lunedì 2 marzo 2009

PULIZIA ETNICA A GERUSALEMME

Una etnocrazia , una cosiddetta democrazia fondata sull'appartenenza etnica, difende la propria identità o "purezza" cacciando 1500 famiglie dalle loro case dopo averle demolite.purtroppo non si può prevedere un esito diverso. dal 1967 18mila case sono state demolite dagli israeliani. la scusa è sempre quella, abusivismo. il massacro di Gaza, le incursioni in Cisgiordania, le demolizioni di case, il ritiro di 8 mila carte d'identità , è un processo di "pace" inarrestabile che spingerà inevitabilmente a situazioni di rivolta drammatiche... Obama non ha cambiato politica, gli USA non vanno a Ginevra alla conferenza Durban sul razzismo organizzato dalle nazioni unite. Non rimane altro che usare il boicottaggio fino a costringere l'Europa e qualche altro stato ad emettere sanzioni contro Israele.
Carlo


La serrata in solidarietà con gli arabi cacciati da Gerusalemme est
Una giornata particolare
Ramallah chiusa per sciopero

Irene Ghidinelli Panighetti
Ramallah
E' davvero una giornata particolare a Ramallah. Non tanto per il cielo plumbeo e i nuvoloni neri densi di pioggia (del resto fatto non inusuale in questo mese), quanto per i negozi tutti chiusi, evento eccezionale che non accede nemmeno di venerdì, giorno di preghiera e teoricamente di riposo per i Musulmani. Ma stavolta i negozianti della capitale dei Territori Occupati, così come quelli di gran parte delle altre città, hanno deciso di non aprire, rispondendo all'appello allo sciopero generale lanciato da diverse realtà politiche e religiose in solidarietà con le persone di Gerusalemme est minacciate da immediata deportazione dalle loro case.
La vicenda è di lunga data, ma in questi giorni sta avendo una accelerazione, come ha spiegato mercoledì in una conferenza stampa Amad Al-masri, capo del consiglio islamico di Gerusalemme: il comune della città (istituzione israeliana che amministra anche la parte palestinese) ha infatti deciso di iniziare la demolizione di 88 case e la deportazione delle famiglie ivi residenti, nel quartiere di Al-Bustan, oltre 1500 persone in prevalenza donne, anziani e bambini che da anni vivono in una situazione di guerra a bassa intensità sferrata dalle istituzioni comunali che vogliono cacciare la popolazione araba, nella speranza di costruire una grande città ebraica.
Nel corso degli anni interi quartieri arabi sono stati evacuati per far posto alle colonie, che oggi cingono quasi interamente la Gerusalemme storica; una strategia di deportazione messa in campo per vincere con la forza ciò che invece gli israeliani stanno perdendo con la demografia: «nel 1973 il comune di Gerusalemme decise che gli arabi non potevano superare il 22% della popolazione cittadina», spiega l'ing. Kalid Tafakje, ma nel 2008 gli arabi sono saliti al 35% e nel 2050 si prevede che saranno oltre il 50%. Per impedire tutto ciò il comune si è mosso sia ritirando le carte di identità a 8mila persone, che quindi ora non hanno più il permesso di vivere in città, sia attuando una vera e propria politica di demolizione di case dei quartieri di Gerusalemme est. In questo momento e'sotto pressione quello di Al-Bustan, che dal 22 febbraio è in concreto pericolo di sgombero.
La vicenda di questo quartiere iniziò nel 1976, quando il comune decise di designare la zona come area verde, e quindi di distruggere le case dei Palestinesi che vi vivevano da oltre cent'anni. I residenti si opposero in ogni modo, anche per vie legali ricorrendo alla Corte Israeliana, che però temporeggia da anni.
Nel 2005 allora gli abitanti prpposero in ogni modo, anche per vie legali ricorrendo alla Corte Israeliana, che però temporeggia da anni.
Nel 2005 allora gli abitanti proposero al comune un loro piano: si impegnavano ad accettare la costruzione della zona verde, ma in cambio volevano continuare a viverci e gestire loro stessi la riserva naturale. Pochi giorni fa, il 17 febbraio, il comune e il ministero degli interni hanno comunicato il loro rifiuto della proposta e il 22 sono iniziati i lavori di monitoraggio per demolire le case. Per resistere a questo ennesimo crimine israeliano la mobilitazione è iniziata, e si sta estendendo; «chiediamo la solidarietà internazionale» dice Adnan Husseini, del comitato in difesa di Al-Bustan, «e facciamo appello al consiglio di sicurezza dell'Onu, sperando che questa volta non metta il veto». Ma non sarà affatto facile fermare le ruspe, anche perché il quartiere sorge vicino alla Spianata delle Moschee, ed è noto l'intento israeliano di impossessarsi dei luoghi sacri musulmani, per altro letteralmente adiacenti a quelli ebraici.
Al posto di Al-Bustan il comune incoraggia e finanzia l'espansione di una colonia, Maale Zeitim, che però «è illegale secondo le leggi internazionali» ricorda Zyad Qu'war, la cui casa è sotto la minaccia della demolizione. «Noi vogliamo la pace e restare nella terra dei nostri padri» aggiunge con il pacato ardore tipico di chi ha vissuto tante sofferenze Mazen Abu Diab, rappresentante del comitato di quartiere; «che la comunità internazionale ci aiuti», conclude questo anziano dal viso solcato da profonde rughe di dolore.
In attesa di improbabili mosse internazionali, sono stati i Palestinesi a mobilitarsi oggi, con uno sciopero sentito e partecipato: è davvero raro vedere negozi chiusi da queste parti, soprattutto nella Ramallah centro di traffici commerciali vivaci e incessanti. Ma era importante esprimere la solidarietà ai fratelli di Gerusalemme est, non farli sentire soli in un momento in cui i riflettori sono puntati su Gaza o sui colloqui del Cairo, situazioni sicuramente tragiche e fondamentali che però spesso mettono in ombra le battaglie e le resistenze che da anni, quotidianamente, sono vive in tutta la Palestina.

Liberazione
01/03/2009

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