venerdì 8 marzo 2013
Una tenda contro la detenzione amministrativa
Tre ragazzi e due ragazze palestinesi da 16 giorni vivono solo di acqua e sale. Non si fermeranno finchè non sara' liberato Samer Issari e gli altri in detenzione amministrativa
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giovedì 7 marzo 2013 10:09
di Giovanni Dal Santo
Ramallah, 7 marzo 2013, Nena News - Ahmad, Waleed, Mahmoud, Nasim, Sawsan. Cinque nomi qualunque, cinque giovani che da 16 giorni a questa parte, in solidarietà al loro compagno Samer Issawi e a tutti gli altri "Hunger Strikers" palestinesi, si rifiutano di mangiare. Una forma di protesta, lo sciopero della fame, che porta all'autodistruzione dell'individuo. Autodistruzione non rapida e shockante come le cosiddette "torce umane", nate tra i monaci tibetani e diventate famose nella recente "primavera araba", immortalabili con un semplice scatto che, in un attimo, può fare il giro del mondo.
Un hunger striker può sopravvivere anche 226 giorni, come sta accadendo a Samer Issawi, detenuto palestinese rilasciato dal carcere nell'ottobre 2011, nello scambio di prigionieri tra Israele e l'Autorità Palestinese, che ha permesso la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit in cambio di 1027 prigionieri palestinesi. Samer però e' stato arrestato qualche mese dopo. Ufficialemnte per aver violato l'ordine di non uscire da Gerusalemme, in realta' per il sospetto di attivismo politico, che secondo la legge militare israeliana - ossia quella valida nei Territori Occupati Palestinesi - è un ottimo motivo per tenere in carcere una persona fino a nove mesi, senza un processo.
Nasce da qui l'idea di questa protesta pacifica e apparentemente silenziosa, portata avanti da altri prigionieri politici in altre cause simili a quella palestinese, basti pensare a Bobby Sands, l'hunger striker irlandese, leader della cosiddetta "Blanket protest", che perse la vita nel maggio 1981 dopo 66 giorni di sciopero della fame in una prigione Inglese, in Irlanda del Nord.
Ahmad, Waleed, Mahmoud, Nasim, Sawsan: 3 ragazzi, 2 ragazze. Giovanissimi. Hanno piantato una tenda a Ramallah, la capitale amministrativa di quello che dovrebbe diventare lo stato palestinese (il primo stato al mondo ad oggi senza terra), di fronte al palazzo che ospita l'headquarter delle Nazioni Unite della West Bank.
Sono le 19,30 e trovo i tre ragazzi attorno ad una stufetta elettrica; le ragazze, Nasim e Sawsan, sono andate a casa a dormire, come vogliono le locali norme sociali, e torneranno qui domattina, alle sei. Fuori si sente sibilare il vento freddo di questa primavera palestinese, mentre Ahmad e Waleed mi mostrano i tre materassi su cui dormono da un paio di settimane, e mi spiegano che, da quando hanno iniziato la loro protesta, hanno assunto solamente acqua e sale; sono già stati un paio di volte ciascuno in ospedale, per dei semplici controlli, ma non mollano.
Sedici giorni ad acqua e sale, e non si fermeranno finchè i loro compagni in detenzione amministrativa non verranno liberati. Hanno l'aria stanca, ma i loro occhi brillano di quello splendore interiore che hanno le persone che credono in qualcosa. Si mettono in posa con in mano un manifesto che invoca la liberazione di Samer Issawi, e mi ringraziano, perchè sperano che attraverso qualche riga io possa far parlare di loro e della loro resistenza pacifica ad un'oppressore brutale. Nena News
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