Israele, le magliette della vergogna
conflitti globali
Le guerre israeliane, con tutto il loro portato di violenza e distruzione dell'altro incarnato nel/la palestinese, continuano ben oltre la materialità delle morti lasciate sul campo, investendo massicciamente anche il campo del simbolico.
E il razzismo di un'intera società si salda col marketing.
Bambini palestinesi trucidati, madri in lacrime sulla tomba dei loro figli, foto di ragazzini con una pistola puntata alla testa, moschee bombardate. Sono queste le macabre immagini che i soldati israeliani chiedono di stampare sulle magliette, accompagnate da slogan agghiaccianti.
"One shot, two kills" (un colpo, due morti) e' l'inquietante frase stampata sulla t-shirt di un militare in borghese, ripreso di spalle dal quotidiano israeliano 'Haaretz' che ha pubblicato la scandalosa inchiesta. Sopra la scritta, la foto di una donna palestinese incinta, centrata in un mirino. Gli uffici di 'Adiv', il negozio di magliette nella zona sud di Tel Aviv, stanno ricevendo un numero crescente di richieste da parte di militari israeliani. Una maglietta appena uscita dalla stampante e' stata prenotata da un cecchino dell'esercito. Sotto la foto del corpo di un bambino palestinese, con accanto la madre in lacrime, campeggia la scritta "Better use Durex" (meglio usare il profilattico). "Scommetti che sarai violentata?", e' la domanda stampata sulla maglia di un altro soldato, accanto all'immagine di una ragazza piena di lividi.
Diverse magliette portano la scritta "confirming the kill" (verifica di aver ucciso), con l'invito a sparare un colpo di pistola alla testa alle proprie vittime. Su altre t-shirt, le immagini di moschee bombardate. Poi, cadaveri e devastazioni.
L'orrore quotidiano di questo male così banale e normalizzato - non a caso - investe anche un campo particolare del simbolico, quello cioè della strutturazione di genere dei rapporti sociali (e del sottostante linguaggio) su cui si fondano tutte le società oggi esistenti.
Proprio nei momenti (o in società di) guerra queste strutturazioni del campo sociale assumono un peso determinante; un esempio su tutti: il corpo della donna come campo di battaglia (e proprietà), con lo stupro etnico come strumento rituale di guerra.
E' gia' la seconda volta in una settimana che l'esercito israeliano finisce nella bufera. Giovedi' scorso, sempre il quotidiano 'Haaretz' ha sostenuto che le forze armate israeliane durante l'offensiva nelle Striscia hanno ucciso "civili palestinesi grazie a regole di ingaggio tolleranti" e "distrutto deliberatamente le loro proprieta'".
L'inchiesta si basava sulle testimonianze di alcuni soldati che parteciparono all'operazione 'Piombo Fuso'. Uno dei militari di Tsahal aveva raccontato di una donna e dei suoi figli uccisi per errore da un cecchino che, per un difetto di comunicazione, non era stato informato in tempo che le vittime erano state autorizzate a uscire dalla casa nella quale erano state chiuse da giorni. In un altro caso, "il comandante di una compagnia ordino' di sparare a un'anziana donna palestinese" che mori' sul colpo. La sua unica colpa, scriveva 'Haaretz', era stata quella di camminare "a 100 metri da una casa dove i soldati (israeliani) avevano installato il loro comando". Gia' allora un portavoce dell'esercito aveva annunciato l'apertura di un'inchiesta.
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