Gran parte della stampa israeliana si é affannata riportare le violenze di questi giorni dei coloni in Cisgiordania, contro le comunità palestinesi. I misfatti cioè della “Giornata della Rabbia” indetta dai coloni giovedì, contro lo smantellamento di tre caravan nell’outpost di Havat Gilad. . Dimenticando di spiegare come e perché, almeno 97 outpost saranno presto ufficialmente legalizzati, in modalità retroattiva.
Gerusalemme, 05 marzo 2011, Nena News - Misure speciali sono state messe in atto giovedì da polizia ed esercito israeliani in tutta la Cisgiordania. Per la “Giornata della Rabbia”, indetta da alcuni gruppi di coloni della destra nazionalista. Proteste, atti vandalci a danno delle comunità palestinesi, il blocco della A1, l’autostrada che corre da Gerusalemme a Tel Aviv e anche pneumatici dati alle fiamme all’entrata della Città Santa. Questo ed altro in protesta alle tre strutture (di fatto tre caravan) smantellate lo scorso lunedì nell’outpost* di Havat Gilad. Che ha visto la polizia israeliana scontrarsi con i coloni, di cui 8 sono stati arrestati e 15 feriti.
Le due ONG israeliane Yesh Din e B’Tselem hanno chiesto giovedì che la polizia isealiana proteggesse i palestinesi da possibili ritorsioni dei coloni, quella che viene definita strategia del “price tag”, il prezzo che le comunità palestinesi pagano in termini di violenza contro le persone e le proprietà da parte dei coloni, ogni qualvolta la polizia interviene o annuncia di intervenire a smantellare piccoli outpost.
Nonostante gli attacchi che da lunedì sono avvenuti alle comunità palestinesi, nessun colono è stato finora arrestato o fermato per essere interrogato. Da lunedì ad oggi in molti villaggi della Cisgiordania, come conseguenza all’intervento della polizia a Havat Gilad, 5 km a sud-ovest di Nablus, dove vivono 20 famiglie di coloni, un vero e proprio bastione del radicalismo dell’ultra destra, sorto nel 2002.
Dietro all’altisonante annuncio di smantellamento di outpost illegali (illegali per lo Stato di Israele, dato che tutte le colonie come gli outpost sono illegali per il diritto internazionale), del Primo Ministro Netanyahu e alla campagna mediatica, che ancora una volta punta i riflettori sui costi di un’operazione simile, come ai tempi delle colonie di Gaza, si nasconde però una verità che nemmeno la stampa moderata israeliana spiega con dovizia di particolari. E cioè che innanzitutto l’annuncio di Netanyahu che così tanto ha fatto infuriare i coloni oltranzisti, si applicherebbe di fatto soltanto a tre outpost (100 famiglie in tutto), con la motivazione che sono costruiti su terra privata palestinese, e non a quelli che si trovano su proprietà registrata come demanio dello Stato. Questi ultimi, 97 (si calcola infatti che gli outpost siano circa 100), saranno ufficialmente legalizzati in modo retroattivo. Il 50% della terra sulla quale sono state edificati si agli insediamenti che gli outpost é terra che solo retroattivamente è stata dichiarata di demanio dello Stato.
Ecco quello che non si dice sugli outpost:
-innanzitutto il numero degli outpost costruiti su terra di proprietà palestinese sono 70 e non 3. Di questi, 16 si trovano interamente su terra di proprietà palestinese, mentre 54 su terra parzialmente privata.
-il governo israeliano, secondo gli obblighi della “Road Map”, (che approvava nel 2003 mentre allo stesso tempo decideva di costruire il muro dell’apartheid lungo il confine con i territori palestinesi), avrebbe dovuto già smantellare tutti gli outpost costruiti dopo il marzo 2001. Quindi, secondo i dati del Ministero della Difesa di allora, si dovrebbero rimuovere 26 e non 3 outpost. Ancora una volta cioè Israele ridefinisce unilateralmente i suoi obblighi internazionali, specificando “di voler smantellare solo quelli costruiti su terra privata”, spianando così la strada alla legalizzazione di oltre 90 outpost (che tecnicamente non potrebbero essere legalizzati) e che porterebbero il numero delle colonie in tutta la Cisgiordania a raddoppiare.
-il trucco adottato da Netanyahu è giocare con la definizione di “terra privata registrata” e “non registrata”. Solo una parte minore di terra palestinese privata è registrata come tale in Cisgiordania: questo perché sotto l’impero ottomano non si investì in mezzi adatti per la registrazione della terra e sotto il Mandato Britannico, gli inglesi adottarono un processo di registrazione lungo e costoso (rimasto in vigore anche con i giordani) che molti proprietari palestinesi non potevano permettersi. Molti di loro quindi non hanno mai effettivamente avviato un processo di “regolare” registrazione, pur avendo sempre pagato le tasse di proprietà, aprendo la strada alla decisione adottata da Israele nel 1968 (un anno dopo aver occupato la Cisgiordania) di bloccare “il processo di registrazione”. Rendendolo di fatto impossibile dalla fine degli anni Sessanta per i palestinesi: dal 1968 la potenza occupante, cioé Israele, riconosce come proprietà palestinese solo la terra registrata in precedenza. Tutta la restante terra, ed è quello che progressivamente avvenuto, è stata percepita come “non registrata” e automaticamente definita di proprietà dello Stato di Israele. Al momento almeno il 16% della Cisgiordania è stata dichiarata terra dello Stato di Israele, terra che è stata utilizzata per la costruzione dei primi insediamenti illegali.
Proprio sulla cattiva interpretazione o diciamo re-interpretazione colonizzatrice di Israele, si basa la legalizzazione degli outpost, dicono le ONG israeliane, perché in molti casi la terra privata palestinese sulla quale si trovano, é terra non registrata. Questione che spiana la strada alle autorità israeliane per dichiararla terra dello Stato di Israele e legalizzare successivamente gli outpost. Nena News
*Un outpost (in ebraico Ma’ahaz, letteralmente “appiglio”, “presa”) si riferisce ad una comunità di coloni israeliani costruita su terra palestinese in Cisgiordania tra il 1991 e oggi, senza autorizzazione del governo israeliano, cioè comunità che a differenza delle colonie non hanno ottenuto il riconoscimento di uno status legale dal governo.
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