venerdì 26 marzo 2010

Netanyahu contro la pace

* EDITORIALE | di Zvi Schuldiner
NETANYAHU CONTRO LA PACE
Durante la recente visita in Israele del vicepresidente degli Stati uniti, «per un puro errore burocratico» è stata annunciata la decisione di costruire altre 1.600 unità abitative a Gerusalemme est, vale a dire fuori dalla linea verde del 1967. L'«errore» è stato una vera provocazione, un insulto al vicepresidente americano.
Joe Biden era arrivato in Israele per celebrare la ripresa dei negoziati (indiretti) con i palestinesi; l'annuncio da parte del ministero dell'interno israeliano, guidato dal religioso fondamentalista Eli Ishai, ha invece innescato la furiosa reazione americana, andata in crescendo fino a che la conversazione telefonica tra la segretaria di stato Hillary Clinton e il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha chiuso l'incidente.
Washington ha usato la sopravvenuta crisi per fare pressione sul premier israeliano, il quale si è ripetutamente scusato dell'incidente. Ma non ha ceduto sulla sostanza: «Il diritto degli israeliani a continuare con le costruzioni di insediamenti a Gerusalemme, come hanno fatto tutti i governi dal 1967», questo il premier israeliano Netanyahu ha ripetuto all'affollata riunione annuale del Aipac, la lobby filo-israeliana negli Stati uniti. Per la prima volta però si ascolta una forte voce contraria: una nuova lobby di ebrei per la pace.
In primo luogo, è ben vero: dal 1967, senza grandi annunci, tutti i governo israeliani hanno continuato un'intensa campagna di colonizzazione che doveva assicurare una maggioranza ebraica a Gerusalemme. Allo stesso tempo ha fatto il possibile per rendere la vita così difficile ai palestinesi da spingerli ad abbandonare la città, cosa che in generale non hanno fatto.
Secondo: Gerusalemme è parte del processo di colonizzazione dei territori occupati nel 1967; come in tutti i territori occupati, ogni colonizzazione che non sia strettamente retta da motivi di sicurezza è contraria a quanto stipula il diritto internazionale e dunque è illegale.
Washington è sempre stata a conoscenza delle case costruite da Israele nei territori occupati.
Fino ad oggi però né gli americani, né gli europei hanno fatto nulla di serio per impedire la colonizzazione. Non si tratta solo della lotta per la terra.
Da parte di Israele si tratta in sostanza di costruire ostacoli che impediscano la costruzione di uno stato palestinese indipendente - nel migliore dei casi la frammentazione territoriale della Cisgiordania, con alcuni cantoni simili a bantustan.
La retorica ufficiale israeliana parla di una Gerusalemme unificata, ma questo è ben lontano dalla realtà. La realtà è una città retta dal governo israeliano per mezzo della forza, ma divisa in due città distinte: una israeliana, con tutti i benefici e servizi di uno stato economicamente sviluppato, e l'altra una serie di quartieri lasciati al degrado, senza adeguati servizi né scuole sufficenti, e soprattutto con cittadini di seconda categoria.
I governanti di Israele ancora una volta mentono. Gli israeliani possono abitare dove vogliono in città e ottenere permessi di costruzione, mentre i palestinesi non li ottengono. I tribunali hanno riconosciuto il diritto di alcuni israeliani a tornare nelle case evacuate dai loro avi nel 1948, ma a nessun palestinese è riconosciuto un simile diritto sulle migliaia di case evacuate durante la stessa guerra.
Bisogna saperlo: la discriminazione nazional-razzista imperante a Gerusalemme si sta aggravando, sotto un governo che combina nazionalismo estremo, fondamentalismo religioso e correnti razziste.
il premier Netanyahu preferisce mantenere intatta la sua coalizione, anche al prezzo di una conflagrazione. Nelle ultime settimane infatti la tensione è cresciuta a Gerusalemme - anche quando tentano di tenere un po' a freno un sindaco con tendenze piromani - e sono aumentati anche gli incidenti nei territori occupati.
Netanyahu arriva a Washington mentre Londra annuncia l'espulsione di un diplomatico israeliano per la presunta falsificazione di passaporti britannici serviti al Mossad nella recente avventura negli Emiradi, dove è stato assassinato un dirigente di Hamas.
Alla testa di un governo irresponsabile, che gioca con gli interessi israeliani mettendo a repentaglio la pace in tutto il medio oriente, il premier di israele reitera il «diritto» a continuare il processo di colonizzazione: la domanda è se il presidente degli Stati uniti metterà un freno agli impulsi bellici di Netanyahu verso l'Iran.
pochi giorni fa il generale David Petraeus, capo delle truppe usa nella regione e delle forze Nato in Afghanistan, ha detto che la mancanza di pace nella regione minaccia gli interessi americani. Martedì sera (probabilmente ormai nella notte, per noi), un presidente Obama rafforzato dalla vittoria della sua riforma sanitaria al Congresso dovrà chiarire se permetterà al premier israeliano di proseguire nel suo avventurismo. La chiave sta al governo degli Stati uniti: vedremo se riuscirà a moderare un governo di Israele estremista, fondamentalista, pericoloso per la stessa Israele e per la regione intera.

mercoledì 24 marzo 2010

Sul razzo lanciato

Non è stato Hamas a lanciare gli ultimi Qassam da Gaza: parola di generale israeliano (d'altra parte era naturale: lanciare Qassam serviva solo a danneggiare la visita della Ashton, e cioè i contatti della UE con Hamas medesimo. Peraltro, se Israele si è dato pena di distruggere (anche) la polizia di Gaza nell'inverno scorso, con che faccia poi chiede a Hamas di 'mantenere l'ordine'? Mah...)

http://www.maannews.net/eng/ViewDetails.aspx?ID=270917

martedì 23 marzo 2010

No alla complicità con israele

Collaborazione nella ricerca militare tra Regione Lazio e Israele.
di Fabio Alberti
candidato indipendente nelle liste della Federazione della Sinistra nel Lazio

La Regione Lazio ha finanziato attraverso la Sviluppo Lazio un progetto di ricerca nel campo della fotonica che coinvolge due industrie militari, oltre all’Università di Tor Vergata
- la italiana Selex Communications, azienda del gruppo Finmeccanica specializzata nelle “comunicazioni militari e protette”.
- La israeliana “Lynx Photonic Network” azienda specializzata in applicazioni fotoniche che produce anche per il settore militare.

La ricerca finanziata dalla regione Lazio riguarda la realizzazione di un prototipo di “switch fotonico”, dispositivo che, sul sito della Linx Photonic Network, è descritto come “soluzione ideale per il dislocamento sul campo di dispositivi militari e di sicurezza.”

Riteniamo che non sia accettabile che fondi pubblici regionali vengano distolti dai servizi per sostenere industrie belliche. Riteniamo ancora più inaccettabile che ciò avvenga con un paese, come Israele, che condannato dalla commissione per i diritti umani dell’Onu.

Anche a fronte dei più recenti avvenimenti, che vedono il governo israeliano impegnato a proseguire la costruzione di colonie su territori che l’Onu ha destinato al futuro stato palestinese, chiediamo che la cooperazione in campo militare del Lazio con Israele venga interrotta.
Haggada di Pesach distribuite agli asili di Giaffa. Sulla copertina, invece della moschea di Al-Aqsa, è stata messa un'immagine del 'terzo tempio', da mettere lì al suo posto. Questa è la copertina:

FARI NELLA NOTTE

Pacifisti, fari nella notte»
Inviato da redazione il Mer, 17/03/2010 - 15:30



L'INTERVISTA. Paola Canarutto, della Rete ebrei contro l’occupazione, parla del conflitto in Palestina. «Netanyahu è prigioniero di una maggioranza ancor più estremista e teme che gli alleati l‘abbandonino facendo cadere l’esecutivo».

Sul critico momento nei rapporti diplomatici fra Stati Uniti e Israele abbiamo interpellato Paola Canarutto della Rete ebrei contro l’occupazione. «E’ evidente come Obama si trovi in difficoltà col mondo arabo per i comportamenti del governo d’Israele. Io non ho simpatie per la politica estera statunitense che da anni porta guerre, come in Agfghanistan e Iraq, però più fonti hanno rivelato come Biden senza mezzi termini abbia detto a Netanyahu che la linea del suo governo sugli insediamenti diventa insostenibile per l’amministrazione Obama. Perché non scompaia del tutto la prospettiva dei due stati, in Israele-Palestina, gli USA dovrebbero mantener fede alle proprie parole: se chiudessero i rubinetti, Israele non resisterebbe cinque minuti.

Sul fronte interno Netanyahu, destromane già di suo, è prigioniero d’una maggioranza ancor più estremista e teme che gli alleati l‘abbandonino facendo cadere l’Esecutivo. Parlo di Yishai dello Shas e di Lieberman, i fondamentalisti e i fascisti che puntellano il governo del Likud. Questo influenza la sua politica. Purtroppo Obama è messo sotto pressione dall’estrema destra neocon, non ha il coraggio né la forza per spezzare il cerchio e rischia anche lui. È noto che il 79% degli ebrei USA alle ultime elezioni ha votato Democratico, e cioè Obama; ma un neocon importante, tal Podhoretz, ha recentemente invitato di finanziatori di Obama a destinare d'ora in poi i loro assegni ai Repubblicani; e gli eletti al Congresso a votare contro la sua proposta di riforma sanitaria. Tutto questo per contrastare le sue posizioni su Israele. Insomma un problema interno influenza la politica estera anche a Washington».

Cosa pensa del sostegno di Netanyahu alla “riconquista” dei luoghi sacri?
E’ utile ricordare come gli ebrei avessero l’orrore dell’idolatria e quello che sta avvenendo è idolatria allo stato puro. Nessuno rivela come la Tomba di Rachele è una tomba d’uno sceicco islamico del 1700. La rincorsa al sacro serve per riappropriarsi di della zona di Betlemme dove c’è questo sito oppure della Moschea di Abramo a Hebron. Per decenni i governi d’Israele hanno disneyzzato Gerusalemme, stravolto gran parte della Cisgiordania, ora si inventano origini bibliche, quando nessuno sa se un Abramo sia davvero esistito, e nel caso, da dove sia passato. Denominare luoghi di Gerusalemme 'Città di Davide' o 'Porta di Salomone' serve solo a impadronirsi della città, e ora lo stesso lavoro 'archeologico' serve ad impadronirsi della Cisgiordania. Però bisogna prendere sul serio gli israeliani quando parlano dei loro programmi: Weisglass (consigliere di Sharon, ndr) aveva detto che l’uscita da Gaza avrebbe messo in formaldeide il processo di pace. Così è stato.

Ma la nascita dello Stato d’Israele nel 1948 era incentrata sulla stessa tattica, prendere il posto dei palestinesi, e quei padri della patria erano laburisti non fascisti.
E’ vero, è la vittoria del sionismo che proclamava “un popolo senza terra per una terra senza popolo”. Se lì c’è un altro popolo lo butti fuori e fine del discorso. Per farlo ti appropri prima delle case poi dei luoghi santi. E’ ciò che è accaduto e continua ad accadere.

Il processo di pace è diventato davvero impossibile?
Qualche movimento per la pace è rimasto, so di manifestazioni settimanali a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme est su cui hanno mire i coloni, purtroppo restano pochi fari nella notte. Non dimentichiamo che quasi il 95% degli israeliani ebrei ha approvato l’attacco a Gaza dell’anno scorso. A differenza degli italiani, gli israeliani sanno l'inglese: hanno così accesso anche a fonti mediatiche non del loro Paese. Eppure proseguono ad approvare quel che fa il proprio governo, questo davvero lascia un profondo pessimismo sul futuro.

lunedì 22 marzo 2010

Gerusalemme est. Come si cacciano i palestinesi dalla loro città

Guerra della casa a Gerusalemme
di Ugo Tramballi



GERUSALEMME. Dal nostro inviato
È l'ora di andare a pregare al Muro del Pianto. I coloni di Ateret Cohanim salgono sui tetti delle loro case blindate e con la Torah in mano percorrono il camminamento a passo svelto. Si e no 400 metri protetti dalla presenza della polizia, fino alla Spianata e al sicuro quartiere ebraico. È come se il camminamento permettesse loro di volare all'altezza di minareti e campanili; al di sopra delle case, dei vicoli della città vecchia e soprattutto degli arabi in mezzo ai quali hanno deciso di vivere per affermare l'esclusività ebraica di Gerusalemme.
Inconsapevolmente riproducono il sogno yiddish del Luftmenshen, l'ebreo volante che viveva in aria e di aria per sfuggire all'incubo del ghetto. In realtà i rabbini e gli studenti che assieme alle mogli con i capelli nascosti, e ai figli che vestono già da rabbini adulti come i padri, sono le truppe scelte di una guerra. Sono più di mille e vivono in 70 edifici-insediamenti nel quartiere cristiano e in quello musulmano.
La grande battaglia per Gerusalemme a volte si combatte con pietre e gas lacrimogeni; a volte ci si uccide; ma le sue armi sono soprattutto carta bollata, ordini di sfratto, piani regolatori, leggi ottomane, perfino l'archeologia. E denaro, tanto denaro. Gli oltre 10 milioni di euro che lo stato d'Israele spende ogni anno per difendere gli avamposti ebraici solo nella Gerusalemme est araba, sono noccioline. La battaglia è incominciata anni prima che Barack Obama diventasse presidente, prosegue incurante delle minacce americane e continuerà anche dopo. «Per intensificare l'insediamento ebraico a Gerusalemme est non c'è momento migliore di questo, con Netanyahu primo ministro, Nir Barkat sindaco e un consiglio comunale che ne comprende l'importanza. Dobbiamo mettere paletti ovunque affinché Obama non sia più capace di rimuoverli». Elisha Peleg, colona lei stessa, consigliere comunale di Gerusalemme per il Likud e soprattutto uno dei generali della battaglia, diceva queste cose al giornale Ma'ariv già il 27 luglio dell'anno scorso.
«Interrompere» la continuità territoriale palestinese, «creare fatti sul campo per prevenire la spartizione della città» sono le parole d'ordine. In città vivono più di 700mila persone, a parte i villaggi palestinesi e le colonie ebraiche ormai parte della cintura metropolitana di Gerusalemme. Gli arabi sono un terzo. Elisha Peleg è il braccio politico che verifica tutte le decisioni del comune e del comitato distrettuale di Gerusalemme per la Pianificazione e la costruzione. Matti Dan Hacohen di Ateret Cohanim e David Beeri di Elad, sono i segugi che tengono sotto controllo i vicoli dei quartieri arabi della città vecchia e quelli della Gerusalemme est fuori dalle mura del "sacro bacino": Jabel Mukaber, Silwan, Abu Dis, a-Tur, il Monte degli Ulivi, Sheikh Jarrah, cioè la città orientale araba, formano un anfiteatro di colline e di case attorno alla Gerusalemme murata e ai suoi luoghi santi. Appena vengono a sapere che un arabo vuole vendere casa, che c'è una petizione o uno sfratto imminente, David Beeri e Matti Dan intervengono con l'ordine da eseguire quando c'è o con somme di denaro alle quali è difficile resistere. Ci pensa Elisha Peleg, in contatto con il comune e con Oran Ben Ezra, genero del miliardario ultra nazionalista Irving Moskowitz, che dal suo studio a Miami Beach controlla da lontano la battaglia e interviene con le donazioni.
Anche gli arabi hanno incominciato a organizzarsi. Munib al-Masri di Nablus, il più importante imprenditore privato palestinese, ha messo in piedi un'organizzazione no profit, uguale alle ebraiche Ateret Cohanim e Elad per comprare le case arabe in vendita e cederle ai palestinesi con mutui a tasso zero. Con l'aiuto vaticano anche il patriarcato latino sta cercando di acquisire tutti i terreni del quartiere cristiano sui quali avevano messo gli occhi gli ebrei. Le bandiere israeliane di un insediamento di Ateret Cohanim già sventolano all'ombra del Santo Sepolcro. Recentemente anche il governo turco è sceso in campo negando alle organizzazioni ebraiche no profit l'accesso agli archivi dell'impero ottomano che ha governato la Palestina fino al 1918. Il successivo mandato britannico durato fino al 1947 non ha mai modificato i regolamenti turchi.
Ma la legge israeliana è quasi sempre dalla parte degli israeliani. Le vecchie registrazioni delle proprietà terriere e degli immobili sono il punto di partenza dell'ebraicizzazione di Gerusalemme. Se risulta che una casa occupata dai palestinesi prima del 1948 apparteneva agli ebrei, si sfrattano gli occupanti o si rade al suolo l'edificio. Brutale ma è l'applicazione di una legge. Il problema è che la stessa legge non vale al contrario: nessuno palestinese ha mai avuto indietro una delle case di Baka, Talpiot e degli altri quartieri un tempo arabi della Gerusalemme occidentale ebraica, lasciate dai palestinesi nel 1948. In questo caso prevale la legge israeliana dell'"assenza": l'arabo che si allontana per un periodo determinato perde il diritto di cittadinanza e dunque di proprietà. È per un certificato di acquisto trovato nell'archivio ottomano che a novembre la famiglia al-Kurd è stata sfrattata dalla casa di Sheikh Jarrah dove viveva dal 1948. Il messo comunale e i coloni israeliani sono arrivati insieme quattro giorni dopo che Hillary Clinton aveva reso onore alla decisione di Netanyahu di "contenere" gli insediamenti. «La mia famiglia viene da Haifa», dice Maysaa, una delle donne degli al-Kurd. «Posso andare laggiù dalla gente che abita al posto nostro a dire che quella casa è mia e ho ancora le chiavi in tasca?».

domenica 21 marzo 2010

Piombo fuso e veleno in quantità

Gaza: l’eredità di metalli pesanti di Piombo Fuso
di Azzurra Meringolo
A un anno dalla operazione militare israeliana si cominciano a studiare gli effetti dei metalli tossici lasciati sul terreno dalle bombe. I rischi di lungo periodo. Conversazione con due professori italiani impegnati sul campo.



Soffia il vento dal mare di Gaza che, oltre alla salsedine, porta con sé uno strano pulviscolo. Polvere che finisce per sbattere pericolosamente sulle tende della popolazione che è ancora accampata nei campi profughi di questa striscia di terra, traumatizzata dodici mesi fa da Piombo fuso: l'ultima offensiva israeliana. Un anno può sembrare sufficiente a spazzare via i lasciti di un attacco rapido e concentrato, ma la realtà mostra il contrario.

I bombardamenti israeliani su Gaza hanno lasciato sul terreno non solo arti di vittime, pareti di case orfane di tetto, proiettili utilizzati e speranze irrecuperabili, ma anche forti concentrazioni di metalli tossici che potrebbero provocare molti problemi tra la popolazione. A denunciarlo è il New Weapons Research group, Nwrg, una commissione indipendente di scienziati, con sede in Italia, che studia l'impatto delle armi non convenzionali e i loro effetti. Lavorando in stretta collaborazione con specialisti e medici locali, il Nwrg ha analizzato nei dettagli gli effetti dei bombardamenti israeliani che potrebbero provocare nella popolazione tumori, problemi di fertilità e arrivare ad avere conseguenze dirette anche sui nuovi nati, che potrebbero essere colpiti da malformazioni e patologie di origine genetica.

A parlarne a Limes sono la portavoce del Nwrg, Paola Manduca, professoressa di genetica all'Università di Genova e Maurizio Barbieri, professore associato di geochimica ambientale presso l'Università la Sapienza, responsabile del laboratorio nel quale sono state svolte le analisi.

DOMANDA Professoressa Manduca, ci sono settori della società a rischio a causa dell'elevata concentrazione di metalli tossici che avete rilevato sul suolo, soprattutto tungsteno, mercurio, cobalto, cadmio, molibdeno ?

MANDUCA Se è vero quello che noi sospettiamo e che, in alcuni casi, abbiamo provato, i primi a rischiare sono coloro che vivono ancora in tenda. Questi sono esposti quotidianamente a tutte le polveri del terreno. Non solo le inalano, ma la pelle dei bambini che giocano per strada finisce per entrare in contatto con questi elementi, che sono facili da assorbire per via cutanea. Ancora prima di portare a conseguenze tumorali, l' alluminio, per esempio, riesce ad attraversare la placenta e può avere effetti addirittura sul feto. Questo metallo ha un effetto tossico sul sistema nervoso soprattutto se assunto cronicamente e a basse dosi. E' associato a serie patologie del sistema nervoso come l' alzheimer.
Chi vive ancora in tenda è quindi seriamente a rischio, a causa della sua continua esposizione a qualsiasi cosa sia stato depositato sul terreno.

Esiste poi un altro settore particolarmente sensibile a effetti di tipo immediato: i più giovani. Non solo i feti possono essere soggetti di alterazioni, ma anche i già nati rischiano qualcosa. Il molibdeno, trovato in quantità inaspettata nel suolo di Gaza, altera lo sviluppo dell'apparato genitale dei ragazzi. Nel maschio adulto ha effetti anche sulla spermatogenesi. Non a caso questi metalli sono scientificamente chiamati metallo-estrogeni perché in grado di interferire con gli stessi recettori con i quali agiscono gli ormoni sessuali. Sono sostanze che, anche in concentrazioni minori rispetto a quelle trovate da noi, hanno potenzialità di alterare diversi meccanismi.

sabato 20 marzo 2010

Conseguenze di "Piombo fuso"

“Gaza, trovati metalli contaminanti nei capelli dei bambini
delle aree colpite dai bombardamenti”



Tracce di metalli tossici nei capelli sono state rilevate in molti dei bambini palestinesi che vivono
nella Striscia di Gaza in precarie condizioni abitative nelle aree colpite dai bombardamenti
israeliani. E' il risultato di uno studio pilota condotto dal New Weapons Research Group (Nwrg),
una commissione indipendente di scienziati ed esperti basata in Italia che studia l'impiego delle
armi non convenzionali e i loro effetti di medio periodo sui residenti delle aree in cui vengono
utilizzate.

La ricerca fa seguito a quella pubblicata dal Nwrg il 17 dicembre scorso, con la quale il gruppo
aveva individuato la presenza di metalli tossici nelle aree circostanti ai crateri lasciati dai
bombardamenti. Quelle analisi avevano scoperto anomale concentrazioni di metalli tossici nei
crateri, indicando una contaminazione del suolo che, associata alle precarie condizioni di vita, in
particolare nei campi profughi, espone la popolazione al rischio di venire in contatto con sostanze
velenose per via cutanea, respiratoria e attraverso gli alimenti.
Con il nuovo studio, ora, il gruppo si è posto l'obiettivo di verificare se le persone siano state
effettivamente contaminate.

Il Nwrg ha esaminato campioni di capelli appartenenti a 95 persone, in larga maggioranza
bambini. Tra loro anche sette donne in gravidanza e 4 feriti.

I risultati dello studio hanno stabilito che la distribuzione media dei contaminanti metallici nei capelli
degli abitanti delle tre località in cui sono stati effettuati i test, Beit Hanun, Gaza-Zeitun e Beith
Lalya, è più elevata rispetto alla media, in circa 60 casi di oltre il doppio.

L'indagine ha rilevato insolite concentrazioni di metalli nei capelli che indicano la loro elevata
presenza nell’ambiente, un fatto che può provocare nel tempo danni alla crescita ed alla salute
come conseguenza della esposizione cronica.

In diversi campioni sono stati individuati metalli carcinogenici o tossici, come cromo, cadmio, cobalto,
tungsteno e uranio, mentre in uno dei feriti è stato misurato un livello inusualmente elevato di piombo.

Per 39 delle persone esaminate la compresenza di più metalli e/o la presenza di metalli carcinogenici
hanno spinto i ricercatori a raccomandare per loro ulteriori controlli.

Lo studio, che è durato diversi mesi, ha misurato la concentrazione nei capelli di 33 metalli, con
analisi ICP/MS (una tipologia di spettrometria di massa altamente sensibile). Le tracce di metalli
nei capelli indicano la presenza delle stesse sostanze nell'organismo, che potrebbero essere entrate
in circolazione nel sangue ed essere entrate negli organi. L'analisi del capello rappresenta una
tecnica non invasiva, che permette di stimare il problema evitando prelievi del sangue o biopsie. Per
questo motivo le indagini di contaminazione ambientale basate sulla analisi dei capelli sono
raccomandate dalla Environmental Protection Agency (Epa) e la International Atomic Energy Agency (Iaea).

I risultati delle indagini sono preoccupanti: anche se le quantità di metalli in eccesso, infatti, non
sono superiori di 2-3 volte a quelle presenti nei capelli di persone non contaminate, questi livelli
possono essere comunque patogenici in situazioni di esposizione cronica.

Il problema, infatti, spiega la professoressa Paola Manduca, diventa quello di eliminare ora le
cause della contaminazione: "L'identificazione dei soggetti con confermato e persistente carico
elevato di metalli - sottolinea - richiederebbe la rimozione del soggetto dall'esposizione, l'approccio
terapeutico più favorito in vista della mancanza di prove sull'efficacia e la sicurezza del trattamento
chelante, sopratutto nei bambini.

Questo presenta gravi problemi nella situazione attuale di Gaza, dove la costruzione e la
rimozione delle strutture danneggiate è resa difficile o impossibile, e certamente rappresenta
la grave responsabilità di coloro che dovrebbero porre rimedio i danni alla popolazione civile,
secondo le leggi internazionali".

Allo studio hanno lavorato Mario Barbieri, del Cnr, e Maurizio Barbieri, docente di geochimica
ambientale all'università La Sapienza di Roma, e responsabile del laboratorio di spettrometria di
massa Icp, dove sono state realizzate le analisi, e Paola Manduca, genetista.

Lo studio è stato possibile grazie alla collaborazione sul campo dell'associazione Gazzella onlus.

lunedì 15 marzo 2010

LO SGARBO E LA VILTA'

dI MONI OVADIA

Le ultime “trattative di pace” fra israeliani e palestinesi, sotto l’egida della Lega Araba e la mediazione statunitense, sono abortite prima di iniziare a causa dell’annuncio della creazione di 1600 nuove abitazioni per coloni ebrei a Gerusalemme est, ovvero in territorio palestinese, autorizzate dal governo di Israele. Abu Mazen, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, si è immediatamente ritirato dai lavori. I principali organi di stampa hanno rilevato ed enfatizzato il grave, imperdonabile sgarbo commesso dai governanti israeliani nei confronti dell’amministrazione Usa nella persona del vice presidente Joe Biden. Il governo di Nethanyahu si è tempestivamente scusato con gli americani. La farsa diplomatica ormai è al di là del senso del ridicolo, il problema diventa lo sgarbo verso il grande alleato, invece l’ignobile vigliaccheria commessa contro il mite Abu Mazen diventa veniale così come passa per veniale l’oppressione di un intero popolo. L’ennesimo episodio di arroganza e di prepotenza di un governo colonialista contro i palestinesi diventa incidente diplomatico. Del resto cosa ci si può aspettare da politicanti reazionari e demagoghi a cui poco o niente interessa la pace con il popolo palestinese perché non hanno alcun interesse per quel popolo, non lo vedono, non sentono le sofferenze di una gente che tengono in prigione da oltre quarant’anni. Non migliore è la comunità internazionale, soprattutto quella occidentale, che tollera la sistematica perdurante violazione del diritto internazionale mentre starnazza di diritti umani fingendo di non vedere ciò che è palese, ovvero che l’equazione ideologica: “occupazione-colonizzazione della Palestina uguale sicurezza degli israeliani” è solo una rivoltante menzogna per legittimare la rapina ai danni di un intero popolo.

ISRAELE, DIPLOMAZIA DA CIRCO BARNUM

Tel Aviv da' il benvenuto a Biden: 1.600 insediamenti a Gerusalemme Est, ovvero il modo migliore di vanificare i colloqui di pace

Dopo aver trascorso gran parte della giornata a celebrare 'l'indistruttibile' legame tra Usa e Israele, il vicepresidente statunitense, Joseph Biden, si e' visto piombare addosso l'inatteso macigno: la decisione del ministro degli Interni dello Stato ebraico di costruire 1.600 nuove unità abitative a Gerusalemme Est.

Il circo Barnum. Obbediente al protocollo, alla forma, e alla cerimonia della diplomazia, Biden, dopo essersi detto 'ignaro e stupito' della decisione, ha incassato l'umiliazione di tale tempestivo annuncio senza pero' poter fare a meno di condannarla formalmente: "E' esattamente il passo che mina la fiducia di cui abbiamo bisogno oggi", ha detto il vicepresidente Usa. Una doccia gelata per Biden, che aveva incassato, come preludio alla sua visita, un analoga decisione da parte del ministro della Difesa Ehud Barak: la costruzione di 112 insediamenti a Beitar Illit, in Cisgiordania, ufficializzata due giorni fa. Decisione presa per 'ragioni infrastrutturali e di sicurezza'. Il Primo ministro israeliano Benyamin Netaniahu sembra essere stato colto ieri dal medesimo stupore di Biden, perche' le sue dichiarazioni sono state le seguenti: "La decisione e' stata appena notificata anche a me". La sequela di ipocrisie e acrobazie da circo Barnum e' grottescamente proseguita oggi, quando il ministro degli Interni, Eli Yishai, si e' addirittura scusato per "aver provocato un terremoto nazionale e internazionale". Anche lui, Yishai, ha detto di essere stato all'oscuro dei tempi di presentazione del progetto, perche' la materia, regolata dallla Commissione distrettuale per la pianificazione urbanistica, andava avanti da tre anni, ed era semplicemente 'materia tecnica di routine, una semplice autorizzazione'. Lo stesso Yishai ha detto alla radio israeliana che la commissione non avrebbe potuto prevedere che l'approvazione avrebbe generato una tale tempesta politica.

C'e' da domandarsi se il copione di questa girandola di assurde esternazioni sia stato scritto da qualche commediografo, o se gli israeliani credono davvero che i palestinesi, l'opinione pubblica internazionale, o anche solo chi ha uno sguardo minimamente partecipe agli sviluppi della questione mediorientale, possa bersi d'un sorso queste palesi cialtronate.

Ovvero: come ritenere verosimile che l'annuncio sia stato puramente coincidentale con l'arrivo di Biden?

Con un vicepresidente statunitense in casa, e un inviato speciale (George Mitchell) in arrivo per gestire tecnicamente i colloqui di prossimita' (cosi' e' stata definita la sessione negoziale coi palestinesi, ripresa dopo un anno di stallo), tali dichiarazioni rappresentano una interpretazione particolarmente maldestra del concetto di ospitalita'.

Con un popolo che storicamente vede in Gerusalemme Est la capitale del proprio futuro Stato, estendere un'insediamento proprio in quell'area, nel quartiere di Ramat Shlomo, comunita' ultraortodossa di 20mila persone, aggiungendovi 1.600 abitazioni per un totale approssimativo di almeno 7mila persone in piu', tali dichiarazioni rappresentano un'insulto, e una catastrofe per i vicini villaggi palestinesi.

Con l'esplicita richiesta di Obama di congelare ogni nuova estensione urbanistica in un'area annessa militarmente dopo la guerra del 1967, ma non riconosciuta dal diritto internazionale come parte integrante dello Stato israeliano, tali dichiarazioni rappresentano, ogni volta, una conferma dell'illegalita' e dell'impunita' israeliana di fronte non solo agli Stati Uniti, ma al mondo intero.

Con un processo di pace i cui fili ormai sempre piu' esili rischiano di spezzarsi nuovamente, un processo che ha come cardine fondamentale, oltre alla questione della sorte dei profughi palestinesi e degli insediamenti in Cisgiordania, soprattutto lo status della stessa Gerusalemme Est, tali dichiarazioni rappresentano una chiara dimostrazione dell'indifferenza, se non dell'assoluta negligenza di Tel Aviv nell'impegno a favore della pace.

Dietro l'apparente comicita' delle scuse di Yishai si nasconde pero' qualcosa di ben piu' oscuro e pericoloso per i tanto decantati, e probabilmente infruttuosi, colloqui di pace. Il vice-presidente della Knesset, Danni Danon, riferiva ieri al Washington Post che "nel salutare il vice-presidente Joseph Biden, amico e sostenitore di lunga data, consideriamo tuttavia un insulto che non sia venuto il presidente Obama in persona". Secondo Bradley Burston, commentatore di Haaretz, il comportamento irrispettoso e indegno tenuto dal governo israeliano, o perlomeno da alcuni dei suoi membri, ha una sua contropartita politica, da incassare negli ambienti della destra intransigente. "Fa perno - scrive Burston - su un filone emotivo che si situa su un segmento relativamente piccolo ma potente dell'elettorato israeliano, che ritiene che insultare l'alleato piu' indispensabile per Israele corrisponda al riaffermare l'indipendenza dello Stato ebraico". Un'interpretazione che getta luce sulla reale presenza - e influenza - della lobby dei coloni non solo in certi strati della burocrazia ma, prima di tutto, nelle scelte di politica interna e internazionale dello Stato di Israele.

Luca Galassi

giovedì 11 marzo 2010

IMMAGINE QUIZ

Prigioni

ISRAELE: LA SOLA DEMOCRAZIA DEL MEDIO ORIENTE?
RELAZIONE SULLA LOTTA PER I DIRITTI UMANI IN ISRAELE E IN PALESTINA
08.03.2010
http://theonlydemocracy.org/2010/03/photo-quiz-can-you-identify-the-military-prison/
“Foto Quiz: Puoi individuare la prigione militare?”
di Amir Terkel

La settimana scorsa mentre guidavo per andare alla prigione militare di Ofer, nella West Bank, per presenziare a un’udienza di Abdallah Abu Rahma di Bili’in, mi è venuto da pensare che la maggior parte della gente che è passata accanto a queste enormi pareti nel fare la spola verso Gerusalemme non si era mai resa conto di stare guidando accanto a una prigione. La qual cosa, a dire il vero non mi sorprende se si considera il paesaggio di cemento della West Bank.
Risolvi il quiz da solo e osserva come si fa: Quale di queste foto rappresenta una prigione militare nei Territori Occupati?


Qual’è le prigione militare? In alto a sinistra: Muro e torre di guardia attorno a Ramallah. In alto a destra: Muro e torre di guardia attorno a Bethelehem. In basso a destra: Muro e torre di guardia attorno a Qalqilya. In basso a sinistra: Prigione Militare di Ofer.

La Prigione Militare di Ofer si trova sull’autostrada 443 per Gerusalemme. La 443 passa attraverso la West Bank ed ha il famigerato nome di “Strada dell’Apartheid”, in quanto in suo utilizzo è vietato ai palestinesi. Sfortunatamente questa è solo una delle tante strade nella West Bank il cui percorso è riservato ai soli israeliani.

Uscendo da Gerusalemme, la strada 443 si dirige a nord-est attraverso la West Bank. I muri servono per prevenire gli attacchi sulla strada. Essi impediscono pure ai palestinesi di avere un facile accesso all’altra parte del villaggio e inoltre, penso che soprattutto questo risparmi gli israeliani dal dover vedere la nostra gente il cui territorio stiamo attraversando.

Blocco sulla strada 443. Ai palestinesi viene impedito l’accesso alla strada 443 da mucchi di detriti, come si può vedere sopra, da porte chiuse a chiave o da blocchi di cemento. La ragione è quella della sicurezza. L’esercito afferma che permettere che i palestinesi possano accedere alla strada (sulla loro terra) è un rischio per la sicurezza degli israeliani che percorrono quella strada.

La strada 443 alla periferia di Gerusalemme. Le case palestinesi sono visibili proprio al di sopra del muro dipinto.

(tradotto da mariano mingarelli)

mercoledì 10 marzo 2010

UN ALTRO ARRESTO ARBITRARIO

*Mazin Qumsiyeh Libero*
9 marzo 2010

Il professore Mazin Qumsiyeh, ex membro del comitato direttivo della
Campagna negli Stati Uniti contro l'occupazione israeliana, al ritorno a
casa nel villaggio di Beit Sahour nel territorio palestinese della West Bank
occupato da Israele, dopo il completamento di un tour di conferenze negli
Stati Uniti, ha trovato ad aspettarlo l'esercito israeliano: è stato
arrestato.

Come molti altri leader palestinesi della resistenza popolare non violenta
all'occupazione militare illegale e alle politiche di apartheid di Israele,
Mazin - cittadino americano - affronta la repressione da parte di Israele
sostenendo l'invito fatto dal Presidente Obama ai palestinesi a raggiungere
"pieni e pari diritti" attraverso una "pacifica e determinata insistenza ".

Contattare il Dipartimento di Stato al 202-647-6575 o

cliccando qui
clicking
here

(e quindi selezionare: Email a Question/Comment) e scrivere per esempio:

I ask you to intervene with Israel to *prevent the unjust arrest of U.S.
citizen Dr. Mazin Qumsiyeh* and all other Palestinian nonviolent activists
who are being arrested, injured, and even killed for standing up for their
human and national rights.

chiedendo di intervenire con Israele per impedire l'arresto ingiustificato
del cittadino Statunitense Dr. Mazin Qumsiyeh e di tutti gli altri
palestinesi attivisti non violenti, che vengono arrestati, feriti, e perfino
ammazzati perché lottano per i loro diritti umani e nazionali.

Maggiori informazioni sulla situazione di Mazin e il suo op-ed sul New Haven
Register, guardate il video che mostra come Israele risponde alla protesta
palestinese non violenta, e agite consultando il nostro blog cliccando
qui clicking
here:
http://endtheoccupationblog.blogspot.com/2010/03/your-tax-dollars-at-work-mazin-qumsiyeh.html

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MASCHI SUPERFLUI

dee genocide antipalestinesi e silenzio dei media

“Idee genocide antipalestinesi e silenzio dei media”

di Paolo Maccioni






Dai blog d’Oltreoceano si apprende una notizia ripresa pure dai più attenti blogger nostrani e quasi per niente dai media a grande diffusione.

Martin Kramer, membro di un centro studi dell’Università di Harvard, oltre che dell’influente Winep, Istituto per le politiche del vicino Oriente, alla conferenza Herzliya in Israele ha teorizzato misure per limitare le nascite del popolo palestinese.

maschi_superflui_gazaab

Kramer ha pure auspicato che l’Occidente smetta di fornire aiuti che possono incoraggiare i palestinesi a riprodursi e dar vita così a «giovani maschi superflui» (parole sue).

Insomma: se patisce d’inedia, la popolazione palestinese invecchia e diminuisce di numero, così il problema del terrorismo è risolto. Ovvero: incitamento al genocidio, secondo il diritto internazionale.

Alcuni intellettuali condannano l’esecranda posizione di Kramer, come M.J. Rosenberg e Richard Silverstein che l’hanno definito rispettivamente “genocida” e “razzista anti-musulmano”, o come Stephen Walt che lamenta la pilatesca indolenza di Harvard rispetto alle richieste di allontanamento o di sanzione.

Quando ci si chiede: ma com’è potuto accadere che quando settant’anni fa alcuni intellettuali redassero il manifesto della razza la gente non si oppose e non s’indignò abbastanza?

Ecco, si può rispondere: è possibile esattamente come oggi sono in pochi a indignarsi per questa idea. Intanto perché sono in pochi a conoscerla. L’eco data dai blog alla sconcertante notizia contrasta con l’assurdo, complice silenzio dei media ufficiali.

La desolazione di Gerusalemme

“Una volta la giustizia stava di casa a Gerusalemme, ora i coloni.”

di Avraham Burg

Gerusalemme più grande e unificata sta venendo fatta a pezzi. La capitale degli israeliani – ebrei e arabi – si sta trasformando nella capitale di fanatici allucinanti e pericolosi. Non è la città di tutti i suoi residenti, neppure la città di tutti i suoi cittadini. E’ una misera città che appartiene ai suoi coloni, ai suoi ultra-ortodossi, ai suoi abitanti violenti e ai suoi messia.



Il Profeta chiese,”Come mai la città devota è diventata una prostituta! Lei che era colma di giustizia, l’adesione ai principi morali albergava in lei, ora lo è invece di assassini.” (Isaia 1:21) In questo luogo non avevamo avuto ancora degli omicidi, ma ogni giorno qui l’anima della nazione muore, proprio davanti ai nostri occhi. Lo spirito israeliano di giustizia viene fatto procedere calpestato da politici, coloni e giudici. Si sta uccidendo lo spirito nazionale con eccesso di burocrazia e burocratica indifferenza.

Si, la capitale del popolo ebraico – quel popolo che aveva sempre giurato di non fare agli altri ciò che non si sarebbe dovuto fare a lui – è diventata una prostituta. Moralmente sfrenata, emotivamente bloccata. Viene manipolata dai suoi pastori per il loro tornaconto ed è piena di leggi – tutti fanno causa a tutti, nascondendosi dietro alle leggi dell’ingiustizia. E i giudici – come se fossero costretti – emettono sentenze in conformità con leggi discriminatorie, fatte esclusivamente a favore del “popolo eletto”. Nel passato la giustizia era di casa qui. Ora lo sono i coloni, gli assassini dello spirito della nazione. E nessuno pronuncia una parola, se non fosse per pochi patrioti. Il popolo della verità e della moralità che si rifiuta di restarsene a guardare mentre lo stato dei profughi ebrei frequentemente getta in strada famiglie palestinesi e consegna le loro case infelici a barbuti e blasfemi delinquenti.



Questo popolo dell’integrità è rappresentato dalle persone di sinistra di Gerusalemme, che sono passate attraverso innumerevoli scontri con i matti della “sindrome di Gerusalemme”. Essi conoscono sin troppo bene la brutta verità della città, i suoi terribili ragazzi, e non si volteranno più dall’altra parte. Essi si sono impegnati di fermare con il loro corpo i bruti portatori di fiaccola che tentano di darle fuoco.



Nessuno guida ora la città e nessuna salvezza le verrà dal leader eletto del paese. Sheikh Jarrah è al di là della conoscenza del sindaco Nir Barkat e del primo ministro Benjamin Netanyahu, come se il caos non avesse a che fare con loro, come se stesse capitando in Sudan o a Tehran. Ed in assenza di una guida dello stato, e del blocco per la pace, i nostri figli hanno assunto su di sé la responsabilità, e hanno scrollato di dosso l’indifferenza e la disperazione che ci hanno portato fin qui. Il cerchio si sta espandendo ed è pieno di vita, di rabbia e di speranza. L’umanesimo israeliano è rinato a Gerusalemme est. Noi ci siamo nel caldo dell’estate e sotto le piogge invernali, urlando e chiamando gli altri a radunarsi intorno, alla ricerca di entrambe, sia dello Shabbat che della pace. Noi non indietreggeremo di fronte ai poliziotti violenti o ai molestatori dalle teste calde. Ci siamo e ci impegniamo: Non staremo in silenzio mentre Ahmad e Aysha dormono in strada, cacciati dalla loro casa, che è divenuta proprietà dei coloni. Questa è giustizia? Non per noi! Questo è diritto? No, è solo ribalderia.

Gerusalemme si sta svuotando più velocemente di qualsiasi altra città al mondo. Dapprima hanno abbandonato la nave i suoi residenti di sinistra facoltosi, poi i suoi moderati, seguiti dagli adulti laici e dai giovani. Molto presto non ci resterà nessuno pronto ad andarsene e la città rimarrà completamente sola. Le fonti di luce si stanno estinguendo, impedite da raggi di oscurità.

Per quanto tempo, signor Primo Ministro e signor Sindaco? A perché voi, giudici di Israele, collaborate con il male che minaccia di distruggerci? Venite con noi, tornate al giudaismo del “Non rubare “ e “Non uccidere”. Lasciate subito Sheikh Jarrah!
(tradotto da mariano mingarelli)

martedì 9 marzo 2010

Giornalista iraniano capro espiatorio

Sono rimasta sconvolta dalla notizia dell'arresto di Hamid, un giovane e attivissimo giornalista iraniano che ho conosciuto e da cui sono stata intervistata in occasione di eventi culturali e politici. Dove avrebbe trovato il tempo Hamid di fare qualcosa di diverso dal suo lavoro dato che era sempre in attività con la sua macchina da presa? Hamid mi ha colpito fin dalla prima volta che l'ho visto per il suo aspetto mite e gentile, le accuse che gli sono state rivolte sono sicuramente una montatura e il suo arresto ha dietro motivazioni che vanno al di là della sua persona. Spero solo che sia liberato al più presto e che possa tornare al suo lavoro. Il suo arresto mi rende estremamente triste e preoccupata, non solo per lui ma per come stiamo scivolando in questo paese verso un baratro che nessuno sembra vedere.

Un giornalista iraniano è la prima vittima del coinvolgimento dell'Italia nella guerra contro l'Iran?
La vicenda che ha portato in galera nove italiani e due iraniani per traffico internazionale di armi, appare una forzatura funzionale alla guerra diplomatica tra Italia e Iran . Quanto c’entrino le tensioni tra il governo italiano e l'Iran in questa vicenda è - al momento - testimoniato dal fatto che il "traffico d’armi" è rappresentato da ben poca roba rispetto a quello a cui ci hanno abituati i veri trafficanti di armamenti che in Italia sono riusciti a far abrogare la Legge 185.
Sono molti gli interrogativi rispetto al materiale ritrovato e alla consistenza dei fatti contestati agli arrestati . Da come Magistrati e Guardia di Finanza hanno tratteggiato i contorni dell’operazione, c'era da aspettarsi il ritrovamento di una vera e propria santabarbara e pagine e pagine di intercettazioni telefoniche con frasi scottanti e dal senso inequivocabile .
Al momento non è stato reso noto niente di tutto questo. A finire in cella con l’accusa di essere il capo di questa temibile cellula dei servizi segreti irarniani è Hamid, un giornalista iraniano che vive e lavora da 17 anni in Italia . Hamid è stato prelevato dalla Guardia di Finanza in via dell’Umiltà vicino alla sede della stampa estera dov’è accreditato e apprezzato da molti. Chi lo ha conosciuto - e sono parecchi visto il suo iperattivismo - fatica pareccchio a vederlo nei panni del super agente o del capo cellula, sicuramente è una instancabile mente giornalistica. Basta visitare il sito in italiano della televisione iraniana IRIB e si rimane colpiti dalla mole di lavoro che pochissime risorse e pochi redattori sono in grado di fare. E’ stata forse la capacità di stare nella notizia di questa TV e del suo corrispondente in Italia, bravi nel portare le cronache politiche e sociali italiane nelle case iraniane e non solo, la vera colpa di Hamid? E’ il caso di rammentare che è stata la IRIB TV poco tempo fa a mandare su tutte le furie il Ministro Frattini dicendo che la politica italiana è sottomessa ai diktat israeliani? Una affermazione su cui diventa assai difficile dimostrare il contrario dopo le genuflessioni del Presidente del Consiglio Berlusconi a Tel Aviv. La tensione tra Italia e Iran sta salendo pericolosamente e l'arresto di Hamid serve a metter benzina sul fuoco.
Questa operazione è purtroppo un segnale che la guerra contro l’Iran è già iniziata e che l'Italia ne è già pesantemente coinvolta. Vogliamo solo auspicare che Hamid esca presto da questa brutta vicenda e non ne sia la prima vittima. Allo stesso tempo vogliamo augurarci che i giornalisti italiani non si facciano intimidire da una operazione politico-giudiziaria che per ora ha mostrato molti aspetti del grottesco. Chiediamo la fine di questo clima di guerra e ostilità che l'establishment italiano in maniera pressochè uniforme manifesta nei confronti dell'Iran.
Marco Benevento; Sergio Cararo; Marco Santopadre; Stefania Limiti; Enrico Campofreda; Enzo Apicella; Maurizio Musolino; Mila Pernice; Pino Nicotri

domenica 7 marzo 2010

Estremisti israeliani inneggiano all'assassino che sterminò 29 persone in preghiera alla moschea

Questa e' la pagina web dove e' reperibile il video di cui parla Michele
Giorgio sul Manifesto di oggi (in calce al messaggio).

http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3857671,00.html

«GOLDSTEIN, TI AMIAMO». IL VIDEO È SU INTERNET
Gerusalemme est, provocazione dei coloni
«Dottor Goldstein, non c’è nessuno come te al mondo. Dottor Goldstein
tutti noi ti amiamo...hai mirato alla testa dei terroristi (i
fedelimusulmani in preghiera, ndr), premuto il grilletto e sparato,
sparato, sparato».
Centinaia di estremisti di destra israeliani hanno inneggiato a Baruch
Goldstein, il colono ebreo che sedici anni fa massacrò 29 palestinesi
nella moschea della Tomba dei Patriarchi (Hebron), prima di essere
ucciso a sua volta. Lo avevano già fatto ad Hebron, in occasione del
Purim, e lo hanno rifatto a Gerusalemme Est. Per la loro provocazione
hanno scelto il quartiere arabo di Sheikh Jarrah, da mesi al centro di
forti tensioni tra i palestinesi e i coloni che cercano di insediarsi
con la forza nell’area. Il sito del quotidiano Yedioth Ahronoth ha
mostrato ieri un filmato in cui si vedono i coloni mentre ballano,
cantano e inneggiano a Goldstein davanti agli abitanti palestinesi.
Tutto sotto gli occhi della polizia, che è rimasta immobile. Al
contrario i poliziotti a Sheikh Jarrah non mancano di arrestare e
malmenare attivisti e pacifisti durante le manifestazioni contro le
occupazioni di case arabe. Oggi pomeriggio a Sheikh Jarrah si svolgerà
una nuova manifestazione di protesta di attivisti palestinesi e
israeliani ma l’appuntamento più atteso è previsto per domani sera,
quando nel quartiere oggetto degli appetiti della destra si terrà un
raduno con centinaia di persone al quale parteciperanno anche
parlamentari arabo israeliani e della sinistra, per denunciare il
comportamento dei coloni che godono di aperti sostegni alla Knesset., al
governo e al Comune di Gerusalemme. L’amministrazione guidata dal
sindaco Nir Barkat nelle scorse settimane ha approvato la costruzione a
Sheikh Jarrah di un grande parcheggio per favorire l’afflusso di
«fedeli» alla Tomba del rabbino Shimon Hatzadik. Un progetto che,
denunciano i palestinesi, punta in realtà a creare una «continuità
territoriale» tra Sheikh Jarrah e la vicina zona ebraica di Gerusalemme.
(michele giorgio)

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venerdì 5 marzo 2010

Hassan, il pericoloso arrestato

L'arresto dei due bambini

“Bambino di 12 anni di Hebron sarà processato con l'accusa
di aver lanciato sassi ai soldati dell’esercito di occupazione”



Maan - Le forze di occupazione israeliane hanno arrestato ieri nella città di Hebron due fratelli Hassan di 12 anni e Amir di 7 anni. Mentre il più piccolo è stata rilasciato dopo poche ore dall'arresto, il più grande è stato trasferito nella sezione 12 del carcere di "Ofer" vicino a Ramallah dove, secondo suo padre Fadel Il-Muhtaseb, sarà portato davanti alla corte militare.

hassanalmuhtasebab

Il padre racconta i dettagli della cattura dei due figli: "Un certo numero di soldati israeliani ieri hanno arrestato i miei figli Hassan di 12 anni e mezzo e Amir di 7 anni, mentre erano in via

"Il Shallaleh" nel centro di Hebron. Il più piccolo è stato rilasciato dopo 10 ore di detenzione".

Continua: "Ho saputo dai miei concittadini che i soldati israeliani avevano arrestato i miei bambini e che erano stati portati nel campo militare "Il Karaj", e quando sono andato li per cercarli, i soldati mi hanno detto che i miei figli erano stati consegnati alla polizia del "Harem". Sono andato lì e la polizia mi ha informato che i miei bambini si trovavano nella centrale di Polizia di "Kiryat Arba" (Grande colonia israeliana vicino a Hebron) e così non potevo vederli. Nel frattempo mi è giunta la notizia che Amir era stato rilasciato e correndo verso casa l'ho trovato in una situazione miserabile dopo che era stato trattenuto in arresto per 10 ore.

"Dopo di che, ho ricevuto una telefonata da uno dei detenuti del carcere di "Ofer" vicino a Ramallah che mi ha detto che Hassan stava bene e che era stato trasferito lì dove sarebbe stato portato in giudizio, di fronte alla corte militare, con l'accusa di aver lanciato sassi contro i soldati israeliani ".

Il padre Il Muhtaseb ha lanciato un appello alle organizzazioni in difesa dei diritti umani e dei diritti di bambini perché si interessino alla sua causa e si impegnino affinché il suo bambino venga rilasciato il più presto possibile.

(tradotto da Bilal Murar)

Sull'arresto di due bambini

“Il Giudice si è vergognato di fronte al bambino arrestato
e prolunga il suo arresto fino al processo."

Ma'an - Il processo celebrato oggi al bambino Hassan si è trasformato in una farsa e la folla si è messa a ridere quando l'avvocatessa Lea Tsemel (Israeliana) ha estratto un palloncino dalla sua borsa e l'ha regalato al bambino Hassan (12,5 anni) per giocarci durante il processo a suo carico per l'accusa di aver lanciato sassi ai soldati israeliani.

Il giudice si è vergognato e ha abbassato il volto nascondendolo dietro lo schermo del computer.

Il processo farsa ha raggiunto il suo culmine quando il giudice ha chiesto al padre del ragazzo di pagare un’ammenda di 5000 Shekel, che poi ha abbassato a 2000 Shekel, ma il padre ha rifiutato di pagare l'ammenda dicendo al giudice del tribunale militare di Ofer: "Quale legge al mondo prevede di processare un bambino e di chiedere al padre di pagare un’ammenda, non pagherò nulla e lei deve liberare il mio bambino immediatamente".

Dopo il padre ci ha raccontato l'andamento del processo: "Mio figlio è stato portato in aula ammanettato e i piedi legati e non poteva camminare, era molto spaventato dai soldati che gli stavano attorno, è assurdo che il giudice del tribunale militare proroghi la detenzione di Hassan fino a domenica prossima, fino al deposito del atto d'accusa nei suoi confronti. Lo hanno portato di fronte al giudice senza un atto d'accusa e il giudice mi ha chiesto di pagare 2000 Shekel! Questa è la legge dell’occupazione israeliana ".

Le forze di occupazione israeliane a Hebron hanno arrestato due fratelli, Hassan di 12 anni e Amir di 9 anni, e mentre hanno rilasciato il più piccolo, hanno deciso il trasferimento del più grande per la detenzione nella Sezione 12 nel campo di detenzione di Ofer, vicino alla città di Ramallah.
(Tradotto da Bilal Murar)

martedì 2 marzo 2010

Demolizioni ed effetti dell'"Archeologia"

Il sindaco destromane di Gerusalemme legalizzerà le costruzioni illegali dei coloni
e demolirà quelle palestinesi, mettendo al loro posto un parco; e
gli scavi 'archeologici' funzionano alla perfezione per far crollare le
case (palestinesi, evidentemente)
http://www.haaretz.com/hasen/spages/1153268.html
La situazione era stata ben descritta da Ir Amim alcuni mesi fa, in
http://www.ir-amim.org.il/Eng/_Uploads/dbsAttachedFiles/Silwanreporteng.pdf
. Purtroppo è lungo, ma garantisco che si legge, in quanto impressionante

MEMBRO DI HARVARD CHIEDE MISURE GENOCIDE PER LIMITARE LE NASCITE IN PALESTINA

Ecco come questi "rispettabili" signori pensano di risolvere il cosiddetto conflitto israelo-palestinese, un metodo che suona piuttosto nazista, ma in realtà Israele ha già proceduto a limitare le nascite a Gaza, non solo con l'assedio, con le uccisioni e le bombe che fanno strage di innocenti, le bombe lanciate a Gaza durante "Piombo fuso" tra i vari veleni lasciati sul terreno anche dopo le incursioni, hanno anche lasciato una sostanza che "sterilizza" la popolazione maschile onde impedire nuove nascite, una specie di pesticida come si fa contro gli insetti nocivi. Queste cose le abbiamo già viste e sentite con altri attori ed altre vittime. Altro che mai piu!!!

MEMBRO DI HARVARD CHIEDE MISURE GENOCIDE PER LIMITARE LE NASCITE IN PALESTINA
Oggi alle 13.16
- di Alessandra Colla -

Martin Kramer, un membro del Weatherhead Center for International Affairs dell'Università di Harvard ha chiesto che “l'occidente” intraprenda delle misure per limitare la nascita di palestinesi, una proposta che appare ricadere sotto la definizione giuridica internazionale di incitamento al genocidio.

Kramer, che è anche membro dell'influente Washington Institute for Near East Policy (WINEP) ha espresso questa richiesta all'inizio del mese durante un discorso alla conferenza Herzliya in Israele, un video è stato postato sul suo blog col titolo "Superfluous young men" [“Giovani uomini superflui” N.d.t.] il 7 Febbraio 2010.
Durante il discorso, Kramer ha respinto la comune visione che la “radicalizzazione” islamista sia provocata dalle politiche USA quali l'appoggio a Israele e la promozione di dittature dispotiche, e ha affermato che è dovuta alla demografia di società islamiche quali Yemen, Iraq, Afghanistan e la Striscia di Gaza occupata da Israele. Troppi bambini, ha sostenuto, portano a troppi “giovani uomini superflui”, che in seguito diventano radicali violenti.
A seguito, "Martin Kramer per la Palestina: una modesta proposta genocidaria" (Alessandra Colla, alessandracolla.net);
Kramer ha proposto che il numero di bambini palestinesi nati nella Striscia di Gaza venga deliberatamente limitato, e ha ipotizzato che ciò “avverrebbe più rapidamente se l'occidente smettesse di fornire sussidi pro-natalità ai palestinesi con lo status di rifugiati”.
A causa dell'embrago da parte di Israele, la stragrande maggioranza dei palestinesi a Gaza dpiendono oggi dagli aiuti alimentari ONU. Né l'ONU, né alcun altra agenzia, fornisce ai palestinesi specifici “sussidi pro-natalità”. Kramer sembra equiparare qualunque assistenza umanitaria a un incitamento ai palestinesi perchè si riproducano.
Egli ha aggiunto: “le attuali sanzioni israeliane contro Gaza hanno uno scopo politico—minare il regime di Hamas—ma se spezzassero anche la crescita fuori controllo della popolazione di Gaza, e ci sono prove che ciò avvenga, potrebbero iniziare a spezzare la cultura del martirio che richiede una costante fornitura di giovani uomini superflui”. Ciò, afferma, minaccerebbe la questione della radicalizzazione islamica “alle radici”.
[Martin Kramer]
La Convenzione ONU sulla Prevenzione e la Punizione del Crimine di Genocidio, creata in seguito all'olocausto nazista, definisce il genocidio come qualunque cosa includa misure “intese a prevenire le nascite all'interno” di uno specifico “gruppo etnico, nazionale, razziale o religioso”.
Il Weatherhead Center di Harvard si descrive come “il più grande centro di ricerca internazionale all'interno della Facoltà di Arti e Scienze dell'Università di Harvard”. In aggiunta alle sue cariche ad Harvard e nel WINEP, Kramer è “presidente-designato” dello Shalem College di Gerusalemme, un istituzione sionista di estrema destra che aspira a essere “l'università del popolo ebraico”.
Oratori pro-Israele provenienti dagli Stati Uniti partecipano spesso alla conferenza Herzliya, un influente incontro annuale dell'establishment politico e militare di Israele. Alla conferenza di quest'anno si è anche rivolto l'editorialista del New York Times Thomas Friedman e, prima volta per un funzionario palestinese, Salam Fayyad, nominato primo ministro dell'Autorità Palestinese con base a Ramallah.
La richiesta di Kramer di impedire la nascita di palestinesi riflette una preoccupazione israeliana e sionista di vecchia data sulla cosiddetta “minaccia demografica” verso Israele, dal momento che i palestinesi stanno per superare in numero gli ebrei israeliani di Israele e dei territori occupati.
Tali idee estremiste e razziste sono già state espresse in passato alla conferenza Herzliya. Ad esempio, nel 2003, il Dr. Yitzhak Ravid, un esperto di armamenti del governo israeliano, chiese che Israele “implementi una stringente politica di pianificazione familiare per la sua popolazione islamica”, un riferimento ai 1,5 milioni di cittadini israeliani-palestinesi.

Titolo originale: "Harvard Fellow calls for genocidal measure to curb Palestinian births "
Fonte: http://electronicintifada.net
Link
22.02.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALCENERO
MARTIN KRAMER PER LA PALESTINA: UNA MODESTA PROPOSTA GENOCIDARIA


Sembra incredibile, ma pare proprio che tale Martin Kramer, docente ad Harvard, teorizzi il genocidio dei nativi palestinesi attraverso la morte per fame. Il testo originale si trova qui, unitamente ai link del caso. (vedi trad. sopra ndr)
Impossibile non pensare al Piano Morgenthau, che chissà perché nei suoi dettagli non viene mai studiato a scuola. Così come a scuola, dove si insegnano sempre le frasi celebri, non si studiano mai nemmeno le parole del presidente americano Roosevelt nei confronti della Germania, o l’opinione dell’allora ministro della Guerra Henry L. Stimson:
«Ci sono due scuole di pensiero, quella di coloro che vorrebbero essere altruisti nei confronti dei tedeschi, sperando di farli ridiventare cristiani con le buone maniere — e quella di coloro che vorrebbero assumere un atteggiamento più duro. Io appartengo più decisamente alla seconda poiché, benché io non sia assetato di sangue, voglio che i tedeschi si rendano conto che ora essi hanno perso definitivamente la guerra».
(«There are two schools of thought, those who would be altruistic in regard to the Germans, hoping by loving kindness to make them Christians again — and those who would adopt a much ‘tougher’ attitude. Most decidedly I belong to the latter school, for though I am not bloodthirsty, I want the Germans to know that this time at least they have definitely lost the war», da una lettera indirizzata alla regina Guglielmina d’Olanda il 26 agosto 1944; cfr. Franklin D. Roosevelt, The Roosevelt Letters, volume III: 1928–1945, London, 1952).
«Io devo essere duro con la Germania e mi riferisco al popolo tedesco, non solo ai nazisti. Noi dobbiamo castrare il popolo tedesco oppure trattarlo in modo che non possa riprodurre gente che voglia continuare a comportarsi come hanno fatto in passato».
(«We have got to be tough with the Germany and I mean the German people not just the Nazis. We either have to castrate the German people or you have got to treat them in such a manner so they can’t just go on reproducing people who want to continue the way they have in the past», cfr. John Morton Blum, Roosevelt and Morgenthau: A Revision and Condensation of From the Morgenthau Diaries, 1972, p. 342).
«Devo ancora incontrare un uomo che non sia inorridito per l’atteggiamento “cartaginese” del Tesoro. Si tratta di semitismo divenuto selvaggio per vendetta, e che pianterà i semi di un’altra guerra nella prossima generazione» («[I have] yet to meet a man who was not horrified at the ‘Carthaginian’ attitude of the Treasury. It is Semitism gone wild for vengeance and will lay the seeds of another war in the next generation»: così Henry L. Stimson nel suo diario, cfr. Stimson and Bundy, On Active Service in War and Peace, pp. 565-595; ma Stimson non esitò a manifestare il suo pensiero direttamente a Roosevelt,
nella lettera che gli scrisse il 5 settembre 1944 ).
Che altro c’è da dire?
Fonte: http://www.alessandracolla.net/?p=394