http://electronicintifada.net/v2/article11027.shtml
“Le famiglie di Gaza lottano per poter fare
visita ai loro parenti nelle carceri israeliane.”
di Rami Almeghari
Umm Faris Baroud del campo profughi di Shati nella parte occidentale di Gaza City, ogni lunedì si alza presto con la speranza che le sarà permesso di visitare suo figlio Faris, che sta scontando una condanna a vita in uno dei carceri di Israele.
Con le ginocchia malandate e la schiena curva, Umm Faris, con i suoi 88 anni, si era mossa lentamente quando era venuta a darci il benvenuto nella sua modesta casa.
“Nei due anni e mezzo trascorsi non ho avuto la possibilità di visitare Faris,” si è giustificata. “Ogni lunedì, all’ufficio del Comitato Internazionale della Croce Rossa [ICRC], partecipo alla protesta settimanale insieme a molte altre famiglie che comprendono madri, mogli e figli dei detenuti. Chiediamo un giusto diritto: quello di vedere i nostri amati figli.”
Sulla sua strada per l’ufficio della ICRC, situato a circa due chilometri dal campo profughi di Shati, Umm Faris viene raggiunta dalla sua vicina Umm Mahmoud al-Rayis, che è pure in attesa di vedere suo figlio Mahmoud, condannato anch’esso a vita.
Il rito settimanale ha inizio presto, ogni lunedì, quando dozzine di componenti delle famiglie dei 950 detenuti che provengono dalla Striscia di Gaza, cantano slogan, incontrano ufficiali dell’ICRC e mostrano solidarietà l’uno con l’altro.
“Prego Dio che mi faccia vedere Faris prima di morire. Ogni istante corro qui e chiedo alla Croce Rossa di aiutarmi, ma nessuno si prende cura di noi,” afferma Umm Faris mentre sta aspettando nella sala di attesa dell’ufficio della ICRC, dopo aver preso parte alla dimostrazione settimanale.
Umm Faris e molti altri parenti di detenuti stanno aspettando che appaia un barlume di speranza, che essi possano essere in grado di fare visita ai loro cari incarcerati nelle prigioni e nei campi di detenzione israeliani. Per più di due anni e mezzo, la ICRC è stata in comunicazione con Israele, ma non può più fornire ancora una speranza di quel tipo, in quanto Israele ha virtualmente proibito le visite di familiari nelle carceri situate fuori da Gaza dove sono trattenuti i prigionieri di Gaza. Per i parenti dei detenuti non c’è altro da fare se non protestare.
“Il programma delle visite familiari ha attraversato varie difficoltà fin dal 1995, ma era solito venire rinnovato regolarmente,” ha dichiarato Iyad Nasir, portavoce a Gaza per il ICRC. Nel giugno 2007, tuttavia, quando Israele inasprì il suo assedio di Gaza, le autorità israeliane interruppero il programma per i detenuti di Gaza, pur permettendo alle famiglie dei detenuti della West Bank di proseguire con le visite.
Nasir ha aggiunto che gli sforzi della ICRC per garantire le comunicazioni tra le famiglie e i loro cari all’interno delle carceri israeliane non avevano dato i frutti desiderati.
“In precedenza, in situazioni di questo tipo eravamo riusciti a fare qualcosa, ma attualmente per sfortuna ci è andata male. Recentemente, la ICRC ha rinnovato la sua richiesta di ripristinare le visite familiari per le famiglie dei detenuti originari di Gaza,” ha affermato Nasir.
Secondo il portavoce dell’ICRC, le autorità israeliane non hanno dato una giustificazione specifica riguardo alla loro decisione di negare il permesso ai familiari di Gaza per le visite carcerarie, sebbene egli insistesse che era una questione umanitaria.
I gruppi palestinesi per i Diritti Umani hanno fatto richiesta a tutte le parti interessate - in particolar modo agli Stati esteri – di far pressione sul governo israeliano perché rispetti i suoi obblighi in relazione al Diritto Umanitario Internazionale (IHL), in modo particolare riguardo alla IV Convenzione di Ginevra del 1949. Israele ha violato il IHL trasferendo i prigionieri dalla West Bank occupata e dalla Striscia di Gaza in carceri poste all’interno di Israele, e i detenuti palestinesi sono stati assoggettati a condizioni degradanti, a trattamenti disumani e a torture.
A dicembre, i parenti di 14 prigionieri di Gaza avevano fatto ricorso alla Corte Suprema di Israele perché la proibizione delle visite carcerarie avesse fine. La corte suprema ha respinto l’azione legale, presentata al posto loro da HaMoked – il Centro per la Difesa dell’Individuo e Adalah – il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe. Nella sua sentenza, la corte ha riconosciuto che: “E’ vero che i prigionieri per motivi di sicurezza sono titolari di diritti e che questi non dovrebbe essere trattenuti al di là di quanto necessario. “Tuttavia la corte conferma il divieto del governo israeliano per le visite alle carceri e dichiara che tali visite ”non rappresentano una necessità umanitaria”.
Il vice-direttore del Centro Palestinese per i Diritti Umani a Gaza, Jaber Wishah, ha riferito a The Electronic Intifada: “Abbiamo provato ripetutamente di rivolgerci a coloro che hanno ratificato le Convenzioni Umanitarie Internazionali perché facciano pressione su Israele per ottenere il rispetto dei suoi obblighi.” Wishah ha affermato che se Israele omettesse di soddisfare i suoi obblighi, dovrebbe essere trattato alla stessa stregua del regime sudafricano dell’Apartheid.
Wishah ha sottolineato che le famiglie desiderose di vedere i loro cari chiusi nelle carceri israeliane, hanno il diritto di farlo, secondo il IHL e compresa la IV Convenzione di Ginevra.
La questione dei prigionieri palestinesi è oggetto delle maggiori contese nei rapporti palestino-israeliani. Sin da quando Israele occupò la West Bank e la Striscia di Gaza nel 1967, si stima che siano state arrestate ed imprigionate centinaia di migliaia di palestinesi. Molti prigionieri sono stati incarcerati per lunghi periodi da tribunali militari israeliani che sono stati condannati dai gruppi internazionali per i Diritti Umani per il mancato rispetto delle norme minime di equità. Molti altri sono sottoposti ad “amministrazione detentiva” senza accusa o processo di qualsiasi tipo.
Attualmente, in Israele sono detenuti più di 7500 palestinesi, compresi 800 che sono stati condannati a morte.
Intanto, a madri come Umm Farid non resta che aspettare, mentre i loro figli se ne stanno dietro alle sbarre.
“Ricordo ancora quanto era gentile con me. Quando ne avevo bisogno si prendeva cura di me. La mia sola speranza è do poterlo rivedere prima di morire,” furono le sue parole.
Rami Almeghari, è giornalista e docente universitario con sede nella Striscia di Gaza
(tradotto da mariano mingarelli)
2 commenti:
Sarei curioso di sapere di quali atti di vigliacco e odioso terrorismo si è macchiato tale Faris Baroud. Tutto quanto riportato in ogni caso è palesemente ridicolo per chiunque sappia qualcosa su Israele e non voglia solo disinformare con internet per darsi notorietà, perchè secondo questo "giornalista" in Israele ci sarebbero 800 detenuti "condannati a morte"...peccato che in Israele non esista la pena di morte!
Si, esiste. Senza accusa e senza processo.
Benny
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