23 luglio 2010
Ni’lin
Nell’aria ancora fresca del mattino mi soffermo a guardare i bambini che fanno ginnastica nel vasto spazio esterno della MLRP, sono i bambini del campo estivo. In questo periodo si vedono gruppi di bambini dappertutto, La MLR e altre istituzioni organizzano per loro 3 mesi di “vacanza” tenendoli occupati con attività sportive, culturali e di svago, anche per distrarli un po’ dalla tensione della vita sotto occupazione. Questi bambini sono bellissimi, allegri e socievoli, è incredibile con tutto quello che passano.
Questa mattina aspettiamo un’altra delegazione italiana guidata da Luisa Morgantini e alcuni esponenti dei comitati popolari di Bil’in 2) e Ni’lin, i villaggi dove ogni venerdì si organizzano manifestazioni per protestare contro il muro che sta distruggendo la vita concreta di questi villaggi togliendo loro terra e campi coltivati per inglobarli nel muro dalla parte di Israele o per farvi passare un altro tratto di muro.
Quando arriva la delegazione e i membri dei comitati popolari ci spostiamo tutti, dopo i saluti, in un’ampia sala dove ci saranno degli interventi. Della delegazione italiana conosco oltre Luisa, una compagna che ho incontrato a Roma durante una manifestazione. Dopo un breve discorso di Luisa Morgantini e della presidente della nostra associazione Patrizia Cecconi, parla Mohamed Al Katib, storico rappresentante del comitato popolare di Bi’lin.
Assieme a suo padre ogni venerdì deve recarsi a Kalandia a firmare, per dimostrare di non partecipare alla dimostrazione. Questo da quando è stato arrestato diversi mesi fa.
Mohamed ci parla del villaggio di Bi’lin, 700 persone, il 60% della terra coltivata è al di là del muro, su questo 60% stanno costruendo altre case dell’insediamento di Modin Illit dove vivono 45mila coloni. Il muro è funzionale al piano di sviluppo dell’insediamento e impedisce di lavorare la terra.
Alla fine del 2004 il muro ha raggiunto Bi’lin.
“Nello stesso giorno in cui sono venuti a sradicare i nostri ulivi abbiamo iniziato la lotta” dice Mohamed.” La risposta dei contadini è stata spontanea, abbiamo cominciato a connetterci con gli altri villaggi che stavano subendo la devastazione. Avremmo voluto raggiungere i bull-dozer che sradicavano gli alberi, ma c’erano i soldati, era impossibile. Non avevamo nessuna visibilità e nessun giornale pubblicava le ragioni della nostra lotta. Nel 2005 Israele ha annunciato che avrebbero sradicato una fila di ulivi per costruire la strada. A quel punto ci siamo incatenati agli ulivi. Abbiamo cominciato a pensare a una strategia di lotta non-violenta in quel modo avremmo sottratto agli israeliani la possibilità di recitare la loro litania sulla difesa della loro sicurezza. Era chiaro che da una parte c’erano i soldati e dall’altra civili che difendevano le loro risorse. E’ stata una rivoluzione del nostro pensiero accompagnata dalla coscienza dei nostri diritti. Da allora abbiamo cominciato a inscenare manifestazioni settimanali. Così la nostra battaglia cominciava a diventare visibile, ma non era visibile il rapporto tra il muro e le colonie. Abbiamo deciso allora di entrare dall’altra parte del muro e costruire una casa mobile. L’esercito l’ha rimossa in poco tempo. Ai soldati chiedevamo perché qui i coloni possono piantare roulotte e tende che poi trasformano in case e quindi in insediamenti, anche contro la stessa legge israeliana (secondo cui solo alcune colonie sono illegali) e noi no. Abbiamo potuto ottenere un documento sulla mappa degli insediamenti out-post, da pacifisti israeliani. Si parla di tremila appartamenti costruiti in modo illegale anche secondo Israele. L’esercito ha giustificato la rimozione con il pretesto che la casa è mobile, allora abbiamo deciso di costruire una casa fissa davanti ai settlers e i soldati. Questa azione ha avuto buoni risultati per bloccare la costruzione di case per i settlers e cambiare il percorso del muro. La casa esiste ancora. “
Poi Mohamed parla dell’indipendenza politica dei comitati. “ Vogliamo lavorare con tutti, ma non essere controllati da nessuno. Stiamo cercando di mantenere il coordinamento tra i villaggi e con gli israeliani e internazionali che sono parte della nostra lotta. Gli israeliani hanno costruito il loro coordinamento e a livello internazionale un coordinamento net-work. Ci sarà un’iniziativa a Supino (Italia) che chiamerà a partecipare a questo net-work internazionale.”
La lotta di Bi’lin è diventata popolare in tutto il mondo e molti villaggi hanno seguito il suo esempio. Il comitato del villaggio ha esercitato una grande creatività nell’organizzare le manifestazioni, così una volta si sono truccati da avatar, un’altra volta i partecipanti erano esclusivamente disabili in carrozzella, e in un’altra manifestazione è stato portato un pianoforte davanti al muro.
“Siamo in una fase di valutazione di come procedere, dobbiamo pensare a nuove forme e azioni da intraprendere” conclude Mohamed.
Prende poi la parola Mohamed Amira che ci parla del villaggio di Ni’lin e della sua lotta.
“Ni’lin dista 12 km dall’aeroporto Ben Gurion dove prima del ‘48 c’erano villaggi palestinesi. Adesso ci sono intorno a Ni’lin cinque insediamenti ebraici e continuano a costruire. Hanno sottratto terra al villaggio e cambiato i nomi arabi dei luoghi in nomi ebraici. Gli insediamenti sono costruiti in modo da interrompere la continuità territoriale tra i villaggi. Prima da Ni’lin a Bi’lin ci volevano cinque minuti, ora ci vuole un sacco di tempo. Sette anni fa hanno cominciato a costruire la strada per i coloni, ci siamo opposti e hanno cambiato il percorso. Nel 2008 a ovest di Ni’lin hanno cominciato a costruire un’altra strada, puntavano sulla nostra stanchezza, ma abbiamo lottato anche a ovest. Ai soldati che rispondevano con violenza abbiamo detto: “questa è la nostra terra”. Siamo agricoltori, non apparteniamo a organizzazioni, vogliamo lavorare la nostra terra. A ogni manifestazione i soldati rispondono con lacrimogeni e pallottole. Dalla manifestazione di Bi’lin venivano ad aiutarci e uno dei ragazzi di Bì’lin è stato preso dai soldati. Gli hanno sparato mentre era bendato e legato. (il video è circolato dappertutto). Nel 2009 hanno sparato a un bambino di 10 anni. Ci sono molti feriti e anche morti. Abu Mussa è stato ucciso a sangue freddo quando è uscito di casa, una jeep lo aspettava e gli hanno sparato. A Bassam hanno sparato un candelotto nello stomaco. Sparano ad altezza d’uomo, lanciano i lacrimogeni anche dentro le case. Dopo quattro mesi dal massacro di Gaza (operazione Piombo fuso) la popolazione di Ni’lin ha dedicato la manifestazione a Gaza. In quell’occasione vennero uccise due persone, uno era Adel, aveva 36 anni e lasciò orfani tre bambini. Nel corso delle manifestazioni del venerdì sono state uccise cinque persone e ci sono stati dieci aborti causati dall’inalazione di gas. Per impedire le manifestazioni stanno impiegando un nuovo tipo di gas, sparano i candelotti alle gambe e provocano ferite. Hanno arrestato 56 persone, 12 sono ancora in carcere.”
La figlia di Amira è stata ferita mentre era affacciata alla finestra, il padre è stato portato in carcere tre volte, ha scontato dodici mesi e pagato una multa salata.
“Continuo a manifestare a braccia alzate, ma loro sparano” dice Amira.
“Non posso andare a coltivare la mia terra dall’altra parte del muro”.
Affronta anche lui il tema dell’indipendenza politica dai partiti
“La cosa importante è avere una comunità di gente che lavora per un obiettivo e questo trascende qualsiasi appartenenza politica perché la resistenza popolare è basata sulla società civile e non sui partiti. Si appoggia alla base popolare locale e al supporto internazionale.
Per 60 anni la storia della lotta palestinese è stata raccontata da Israele, anche i palestinesi della diaspora qui hanno visto cose che non sapevano esistessero, perché Israele controlla i media. Quando le persone vengono in Palestina però vedono con i propri occhi e raccontano quello che hanno visto.” Rivolgendosi alle delegazioni dice:
“La vostra presenza è importante perché portate fuori il messaggio della storia palestinese e anche per l’appoggio etico-morale alla nostra lotta. Nonostante l’ipocrisia dei governi che supporta Israele, e la violenza israeliana è importante che il movimento internazionale mostri al mondo che c’è un’altra storia, questo aiuta anche le forze di pace in Israele, il nostro legame è importante”.
Sul perché della scelta non-violenta dice: “Vogliamo la pace per tutti, anche per gli israeliani e far cessare la violenza.”
L’anno scorso i palestinesi hanno commemorato la caduta del muro di Berlino buttando giù un pezzo di muro a Nil’in e a Kalandia.
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