COMMENTO | di Zvi Schuldiner
IL NUOVO GOVERNO
Guerra, economia e democrazia Bibi & Co. non faranno prigionieri
Benjamin Netanyahu, il disastroso primo ministro israeliano dal '96 al '99, tornato poi come ministro delle finanze tatcheriano nel 2003, ha presentato al parlamento israeliano il più ampio governo della sua storia: 30 ministri e 9 vice ministri. Molti credevano in un «nuovo Netanyahu» e ieri il nuovo primo ministro ha dimostrato che la sua maggiore preoccupazione risiede nel manipolare l'apparato politico.
Nonostante la maggioranza si sia espressa in favore della destra, a causa della cattiva reputazione del governo Olmert e come conseguenza naturale della guerra, già da questa mattina un sondaggio di Ha'aretz mostra che il 54% degli israeliani sono delusi dalla composizione del nuovo governo! Nuovo governo che si trova subito ad affrontare seri problemi su tre dimensioni: pace o guerra e razzismo interno; la situazione economica e il sistema democratico.
Netanyahu preso dall'ambizione personale, non ha incontrato alcun ostacolo nel nominare Avigdor Lieberman come suo ministro degli esteri. Lieberman, a capo del partito nazionalista Yisrael Beiteinu, ha ottenuto una compagine di 15 deputati grazie alla propaganda razzista che ha infuocato la sua campagna elettorale. Le sue idee di lealtà e cittadinanza sono una triste copia di quelle leggi tedesche che gli ebrei preferirebbero dimenticare.
Lieberman, che ha già minacciato di bombardare la Diga di Assuan per dare una lezione agli egiziani e ha letteralmente mandato al diavolo Mubarak, è ora a capo della politica estera israeliana. I suoi difensori lo dipingono come un uomo pragmatico e la cosa gli tornerà utile se la polizia proseguisse le indagini riguardo gravi sospetti di reati economici che avrebbe commesso.
Nell'«occidente civilizzato» molti hanno accolto con un sospiro di sollievo quell'equilibrio che sembrava portare Netanyahu ad un'alleanza con il laburismo di «sinistra». Questa non può essere altro che ignoranza, stupidità o semplice propaganda. Il laburismo non solo non è più di «sinistra», ma almeno dagli ultimi otto anni collabora con la sanguinaria politica dell'estrema destra. Shimon Peres era il premio Nobel che spiegava al mondo la politica di Sharon mentre il ministro della difesa laburista Ben Eliezer continuava la brutale repressione della Seconda Intifada. Chi fu il vero architetto della Seconda Intifada? Ehud Barak, l'allora primo ministro laburista moderato, partecipò ad un preannunciato fallimento a Camp David, accolse la provocazione di Sharon nel settembre del 2000 e cominciò la brutale repressione che portò a termine l'allora comandante dell'esercito Mofaz, mentre inculcava al popolo israeliano e all'«occidente civilizzato» l'idea che non ci fossero partner per la pace e che Israele lottava contro il terrorismo.
La presenza dei laburisti nei governi israeliani dell'ultimo decennio non ha illuminato nuove strade né mostrato moderazione, sino a che non è diventato un utile strumento di propaganda e legittimazione di una politica che non può che essere un vicolo cieco. Ehud Barak non ha mosso un dito per smantellare un solo insediamento nei territori occupati, durante il suo governo anzi si è continuato a costruire sempre più case mentre l'«equilibrato laburismo di sinistra» si preparava per l'ultima guerra a Gaza.
La seconda dimensione non è meno preoccupante: Netanyahu e i suoi alleatisembrano non vedere l'entità della crisi del capitalismo. I suoi segnali sono già approdati anche in Israele ma le demagogiche dichiarazioni che assicurano di combattere la disoccupazione sono già accompagnate da più credibili promesse di denaro pubblico verso milionari falliti. Netanyahu ha ottenuto l'appoggio dei laburisti grazie alla collaborazione del leader dell'Histadrut, Ofer Eini, in cambio di vaghe promesse. Eini prosegue con la linea di alleanze che gli fa preferire un astratta idea di unità nazionale ai reali diritti dei lavoratori. Con lui il laburismo è al governo e ora potrà essere fedele alleato dell'arcaico neoliberalismo di Netanyahu.
La terza dimensione è la più sottile e problematica: 30 ministri e 9 vice ministri in un parlamento di 120 membri significa praticamente paralizzare la vita legislativa, diminuendo ancora la forza ed il prestigio di un organismo che negli ultimi anni si è mostrato sempre più debole. La democrazia israeliana, una problematica etnocrazia in crisi, vedrà così ulteriormente sfilacciarsi i suoi già logorati tessuti.
Il nuovo governo, dice Netanyahu, farà tutto il possibile per raggiungere la pace. Ma lo stesso Netanyahu continua a non parlare di reale indipendenza palestinese e ribadisce la necessità di liquidare Hamas, quando è evidente che solo una Palestina unita potrebbe aprire veri negoziati di pace. Il duo Netanyahu-Barak comporta inoltre un reale e mortale pericolo se gli Stati Uniti non freneranno l'irresponsabile politica israeliana nei confronti dell'Iran, che potrebbe giungere ad un attacco militare di disastrose conseguenze sia per Israele sia per l'intera regione. Il governo israeliano garantisce un futuro problematico per gli israeliani e tutti gli altri popoli della regione.
Traduzione di Mario Croce
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