Egidia Beretta Arrigoni
Vittorio, mai vivo come ora
Ultimi aggiornamenti: La salma di Vittorio Arrigoni ha ieri lasciato la striscia di Gaza e si trova in Egitto, dopo una cerimonia funebre tenuta al valico di Rafah cui hanno partecipato diversi esponenti del governo di Hamas e una folla di parecchie centinaia di persone, che hanno scandito slogan contro il terrorismo e in onore di Vittorio, "uno di noi". All'ospedale italiano del Cairo è stata allestita una camera ardente per tutta la giornata di oggi; in serata è prevista una fiaccolata organizzata via facebook cui parteciperanno centinaia di blogger egiziani e amici di Vittorio. Domani sera, alle 19,35 con il volo dal Cairo a Roma Fiumicino, il feretro dovrebbe arrivare in Italia. Intanto a Gaza sono oggi morti durante un blitz delle forze speciali di Hamas due membri della cellula salafita accusata di aver rapito e ucciso Vittorio Arrigoni. Uno dei due è stato ucciso dalle guardie, l'altro - Abu Abdel Rahman detto "il giordano" e considerato la mente del sequestro - si sarebbe fatto esplodere.
di Egidia Beretta Arrigoni
Bisogna morire per diventare un eroe, per avere la prima pagina dei giornali, per avere le tv fuori di casa, bisogna morire per restare umani? Mi torna alla mente il Vittorio del Natale 2005, imprigionato nel carcere dell'aeroporto Ben Gurion, le cicatrici dei manettoni che gli hanno segato i polsi, i contatti negati con il consolato, il processo farsa. E la Pasqua dello stesso anno quando, alla frontiera giordana subito dopo il ponte di Allenbay, la polizia israeliana lo bloccò per impedirgli di entrare in Israele, lo caricò su un bus e in sette, una era una poliziotta, lo picchiarono «con arte», senza lasciare segni esteriori, da veri professionisti qual sono, scaraventandolo poi a terra e lanciandogli sul viso, come ultimo sfregio, i capelli strappatagli con i loro potenti anfibi.
Vittorio era un indesiderato in Israele. Troppo sovversivo, per aver manifestato con l'amico Gabriele l'anno prima con le donne e gli uomini nel villaggio di Budrus contro il muro della vergogna, insegnando e cantando insieme il nostro più bel canto partigiano: «O bella ciao, ciao...»
Non vidi allora televisioni, nemmeno quando, nell'autunno 2008, un commando assalì il peschereccio al largo di Rafah, in acque palestinesi e Vittorio fu rinchiuso a Ramle e poi rispedito a casa in tuta e ciabatte. Certo, ora non posso che ringraziare la stampa e la tv che ci hanno avvicinato con garbo, che hanno «presidiato» la nostra casa con riguardo, senza eccessi e mi hanno dato l'occasione per parlare di Vittorio e delle sue scelte ideali.
Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, che come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi. Lo vedo e lo sento già dalle parole degli amici, soprattutto dei giovani, alcuni vicini, altri lontanissimi che attraverso Vittorio hanno conosciuto e capito, tanto più ora, come si può dare un senso ad «Utopia», come la sete di giustizia e di pace, la fratellanza e la solidarietà abbiano ancora cittadinanza e che, come diceva Vittorio, «la Palestina può anche essere fuori dell'uscio di casa». Eravamo lontani con Vittorio, ma più che mai vicini. Come ora, con la sua presenza viva che ingigantisce di ora in ora, come un vento che da Gaza, dal suo amato mar Mediterraneo, soffiando impetuoso ci consegni le sue speranze e il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, passandoci il testimone. Restiamo umani.
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