sabato 3 novembre 2012
Uccise 12enne, assolto poliziotto israeliano
Libero Omri Abu accusato dell'omicidio del 12enne Ahmed Mosa. Il mondo tace e lascia un bambino, difeso solo da una pietra, contro il fuoco di un fucile.
di Emma Mancini
Roma, 01 novembre 2012, Nena News - Martedì un giudice israeliano ha assolto un poliziotto dall'accusa di omicidio colposo di un bambino palestinese di 12 anni. Di nuovo a brillare sono l'impunità e il silenzio che la comunità internazionale riconosce quotidianamente ad Israele.
Il 29 luglio 2008 Ahmed Houssan Mosa, del villaggio di Ni'lin, fu centrato alla testa da un proiettile durante la tradizionale manifestazione del venerdì contro il Muro di Separazione e le colonie, che soffocano la vita della comunità. A sparare un poliziotto di frontiera*, Omri Abu, che ammise di aver aperto il fuoco due volte contro il bambino per rispettare gli ordini ricevuti dall'alto: "Non rispondere al lancio di pietre è considerata una debolezza - disse il poliziotto - Per questo l'ho colpito alla testa".
Ahmed morì all'istante. Ma, secondo il giudice, Omri Abu non è colpevole perché non è detto che a causare la morte di Ahmed sia stata la pallottola che gli è penetrata nel cranio: l'accusa, secondo il giudice Liora Frenkel, non è stata in grado di provare "oltre ogni ragionevole dubbio" che il proiettile partito dal fucile M-16 del poliziotto abbia ucciso il dodicenne palestinese. A "confondere" le idee della corte, anche delle testimonianze, dei rapporti balistici e patologici contraddittori: la Frenkel ha ripreso la polizia israeliana perché le avrebbe sottoposto delle prove senza accompagnarle con la testimonianza di esperti in grado di dimostrarle.
Una follia giuridica. Alla fine di un processo per l'uccisione di un bambino di soli 12 anni, colpevole di marciare pacificamente per la libertà del proprio villaggio e della propria terra, il responsabile di un omicidio si ritrova condannato solo per abuso dell'arma: secondo il giudice, infatti, le sole colpe imputabili ad Omri Abu sono l'utilizzo eccessivo del fucile, seppure non fosse in pericolo, e la falsa testimonianza.
Un'accusa che il poliziotto ha sempre respinto: "Anche se ti trovi in un'auto anti-proiettile, devi rispondere. Se vedono che non reagisci, percepiscono la tua debolezza. Ero in pericolo". Per questo ha aperto il fuoco contro un gruppo di manifestanti, per lo più bambini, che lanciavano delle pietre. Secondo le prove raccolte all'epoca dall'associazione palestinese per i diritti umani, Al Haq, Ahmed si era nascosto dietro un albero di ulivo quando il poliziotto lo ha visto, è sceso dal veicolo in cui si trovava, ha puntato la pistola e lo ha colpito da una distanza di 50 metri. Il fuoco è continuato a piovere su due manifestanti che tentavano di mettere in salvo il piccolo, ormai senza vita.
E pochi giorni dopo, al funerale di Ahmed, l'esercito israeliano ha di nuovo aperto il fuoco, uccidendo il 19enne Yousef Amira. Colpito alla testa, è morto poco dopo in ospedale.
L'impunità di cui godono le forze militari israeliane nella quotidiana occupazione della Palestina va portata sul tavolo della giustizia internazionale. Che però continua a voltare lo sguardo dall'altra parte: dal settembre 2000, anno di inizio della Seconda Intifada, al dicembre 2011, l'associazione israeliana B'Tselem ha contato 473 casi provati di violenze da parte delle forze di sicurezza contro palestinesi. Di questi solo undici hanno portato all'apertura di un'inchiesta.
Ahmed è morto mentre tentava di far sentire la propria voce, una voce flebile di fronte all'imponenza di un Muro che mangia la sua terra e strangola il lavoro, la storia e la dignità della Palestina. Un Muro che la stessa Corte Internazionale di Giustizia ha definito nel 2004 "illegale". Eppure il mondo lascia un dodicenne solo a combattere per un diritto riconosciutogli a livello globale. Lo si lascia solo, difeso solo da una pietra, contro il fuoco di un fucile. Nena News
*La polizia di frontiera è uno dei corpi della polizia nazionale israeliana, per lo più impegnata in operazioni militari e di assistenza all'esercito in Cisgiordania e Gerusalemme Est. È considerata tra le forse di sicurezza più violente.
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