalle trascorsi familiari e politici affini e, per quanto abbiano incontrato incondizionato supporto sia nei Territori Occupati Palestinesi che all’estero, non sono specchio di una società composita e frazionata come quella palestinese.
Oggi, come dice il ministro per le questioni dei prigionieri dell’Autorità Palestinese Issa Qaraqi, “la situazione nelle prigioni israeliane si è fatta pericolosa e i prigionieri appartenenti alle diverse fazioni e organizzazioni devono fare fronte comune contro il Servizio delle Prigioni Israeliane.”
Se simili inneggianti parole si trovano anche nella dichiarazione rilasciata dai prigionieri stessi qualche giorno fa, il direttore di Ahrar Centre per gli Studi e i Diritti Umani dei Prigionieri, ed ex-detenuto, Fouad Khuffash rivela al Centro di Informazione Palestinese come, “i detenuti del partito politico di Fatah hanno deciso di partecipare allo sciopero della fame nelle carceri di Nichel, Ashkelon e Nafha e lo stesso vale per i detenuti di fazioni politiche quali Hamas, Islamic Jihad e PFLP. Si assisterà per la prima volta ad una larga unità tra fazioni.”
Non solo le potenze esterne, ma anche gli stessi palestinesi, lamentano spesso la mancanza di unità d’intenti tra le sfere politiche locali. Così si assiste a un nuovo fenomeno. Che lo sciopero della fame sia un efficace mezzo di resistenza non-violenta personale per sconfiggere e attirare l’attenzione su forme di oppressione e maltrattamento spesso ignorate, è cosa nota e verificata.
Ma, far fronte comune organizzando un evento politicamente trasversale e totalizzante come lo sciopero della fame di oggi, è fatto per risvegliare le coscienze mondiali di fronte a ingiustizie che di personale non hanno più nulla ma che, nelle loro diverse e illegali forme, colpiscono una popolazione intera senza distinzione di sorta. Nena News
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