* | Manlio Dinucci
Via gli arabi, Tel Aviv rivendica tutte le risorse
La compagnia statunitense Noble Energy Inc. ha annunciato pochi giorni fa di aver scoperto un grosso giacimento di gas naturale sul fondo marino, 130 km al largo del porto israeliano di Haifa. Viene stimato in 450 miliardi di metri cubi. Dovrebbero esservi nella zona, complessivamente, circa 700 miliardi di metri cubi di gas. La prospezione e lo sfruttamento di questo giacimento sono affidati a un consorzio internazionale, formato dalla statunitense Noble Energy, che detiene la quota maggioritaria del 40%, e dalle israeliane Delek, Avner e Ratio Oil Exploration.
Questa è solo una piccola parte delle riserve energetiche presenti nel Bacino di levante, l'area del Mediterraneo orientale comprendente Israele, i Territori palestinesi, il Libano e le loro acque costiere. Qui da alcuni anni sta facendo prospezioni la U.S. Geological Survey, agenzia del governo degli Stati uniti. Essa stima che, nel Bacino di levante, vi siano riserve di gas naturale ammontanti a circa 3500 miliardi di metri cubi, e riserve di petrolio ammontanti a circa 1,7 miliardi di barili.
Il governo israeliano, sostenuto da quello statunitense, considera tutte queste riserve energetiche di sua proprietà. I grandi giacimenti di gas naturale - ha dichiarato il ministro delle infrastrutture Uzi Landau - non solo recheranno benefici ai cittadini ma permetteranno a Israele di divenire un fornitore di gas nella regione mediterranea. Israele - ha obiettato il portavoce del parlamento libanese Nabih Berri - ignora però il fatto che, in base alle mappe, i giacimenti si estendono nelle acque libanesi. Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite, uno stato costiero può sfruttare le riserve offshore di gas e petrolio in un'area che si estende a 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa.
In base allo stesso criterio, le riserve appartengono in notevole misura anche all'Autorità palestinese. Dalla stessa carta redatta dalla U.S. Geological Survey risulta che la maggior parte dei giacimenti di gas (circa il 60%) si trova nelle acque costiere e nel territorio di Gaza. L'Autorità palestinese ne ha affidato lo sfruttamento a un consorzio formato da British Gas e Consolidated Contractors (compagnia con sede ad Atene, di proprietà libanese), nel quale l'Autorità ha una quota del 10%.
Due pozzi, Gaza Marine-1 e Gaza Marine-2, sono già pronti ma non sono mai entrati in funzione. Tel Aviv ha infatti respinto tutte le proposte, presentate dall'Autorità palestinese e dal consorzio, di esportare il gas in Israele ed Egitto. I palestinesi posseggono dunque una grande ricchezza, che non possono però usare.
Per impadronirsi delle riserve energetiche dell'intero Bacino di levante, comprese quelle libanesi e palestinesi, Israele usa la forza militare. Due giorni fa, il ministro degli esteri libanese Ali Shami ha chiesto al Segretario generale delle Nazioni Unite di impedire che Israele sfrutti le riserve energetiche offshore che si trovano in acque libanesi. Il ministro Landau sostiene però che quei giacimenti si trovano in acque israeliane e avverte che Israele non esiterà a usare la forza per proteggerli. Israele minaccia quindi di attaccare di nuovo il Libano, come fece nel 2006 anche con l'intento di togliergli la possibilità di sfruttare i giacimenti offshore.
Per la stessa ragione Israele non accetta lo Stato palestinese. Riconoscerlo significherebbe riconoscere la sovranità palestinese su gran parte delle riserve energetiche, di cui Israele si vuole invece impadronire. Soprattutto a tal fine è stata lanciata l'operazione «Piombo fuso» nel 2008/2009 e Gaza è stata successivamente rinchiusa nella morsa dell'embargo. Allo stesso tempo le navi da guerra israeliane controllano l'intero Bacino di levante, e quindi le riserve offshore di gas e petrolio, nel quadro del «Dialogo mediterraneo», l'operazione Nato - cui partecipa anche l'Italia - per «contribuire alla sicurezza e stabilità della regione».
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