I panni sporchi, ora, si lavano in pubblica piazza. In mezzo a migliaia di poliziotti e decine di giornalisti. Sconcertati, i primi e i secondi, per la frattura in seno all’Ebraismo.
E così, la giornata più difficile di Gerusalemme (e di Bnei Brak, sobborgo di Tel Aviv), è passata senza molti incidenti. Ma con un po’ di paura e tante incognite. Circa centomila ebrei ultraortodossi hanno invaso ieri il centro della capitale per affermare il diritto dei genitori ashkenaziti di far studiare i loro figli in scuole o classi separate da quelle dei coetanei sefarditi. L’accusa è che i sefarditi siano di costumi più liberali, meno attaccati ai precetti religiosi e tendenti “alle deviazioni”.
Non è mancato neppure qualche vaticinio rivolto alla Corte suprema. Che, pochi giorni fa, ha invece sentenziato il contrario. Riaprendo così una vecchia ferita tutta interna allo Stato ebraico: il diritto divino contro il diritto umano. Un diritto, quest’ultimo, che circa 800 mila ultraortodossi (15% della popolazione) non riconoscono.
All’origine della protesta c’è il rifiuto di circa una sessantina di genitori haredim (gli ultraortodossi), dell’insediamento cisgiordano di Imanu’el, di onorare l’imposizione della Corte Suprema di far studiare nelle stesse classi di una scuola elementare non statale ragazze ashkenazite e sefardite. Gli ashkenaziti hanno preferito la sanzione del tribunale (due settimane di carcere a ogni genitore che si fosse rifiutato di onorare la sentenza). Oggi perciò si sono consegnati alla polizia per essere trasferiti in prigione. Mancano all’appello 22 donne e quattro uomini, ora ricercati dalla polizia.
I disagi provocati dalle frizioni tra ashkenaziti e sefarditi fanno emergere anche l’insofferenza della maggior parte della popolazione israeliana che da anni denuncia i privilegi e gli stanziamenti statali copiosi destinati agli ultraortodossi. Per non parlare dell’esonero dal servizio di leva. Tutte cose che, sostengono in molti, sono state ottenute in cambio di una pax politica alla Knesset.
Gli ultraortodossi, poi, sono importanti anche per una ragione geopolitica. La comunità haredim rappresenta più di metà degli abitanti ebrei di Gerusalemme. Numeri che potrebbero tornare utili nel momento in cui verrà messo in discussione, con i palestinesi, lo status della Città Santa.
E Bibi Netanyahu? Si è limitato a invitare le parti «a mostrare ritegno e mantenere la calma in un momento in cui grandi pericoli minacciano l’esistenza stessa di Israele».
1 commento:
Un fenomeno marginale di teste calde, debitamente amplificato dai nemici del popolo ebraico
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