martedì 7 dicembre 2010

Fuga di notizie sui “criminali di guerra” colpisce al cuore la società israeliana.

Fuga di notizie sui “criminali di guerra” colpisce al cuore la società israeliana.

di Paul Larudee

Paul Larudee prende in considerazione le implicazioni per Israele e le sue forze armate connesse alla fuga di notizie sui particolari riguardanti 200 militari dell’esercito israeliano che hanno partecipato all’invasione di Gaza del 2008-09, che ha condotto all’assassinio di più di 1.400 persone, prevalentemente civili, compresi oltre 340 bambini.


“Invece di chiedersi perché nella società israeliana alcuni gruppi o individui sono disposti a correre grandi rischi nel ritenere la società responsabile delle sue azioni, Israele preferisce attribuire la colpa del problema agli infidi ebrei anti-semiti che odiano se stessi, ed instillare la paura e l’odio come mezzo per impedire che gli israeliani facciano un esame di coscienza.” (Paul Larudee)





Secondo fonti israeliane, quando persone sconosciute in Israele hanno rivelato il nome, il grado, il numero di identificazione e le altre informazioni riguardanti 200 militari dell’esercito israeliano che, secondo i resoconti, hanno partecipato all’invasione di Gaza del 2008-09, l’effetto è stato folgorante e profondo.

Anche se il primo sito su cui appariva leaked information (informazioni trapelate) è stato preso dal portale, esso ha continuato a circolare via email ed è apparso su una serie di altri siti. A quanto si dice, l’esercito israeliano e le altre agenzie israeliane hanno fatto quanto loro possibile per chiudere ogni sito sul quale compariva l’informazione impedendo la sua diffusione con “l’attivazione di virus”. Per lo meno, un blog popolare che si collega al sito ha ricevuto un numero inimmaginabile di minacce di morte.

Che cosa c’è di così speciale nella lista? Come molti critici hanno sottolineato, non è stato neppure per i crimini che i componenti elencati nella lista sono accusati di aver commesso.

Secondo le fonti in Israele, la radice del problema è l’incapacità di tenere i segreti – vale a dire, che è arduo prestare servizio nell’esercito israeliano senza commettere crimini di guerra, in quanto tali crimini sono una questione che riguarda la politica. Quale soldato israeliano non ha ordinato a un civile palestinese di aprire la porta di un edificio che potrebbe ospitare dei militanti armati o essere una trappola esplosiva? Chi non ha negato l’accesso alle ambulanze o altrimenti ha impedito a un palestinese di fruire di cure mediche, di andare a scuola o al lavoro?

Naturalmente, molti sono andati molto più il là, e una volta o l’altra hanno preso deliberatamente di mira civili disarmati (come nella “zona cuscinetto” lungo il confine della Striscia di Gaza), hanno torturato prigionieri e hanno o ordinato o partecipato a eccidi di massa, lesioni e distruzioni. Questi atti sono stati tutti ben documentati da numerose agenzie degne di fede, quali il Centro Palestinese per i Diritti Umani, Amnesty International, la Commissione Goldstone, Human Rights Watch e B’Tselem.

Ciò che manca in larga misura è la responsabilità. Per essere sicuri, di solito isolate vittorie sono state ottenute con grande sforzo. All’interno di Israele, prove formali e condanne, così come nel caso della sentenza a carico di colui che ha sparato al volontario britannico per i diritti umani Tom Hurndall, continuano a fornire un sottile manto di rispettabilità al sistema giudiziario israeliano. Al di là del controllo di Israele, tuttavia, alti funzionari israeliani sono stati costretti a evitare di recarsi in un numero crescente di paesi per paura dell’intervento delle forze di polizia. Tuttavia, i comuni israeliani non si sono dovuti ancora sentire sottoposti direttamente a tali pressioni.

La pubblicazione della lista dei 200 cambia tutto. La lista contiene i nomi di pochi ufficiali ad alto livello, mentre molti di quelli che sono riportati appartengono ai ranghi inferiori, scendendo fino al grado di sergente. L’effetto per ciò che riguarda gli israeliani comuni è quello di potere, pure loro, all’estero, essere soggetti ad arresto, e senza la protezione della quale potrebbero godere i ben introdotti funzionari di grado superiore. Sanno quello che hanno fatto, o che è stato ordinato loro di fare, o che hanno ordinato ad altri di fare, e sospettano di poter essere ritenuti responsabili dalle leggi degli altri paesi, sui quali il loro governo ha poco controllo.

Molti israeliani già temono che un mondo anti-semitico stia cercando una scusa per porre fine all’esperimento sionista. Non è quindi un grande sforzo credere che essi potrebbero divenire pedine – o capri espiatori – nel coro crescente di voci che si pronunciano a favore dei diritti dei palestinesi e contro gli abusi israeliani.

A ciò connessa è la passione israeliana di trascorrere le vacanze all’estero, che è un’ossessione nazionale e quasi un diritto, nella mente dei più. Il risultato è che, improvvisamente, con la pubblicazione della lista dei 200, la prospettiva di essere ritenuti responsabili una volta fuori da Israele non è più un’astrazione, da poter essere affrontata a livello di diplomatici, di politica governativa e di notizie di cronaca. E’ una cosa che suona familiare.

Ciò determina gravi conseguenze nella società israeliana. Aumenta potenzialmente il numero dei giovani che cercano di evitare il servizio militare, i tassi di emigrazione e di immigrazione, ed altre forme di obbligo nei confronti di Israele e del suo esercito. Soprattutto, secondo le fonti, ciò può indurre i soldati a cominciare a mettere in discussione la politica e gli ordini molto più che in passato, per il modo in cui li possano riguardare personalmente. Il dibattito sulla questione, “Posso essere ritenuto responsabile?” sta già conquistando spazio.

La risposta a questa domanda in potenza potrebbe stabilire se sarà possibile montare una massiccia offensiva contro una popolazione che non ha forze militari effettive, come a Gaza, o dove potrebbe essere usato un bombardamento a tappeto, munizioni a grappolo e uranio impoverito, come in Libano. Questo è potenzialmente una prospettiva scoraggiante per i comandanti militari israeliani, e alcune fonti ritengono che in Israele la pubblicazione dei 200 ha già prodotto tale effetto.

Con maggior probabilità è, però, prematuro fare una tale dichiarazione. Sembra improbabile che Israele riuscirà a mettere il genio nella bottiglia per quanto riguarda la lista dei 200. Sta già saltando da un posto all’altro nello spazio cibernetico, tramite il sito internet e la posta elettronica (anche se Israele sembra essere riuscita a bandirlo temporaneamente da Facebook). Sarà, tuttavia, in grado tutto ciò di generare ulteriori ricerche, il rilascio di informazioni sui potenziali reati commessi dalle persone citate, e di condurre alla successiva pubblicazione di tali elenchi?

Secondo le fonti in Israele, l’esercito e forse altre agenzie hanno ingranato una marcia alta per rintracciare la fonte delle notizie. Questa è una tipica risposta israeliana al problema. Invece di chiedersi perché, nella società israeliana, alcuni gruppi e persone sono disponibili a correre grandi rischi ritenendo tale società responsabile delle sue azioni, Israele preferisce attribuire la colpa del problema agli infidi ebrei anti-semiti che odiano se stessi, ed instillare la paura e l’odio come mezzo per impedire che gli israeliani facciano un esame di coscienza.

Paul Larudee è co-fondatore dei movimenti Free Gaza e Palestina Libera e un organizzatore nell’International Solidarity Movement

(tradotto da mariano mingarelli)

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