Torino. Solidali con gli immigrati in lotta
Sabato 28 marzo si sono svolte due iniziative in sostegno alle lotte degli
immigrati chiusi nei CIE.
In mattinata si è tenuto un punto info, promosso dalla FAI torinese al
Balon con mostra, distro, musica e volantinaggio. Presenti anche alcuni
lavoratori immigrati in lotta contro il caporalato.
Nel pomeriggio l’Assemblea Antirazzista di Torino aveva proposto un
presidio al CIE di Corso Brunelleschi. Vi hanno partecipato una
cinquantina di antirazzisti. Oltre le tradizionali battiture di ferri,
all’esposizione della mostra sul pacchetto sicurezza ci sono state alcune
dirette di radio Blackout da alcune altre località dove si stavano
svolgendo analoghe iniziative. Purtroppo un violento acquazzone ha
impedito allo striscione gigante con la scritta “libertà” di librarsi in
cielo sollevato da palloncini. Non importa: ci saranno altre occasioni.
Foto del presidio al CIE a quest’indirizzo:
http://piemonte.indymedia.org/article/4527
Il 28 si è data una prima risposta alle urla che, da qualche settimana, si
levano dai CIE di mezz’Italia. Urla nel silenzio.
Quando, a fine febbraio, il governo ha deciso di prolungare la reclusione
dei CIE da due a sei mesi, è partita una disperata resistenza.
Nei CIE di Torino, Milano, Roma, Bari, Gradisca, Bologna, Trapani ci sono
stati scioperi della fame, materassi bruciati, proteste sui tetti. A Bari
in tre si sono cuciti le labbra. Si, proprio così: con ago e filo a legare
le labbra. A Trapani, al Serraino Vulpitta, vi è stato un principio di
rivolta quando in tre si sono tagliati con le lamette.
Il 21 marzo il cortile del CIE di Torino si è sporcato di sangue. Il
sangue di due tunisini che si sono incisi a fondo le braccia per evitare
la deportazione prevista quel giorno.
Il video di quel sangue è stato cancellato da youtube perché certe
brutture non si devono vedere. Robe dell’altro mondo, il mondo separato
dei “clandestini”, uomini e donne dichiarati illegali, rinchiusi in attesa
di deportazione. Per loro soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi nel
cibo sono pane quotidiano. E, a volte, ci scappa anche il morto. Come a
Torino, il 23 maggio dell'anno scorso, quando un immigrato, lasciato senza
assistenza, è morto di polmonite. A Roma un algerino stava male: è stato
curato a manganellate ed è morto nella sua cella il 19 marzo. In entrambi
i casi era la Croce Rossa a gestire il CIE, dove, come dissero la scorsa
primavera alcuni immigrati rinchiusi in corso Brunelleschi, “Si sta come
cani al canile. Gridi e nessuno ascolta”.
Ovunque, alle proteste dei reclusi, la polizia reagisce a suon di botte,
minacce, perquisizioni con cani, telefoni spaccati.
Urge rompere il silenzio intorno alle gabbie per immigrati.
Piovono pietre e nessuno può stare al riparo in attesa di tempi migliori:
mettersi in mezzo è un’urgenza ineludibile.
Se non ora, quando? Se non io, chi per me?
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