giovedì 17 ottobre 2013
Lettera al Presidente della Repubblica
Oggi abbiamo restituito al Presidente della Repubblica le medaglie al valore che avevamo ricevuto nel 2011 e 2012. Gli abbiamo scritto anche una lettera che pubblichiamo di seguito:
“Egregio Sig. Presidente della Repubblica,
A seguito di nostre richieste alla presidenza della Repubblica per avere dei fondi con i quali finanziare la manifestazione culturale Lampedusainfestival, che si svolge dal 2009 a Lampedusa, abbiamo ricevuto, nel 2011 e nel 2012 due medaglie al valore, per la stessa manifestazione.
Dopo i drammatici eventi avvenuti a Lampedusa negli ultimi giorni sentiamo l’esigenza di inviarLe questa comunicazione. Era da tempo, in realtà, che molti di noi sentivano il bisogno di comunicarLe quanto segue; ma il dolore, la rabbia e lo strazio di questi giorni hanno fatto sì che non fosse più possibile indugiare oltre.
Rifiutiamo la spettacolarizzazione mediatica con cui il naufragio del 3 ottobre scorso è stato rappresentato e diffuso dall’industria dell’intrattenimento: dietro la morbosità con cui la fabbrica delle lacrime e del cordoglio del “lutto nazionale” provano a confezionare il format della rappresentazione della tragedia, dietro i riflettori, le conferenze stampa, le visite ufficiali, crediamo ci sia molto altro che vada denunciato.
Di fronte ad una strage come quella appena consumatasi, di fronte alle centinaia di corpi ancora ostaggio di un mare che certo non ha colpe pari a quelle della società umana, non accettiamo che ci sia chi venga sull’isola promettendo e assicurando. Non accettiamo più che ci si riempia la bocca di promesse, che si diano in pasto alle televisioni le lacrime di circostanza, le commozioni di rito, le figure degli “eroi” e dei salvatori, lasciando poi che le prime pagine si occupino d’altro, che i riflettori si spengano, che i giornalisti ripartano, lasciando tutto così come era prima.
A partire dalla legge 40/1998, legge che sicuramente Lei conoscerà bene dato che porta anche il Suo nome, l’Italia ha avviato una prassi di vero e proprio stato di eccezione, sancendo la detenzione ed il trattenimento di quanti non avevano commesso alcun reato. Con l’inasprirsi delle norme in materia di immigrazione la situazione è andata via via peggiorando. Il business dell’ “accoglienza” si articola oggi lungo una rete di strutture e di centri detentivi che, appaltati a strutture varie, rendono i migranti materia prima di un processo di produzione di profitto che ha luogo in una costante dinamica emergenziale. Come all’Aquila, come in Val di Susa: militarizzazione, gestione di emergenze alimentate ad arte, sospensione dei diritti e stato d’eccezione per creare laboratori di controllo sociale e di repressione.
L’ingerenza imperialista e neo-coloniale dei paesi cosiddetti occidentali destabilizza e rende subalterne intere aree geopolitiche, generando così fenomeni di emigrazione sempre più consistente. Una emigrazione necessaria al capitalismo finanziario dei nostri giorni, il cui conflitto con il lavoro vivo necessita che si impongano nuove forme di governo e di istituzioni e che il mercato stesso del lavoro delle società europee venga stravolto. Occorrono dunque gli immigrati, come manodopera di riserva, clandestina, sommersa, ricattabile, come marginalità sociale su cui far poggiare una riforma in senso neo-oligarchico delle società europee. Accanto alla marginalità migrante si colloca infatti il disagio sociale di quanti, italiani, vivono ormai processi espulsivi di subordinazione, di impoverimento, di negazione della dignità, di quanti lasciano il nostro paese vestendo ancora una volta, anche loro, i panni che in passato abbiamo dovuto troppo spesso vestire, quelli degli emigranti. E come ben saprà non si tratta solo della famigerata fuga dei cervelli: qui parliamo di migliaia che ogni anno lasciano il paese per poter anche solo avere la speranza di un lavoro che garantisca la sussistenza.
Così, sullo stesso scoglio di terra, nel canale di Sicilia, il migrante detenuto in un centro indegno, destinato a divenire un ingranaggio del motore del grande sfruttamento continentale, respira la stessa area della donna di Lampedusa che non può partorire sull’isola, perché non vi sono le strutture sanitarie adeguate, di chi rischierà di morire durante un disperato trasferimento in elicottero sulla terraferma per una emergenza che un ospedale avrebbe potuto benissimo affrontare, del bambino costretto in strutture scolastiche inadeguate, di un cittadino che è costretto a pagare i carburanti più cari d’Europa e che magari, essendo pescatore, è costretto a demolire la barca, perché il carburante è troppo caro.
La tragedia del 3 ottobre fa allora venire al pettine moltissimi nodi politici dei nostri tempi. Chi è che governa davvero questo paese? Quale quota di sovranità ancora mantengono le sue istituzioni? Assistiamo ad un continuo scarica barile tra i vari “rappresentanti delle istituzioni”. Quegli stessi che negli ultimi anni sono stati colpevolmente muti rispetto alla situazione di Lampedusa, che solo dopo il grande fatto di sangue è stata oggetto di una qualche grottesca attenzione, così come lo era stata esclusivamente in occasione delle emergenze più eclatanti come la vergogna accaduta nel 2011.
Riteniamo che la crisi politica delle società europee stia sempre più privando l’Italia della propria sovranità. Abbiamo perduto quella monetaria e siamo sempre più esposti ad un’erosione dell’autonomia e della capacità decisionale delle nostre istituzioni politiche. Una governance economico-politica, espressione delle élite tecnocratiche finanziarie e bancarie, impone ormai le proprie direttive e i propri selezionati referenti alle società europee ed alle loro istituzioni, senza che i loro cittadini siano in grado di opporvisi. Per di più l’Italia è succube ed asservita agli interessi militari e di ingerenza imperiale degli USA. Il nostro territorio, alla stregua di una colonia, è disseminato di istallazioni e basi militari e la vicenda del MUOS di Niscemi è solo l’ultima grottesca dimostrazione di uno svuotamento di senso dell’intero apparato politico-istituzionale del paese.
A cosa servono e che senso avrebbero queste medaglie, dopo aver sottoscritto un golpe costituzionale, voluto dai poteri economici e finanziari, quale quello del pareggio di bilancio, che strozzerà qualunque possibilità di un futuro per il paese intero? A cosa servirebbero dopo aver appoggiato la criminale aggressione della Libia, dopo aver condiviso e avallato un’operazione criminosa come la destabilizzazione della Siria, dopo aver sottoscritto il commissariamento da parte dell’oligarchia finanziaria di un intero paese che era un tempo la seconda forza manifatturiera del continente?
Quelle stesse istituzioni che vorrebbero appuntarci medaglie sul petto sono quelle che alimentano la macchina infame dei CIE, della militarizzazione della Val di Susa, della dislocazione coatta de L’Aquila, delle infinite emergenze dei rifiuti, dei legami organici e strutturali con le mafie, del pareggio di bilancio, della politica neo-coloniale che produce migrazioni, delle missioni di guerra spacciate per umanitarie e delle riforme del mercato del lavoro che generalizzano precarietà e marginalità.
Noi proseguiremo sul nostro cammino, convinti che la crisi epocale che stiamo vivendo può ospitare, in sé, i germi potenziali di un futuro altro e diverso, di una società rinnovata. Ma non abbiamo bisogno né vogliamo che siano queste medaglie a poter fungere da conferma e da riconoscimento di quanto da noi tentato. Perché se ad appuntarle è la stessa politica che, dopo una tragedia come quella di giovedì scorso, invoca rafforzamenti di Frontex, approfittando ancora una volta della questione migratoria per implementare la stretta militare sul Nord Africa, siamo convinti che la nostra strada vada in tutt’altra direzione.”
Associazione Culturale Askavusa - Lampedusa, lì 14/10/2013
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