martedì 12 marzo 2013
Sovranità nazionale? Che roba è?
Mentre rischiano l’incidente diplomatico con l’India per trattenere i due marò, riconoscono ai militari USA/NATO operanti in Italia la più completa impunità:
L’Italia? Una colonia della Nato. E’ certificato di: Matteo Mascia E così, zitto zitto, quatto quatto, il nostro caro governo “tecnico” dimissionario ha voluto certificare ulteriormente, con una ‘lieve’ modifica al regolamento 1666 del 1956, la subalternità italiana di fronte agli eserciti atlantici. Il nuovo testo è così intitolato: “Approvazione del regolamento relativo all’applicazione dell’articolo VII della Convenzione fra gli Stati aderenti al Trattato del Nord Atlantico sullo “status” delle loro Forze armate, firmata a Londra il 19 giugno 1951”. Le norme in questione hanno in pratica “raccordato” - dicono - l’ordinamento italiano con quello militare del Patto Atlantico. “Su proposta dei ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’interno e della difesa il Consiglio ha approvato in via definitiva, dopo aver acquisito il parere del Consiglio di Stato, una modifica al regolamento n.1666 del 1956, concernente le modalità di esercizio della rinuncia alla giurisdizione penale italiana nei confronti di militari stranieri nell’ambito Nato”, si legge nel comunicato diffuso ieri dal Governo. “Il regolamento - si legge - adegua per il futuro le vecchie disposizioni alle norme del codice di procedura penale e consente l’esercizio della rinuncia coerentemente con la precisazione dei fatti nel corso del processo”. Viene sancita, cioè, l’extraterritorialità Nato del personale militare in forza in Italia, di fatto sanando ex post il vulnus già tristemente evidenziato, ad esempio, per la strage del Cermis, con l’impossibilità di giudicare in Italia gli autori del crimine. E’ vero che, nella sostanza, cambia poco o nulla. La rinuncia deve essere considerata una decisione di tipo politico, non a caso, il regolamento in questione accorda questa facoltà al ministro della Giustizia. Organo che deve agire con il ministro degli Esteri o della Difesa a seconda dei casi. Non solo, è previsto un immediato coinvolgimento dei Comandi militari e, conseguentemente, di Paesi stranieri. I giudici italiani procedenti avranno più a che fare con degli ostacoli. Le norme in questione rendono più che subalterno, nel “diritto” oltre che nei fatti, il nostro Paese di fronte agli eserciti atlantici. Una irrituale non proseguibilità giudiziaria renderà da oggi anche formalmente impossibili processi per “reati comuni” compiuti da personale militare straniero. Il diritto internazionale fornisce sicuramente delle garanzie per il personale diplomatico e, quindi, per le alte sfere dell’organizzazione militare internazionale. Cautele che non dovrebbero affatto fare da schermo in processi che hanno per oggetto fatti lontanissimi dalla gestione dei rapporti tra Forze armate alleate. In giurisprudenza risultano addirittura applicazioni per imputazioni come lo spaccio di stupefacenti o lo stupro. La precisazione dei fatti nel corso del processo sarà inutile, non servirà a nulla emettere una sentenza che potrà non essere applicata né dalle istituzioni italiane né da quelle di un Paese alleato. Ovviamente, da un esecutivo “attentissimo” alle relazioni con quelli che si definiscono i nostri “interlocutori internazionali” non ci potevamo aspettare condotte diverse. Il rapporto di sudditanza con chi gestise il Patto atlantico è un classico dei governi succedutisi in Italia nel dopoguerra. La sovranità nazionale non è al centro delle agende politiche dei partiti “istituzionali”. Lo apprese bene a suo tempo l’ex ministro socialista Rino Formica che scoprì una anonimissima “circolare” del commercio estero che di fatto dichiarava l’extraterritorialità di ogni trasferimento “atlantico” di beni e persone sul suolo nazionale italiano. E lo apprese ancora più bene, a suo discapito, il presidente del Consiglio socialista Bettino Craxi, autore dell’affronto di Sigonella e del reclamo di una sovranità “non concessa” contro il Nostro Lord Protettore, gli Stati Uniti d’America. da Rinascita
L’Italia? Una colonia della Nato. E’ certificato
di: Matteo Mascia
E così, zitto zitto, quatto quatto, il nostro caro governo “tecnico” dimissionario ha voluto certificare ulteriormente, con una ‘lieve’ modifica al regolamento 1666 del 1956, la subalternità italiana di fronte agli eserciti atlantici.
Il nuovo testo è così intitolato: “Approvazione del regolamento relativo all’applicazione dell’articolo VII della Convenzione fra gli Stati aderenti al Trattato del Nord Atlantico sullo “status” delle loro Forze armate, firmata a Londra il 19 giugno 1951”.
Le norme in questione hanno in pratica “raccordato” - dicono - l’ordinamento italiano con quello militare del Patto Atlantico.
“Su proposta dei ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’interno e della difesa il Consiglio ha approvato in via definitiva, dopo aver acquisito il parere del Consiglio di Stato, una modifica al regolamento n.1666 del 1956, concernente le modalità di esercizio della rinuncia alla giurisdizione penale italiana nei confronti di militari stranieri nell’ambito Nato”, si legge nel comunicato diffuso ieri dal Governo.
“Il regolamento - si legge - adegua per il futuro le vecchie disposizioni alle norme del codice di procedura penale e consente l’esercizio della rinuncia coerentemente con la precisazione dei fatti nel corso del processo”.
Viene sancita, cioè, l’extraterritorialità Nato del personale militare in forza in Italia, di fatto sanando ex post il vulnus già tristemente evidenziato, ad esempio, per la strage del Cermis, con l’impossibilità di giudicare in Italia gli autori del crimine. E’ vero che, nella sostanza, cambia poco o nulla. La rinuncia deve essere considerata una decisione di tipo politico, non a caso, il regolamento in questione accorda questa facoltà al ministro della Giustizia. Organo che deve agire con il ministro degli Esteri o della Difesa a seconda dei casi. Non solo, è previsto un immediato coinvolgimento dei Comandi militari e, conseguentemente, di Paesi stranieri.
I giudici italiani procedenti avranno più a che fare con degli ostacoli. Le norme in questione rendono più che subalterno, nel “diritto” oltre che nei fatti, il nostro Paese di fronte agli eserciti atlantici.
Una irrituale non proseguibilità giudiziaria renderà da oggi anche formalmente impossibili processi per “reati comuni” compiuti da personale militare straniero.
Il diritto internazionale fornisce sicuramente delle garanzie per il personale diplomatico e, quindi, per le alte sfere dell’organizzazione militare internazionale. Cautele che non dovrebbero affatto fare da schermo in processi che hanno per oggetto fatti lontanissimi dalla gestione dei rapporti tra Forze armate alleate. In giurisprudenza risultano addirittura applicazioni per imputazioni come lo spaccio di stupefacenti o lo stupro.
La precisazione dei fatti nel corso del processo sarà inutile, non servirà a nulla emettere una sentenza che potrà non essere applicata né dalle istituzioni italiane né da quelle di un Paese alleato.
Ovviamente, da un esecutivo “attentissimo” alle relazioni con quelli che si definiscono i nostri “interlocutori internazionali” non ci potevamo aspettare condotte diverse. Il rapporto di sudditanza con chi gestise il Patto atlantico è un classico dei governi succedutisi in Italia nel dopoguerra.
La sovranità nazionale non è al centro delle agende politiche dei partiti “istituzionali”.
Lo apprese bene a suo tempo l’ex ministro socialista Rino Formica che scoprì una anonimissima “circolare” del commercio estero che di fatto dichiarava l’extraterritorialità di ogni trasferimento “atlantico” di beni e persone sul suolo nazionale italiano.
E lo apprese ancora più bene, a suo discapito, il presidente del Consiglio socialista Bettino Craxi, autore dell’affronto di Sigonella e del reclamo di una sovranità “non concessa” contro il Nostro Lord Protettore, gli Stati Uniti d’America.
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