ADISTA NOTIZIE 33/2013
Certo non è paragonabile al Premio Nobel per la pace assegnato a Kissinger e ad Obama, ma fa pur sempre specie che l’Università cattolica di Sant’Antonio di Murcia (Ucam), in Spagna, abbia deciso di conferire la laurea honoris causa in Etica Politica e Scienze umane al premier israeliano Benjamin Netanyahu. La cerimonia avrà luogo ai primi di ottobre, sotto gli auspici dell’ex premier spagnolo José María Aznar che dirige la cattedra in questione, ma la decisione è stata suggellata già a fine luglio dal presidente dell’Ucam, José Luis Mendoza, durante una visita in Israele – in compagnia tra gli altri del card. Antonio Cañizares, prefetto della Congregazione per il Culto Divino – al cospetto dello stesso Netanyahu, il quale, ben contento, ha dichiarato che si impegnerà personalmente nel coordinamento delle nascenti relazioni tra l’Ucam e le università israeliane.
Molto meno contenti i teologi e le teologhe dell’Associazione spagnola Giovanni XXIII e i Comitati spagnoli Oscar Romero, i quali hanno espresso la loro più netta ripulsa nei confronti di questa iniziativa, che definiscono «un insulto e un’offesa al popolo palestinese, un attentato contro i diritti umani e una negazione della dignità di questo popolo». «Ci sembra scandaloso che un’università che si proclama cattolica agisca contro i più elementari principi di etica umanitaria e diritto internazionale, legittimando azioni che ledono i diritti legittimi del popolo palestinese», scrivono in un comunicato congiunto. «Se l’Università cattolica di Murcia non vuole essere complice della sistematica aggressione del governo israeliano contro il popolo palestinese, deve rinunciare a conferire questa onorificenza al primo ministro israeliano. È ancora in tempo».
Stesse considerazioni della Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI), dell’Associazione dei Professori Universitari e della Federazione Palestinese dei Sindacati dei Professori e degli Impiegati Universitari (PFUUPE) che hanno accolto con grande preoccupazione la notizia. «Negli ultimi anni Israele, per salvaguardare la sua immagine che andava macchiandosi, ha raddoppiato gli sforzi per autopromuoversi come un’illuminata democrazia liberale. L’assegnazione di simili onorificenze – scrivono le tre associazioni – gioca un ruolo fondamentale in questo tipo di partita e, conferendo tale riconoscimento al primo ministro di Israele, voi state in realtà aiutando il governo israeliano nelle sue politiche di promozione della propria immagine, assegnandogli lo status di membro nel privilegiato club occidentale delle democrazie liberali». «I criminali di guerra di Israele – è la loro conclusione – dovrebbero essere boicottati, non premiati».
L’UE tenga il punto!
Di diverso avviso evidentemente il segretario di Stato statunitense John Kerry che si è molto speso nelle scorse settimane per esercitare pressioni sull’Unione Europea affinché revochi o ammorbidisca le linee guida approvate nel luglio scorso che escludono le entità israeliane attive nei Territori occupati, compresa Gerusalemme Est, dal sostegno che l’UE può concedere sotto forma di sovvenzioni, premi o strumenti finanziari (v. Adista Documenti n. 31/13).
Un’ingerenza che non è passata inosservata, determinando la reazione, oltre che di moltissime realtà palestinesi, di 500 tra docenti e ricercatori universitari europei, i quali l’11 settembre hanno scritto una lettera all’Alto Rappresentante della Politica Estera dell’Unione Europea, Catherine Ashton, incoraggiando l’UE a non annacquare le linee guida e a far sì che vengano applicate anche al nuovo programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione, “Horizon 2020”, per il quale si stimano investimenti per diversi miliardi di euro tra il 2014 e il 2020, e che vede la partnership di Israele (che però fin dall’emanazione delle linee guida in questione ha minacciato il proprio ritiro).
Le stesse sollecitazioni sono contenute in un’analoga lettera inviata il 16 settembre a tutti i ministri degli Esteri dell’UE da 15 figure di spicco della politica europea come l’ex ministro degli Esteri francese Hubert Védrine, l’ex vice ministro degli Esteri tedesco Wolfgang Ischinger e l’ex ambasciatore britannico all’ONU Jeremy Greenstock; e ancora Javier Solana, ex responsabile della politica estera dell’UE, Benita Ferrero-Waldner, ex commissario europeo per le relazioni esterne ed ex ministra degli Esteri austriaca, John Bruton, ex primo ministro irlandese, Andreas Van Agt, ex primo ministro olandese e Hans Van den Broek, ex ministro degli Esteri olandese.
Ma, a sorpresa, un sostegno alle linee guida europee è arrivato anche da ben 600 intellettuali, docenti universitari e artisti israeliani, tra cui sette vincitori del prestigioso Israel Prize (Dani Karavan, Alex Levac, David Tartakover, Shimon Sandbank, Zeev Sternhell, Yehoshua Kolodny e David Harel): «Consideriamo questo annuncio dell’UE come un atto di amicizia e di sostegno allo Stato di Israele all’interno dei suoi confini riconosciuti». «Se tale decisione sarà pienamente attuata – proseguono –, accelererà i negoziati di pace tra Israele e l’Autorità palestinese e aumenterà le possibilità di portare entrambe le parti al tavolo dei negoziati verso un accordo che comprenda il riconoscimento della green line come base per la definizione del confine politico tra Israele e Palestina». «Ci auguriamo che questa decisione sarà attuata al più presto da parte di tutti gli Stati europei, e convincerà altri Paesi, come Stati Uniti, Russia, Cina e India, ad accogliere ed aderire all’iniziativa europea. Chiediamo al governo di Israele – concludono – di evitare qualsiasi attività e reazione che possa danneggiare i nostri rapporti con l’Europa e di cessare il sostegno finanziario e le attività oltre la green line, per il bene di tutti i cittadini israeliani». (ingrid colanicchia)
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