Una svolta a meta'. E' cosi' che molti tunisini descrivono l'esito della rivolta del pane e lavoro cheha messo in fuga il tiranno Ben Ali. Il vecchio establishment politico-militare resta in sella ma si e' dato un volto piu' umano. L'analisi di Marco Santopadre e Grazia Orsati
Roma, 18 gennaio 2011, Nena News – In Tunisia tanti hanno l’amaro in bocca per quella che appare una svolta politica a metà. Nel nuovo esecutivo, annunciato ieri dal premier (riconfermato) Mohammed Ghannuchi, i ministri del vecchio governo sono 11 su 24 e tutti in posti cruciali come gli Esteri, l’Interno e la Difesa. Ai leader dell’opposizione vanno solo tre ministeri. E consola fino ad un certo punto trovare tra i volti nuovi un giovane blogger, Slim Amamou, nominato sottosegretario alla gioventù e allo sport, la cineasta Moufida Tatli, al ministero della cultura, e l’attivista Lilia Laabidi agli Affari della donna. La vecchia guardia resta in sella nonostante la rivolta popolare che per settimane ha infiammato il paese. Non sorprende perciò l’accusa lanciata dal leader comunista Hamma Hammadi e dagli islamisti al premier Ghannuchi di aver soltanto dato un volto più presentabile al regime del tiranno Ben Ali fuggito dal paese e ora in esilio in Arabia saudita. Il primo ministro si difende, parla di svolta vera e sottolinea l’abolizione della censura e la liberazione dei detenuti politici. Ma e’ troppo poco rispetto alle aspettavive di una popolazione che ha pagato con decine di morti la ribellione contro un potere brutale e avido.
Nena News vi propone una analisi degli sviluppi in Tunisia di Marco Santopadre e Grazia Orsati*
La transizione in Tunisia tra vecchio e nuovo corso sembra assai più complicata e travagliata di quanto fosse prevedibile nei giorni scorsi, dopo la partenza per l’Arabia Saudita dell’ex dittatore Ben Alì. Non si arresta la rivolta popolare in Tunisia e soprattutto i manifestanti non sono disposti ad accettare un nuovo governo che sarà dominato dall’Rcd (Raggruppamento Costituzionale Democratico), cioè dal partito al potere per ben 23 anni sotto il regime dell’ex presidente nel frattempo riparato a Gedda.
Migliaia di persone sono scese in piazza nel centro di Tunisi per chiedere che nessun esponente dell’Rcd entri a far parte del nuovo esecutivo guidato tra l’altro proprio da un personaggio del vecchio regime.
Nonostante il carattere pacifico delle manifestazioni la polizia non ha esitato a sparare colpi di avvertimento in aria e a utilizzare gli idranti e i lacrimogeni per disperdere il corteo, in marcia lungo viale Bourguiba che resta presidiata in forze dalla polizia ed è sorvolata da elicotteri che volano a bassa quota. ”Non vogliamo nessuno del vecchio partito nel nuovo governo. Ciò vale anche per il Primo ministro” gridavano i manifestanti. L’annuncio arrivato intorno alle 14 da parte del premier designato che non cambieranno i ministri degli Interni, degli Esteri e della Difesa potrebbe innescare una nuova rivolta.
Già stamattina (ieri per chi legge, ndr) comunisti ed islamici hanno fatto sapere che non entreranno nel nuovo governo perché lo ritengono espressione del precedente regime dispotico. “Le consultazioni avviate in queste ore riguardano solo i partiti riconosciuti dall’ex regime di Ben Ali, mentre vengono escluse le forze protagoniste della rivoluzione popolare. Il premier Mohamed Ghannouchi vuole riproporre il regime di Ben Ali senza Ben Ali. Il nuovo governo non risponde alle aspirazioni del popolo, e quindi noi lo respingiamo” ha denunciato il segretario del Partito Comunista Operaio Tunisino Hamma Hammami che chiede invece la formazione di un’assemblea nazionale costituente. I comunisti, così come gli islamici, chiedono che il partito del dittatore e dell’attuale primo ministro designato venga sciolto, e contestano anche i tempi rapidi annunciati per le nuove elezioni, tra meno di due mesi, insufficienti a garantire una campagna elettorale equa. Il fatto che gli Stati Uniti si siano dichiarati disponibili ad aiutare il ‘nuovo’ governo tunisino a organizzare le elezioni non tranquillizza affatto le opposizioni radicali. ”Tutti i partiti sono stati indeboliti dalla repressione, per arrivare a elezioni realmente democratiche ci vogliono almeno cinque-sei mesi’’ ha dichiarato in un’intervista a Liberation da Londra Rachid Ghannouchi, il leader del partito islamico tunisino Ennahda messo al bando all’inizio degli anni ‘90 da Ben Ali, che sta preparando il suo ritorno in patria. Per quanto riguarda il pericolo di integralismo in Tunisia, Ghannouchi risponde: ”Ben Ali ha cercato di associarci al fondamentalismo e all’integralismo, ma é una menzogna, siamo per la democrazia, per lo statuto della donna in Tunisia, siamo un movimento pacifico e moderato”. Un altro leader politico esiliato da Ben Alì – Moncef Marzouki, leader storico della sinistra laica moderata – ha annunciato che si candiderà alle prossime elezioni presidenziali. Fondatore del Cpr, il Congresso per la Repubblica, 65 anni, di professione medico, alle spalle una lunga militanza a favore dei diritti dell’uomo, Marzouki aveva cercato di concorrere per la Presidenza della Repubblica già nel 1994. Ma fu fatto arrestare e privato del passaporto per ordine del Presidente, e quando fu liberato riparò all’estero.
E mentre i pezzi del vecchio regime cercano di imporre una transizione contestata almeno da alcuni settori del mondo politico il paese è ancora nel caos: scontri anche cruenti sono segnalati tra miliziani fedeli a Ben Alì e ai suoi apparati e l’esercito che – nonostante le scarse forze a disposizione – starebbe cercando di riportare l’ordine. Mentre alcune fonti smentiscono che nella notte le forze armate abbiano ingaggiato una vera e propria battaglia con un gruppo di miliziani della guardia presidenziale nel Palazzo Presidenziale a Cartagine, due cecchini appostati su un tetto vicino al Ministero dell’Interno sono stati uccisi dal fuoco proveniente da un elicottero dell’esercito. Sempre ieri un altro scontro a fuoco aveva avuto luogo vicino al quartier generale del Partito democratico progressista a Tunisi mentre oggi in varie parti della capitale sono stati uditi colpi di arma da fuoco.
Stamattina, invece, violenti scontri erano in corso a Biserta, importante base militare che ospita tre caserme; anche in questo caso gli scontri opporrebbero i militari dell’esercito agli uomini fedeli all’ex dittatore che, secondo voci non ancora confermate, avrebbero assaltato un deposito di armi.
I carri armati presidiano il centro di Tunisi e i soldati proteggono edifici pubblici e supermercati dagli assalti delle squadracce capitanate dai gerarchi del regime che con incendi e saccheggi tentano di creare il caos e screditare il nuovo regime. A Tunisi e nelle altre grandi città gli abitanti cercano di organizzarsi in comitati di difesa che per proteggere le loro case e i loro quartieri da giorni erigono barricate e realizzano dei veri e propri checkpoint per controllare l’identità di chi transita per le vie ancora spettrali. I principali sindacati del paese ieri hanno lanciato un appello dalla tv nazionale per la formazione di comitati di sicurezza di quartiere affinché i cittadini possano difendersi da soli in caso di attacchi, visto che non è possibile riporre molta fiducia nella fedeltà della Polizia al nuovo regime. Sarebbero infatti finora circa 3000 i gerarchi e i poliziotti arrestati per aver partecipato alla repressione delle manifestazioni – che in un mese è costata la vita a circa 80 dimostranti – e ai saccheggi degli ultimi giorni. Il fratello del deposto presidente, Kaies Ben Ali, è stato arrestato insieme a 4 poliziotti che, cercando di coprire la sua fuga, hanno sparato uccidendo quattro persone e ferendone altre 11. Al Jazira ha annunciato anche l’arresto dell’ex ministro dell’Interno Rafik Hadi Kacem, responsabile diretto della repressione. Nonostante la smentita della Banca Centrale tunisina il quotidiano Le Monde, citando i servizi segreti francesi, ha confermato la notizia che la moglie dell’ex dittatore, la signora Trabelsi, è fuggita portandosi via una tonnellata e mezza d’oro per un valore di circa 40 milioni di euro.
E mentre l’Egitto teme un effetto domino dopo che un giovane questa mattina si è dato fuoco di fronte al Parlamento al Cairo, la stampa marocchina ha accolto con favore la notizia della caduta del presidente Ben Ali dopo settimane di manifestazioni e proteste, e l’ha definita una lezione per il Nord Africa e il mondo arabo. ”Quello che e’ accaduto in Tunisia peserà sul Maghreb e il mondo arabo”, scrive il giornale Al-Alam, vicino al partito Istiqlal del quale il Primo ministro marocchino, Abbas El Fassi, è segretario generale. Sul quotidiano Attajdid, vicino al partito per la giustizia e lo sviluppo, si legge che ”coloro che hanno espresso a lungo la loro ammirazione per il modello tunisino dovrebbero provare vergogna per quello che è successo nel paese”.
Gli unici governi che nonostante tutto continuano a sostenere il dittatore ed il suo regime sono quello libico e quello italiano. Mentre ieri Gheddafi in Tv ha affermato che Ben Alì rimane il legittimo presidente della Tunisia e che il suo popolo dovrebbe fidarsi delle sue promesse, dall’Italia a prendere posizione, dopo Frattini, è la sua vice Stefania Craxi: “Ben Alì é stato eletto Presidente della Repubblica in Tunisia, se n’é andato in seguito a una sollevazione popolare ma non é reo di nessun reato. E fosse stato a Cagliari, l’Italia avrebbe dovuto accoglierlo. Non lo si poteva certo accusare di immigrazione clandestina”.
*RADIO CITTA’ APERTA
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