Ho accolto la triste notizia della morte di Ronit Dovrat con un moto di incredulità. Son dovuti passare diversi giorni perchè mi convincessi che era proprio accaduto. Un anno questo, contrassegnato dalla perdita dei nostri migliori compagni, un anno che ci ha lasciato un gran vuoto e che non poteva finire peggio.
Conoscevo Ronit dal 2002, epoca della seconda Intifada che devastò assieme ai TPO anche la nostra coscienza e il nostro cuore. Al contrario di altri “ebrei di sinistra” Ronit aveva le idee molto chiare in merito. Essendo israeliana conosceva la situazione dall'interno e non si faceva illusioni. A Gad Lerner che scriveva sul “Manifesto” “Questa nuova arma(gli attentati palestinesi) che ribalta in impotenza la superiorità militare israeliana rende verosimile la vittoria del terrorismo...” rispondeva “Non devi mai dimenticare di aggiungere quando nomini l'esercito israeliano la parola “terrorista” perchè avere un esercito non legittima tutte le sue azioni: bombardare i campi profughi del Libano e i territori occupati per anni non risparmia la morte dei civili, anzi, è più efficace. Umiliare fisicamente e psicologicamente una popolazione intera per anni è un atto terroristico perchè il suo scopo è ferire e uccidere.” Ronit definiva il pensiero di Lerner “pacifismo razzista” come quello di coloro che in Israele negli anni 70-80 i veri pacifisti israeliani chiamavano “quelli di piangi e spara” “perchè il sangue ebraico alla fine ci è ben più caro di quello palestinese.” Ronit stigmatizzava l'equidistanza di Lerner rispetto alla quale si poneva ben distante.
Durante i giorni della strage israeliana a Gaza “Piombo fuso” ricordava che le sue nonne quando le parlavano dei pogrom in Russia, dove avevano perso tutta la famiglia, definivano gli assassini “A vilde chayes” bestie feroci. La strage di Gaza, notava Ronit, non aveva neppure il paravento della Falange come a Sabra e Chatila “la gloria è tutta di Tzahal” l'esercito israeliano. Notava che questi piloti non sono mai stati chiamati terroristi e chiamava a manifestare con la striscia nera di lutto contro le bestie feroci che come nei pogrom in Russia avevano assassinato migliaia di persone e centinaia di bambini a Gaza.
Ronit non era solo una militante, ma anche un'artista sensibile, fin dall'82 aveva espresso artisticamente il suo dissenso, all'epoca viveva a Tel Aviv e non si poteva parlare di palestinesi né avere una bandiera, per cui all'interno della sua installazione, il cui soggetto erano i prigionieri, aveva dipinto ogni prigioniero con un colore della bandiera palestinese.
Nel 2003 mi colpì moltissimo una sua mostra allestita assieme all'artista palestinese Rula Alawani. Rula che lavora sulla fotografia presentava una serie di foto agghiaccianti, immagini della repressione della seconda Intifada elaborate in negativo. Ronit invece aveva “lavorato sull'invisibile”. I volti che rappresentavano le 12 tribu di Israele erano senza occhi “perchè essi non vedevano gli altri, ma soltanto se stessi”queste opere si chiamavano “Frontiere mentali” e mentre le tribu d'Israele non vedevano, gli occhi dei palestinesi erano sottolineati, i loro corpi ridotti praticamente a volto, spesso contornato da uccelli senza ali e chiusi in un rettangolo, esprimevano come in un grido silenzioso tutta la sofferenza e l'oppressione e assieme reclamavano nonostante tutto di esistere e di essere vivi.
In un'intervista con Rita Scrimieri diceva: “”Frontiere mentali” le ho fatte proprio in questa seconda Intifada, l'elemento di collegamento, di continuità con il periodo precedente è la sensazione che tutto un popolo è in prigione, è chiuso fuori dalla vita, non solo fisicamente. E questa chiusura non è che l'ho sentita solo su un altro popolo. Io mi sono svegliata tutte le mattine, fin'ora con un peso...Ho sentito che creando queste frontiere, questa limitazione della vita ai palestinesi, hanno creato la frontiera anche a me, mi hanno limitato la vita, i miei spazi, io non posso svegliarmi serena perchè sento questo peso e finchè c'è questa chiusura sull'altro c'è la chiusura su di me, una chiusura che ti rovina la vita”.
Nelle opere “Testimonianze” Ronit aveva creato dei grandi dipinti in cui era inserito una parte scritta. Quello scritto era la testimonianza di un palestinese ferito o torturato da Israele e riportato sul dossier di Bet'slem, l'associazione israeliana per i diritti umani che registra tutti i soprusi israeliani ai danni dei palestinesi. Di enorme impatto era il dipinto su cui campeggiava una grande stella di david, la testimonianza riportata era di uno studente palestinese fermato a un check point da un soldato che gli aveva inciso sul braccio con un coccio di bottiglia una stella di david. Molto toccante anche un altro dipinto “Bambini volatili” la testimonianza era quella di un bambino picchiato selvaggiamente dai soldati all'uscita da scuola. A proposito del primo dipinto Ronit notava “Bisogna ricordare che per gli ebrei la stella ha un valore incredibile, e in “nome della stella” viene perpetrato questo sterminio nei confronti dei palestinesi.” Avrebbe voluto raccontare tutto, ogni tortura, ma doveva fare una scelta, per “bambini volatili” diceva “Ho scelto un bambino di 13 anni che racconta quello che gli ha fatto il soldato, l'ho scelto perchè ho un figlio di 13 anni e non vorrei mai che gli succedesse una cosa del genere. Nè a lui né a nessuno”. Ma nell'intensità artistica, umana ed etica di queste opere Ronit non faceva da tramite di una testimonianza. “No, non sono un tramite” diceva, “Questa testimonianza diventa la mia testimonianza. Psicologicamente è difficile resistere dentro, perchè veramente ti senti come se fosse successa a te questa cosa e le testimonianze sono durissime.
Ronit era una donna giusta e libera, entrambe cose che fanno soffrire.
Ciao Ronit. Che la terra ti sia lieve.
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