mercoledì 14 maggio 2014
iNakba, una app come banca della memoria
13 mag 2014
E’ stata lanciata dall’associazione Zochrot impegnata a diffondere tra gli israeliani la memoria della Catastrofe palestinese. Per non dimenticare il 14-15 maggio di 66 anni fa, la cacciata e i 678 centri arabi distrutti con la nascita di Israele. Per il diritto al ritorno dei profughi
di Michele Giorgio
Tel Aviv, 13 maggio 2014, Nena News – «È conosciuta come la “Legge della Nakba”. Vieta che si svolgano commemorazioni nell’anniversario della fondazione di Israele. In sostanza un cittadino arabo palestinese non ha il diritto di ricordare la tragedia del suo popolo. Con ogni probabilità è un caso unico al mondo, non riesco ad immaginare l’approvazione di una legge volta a vietare che il 4 luglio i Nativi americani possano ricordare commemorare ciò che per loro ha significato la nascita e lo sviluppo degli Stati Uniti». Eitan Bronstein cerca di essere chiaro mentre spiega la Nakba (Catastrofe) palestinese e come è vista e vissuta dagli israeliani. Davanti a lui ci sono una trentina di tedeschi, in maggioranza persone di mezza età, che da alcuni giorni girano tra Israele e Territori palestinesi occupati facendo incontri con esponenti della società civile, attivisti, rappresentanti politici. Il meeting è a Tel Aviv, nella sede dell’associazione israeliana Zochrot (Ricordando, in ebraico). «In questi giorni – aggiunge Bronstein – mentre il paese celebra la realizzazione del progetto sionista nel 1948, noi di Zochrot mostriamo l’altro lato della medaglia: l’espulsione, l’esodo e la spoliazione che i palestinesi hanno subìto e che chiamano la Catastrofe, Nakba. Molti israeliani pensano che questa parola sia stata scelta dagli arabi per indicare la nascita di Israele, ma non è così. Questa parola descrive la catastrofe che si è realizzata in un arco di tempo a danno di un intero popolo».
Non sarà un’attività «eroica» quella dei membri dell’associazione Zochrot, in prevalenza israeliani ebrei, ma certo non è facile andarsene in giro a promuovere la comprensione della Nakba palestinese, a riferire la narrazione araba del 1948, a raccontare l’«altra storia», in un paese dove gran parte della popolazione si proclama ardentamente sionista e dove il nazionalismo più sfrenato sfocia in una crescente rappresentazione alla Knesset, manifestandosi non poche volte con leggi e provvedimenti che colpiscono la minoranza palestinese. Non è semplice «educare» gli ebrei israeliani a una storia che è stata oscurata e che, con rarissime eccezioni, non è studiata nelle scuole. «Le autorità – prosegue Bronstein – affermano che tutto ciò che mira a conservare la memoria della Nakba è contro l’esistenza di Israele. Noi invece pensiamo che un israeliano ebreo di ogni età abbia il dovere e il diritto di sapere che 678 villaggi, cittadine, località arabe sono state distrutte, cancellate, nascoste con foreste e parchi nazionali, e che nel 1948 750 mila palestinesi sono stati costretti all’esilio in gran parte dei casi non a causa della guerra e dei combattimenti ma perchè furono espulsi». Non meno importante, conclude Bronstein, «è far sapere che una legge approvata pochi anni dopo la creazione di Israele, nota come dei “Presenti-Assenti”, ha autorizzato in via ufficiale la confisca di gran parte delle proprietà arabe».
Sessantasei anni dopo la nascita di Israele e la Nakba palestinese, Zochrot grazie anche alle nuove tecnologie di comunicazione, lancia un progetto che vuole a raggiungere ogni angolo del pianeta. Si tratta di «iNakba» una app per smartphone che consentirà agli utenti di individuare ogni villaggio arabo abbandonato o distrutto durante la guerra del 1948 su una mappa interattiva e di poterne conoscere la storia. Allo stesso tempo gli utenti potranno aggiungere foto, commenti e informazioni contribuendo alla banca dati più tecnologica ed innovativa sulla Nakba. Una app che potranno usare anche i profughi – che potranno avere informazioni sul passato e il presenre delle località da dove provengono – e ai quali Zochrot riconosce il pieno diritto di tornare nella loro terra d’origine, contro la posizione ufficiale di Israele che esclude categoricamente di poter dare attuazione al «diritto al ritorno» per i palestinesi sancito dalla risoluzione 194 dell’Onu.
«Ci sono un sacco di organizzazioni israeliane impegnate a denunciare l’occupazione (dei Territori palestinesi 1967, ndr) ma la nostra è l’unica che si occupa del 1948», dice Liat Rosenberg, che dirige Zochrot. «Siamo consapevoli che la nostra influenza è limitata ma sappiamo anche che oggi ogni israeliano conosce la parola Nakba. È entrata nella lingua ebraica e questo è un passo in avanti». In questi giorni Rosenberg e i suoi colleghi tengono corsi e preparano materiale storico a disposizione degli insegnanti più sensibili al tema, in modo da aggirare i tentativi di bandire qualsiasi tipo di commemorazione della Nakba. Tuttavia l’attività principale sul terreno di Zochrot restano le visite guidate in Israele e a Gerusalemme per tutti coloro che sono interessati a ritrovare le tracce dei centri palestinesi «scomparsi» dalla mappe ufficiali o riemersi come villaggi israeliani. Il tour più partecipato è nei dintorni di Ein Kerem (Gerusalemme). Abbandonato dagli abitanti a causa della guerra nel 1948 – è vicino a Deir Yassin, il villaggio palestinese dove è avvenuto il massacro più noto di quel periodo – Ein Kerem ospita chiese, una moschea e belle case in pietra. Dopo la guerra, i suoi primi abitanti furono poveri immigrati ebrei marocchini, sostituiti a partire dagli anni 70 da famiglie ricche. Oggi è uno dei quartieri più chic di Gerusalemme Ovest. Un destino simile a quello di altre aree della parte ebraica della città e che prima del 1948 erano abitate da famiglie palestinesi alle quali sono state confiscate case e proprietà. E tour sono organizzati anche a Tel Aviv, dove tra grattacieli e costruzioni moderne, spuntano i resti di quelli che un tempo erano centri arabi.
Il 14 e 15 maggio, la minoranza palestinese in Israele e i palestinesi nei Territori occupati manifesteranno per commemorare la Nakba. Oltre 10mila persone lo hanno già fatto, venerdì a Lubya (Tiberiade). Molte altre migliaia lo faranno nei campi profughi sparsi nel mondo arabo. Nena News
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