Nell’ambito della Lega araba, la Siria aveva votato contro l’intervento militare in Libia. Era insomma un regime scomodo, non per il fatto che fosse anti-democratico ma perché anti-americano. E quindi, per la Casa Bianca e i suoi alleati europei e arabi, il regime siriano doveva essere eliminato in qualche modo. Come? Sfruttando il vento della rivoluzione che soffia sul mondo arabo e inventando una rivolta fatta su misura per un regime nemico. E la rivolta è puntualmente scoppiata il 17 marzo scorso a Daraa, una piccola città di 75mila abitanti (e non di 300mila, come aveva affermato la Associated Press all’inizio della sommossa). Non è stata una rivolta pacifica in quanto molti insorti erano armati e non esitavano a sparare sui civili e sulle forze dell’ordine. Lo studioso canadese Michel Chossudovsky ha pubblicato un articolo il 3 maggio scorso sul «Global Research» nel quale si interrogava su chi ci fosse dietro la rivolta in Siria (http://www.globalresearch.ca/index.php?!
context=va&aid=24591). Secondo Chossudovsky, «il movimento di protesta di Daraa del 18 marzo aveva tutte le apparenze di un evento organizzato che comprendeva, con ogni probabilità, il sostegno segreto ai terroristi islamici [...] e delle intelligence occidentali». Daraa, in effetti, è considerata una roccaforte degli estremisti islamici (di dottrina sunnita) che considerano anti-islamico il regime siriano (laico) e il suo clan alawita (di matrice sciita) un’associazione di eretici. In Siria gli islamisti – specie i Fratelli musulmani – sono molto influenti, anche se agiscono nella clandestinità. Il partito islamista fuorilegge, Hizb ut-Tahrir, guidato da Omar Bakri Muhammad, è considerato un alleato strategico per i servizi segreti della Gran Bretagna (MI6) nel perseguimento degli interessi anglo-americani nel Medio Oriente. Sempre lo stesso studioso canadese ha affermato che «il movimento di protesta organizzato in Siria è modellato su quello della Libia. L’insurrezione !
Il 18 aprile scorso il Washington Post ha rivelato l’esistenza di rapporti tra la Casa Bianca e gruppi dell’opposizione siriana (http://www.washingtonpost.com/world/us-secretly-backed-syrian-opposition). La notizia si basava su documenti diplomatici diffusi da WikiLeaks, secondo i quali gli americani avevano iniziato a finanziare gruppi dissidenti siriani sotto la presidenza Bush che nel 2005 aveva rotto i rapporti con Damasco. Il Dipartimento di Stato americano ha finanziato in particolare il Movimento per la giustizia e lo sviluppo – composto da ex membri dei Fratelli musulmani e considerato come «islamista moderato» – con oltre 6 milioni di dollari tra il 2006 e il 2010. Questo movimento, che possiede un canale televisivo satellitare situato a Londra, chiama apertamente al rovesciamento del regime di Al-Asad.
Gli Usa nel caso della Siria hanno puntato sul fattore religioso per trascinare il Paese in una guerra civile con la speranza di liberarsi di un regime nemico che si oppone alla loro egemonia totale sul Medio Oriente. Di fronte a questo oscuro scenario, il popolo siriano in maggioranza laico e pacifista sembra orientarsi verso la logica del male minore, ovvero la scelta di coabitare con il regime in attesa di tempi migliori per rivendicare l’instaurazione della democrazia nel loro Paese.
La crociata saudita contro le rivoluzioni arabe
La concretizzazione della democrazia nel mondo arabo non coincide per nulla con gli interessi degli Usa e i suoi alleati europei, i quali, dopo avere perso i loro luogotenenti, Ben Ali e Mubarak, sono riusciti a riprendere in mano la situazione e trasformare alcune rivoluzioni in manovre di destabilizzazione dei regimi nemici. E per mettere in pratica questa machiavellica operazione hanno scelto un regime arabo islamico: il governo fondamentalista saudita. Per rimanere al potere, la famiglia Al Saoud ha in effetti tutti gli intessi affinché le rivoluzioni vengano represse o trasformate in qualche cosa di completamente diverso.
È stata in effetti l’Arabia Saudita, attraverso il Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), a chiedere, il 7 marzo scorso, di intervenire in Libia e poi a convincere la Lega araba – che ormai controlla totalmente, dopo la caduta di Mubarak – a presentare la stessa richiesta al Consiglio di sicurezza dell’Onu il 10 marzo. Per intervenire militarmente gli Usa hanno voluto che, a presentare formalmente la richiesta, fossero gli arabi stessi. E chi meglio dell’Arabia Saudita lo poteva fare? Il 17 marzo il Consiglio di sicurezza ha autorizzato l’azione militare contro Gheddafi e il 19 sono iniziate le operazioni alle quali hanno partecipato anche alcuni Paesi arabi del Ccg.
E mentre i sauditi erano impegnati a promuovere l’opzione militare per «soccorrere» i civili libici, il 14 marzo i suoi militari insieme a poliziotti emirati sono entrati nel Bahrain per sostenere il sultano Al Khalifa e soffocare nel sangue la rivoluzione pacifica.
A guidare la mossa antirivoluzionaria per conto degli americani è il clan saudita dei Sudairi. Questa influente famiglia wahabita è di fatto guidata dal principe Bandar, soprannominato Bandar Bush per la profonda amicizia che lo lega all’ex presidente G.W. Bush. Nel settembre 2001 Bandar era ambasciatore dell’Arabia Saudita negli Usa. È lui che oggi gestisce i jihadisti (detti mujahidin) arabi formati dai servizi segreti sauditi e pakistani per combattere l’armata russa in Afhganistan. Al Qaeda, come ben si sa, fu creata per lo stesso scopo. I Sudairi, con i loro petro-dollari e la loro armata di estremisti islamici, sono tornati utili agli Usa per eliminare regimi laici considerati anti-americani come quello libico e soprattutto quello siriano.
Nel 2001 gli Usa lanciarono una vasta offensiva internazionale contro l’estremismo jihadista islamico e «approfittando» dell’occasione invasero e occuparono due paesi islamici di fondamentale importanza geopolitica: l’Afghanistan e l’Iraq. Nel 2011 gli islamisti sono ritornati ad essere alleati strategici della Casa Bianca nel riprendere il controllo politico e militare del mondo arabo-islamico che le rivoluzioni arabe stavano iniziando a rimettere in discussione.
Mostafa El Ayoubi
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