Movimento Globale di Resistenza Non Violenta
alla politica estremista e violenta dello Stato d’Israele
L’attuale situazione a Gaza evidenzia, una volta di più, lo stallo e l’orrore con cui si devono confrontare i Palestinesi.Non possiamo accontentarci di mettere le due parti sullo stesso piano o sperare che una soluzione venga fuori da trattative dirette senza coinvolgimenti e interventi esterni forti e determinati.
Assumere una posizione di falsa neutralità o di spettatori impotenti è in fondo accettare di lasciar fare e limitarsi a constatare, dopo ogni crisi, ogni massacro, che la situazione si deteriora, che i negoziati di pace non hanno portato ad alcunché e che la sorte dei Palestinesi peggiora ogni giorno che passa.
La quantità di organizzazioni di sostegno al popolo palestinese è impressionante, in tutto il mondo e in particolare in Occidente. Eppure si ha la sensazione che si faccia fatica a mettersi d’accordo su una visione o una strategia comuni. Durante i dibattiti spesso si confonde l’analisi delle cause del conflitto con l’esposizione dei principi della resistenza o ancora con i mezzi da usare o le soluzioni da proporre: in queste condizioni è difficile trovare un percorso comune, e ben chiaro, per porre le basi di un discorso, orientare un’azione ad ampio raggio e su più fronti e costituire un fronte unito e solido
Bisogna iniziare indicando alcuni principi sui quali siamo generalmente concordi :
1. Il conflitto israelo-palestinese è innanzi tutto un conflitto politico (anche se ha delle dimensioni religiose che implicano il rispetto della libertà di culto di tutti – ebrei, cristiani, musulmani – e la libertà di coscienza per tutti, credenti o no).
2. Ci sono un oppressore (lo Stato d’Israele) e un oppresso (il popolo palestinese).
3. La resistenza palestinese è legittima.
4. I Palestinesi hanno diritto ad uno Stato e alla libertà.
5. La pari dignità dei Palestinesi esige una parità di diritti e trattamento, quale che sia la soluzione prospettata.
6. I Palestinesi cacciati dalle loro terre hanno un naturale diritto a tornarvi.
7. Il nostro impegno si fonda su di un incondizionato ed uguale rifiuto di ogni razzismo, sotto qualsivoglia forma (razzismo antiebraico, antiarabo, anticristiano o antimusulmano, ecc.).
Su questi sette principi fondamentali è possibile costituire dei collettivi locali, regionali e nazionali che stabiliscano gli obiettivi prioritari del movimento di resistenza locale/globale. Le esperienze dei "collettivi" o "coordinamenti" in Inghilterra, in Francia e in alcune regioni (negli Stati Uniti o in Europa) devono moltiplicarsi in tutti i paesi nei diversi continenti, poiché le conseguenze del locale conflitto israelo-palestinese hanno conseguenze globali sulle realtà politiche ed economiche del mondo. Questi collettivi regionali, nazionali e internazionali dovrebbero avere questi principali obiettivi:
1. Diffondere informazione continua sulla situazione in Medio Oriente (website, newsletters, conferenze, video, libri, ecc.): sviluppare e mantenere la coscienza responsabile di quello che significa il conflitto oltre le situazioni di crisi e il tipo di copertura mediatica.
2. Individuare i mezzi di resistenza non violenta in tutto il mondo (boicottaggi e coordinamento di azioni concrete: manifestazioni, interventi presso i politici, ecc.) che talune organizzazioni mettono in atto ma senza sufficienti sinergie se non in momenti di crisi.
3. Supportare e mobilitare un movimento di solidarietà per il finanziamento di progetti di sviluppo e di ricostruzione (infrastrutture, scuole, ecc.).
Gli ultimi avvenimenti a Gaza e l’atteggiamento dei governi d’Oriente e d’Occidente hanno evidenziato che la passività e l’ipocrisia tanto ampiamente diffuse non permetteranno di giungere alla soluzione di questo conflitto. Tutto sta avvenendo come se lo Stato d’Israele, con il sostegno degli Stati Uniti e di qualche governo europeo, avesse imposto un clima di terrore intellettuale in cui nessuno osa parlare, dire la verità, denunciare l’inaccettabile. Eppure i popoli del mondo sono sempre meno succubi, ed è possibile sensibilizzare e mobilitare un numero vieppiù maggiore di persone che rifiutano di subire il lavaggio mediatico del cervello o di vedersi ridotti nelle condizioni di spettatori impotenti.
Oggi è importante chiarire i nostri principi, individuare i mezzi della resistenza e coordinare la nostra azione. Alcune recenti esperienze nazionali dimostrano che questo processo si può generalizzare. Rivolgiamo un appello alle organizzazioni che hanno anni di esperienza, alle nuove strutture e ai singoli affinché considerino prioritaria la creazione di questo movimento globale mediante collettivi e coordinamenti regionali e nazionali che si pongano obiettivi e un pensiero chiari e che propongano azioni comuni più ampie ed efficaci.
È importante altresì rifiutare sia le frammentazioni sia le strumentalizzazioni politico-ideologiche : un fondamento di princìpi comuni chiarisce questo impegno condiviso, e le azioni devono tradurre in pratica lo spirito determinato di questa resistenza globale. Dal momento che non possiamo restare semplici spettatori della negazione dei diritti, delle umiliazioni e delle atrocità in Palestina, noi lanciamo il Movimento Globale di Resistenza Non Violenta. Desideriamo invitare e coinvolgere nel Movimento personalità pubbliche (intellettuali, artisti etc.), attivisti e cittadini di tutto il mondo, così come le organizzazioni attente alla protezione dei diritti e della dignità degli individui e dei popoli che rifiutano di restare passivi di fronte al silenzio complice degli Stati d’Oriente e d’Occidente mentre i civili palestinesi vengono quotidianamente uccisi, incarcerati o umiliati nei nuovi bantustan che ormai sono divenuti i Territori, occupati dalla politica israeliana di colonizzazione e di apartheid.
Una mobilitazione popolare può avere successo soltanto se è internazionale e globale.
Firmate questo Appello, fatelo conoscere, mantenetevi informati e diffondete l’informazione attorno a voi ; entrate a far parte delle organizzazioni, dei collettivi e dei coordinamenti locali, regionali e nazionali esistenti, o impegnatevi voi stessi a crearne di nuovi là dove vi trovate. Moltiplicate — sul lungo periodo — le azioni d’informazione e di resistenza civile e politica nel mondo.
lunedì 30 marzo 2009
domenica 29 marzo 2009
POGROM ANTI ROM A MILANO
Pogrom anti Rom a Milano
Milano, 24 marzo 2009. Nel capoluogo lombardo, in questi giorni, vi
sono stati pogrom in sequenza contro insediamenti Rom. Intere famiglie
sono state gettate sulla strada, senza alcune assistenza, senza
speranza, senza futuro. Un paziente cardiopatico operato da poco è
stato costretto ad allontanarsi dalla baracca distrutta dagli agenti.
Nessuno ha potuto portare con sé alcun bene, neanche i farmaci per la
sopravvivenza, neanche le coperte o i pannolini per i piccoli. Ionit
Lacatus, un ragazzino Rom romeno, si stringe alla madre e piange.
Dietro di loro, le macerie della povera baracca di cartone e
compensato che chiamavano casa. "Non abbiamo documenti, non abbiamo
cibo, mio figlio ha la febbre alta. Dove andremo? Come passeremo la
notte?". Sono stati aiutati da un attivista, che li ha ospitati a casa
propria, altrimenti la tragedia umanitaria in corso avrebbe avuto
altre vittime. In zona Giambellino gli agenti hanno sgomberato quattro
famigliole che vivevano una vicina all'altra, in ripari precari. Dopo
l'azione di polizia, è intervenuta una ronda di intolleranti, con
bastoni e spranghe. "Ci hanno riempiti di botte," si lamenta una
giovane donna. A San Donato Milanese un insediamento presente in paese
da alcuni anni è stato evacuato. "Volevo fotografare la nostra baracca
distrutta e tutti quei poliziotti che ci gridavano di andarcene,"
denuncia il giovane Menji, "ma un agente mi ha detto: 'Guai a te se
provi a fare fotografie. Ti rompo il cellulare'. Non volevano lasciare
prove di quello che ci stavano facendo". Nello sgombero di San Donato
è stato coinvolto un anziano Rom sopravvissuto ad Auschwitz, di cui
purtroppo il Gruppo EveryOne - che riserva una grande attenzione agli
ultimi testimoni del Samudaripen, lo sterminio nazista dei Rom - ha
perso le tracce. Le autorità milanesi hanno inoltre annunciato ai
diretti interessati - uomini, donne e bambini Rom in tragiche
condizioni di indigenza e sofferenza fisica - che nei prossimi giorni
sgombereranno senza concedere alcuna assistenza sociale né alternative
di alloggio gli ultimi insediamenti milanesi in cui sono rifugiate
famiglie Rom romene già presenti nel capoluogo meneghino da anni,
alcune delle quali avevano ottenuto - nei tempi precedenti la
persecuzione antizigana - asilo politico e protezione umanitaria. Si
tratta dei campi di Cascina Gobba e Rogoredo, già colpiti più volte da
sgomberi brutali, che hanno cagionato vittime fra i bambini più
piccoli e i malati più gravi, oltre a indescrivibili drammi umanitari.
"Loro, i poliziotti, non capiscono che i bambini, le donne e i malati
che fanno parte della nostra gente sono comevoi italiani," ha detto
il giovane Ionut Grancea, "e quando fa troppo freddo o non hanno mezzi
per sopravvivere, stanno ancora più male e spesso muoiono. Io ho solo
17 anni, ma ho visto tanta morte, dopo gli sgomberi. Gente innocente
che ha continuato a camminare, senza una meta, fino a perdere le forze
e la vita. Donne incinte che hanno perso i loro bambini per colpa del
freddo, della fame, delle malattie. Vecchi che si sono lasciati morire
per non essere di peso ai giovani. Ho visto queste cose con i miei
occhi e faccio fatica a non odiare gli italiani". Riguardo
all'insediamento sotto il cavalcavia Bacula, detto "Ponte della
Ghisolfa", la denuncia di Amnesty International ha messo in imbarazzo
le Istituzioni milanesi, che ne avevano deciso l'evacuazione. Secondo
le nostre fonti, le autorità progettano di attuare l'operazione contro
le famiglie Rom lì accampate, circondate da miseria e ostilità, non
appena i media e l'opinione pubblica smetteranno di interessarsi di
quel luogo di dolore ed emarginazione e gli attivisti allenteranno la
vigilanza.
info@everyonegroup.com
www.everyonegroup.co
Milano, 24 marzo 2009. Nel capoluogo lombardo, in questi giorni, vi
sono stati pogrom in sequenza contro insediamenti Rom. Intere famiglie
sono state gettate sulla strada, senza alcune assistenza, senza
speranza, senza futuro. Un paziente cardiopatico operato da poco è
stato costretto ad allontanarsi dalla baracca distrutta dagli agenti.
Nessuno ha potuto portare con sé alcun bene, neanche i farmaci per la
sopravvivenza, neanche le coperte o i pannolini per i piccoli. Ionit
Lacatus, un ragazzino Rom romeno, si stringe alla madre e piange.
Dietro di loro, le macerie della povera baracca di cartone e
compensato che chiamavano casa. "Non abbiamo documenti, non abbiamo
cibo, mio figlio ha la febbre alta. Dove andremo? Come passeremo la
notte?". Sono stati aiutati da un attivista, che li ha ospitati a casa
propria, altrimenti la tragedia umanitaria in corso avrebbe avuto
altre vittime. In zona Giambellino gli agenti hanno sgomberato quattro
famigliole che vivevano una vicina all'altra, in ripari precari. Dopo
l'azione di polizia, è intervenuta una ronda di intolleranti, con
bastoni e spranghe. "Ci hanno riempiti di botte," si lamenta una
giovane donna. A San Donato Milanese un insediamento presente in paese
da alcuni anni è stato evacuato. "Volevo fotografare la nostra baracca
distrutta e tutti quei poliziotti che ci gridavano di andarcene,"
denuncia il giovane Menji, "ma un agente mi ha detto: 'Guai a te se
provi a fare fotografie. Ti rompo il cellulare'. Non volevano lasciare
prove di quello che ci stavano facendo". Nello sgombero di San Donato
è stato coinvolto un anziano Rom sopravvissuto ad Auschwitz, di cui
purtroppo il Gruppo EveryOne - che riserva una grande attenzione agli
ultimi testimoni del Samudaripen, lo sterminio nazista dei Rom - ha
perso le tracce. Le autorità milanesi hanno inoltre annunciato ai
diretti interessati - uomini, donne e bambini Rom in tragiche
condizioni di indigenza e sofferenza fisica - che nei prossimi giorni
sgombereranno senza concedere alcuna assistenza sociale né alternative
di alloggio gli ultimi insediamenti milanesi in cui sono rifugiate
famiglie Rom romene già presenti nel capoluogo meneghino da anni,
alcune delle quali avevano ottenuto - nei tempi precedenti la
persecuzione antizigana - asilo politico e protezione umanitaria. Si
tratta dei campi di Cascina Gobba e Rogoredo, già colpiti più volte da
sgomberi brutali, che hanno cagionato vittime fra i bambini più
piccoli e i malati più gravi, oltre a indescrivibili drammi umanitari.
"Loro, i poliziotti, non capiscono che i bambini, le donne e i malati
che fanno parte della nostra gente sono comevoi italiani," ha detto
il giovane Ionut Grancea, "e quando fa troppo freddo o non hanno mezzi
per sopravvivere, stanno ancora più male e spesso muoiono. Io ho solo
17 anni, ma ho visto tanta morte, dopo gli sgomberi. Gente innocente
che ha continuato a camminare, senza una meta, fino a perdere le forze
e la vita. Donne incinte che hanno perso i loro bambini per colpa del
freddo, della fame, delle malattie. Vecchi che si sono lasciati morire
per non essere di peso ai giovani. Ho visto queste cose con i miei
occhi e faccio fatica a non odiare gli italiani". Riguardo
all'insediamento sotto il cavalcavia Bacula, detto "Ponte della
Ghisolfa", la denuncia di Amnesty International ha messo in imbarazzo
le Istituzioni milanesi, che ne avevano deciso l'evacuazione. Secondo
le nostre fonti, le autorità progettano di attuare l'operazione contro
le famiglie Rom lì accampate, circondate da miseria e ostilità, non
appena i media e l'opinione pubblica smetteranno di interessarsi di
quel luogo di dolore ed emarginazione e gli attivisti allenteranno la
vigilanza.
info@everyonegroup.com
www.everyonegroup.co
TRATTAMENTO PREFERENZIALE da Gideon Levy
Trattamento preferenziale
Gideon Lévy - Haaretz, 13 marzo 2009
www.haaretz.co.il/hasite/spages/1070671.html
Basta con le paranoie: il mondo non è contro di noi. Anzi: non c’è nessun’altro stato a cui i membri della famiglia delle nazioni perdonino in questo modo gli omicidi, le colonie e l’occupazione che porta avanti. Non c’è quindi ragione di temere il futuro. Il mondo accetterà docilmente la squadra da sogno Netanyahu-Lieberman-Ya’alon e manderà giù tutto ciò che gli si farà trangugiare. Perchè? Così. Rallegratevi di vivere in Israele in questi tempi meravigliosi e state zitti.
Coincidenza? L’indomani della partita di tennis, senza pubblico, tra Israele e Svezia, una piccola notizia è apparsa sul sito Internet di Haaretz: degli storici hanno scoperto che la Svezia, ex potenza del tennis, aveva aiutato la macchina da guerra nazista concedendo credito alle imprese tedesche. Coincidenza o no, neutrale nel 1941 o no, 68 anni dopo, l’opinione pubblica svedese non è affatto neutrale: migliaia di persone hanno manifestato contro Israele che è stato costretto a giocare a tennis, come un lebbroso, senza pubblico. Nessuno in Israele ha chiesto perché Israele è trattato in Svezia come un lebbroso. Nessuno ha osato chiedere se la guerra a Gaza valeva il prezzo che ora paghiamo, da Ankara a Stoccolma. Ci è bastato ricordare che gli Svedesi sono sempre stati contro di noi. Il fatto che ci siano stati dei periodi in cui gli Svedesi si siano sprofondati nell’amore d’Israele è stato eliminato dalla coscienza. Il mondo è sempre contro di noi, ecco tutto.
Solo che il mondo non è contro di noi. Anzi è vero il contrario: la verità è che non c’è nessun altro stato a cui il mondo lasci correre anche facilmente i suoi capricci, ancora oggi. Sì, anche oggi. Certo, l’opinione pubblica mondiale è molto critica a volte nei confronti di Israele. Ma la maggioranza dei governi, tranne il Venezuela e la Turchia ma compresi l’Egitto e la Svezia, sono ben lontani da quanto si mormora nella loro opinione pubblica. Il mondo ufficiale continua ad essere a fianco di Israele, nonostante tutti i suoi misfatti. L’ascesa di Hamas, il rafforzamento dell’odio dell’Islam in Occidente e l’egemonia americana danno un aiuto potente, e noi sappiamo meravigliosamente trarne tutto il profitto possibile.
Che differenza c’è tra il tennista nazionale Andy Ram e il tennista nazionale Thomas Johansson? Il fatto è che Johansson e i suoi fans impegnati hanno visto le immagini di Gaza mentre Ram e i suoi fans spensierati probabilmente non le hanno viste. Se Andy Ram avesse visto le immagini, forse anche lui avrebbe manifestato. Ma questo fastidio è stato risparmiato a Ram, come alla maggioranza degli Israeliani, e ciò grazie ai media israeliani mobilitati per rimpinzare e oscurare. E’ davvero permesso, a Andy Ram e a noi, ingiuriare chi è rimasto scioccato dalle immagini provenienti da Gaza? Chi osa protestare contro i responsabili di queste scene? Pretendiamo, ancora una volta, che tutti stiano zitti?
I manifestanti di Stoccolma portavano striscioni contro la violenza e il razzismo. Si può senza dubbio chiedere perchè manifestino solo contro di noi – ci sono ancora altri luoghi razzisti e violenti nel mondo –, ma non è possibile chiedersi semplicemente perché manifestano? Non c’è stata violenza a Gaza e non c’è razzismo in Israele? Se noi fossimo svedesi, non staremmo protestando contro la morte e la distruzione disseminate per niente da Israele?
Ma non bisogna nemmeno agitarsi troppo per l’opinione pubblica tempestosa in Svezia; il loro governo di destra è, come tutti i governi europei, infinitamente meno agitato. Ci basterà ricordare questa scena surrealista quando, al culmine dell’attacco brutale contro Gaza, i dirigenti dell’Unione Europea sono venuti in Israele, hanno pranzato alla tavola del Primo ministro, dimostrando un sostegno unilaterale a fianco dell’omicida e del distruttore, senza pensare di visitare Gaza né aprire bocca per criticare Israele. Questa è l’Europa ufficiale.
Niente da temere
Ora, alla vigilia della costituzione di un nuovo governo, s’insinua il timore che a motivo della sua composizione, Israele debba pagare un costo internazionale elevato. Nessuna preoccupazione: tutto andrà come sempre. Il mondo accoglierà Benjamin Netanyahu come l’uomo di stato numero 1 d’Israele, Avigdor Lieberman come l’ambasciatore numero 1 e Moshe Ya’alon come il soldato numero 1. Le dichiarazioni aggressive di Lieberman e le violenze dell’esercito israeliano sotto il comando di Ya’alon nei Territori [occupati], non costituiranno un ostacolo. Anche il mondo le accetterà.
Ugualmente, il timore che si rafforza, secondo cui la nuova amministrazione americana potrebbe modificare le regole del gioco, ha delle chance di rivelarsi esagerato. Anche la nuova America di Barack Obama si è già impegnata a ripulire i disastri di Israele, come al solito. I 900 milioni di dollari che l’amministrazione si è impegnata a dare per la ricostruzione di Gaza, senza una parola di critica contro chi ha causato queste distruzioni, come se esse fossero opera del cielo e non di un esercito senza freni, e il tutto per di più nella situazione economica attuale degli Stati Uniti, sono di cattivo augurio per chi spera in un cambiamento. E’ con armi americane che Israele ha distrutto Gaza, dopo di che America ed Europa di seguito passano ad aggiustare – non è la prima volta e non sarà l’ultima. Ciò che è stato sarà; il macellaio ucciderà e il sistema metterà a posto: Israele continuerà a devastare e l’America a passare dopo, senza dire niente.
Cattivo presagio? Sì, per chi pensa che il cambiamento non potrà venire che da fuori, o in altre parole, dall’America. Vedete come è ostacolata la Conferenza di Durban II, per timore di una linea dura che sarebbe adottata nei confronti d’Israele. Vedete come è stata annullata, negli Stati Uniti, la nomina di Charles Freeman alla testa del National Intelligence Council, sotto la pressione della onnipotente lobby ebraica (*). Perché? Perché è «anti-Israele».
Qualcuno conosce un altro paese che possa godere di un sostegno internazionale così ampio? Ma noi ci lamentiamo sempre: il mondo intero è contro di noi. Va bene per serrare le fila qui ed è eccellente per spillare sempre più sostegno nel mondo…
Le oscure profezie di un cambiamento nei rapporti degli Stati Uniti con Israele, sono vecchie come lo Stato. Ogni volta che l’amministrazione cambia negli Stati Uniti, il timore riacquista forza. Ma di Presidente in Presidente, la nostra forza aumenta: quando George Bush è salito alla presidenza, ci hanno messo in guardia contro questo Texano, amico degli Arabi e del petrolio, e cos’è successo? Non c’è mai stato un Presidente così “dalla parte di Israele”, che ha dato a tal punto carta bianca per tutte le sue colonie, i suoi omicidi e le sue conquiste. Anche Obama fa paura: eccolo già a discutere con l’Iran e con i Talebani. Si può supporre che anche questo si rivelerà un timore sopravalutato, quando si tratterà d’Israele.
Questo non durerà in eterno?
L’interesse internazionale per Israele è sproporzionato. La settimana scorsa, qualsiasi taxista della città di Bursa, in Turchia, poteva dirvi a memoria i nomi di Lieberman, Tzipi Livni, Benjamin Netanyahu ed anche Avi Mizrahi, il generale che ha criticato il loro paese. Il più piccolo fremito nel processo di coalizione in Israele fa immediatamente titoli cubitali sui giornali di tutto il mondo. La politica interna di nessun altro paese attrae così tanto l’attenzione mondiale. Solo quella d’Israele.
Che ciò sia bene o male per gli Ebrei, è difficile riconoscere le radici di questo fenomeno. Sono decenni che il mondo ingoia quasi interamente il racconto sionista. L’occupazione è andata avanti senza veri ostacoli, come pure la colonizzazione, per oltre 40 anni. Al di fuori di qualche brontolio e di qualche risoluzione internazionale che nessuno ha avuto seriamente l’intenzione di far applicare, Israele continua ad appartenere al campo dei buoni. Gli Arabi, loro, sono i cattivi.
Il nuovo stato d’animo anti-islam rafforza questa tendenza e Israele ne esce ancora una volta vincente. La critica contro i media occidentali da parte dei simpatizzanti di Israele è, anch’essa, molto esagerata. Una giornalista svedese è stata recentemente licenziata dal suo giornale per essersi schierata a favore del punto di vista palestinese nel conflitto. Si immagina difficilmente che il suo giornale avrebbe agito allo stesso modo se si fosse trattato, per esempio, di una giornalista ebrea che si fosse espressa a sostegno di Israele.
Un giorno sono stato intervistato dalla prima catena televisiva francese, una catena commerciale, nel luogo dove l’esercito israeliano aveva ucciso la figlia unica di una donna paralizzata ed ho dichiarato che era uno di quei momenti in cui mi vergognavo di essere israeliano. Le mie parole non sono state diffuse. L’indomani, il reporter della catena mi ha spiegato che, per timore dei telespettatori, gli editori avevano deciso di non diffondere questa frase che avevo pronunciato. Quando un giorno ho pubblicato un articolo sul giornale tedesco Die Welt, che appartiene alla casa editrice di Axel Springer, un editore che esige da tutti i suoi giornalisti che sottoscrivano un impegno a non mettere mai in discussione il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, l’editore mi ha detto: «Se quest’articolo che critica l’occupazione fosse stato scritto da un giornalista tedesco, non sarebbe stato pubblicato da noi».
Malgrado le opinioni critiche sempre più forti verso Israele, l’Europa resta molto prudente. Tra colpevolezza del genocidio e paura dell’islam, con un’Europa che si trascina ciecamente dietro gli Stati Uniti ovunque vadano, Israele gode ancora, come stato, di un trattamento privilegiato nel mondo, estremamente privilegiato.
Forse ciò non durerà in eterno. Forse più le nostre azioni peggioreranno e più anche le critiche si inaspriranno. Nell’attesa, due guerre inutili in due anni non sono bastate. Ma forse verrà un tempo in cui il mondo ne avrà abbastanza della nostra brutalità e della nostra violenza che minacciano la pace mondiale, e forse ci dirà finalmente: basta con l’occupazione. Basta con queste guerre che Israele lancia e per le quali poi il mondo deve pagare. Forse quando l’a squadra da sogno di Israele, Netanyahu-Lieberman-Ya’alon, si troverà di fronte alla squadra da sogno americana, Obama-Clinton, conservatori contro liberali, istigatori di guerra contro sostenitori del negoziato, ne uscirà qualcosa. Nell’attesa, ricordatevi: Israele ha battuto la Svezia, a tennis, 3-2. Ancora una volta, la giustizia ha prevalso.
(*) L’autore della traduzione inglese di quest’articolo per il sito Internet haaretz.com non ha voluto conservare questa frase. [ndt]
Gideon Lévy - Haaretz, 13 marzo 2009
www.haaretz.co.il/hasite/spages/1070671.html
Basta con le paranoie: il mondo non è contro di noi. Anzi: non c’è nessun’altro stato a cui i membri della famiglia delle nazioni perdonino in questo modo gli omicidi, le colonie e l’occupazione che porta avanti. Non c’è quindi ragione di temere il futuro. Il mondo accetterà docilmente la squadra da sogno Netanyahu-Lieberman-Ya’alon e manderà giù tutto ciò che gli si farà trangugiare. Perchè? Così. Rallegratevi di vivere in Israele in questi tempi meravigliosi e state zitti.
Coincidenza? L’indomani della partita di tennis, senza pubblico, tra Israele e Svezia, una piccola notizia è apparsa sul sito Internet di Haaretz: degli storici hanno scoperto che la Svezia, ex potenza del tennis, aveva aiutato la macchina da guerra nazista concedendo credito alle imprese tedesche. Coincidenza o no, neutrale nel 1941 o no, 68 anni dopo, l’opinione pubblica svedese non è affatto neutrale: migliaia di persone hanno manifestato contro Israele che è stato costretto a giocare a tennis, come un lebbroso, senza pubblico. Nessuno in Israele ha chiesto perché Israele è trattato in Svezia come un lebbroso. Nessuno ha osato chiedere se la guerra a Gaza valeva il prezzo che ora paghiamo, da Ankara a Stoccolma. Ci è bastato ricordare che gli Svedesi sono sempre stati contro di noi. Il fatto che ci siano stati dei periodi in cui gli Svedesi si siano sprofondati nell’amore d’Israele è stato eliminato dalla coscienza. Il mondo è sempre contro di noi, ecco tutto.
Solo che il mondo non è contro di noi. Anzi è vero il contrario: la verità è che non c’è nessun altro stato a cui il mondo lasci correre anche facilmente i suoi capricci, ancora oggi. Sì, anche oggi. Certo, l’opinione pubblica mondiale è molto critica a volte nei confronti di Israele. Ma la maggioranza dei governi, tranne il Venezuela e la Turchia ma compresi l’Egitto e la Svezia, sono ben lontani da quanto si mormora nella loro opinione pubblica. Il mondo ufficiale continua ad essere a fianco di Israele, nonostante tutti i suoi misfatti. L’ascesa di Hamas, il rafforzamento dell’odio dell’Islam in Occidente e l’egemonia americana danno un aiuto potente, e noi sappiamo meravigliosamente trarne tutto il profitto possibile.
Che differenza c’è tra il tennista nazionale Andy Ram e il tennista nazionale Thomas Johansson? Il fatto è che Johansson e i suoi fans impegnati hanno visto le immagini di Gaza mentre Ram e i suoi fans spensierati probabilmente non le hanno viste. Se Andy Ram avesse visto le immagini, forse anche lui avrebbe manifestato. Ma questo fastidio è stato risparmiato a Ram, come alla maggioranza degli Israeliani, e ciò grazie ai media israeliani mobilitati per rimpinzare e oscurare. E’ davvero permesso, a Andy Ram e a noi, ingiuriare chi è rimasto scioccato dalle immagini provenienti da Gaza? Chi osa protestare contro i responsabili di queste scene? Pretendiamo, ancora una volta, che tutti stiano zitti?
I manifestanti di Stoccolma portavano striscioni contro la violenza e il razzismo. Si può senza dubbio chiedere perchè manifestino solo contro di noi – ci sono ancora altri luoghi razzisti e violenti nel mondo –, ma non è possibile chiedersi semplicemente perché manifestano? Non c’è stata violenza a Gaza e non c’è razzismo in Israele? Se noi fossimo svedesi, non staremmo protestando contro la morte e la distruzione disseminate per niente da Israele?
Ma non bisogna nemmeno agitarsi troppo per l’opinione pubblica tempestosa in Svezia; il loro governo di destra è, come tutti i governi europei, infinitamente meno agitato. Ci basterà ricordare questa scena surrealista quando, al culmine dell’attacco brutale contro Gaza, i dirigenti dell’Unione Europea sono venuti in Israele, hanno pranzato alla tavola del Primo ministro, dimostrando un sostegno unilaterale a fianco dell’omicida e del distruttore, senza pensare di visitare Gaza né aprire bocca per criticare Israele. Questa è l’Europa ufficiale.
Niente da temere
Ora, alla vigilia della costituzione di un nuovo governo, s’insinua il timore che a motivo della sua composizione, Israele debba pagare un costo internazionale elevato. Nessuna preoccupazione: tutto andrà come sempre. Il mondo accoglierà Benjamin Netanyahu come l’uomo di stato numero 1 d’Israele, Avigdor Lieberman come l’ambasciatore numero 1 e Moshe Ya’alon come il soldato numero 1. Le dichiarazioni aggressive di Lieberman e le violenze dell’esercito israeliano sotto il comando di Ya’alon nei Territori [occupati], non costituiranno un ostacolo. Anche il mondo le accetterà.
Ugualmente, il timore che si rafforza, secondo cui la nuova amministrazione americana potrebbe modificare le regole del gioco, ha delle chance di rivelarsi esagerato. Anche la nuova America di Barack Obama si è già impegnata a ripulire i disastri di Israele, come al solito. I 900 milioni di dollari che l’amministrazione si è impegnata a dare per la ricostruzione di Gaza, senza una parola di critica contro chi ha causato queste distruzioni, come se esse fossero opera del cielo e non di un esercito senza freni, e il tutto per di più nella situazione economica attuale degli Stati Uniti, sono di cattivo augurio per chi spera in un cambiamento. E’ con armi americane che Israele ha distrutto Gaza, dopo di che America ed Europa di seguito passano ad aggiustare – non è la prima volta e non sarà l’ultima. Ciò che è stato sarà; il macellaio ucciderà e il sistema metterà a posto: Israele continuerà a devastare e l’America a passare dopo, senza dire niente.
Cattivo presagio? Sì, per chi pensa che il cambiamento non potrà venire che da fuori, o in altre parole, dall’America. Vedete come è ostacolata la Conferenza di Durban II, per timore di una linea dura che sarebbe adottata nei confronti d’Israele. Vedete come è stata annullata, negli Stati Uniti, la nomina di Charles Freeman alla testa del National Intelligence Council, sotto la pressione della onnipotente lobby ebraica (*). Perché? Perché è «anti-Israele».
Qualcuno conosce un altro paese che possa godere di un sostegno internazionale così ampio? Ma noi ci lamentiamo sempre: il mondo intero è contro di noi. Va bene per serrare le fila qui ed è eccellente per spillare sempre più sostegno nel mondo…
Le oscure profezie di un cambiamento nei rapporti degli Stati Uniti con Israele, sono vecchie come lo Stato. Ogni volta che l’amministrazione cambia negli Stati Uniti, il timore riacquista forza. Ma di Presidente in Presidente, la nostra forza aumenta: quando George Bush è salito alla presidenza, ci hanno messo in guardia contro questo Texano, amico degli Arabi e del petrolio, e cos’è successo? Non c’è mai stato un Presidente così “dalla parte di Israele”, che ha dato a tal punto carta bianca per tutte le sue colonie, i suoi omicidi e le sue conquiste. Anche Obama fa paura: eccolo già a discutere con l’Iran e con i Talebani. Si può supporre che anche questo si rivelerà un timore sopravalutato, quando si tratterà d’Israele.
Questo non durerà in eterno?
L’interesse internazionale per Israele è sproporzionato. La settimana scorsa, qualsiasi taxista della città di Bursa, in Turchia, poteva dirvi a memoria i nomi di Lieberman, Tzipi Livni, Benjamin Netanyahu ed anche Avi Mizrahi, il generale che ha criticato il loro paese. Il più piccolo fremito nel processo di coalizione in Israele fa immediatamente titoli cubitali sui giornali di tutto il mondo. La politica interna di nessun altro paese attrae così tanto l’attenzione mondiale. Solo quella d’Israele.
Che ciò sia bene o male per gli Ebrei, è difficile riconoscere le radici di questo fenomeno. Sono decenni che il mondo ingoia quasi interamente il racconto sionista. L’occupazione è andata avanti senza veri ostacoli, come pure la colonizzazione, per oltre 40 anni. Al di fuori di qualche brontolio e di qualche risoluzione internazionale che nessuno ha avuto seriamente l’intenzione di far applicare, Israele continua ad appartenere al campo dei buoni. Gli Arabi, loro, sono i cattivi.
Il nuovo stato d’animo anti-islam rafforza questa tendenza e Israele ne esce ancora una volta vincente. La critica contro i media occidentali da parte dei simpatizzanti di Israele è, anch’essa, molto esagerata. Una giornalista svedese è stata recentemente licenziata dal suo giornale per essersi schierata a favore del punto di vista palestinese nel conflitto. Si immagina difficilmente che il suo giornale avrebbe agito allo stesso modo se si fosse trattato, per esempio, di una giornalista ebrea che si fosse espressa a sostegno di Israele.
Un giorno sono stato intervistato dalla prima catena televisiva francese, una catena commerciale, nel luogo dove l’esercito israeliano aveva ucciso la figlia unica di una donna paralizzata ed ho dichiarato che era uno di quei momenti in cui mi vergognavo di essere israeliano. Le mie parole non sono state diffuse. L’indomani, il reporter della catena mi ha spiegato che, per timore dei telespettatori, gli editori avevano deciso di non diffondere questa frase che avevo pronunciato. Quando un giorno ho pubblicato un articolo sul giornale tedesco Die Welt, che appartiene alla casa editrice di Axel Springer, un editore che esige da tutti i suoi giornalisti che sottoscrivano un impegno a non mettere mai in discussione il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, l’editore mi ha detto: «Se quest’articolo che critica l’occupazione fosse stato scritto da un giornalista tedesco, non sarebbe stato pubblicato da noi».
Malgrado le opinioni critiche sempre più forti verso Israele, l’Europa resta molto prudente. Tra colpevolezza del genocidio e paura dell’islam, con un’Europa che si trascina ciecamente dietro gli Stati Uniti ovunque vadano, Israele gode ancora, come stato, di un trattamento privilegiato nel mondo, estremamente privilegiato.
Forse ciò non durerà in eterno. Forse più le nostre azioni peggioreranno e più anche le critiche si inaspriranno. Nell’attesa, due guerre inutili in due anni non sono bastate. Ma forse verrà un tempo in cui il mondo ne avrà abbastanza della nostra brutalità e della nostra violenza che minacciano la pace mondiale, e forse ci dirà finalmente: basta con l’occupazione. Basta con queste guerre che Israele lancia e per le quali poi il mondo deve pagare. Forse quando l’a squadra da sogno di Israele, Netanyahu-Lieberman-Ya’alon, si troverà di fronte alla squadra da sogno americana, Obama-Clinton, conservatori contro liberali, istigatori di guerra contro sostenitori del negoziato, ne uscirà qualcosa. Nell’attesa, ricordatevi: Israele ha battuto la Svezia, a tennis, 3-2. Ancora una volta, la giustizia ha prevalso.
(*) L’autore della traduzione inglese di quest’articolo per il sito Internet haaretz.com non ha voluto conservare questa frase. [ndt]
ABUSI SU IMMIGRATI IN PUGLIA
Ai governanti
Alla Chiesa
Alla società civile
Siamo preoccupati e indignati come cittadini italiani e come cristiani per quanto accaduto nella nostra regione: in PUGLIA!!!
Nel Centro di Accoglienza (CdA) di Restinco (Brindisi) erano accolte persone per le quali è in corso la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato, cioè gente costretta a fuggire dalle loro case perché perseguitata per motivi politici, religiosi, etnici, razziali, o perché appartenenti a uno specifico gruppo sociale. A queste è riconosciuta una particolare protezione dal diritto internazionale.
La mattina del 17 marzo tutti gli ospiti presenti nel Centro, 194 persone, la maggior parte africani, alla presenza di un numero considerevole di poliziotti, sono state fatte salire su 4 pullman e trasferite presso il Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) di Borgo Mezzanone (Foggia), in seguito alla imprevista e brusca decisione del governo di trasformare il Centro di Restinco in un Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE).
Vogliamo sottolineare alcuni aspetti di quanto accaduto:
• Il trasferimento è avvenuto senza alcun tipo di informazione e senza alcun preavviso sia nei riguardi degli ospiti che nei confronti degli operatori. Agli ospiti a causa dell’improvvisa decisione, non è stato riconosciuto il diritto di scegliere dove poter continuare il proprio percorso di integrazione (per molti già avviato da diversi mesi grazie alla solidarietà di associazioni locali).
• La decisione del trasferimento e della trasformazione del CdA in un CIE è stata presa senza nessuna consultazione sia dei governanti locali che dell’ente gestore.
• Il Centro di Borgo Mezzanone era impreparato a gestire questo tipo di trasferimento in queste modalità. Scarse sono state infatti le risposte alle tante domande pratiche dei richiedenti asilo.
• Queste persone si uniscono agli altri ospiti del Centro di Borgo Mezzanone carente di strutture e servizi adeguati per una vita dignitosa.
Tutto questo ci vede veramente lontani da quell’accoglienza tipica della nostra terra che ha caratterizzato la nostra storia.
Anche Benedetto XVI lo ha ricordato durante la sua visita nel Salento affermando che Brindisi, come in passato, "resta una porta aperta sul mare" e un tradizionale rifugio di immigrati. "Questa solidarietà - aveva detto il Papa ai brindisini - fa parte delle virtù che formano il vostro ricco patrimonio civile e religioso: continuate con slancio rinnovato a costruire insieme il vostro futuro".
Dopo esattamente 9 mesi l’accoglienza si è trasformata in “deportazione”.
Chiediamo con forza
ai politici, alla Chiesa e alla società civile
di non essere indifferente e di mobilitarsi
affinchè
• non venga mai meno l’attenzione alla dignità umana, il rispetto per i diritti fondamentali della persona indipendentemente dalla nazionalità e dalla religione. L’immigrato è una persona! Il suo essere persona non può dipendere da un pezzo di carta, questo è vergognoso. Su questo si prova la maturità di una società civile e democratica degna di questo nome.
• Si interrompa il meccanismo perverso del capro espiatorio che vede vittime gli immigrati.
• Il governo sia rispettoso delle comunità locali e dei suoi rappresentanti, degli enti locali e delle organizzazioni che operano nel settore.
• non venga soffocata la cultura dell’accoglienza da politiche xenofobe, che lentamente distruggono il “ricco patrimonio di solidarietà civile e religioso”.
• Non si apra il CIE a Brindisi.
Brindisi, 24 marzo 2009
Fr. Francesco Zecca (Responsabile Commissione Giustizia e Pace della famiglia Francescana del Salento)
Fr. Gianni Mastromarino (Responsabile Commissione Giustizia e Pace dei Frati Minori Puglia-Molise)
P. Arcangelo Maira, missionario scalabriniano
Per informazione
Alla Chiesa
Alla società civile
Siamo preoccupati e indignati come cittadini italiani e come cristiani per quanto accaduto nella nostra regione: in PUGLIA!!!
Nel Centro di Accoglienza (CdA) di Restinco (Brindisi) erano accolte persone per le quali è in corso la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato, cioè gente costretta a fuggire dalle loro case perché perseguitata per motivi politici, religiosi, etnici, razziali, o perché appartenenti a uno specifico gruppo sociale. A queste è riconosciuta una particolare protezione dal diritto internazionale.
La mattina del 17 marzo tutti gli ospiti presenti nel Centro, 194 persone, la maggior parte africani, alla presenza di un numero considerevole di poliziotti, sono state fatte salire su 4 pullman e trasferite presso il Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) di Borgo Mezzanone (Foggia), in seguito alla imprevista e brusca decisione del governo di trasformare il Centro di Restinco in un Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE).
Vogliamo sottolineare alcuni aspetti di quanto accaduto:
• Il trasferimento è avvenuto senza alcun tipo di informazione e senza alcun preavviso sia nei riguardi degli ospiti che nei confronti degli operatori. Agli ospiti a causa dell’improvvisa decisione, non è stato riconosciuto il diritto di scegliere dove poter continuare il proprio percorso di integrazione (per molti già avviato da diversi mesi grazie alla solidarietà di associazioni locali).
• La decisione del trasferimento e della trasformazione del CdA in un CIE è stata presa senza nessuna consultazione sia dei governanti locali che dell’ente gestore.
• Il Centro di Borgo Mezzanone era impreparato a gestire questo tipo di trasferimento in queste modalità. Scarse sono state infatti le risposte alle tante domande pratiche dei richiedenti asilo.
• Queste persone si uniscono agli altri ospiti del Centro di Borgo Mezzanone carente di strutture e servizi adeguati per una vita dignitosa.
Tutto questo ci vede veramente lontani da quell’accoglienza tipica della nostra terra che ha caratterizzato la nostra storia.
Anche Benedetto XVI lo ha ricordato durante la sua visita nel Salento affermando che Brindisi, come in passato, "resta una porta aperta sul mare" e un tradizionale rifugio di immigrati. "Questa solidarietà - aveva detto il Papa ai brindisini - fa parte delle virtù che formano il vostro ricco patrimonio civile e religioso: continuate con slancio rinnovato a costruire insieme il vostro futuro".
Dopo esattamente 9 mesi l’accoglienza si è trasformata in “deportazione”.
Chiediamo con forza
ai politici, alla Chiesa e alla società civile
di non essere indifferente e di mobilitarsi
affinchè
• non venga mai meno l’attenzione alla dignità umana, il rispetto per i diritti fondamentali della persona indipendentemente dalla nazionalità e dalla religione. L’immigrato è una persona! Il suo essere persona non può dipendere da un pezzo di carta, questo è vergognoso. Su questo si prova la maturità di una società civile e democratica degna di questo nome.
• Si interrompa il meccanismo perverso del capro espiatorio che vede vittime gli immigrati.
• Il governo sia rispettoso delle comunità locali e dei suoi rappresentanti, degli enti locali e delle organizzazioni che operano nel settore.
• non venga soffocata la cultura dell’accoglienza da politiche xenofobe, che lentamente distruggono il “ricco patrimonio di solidarietà civile e religioso”.
• Non si apra il CIE a Brindisi.
Brindisi, 24 marzo 2009
Fr. Francesco Zecca (Responsabile Commissione Giustizia e Pace della famiglia Francescana del Salento)
Fr. Gianni Mastromarino (Responsabile Commissione Giustizia e Pace dei Frati Minori Puglia-Molise)
P. Arcangelo Maira, missionario scalabriniano
Per informazione
PROTEGGERE REBECCA COVACIU
Proteggere Rebecca Covaciu, proteggere un barlume di civiltà
Lettera del Gruppo EveryOne al presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini e al vicesindaco di Milano Riccardo De Corato
Milano, 27 marzo 2009. Come promesso nel corso del nostro recente incontro presso la Camera dei Deputati, illustrissimo presidente Gianfranco Fini, inviamo al vicesindaco di Milano Riccardo De Corato alcuni articoli riguardanti la giovane artista Rom romena Rebecca Covaciu. Basta digitare su "google" il suo nome e cognome per leggere molte altre notizie, provenienti dai principali quotidiani, dal Corriere a El Pais. Rebecca è conosciuta ormai in tutto il mondo sia per le sue doti artistiche che per la sua umanità e la terribile persecuzione che ha subito a Milano e in Italia. Purtroppo, la condizione della comunità Rom a Milano è spaventosa e ricorda - senza esagerazioni - gli anni delle leggi razziali. So che a Lei dispiace questo genere di paragoni, presidente, ma purtroppo sono i dati dell'orrore a renderlo perfettamente calzante: stesse leggi, stesso spregio dei diritti fondamentali, stessi numeri riguardo alla mortalità di adulti e bambini. Nei campi "autorizzati" vigono "patti" i che ricordano quelli che regolamentavano la vita di ebrei e Rom nei ghetti di Lodz e Varsavia. Gli ingenti fondi stanziati - tanti milioni di euro - non vengono usati per provvedere a inserire i capifamiglia nel mondo del lavoro e i bambini a scuola, liberamente, in modo che possano tentare di realizzare le proprie aspirazioni: condizione necessaria per creare le premesse sociali affinché si spostino dai ghetti ad alloggi dignitosi. No, vengono, al contrario, sprecati - o peggio - per "mettere in sicurezza" tali ghetti o campi di concentramento, procrastinando la cultura della repressione e dell'esclusione (basta una visita a sorpresa presso un insediamento "autorizzato" per rendersi conto della disumana realtà di tali luoghi). E' importante, a nostro avviso, presidente, dire e scrivere la verità su quanto accade, in ogni sede, per sollecitare interventi che sono ormai di tragica urgenza e riguardano la sopravvivenza di esseri umani allo stremo delle energie e della resistenza. Come ha potuto verificare una delegazione di esperti di fenomeni di discriminazione razziale e persecuzione etnica, guidata dall'europarlamentare Viktoria Mohacsi, la città di Milano attua una politica di spietata persecuzione, che inquadra le famiglie Rom come esseri senza alcun diritto, trattati come asociali e potenziali criminali, esattamente come avveniva sotto i regimi che produssero l'Olocausto. Uomini, donne e bambini Rom che hanno vissuto e sono stati perseguitati a Milano, hanno reso testimonianza delle atrocità subite di fronte a rappresentanti del Parlamento europeo, del Cerd (Nazioni Unite) e della Corte dell'Aja. All'inizio 2007 i Rom accorsi a Milano quali profughi dalla Romania, per sfuggire esclusione sociale e discriminazione, erano circa 7 mila: un numero basso, per un grande capoluogo europeo. Anziché assistenza e programmi di inclusione, hanno incontrato ogni forma di vessazione istituzionale e anche da parte di ronde razziali che agiscono impunite. Ne restano poche centinaia, di Rom romeni (fra di loro, rappresentanti degli stoici Vatrashi e Kherutno, degli instancabili Kaldarari, degli orgogliosi Zlatara e Kolari, dei tradizionali Gabori e Kazandzhi, degli "antichi" Pletoshi e Korbeni, dei Modorani, Tismanari, Lautari, Ursari, Spoitori...), vessati e senza alcuna tutela, trattati come topi o insetti molesti, scacciati dai miseri ripari in cui tentano di sopravvivere con una spietatezza e una crudeltà inaudite. E d'inverno, quando si è denutriti, malati e indifesi, spesso si muore, I nostri attivisti si sono trovati in diverse occasioni, a Milano, di fronte a famiglie Rom martoriate e messe in mezzo alla strada; famiglie con bambini, donne incinte, malati gravi. Solo grazie all'iniziativa privata di attivisti e persone di buon cuore alcune di quelle sfortunate famiglie sono state messe in salvo ed è stato consentito loro di fuggire verso Paesi più civili ed accoglienti. Ecco perché, pur rispettando la parola data a Lei, presidente Gianfranco Fini, che ci è parso - almeno nelle dichiarazioni di intento - discostarsi dalla mentalità improntata all'odio razziale che imperversa a Milano e in Italia oggi, attizzata da media e politici irresponsabili, inviamo al vicesindaco (che ha una responsabilità assoluta di quanto è accaduto e accade ancora) notizie di Rebecca, attraverso alcuni dei link che la riguardano. Tuttavia, considerata la realtà milanese, così ferocemente ostile al popolo Rom, non ritengo prudente metterla nelle mani dell'attuale amministrazione della città, per vederla percorrere la classica via crucis riservata ai Rom, che passa dalla Casa della Carità - o altro ospizio - per arrivare a situazioni di sadica oppressione, riservate a un'etnia che Milano criminalizza e rigetta. Lei sa di cosa parlo e scrivo - qui mi rivolgo al vicesindaco - e sa che attualmente non vi è alcun adulto Rom romeno, a Milano, che non abbia almeno una condanna alle spalle o quantomeno un paio di denunce a carico. E' così che la città si libera di una razza sgradita: trasformandola in un "problema di sicurezza". Chiedo invece a Lei, presidente, di garantire alla famiglia Covaciu protezione umanitaria o quantomeno un riconoscimento al contributo che Rebecca sta offrendo all'Unione europea che - in base alla Carta dei diritti fondamentali - cerca di seguire la via di una società moralmente più nobile rispetto al passato, nell'attenzione reale dei Diritti Umani, fondamenta necessarie per l'edificio della civiltà. Rebecca, a Milano, sarà visitata da personalità della politica e della cultura europee. E' ambasciatrice di un mondo costretto a mendicare, fuggire dalle moltitudini, morire di stenti. E' ambasciatrice di un popolo antico e fiero, che non ha mai fatto guerra a nessuno e che possiede un codice etico ammirato persino dai più eminenti giuristi britannici. E' amata da migliaia di persone, è un simbolo per il popolo Rom perseguitato e, visto che l'intolleranza istituzionale le ha negato l'infanzia, merita che le Istituzioni pongano rimedio alle loro mancanze e le consentano di vivere meglio la giovinezza. Attraverso le sue sole forze e il sostegno di poche persone di buona volontà, circondata da indifferenza e odio razziale, ha commosso il mondo con le sue opere e il suo esempio, tanto che è stata battezzata "la piccola Anna Frank del popolo Rom". Suo padre è stato annientato dalle vessazioni subite da parte di chi dovrebbe difendere i deboli e preservare gli ideali di uguaglianza e democrazia. Sua madre ha il fisico distrutto dalle intemperie, dalla povertà, dalla malnutrizione. Ma tengono unita la famiglia e hanno educato all'amore per il prossimo bambini straordinari. E' tempo che vivano in una casa, con il sostegno di uno Stato finalmente non più aguzzino e - seguendo ritmi giusti e umani - che i suoi genitori possano procurarsi i mezzi di sussistenza per allevare i loro meravigliosi bambini, incredibilmente bravi a scuola e nella vita. Dobbiamo proteggere Rebecca, presidente Fini, perché è figlia di un tempo e di un Paese che hanno perso il calore dell'umanità, ma che possono ancora, almeno in parte, riscattarsi. Il Gruppo EveryOne
Gruppo EveryOne
info@everyonegroup.com :: www.everyonegroup.com
Lettera del Gruppo EveryOne al presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini e al vicesindaco di Milano Riccardo De Corato
Milano, 27 marzo 2009. Come promesso nel corso del nostro recente incontro presso la Camera dei Deputati, illustrissimo presidente Gianfranco Fini, inviamo al vicesindaco di Milano Riccardo De Corato alcuni articoli riguardanti la giovane artista Rom romena Rebecca Covaciu. Basta digitare su "google" il suo nome e cognome per leggere molte altre notizie, provenienti dai principali quotidiani, dal Corriere a El Pais. Rebecca è conosciuta ormai in tutto il mondo sia per le sue doti artistiche che per la sua umanità e la terribile persecuzione che ha subito a Milano e in Italia. Purtroppo, la condizione della comunità Rom a Milano è spaventosa e ricorda - senza esagerazioni - gli anni delle leggi razziali. So che a Lei dispiace questo genere di paragoni, presidente, ma purtroppo sono i dati dell'orrore a renderlo perfettamente calzante: stesse leggi, stesso spregio dei diritti fondamentali, stessi numeri riguardo alla mortalità di adulti e bambini. Nei campi "autorizzati" vigono "patti" i che ricordano quelli che regolamentavano la vita di ebrei e Rom nei ghetti di Lodz e Varsavia. Gli ingenti fondi stanziati - tanti milioni di euro - non vengono usati per provvedere a inserire i capifamiglia nel mondo del lavoro e i bambini a scuola, liberamente, in modo che possano tentare di realizzare le proprie aspirazioni: condizione necessaria per creare le premesse sociali affinché si spostino dai ghetti ad alloggi dignitosi. No, vengono, al contrario, sprecati - o peggio - per "mettere in sicurezza" tali ghetti o campi di concentramento, procrastinando la cultura della repressione e dell'esclusione (basta una visita a sorpresa presso un insediamento "autorizzato" per rendersi conto della disumana realtà di tali luoghi). E' importante, a nostro avviso, presidente, dire e scrivere la verità su quanto accade, in ogni sede, per sollecitare interventi che sono ormai di tragica urgenza e riguardano la sopravvivenza di esseri umani allo stremo delle energie e della resistenza. Come ha potuto verificare una delegazione di esperti di fenomeni di discriminazione razziale e persecuzione etnica, guidata dall'europarlamentare Viktoria Mohacsi, la città di Milano attua una politica di spietata persecuzione, che inquadra le famiglie Rom come esseri senza alcun diritto, trattati come asociali e potenziali criminali, esattamente come avveniva sotto i regimi che produssero l'Olocausto. Uomini, donne e bambini Rom che hanno vissuto e sono stati perseguitati a Milano, hanno reso testimonianza delle atrocità subite di fronte a rappresentanti del Parlamento europeo, del Cerd (Nazioni Unite) e della Corte dell'Aja. All'inizio 2007 i Rom accorsi a Milano quali profughi dalla Romania, per sfuggire esclusione sociale e discriminazione, erano circa 7 mila: un numero basso, per un grande capoluogo europeo. Anziché assistenza e programmi di inclusione, hanno incontrato ogni forma di vessazione istituzionale e anche da parte di ronde razziali che agiscono impunite. Ne restano poche centinaia, di Rom romeni (fra di loro, rappresentanti degli stoici Vatrashi e Kherutno, degli instancabili Kaldarari, degli orgogliosi Zlatara e Kolari, dei tradizionali Gabori e Kazandzhi, degli "antichi" Pletoshi e Korbeni, dei Modorani, Tismanari, Lautari, Ursari, Spoitori...), vessati e senza alcuna tutela, trattati come topi o insetti molesti, scacciati dai miseri ripari in cui tentano di sopravvivere con una spietatezza e una crudeltà inaudite. E d'inverno, quando si è denutriti, malati e indifesi, spesso si muore, I nostri attivisti si sono trovati in diverse occasioni, a Milano, di fronte a famiglie Rom martoriate e messe in mezzo alla strada; famiglie con bambini, donne incinte, malati gravi. Solo grazie all'iniziativa privata di attivisti e persone di buon cuore alcune di quelle sfortunate famiglie sono state messe in salvo ed è stato consentito loro di fuggire verso Paesi più civili ed accoglienti. Ecco perché, pur rispettando la parola data a Lei, presidente Gianfranco Fini, che ci è parso - almeno nelle dichiarazioni di intento - discostarsi dalla mentalità improntata all'odio razziale che imperversa a Milano e in Italia oggi, attizzata da media e politici irresponsabili, inviamo al vicesindaco (che ha una responsabilità assoluta di quanto è accaduto e accade ancora) notizie di Rebecca, attraverso alcuni dei link che la riguardano. Tuttavia, considerata la realtà milanese, così ferocemente ostile al popolo Rom, non ritengo prudente metterla nelle mani dell'attuale amministrazione della città, per vederla percorrere la classica via crucis riservata ai Rom, che passa dalla Casa della Carità - o altro ospizio - per arrivare a situazioni di sadica oppressione, riservate a un'etnia che Milano criminalizza e rigetta. Lei sa di cosa parlo e scrivo - qui mi rivolgo al vicesindaco - e sa che attualmente non vi è alcun adulto Rom romeno, a Milano, che non abbia almeno una condanna alle spalle o quantomeno un paio di denunce a carico. E' così che la città si libera di una razza sgradita: trasformandola in un "problema di sicurezza". Chiedo invece a Lei, presidente, di garantire alla famiglia Covaciu protezione umanitaria o quantomeno un riconoscimento al contributo che Rebecca sta offrendo all'Unione europea che - in base alla Carta dei diritti fondamentali - cerca di seguire la via di una società moralmente più nobile rispetto al passato, nell'attenzione reale dei Diritti Umani, fondamenta necessarie per l'edificio della civiltà. Rebecca, a Milano, sarà visitata da personalità della politica e della cultura europee. E' ambasciatrice di un mondo costretto a mendicare, fuggire dalle moltitudini, morire di stenti. E' ambasciatrice di un popolo antico e fiero, che non ha mai fatto guerra a nessuno e che possiede un codice etico ammirato persino dai più eminenti giuristi britannici. E' amata da migliaia di persone, è un simbolo per il popolo Rom perseguitato e, visto che l'intolleranza istituzionale le ha negato l'infanzia, merita che le Istituzioni pongano rimedio alle loro mancanze e le consentano di vivere meglio la giovinezza. Attraverso le sue sole forze e il sostegno di poche persone di buona volontà, circondata da indifferenza e odio razziale, ha commosso il mondo con le sue opere e il suo esempio, tanto che è stata battezzata "la piccola Anna Frank del popolo Rom". Suo padre è stato annientato dalle vessazioni subite da parte di chi dovrebbe difendere i deboli e preservare gli ideali di uguaglianza e democrazia. Sua madre ha il fisico distrutto dalle intemperie, dalla povertà, dalla malnutrizione. Ma tengono unita la famiglia e hanno educato all'amore per il prossimo bambini straordinari. E' tempo che vivano in una casa, con il sostegno di uno Stato finalmente non più aguzzino e - seguendo ritmi giusti e umani - che i suoi genitori possano procurarsi i mezzi di sussistenza per allevare i loro meravigliosi bambini, incredibilmente bravi a scuola e nella vita. Dobbiamo proteggere Rebecca, presidente Fini, perché è figlia di un tempo e di un Paese che hanno perso il calore dell'umanità, ma che possono ancora, almeno in parte, riscattarsi. Il Gruppo EveryOne
Gruppo EveryOne
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venerdì 27 marzo 2009
RAZZISMO. dal Manifesto e Mondoweiss
* CORSIVO
Due piccoli ritocchi razzisti
La sua retorica di fuoco e la richiesta di un attestato di lealtà allo Stato ebraico in cambio del diritto di voto sono inaccettabili. Però... Però l'altra proposta del razzista Lieberman - due piccoli ritocchi alla Linea verde - è una «brillante idea». Parola del demografo Sergio DellaPergola, che la sottoscrive in un commento su «Forward». DellaPergola spiega che nel 2008 gli arabi costituivano il 21% dei cittadini d'Israele, nel 2020 saranno il 23% e nel 2050 il 27%: per evitare la nascita di uno stato binazionale bisogna cedere le città del «triangolo» arabo in Israele e Gerusalemme est in cambio dei principali blocchi di colonie in Cisgiordania. I calcoli del professor Della Pergola per preservare il carattere ebraico dello Stato non fanno una piega. Ma l'idea che a 500.000 cittadini di uno stato possa essere imposto il transfer (i palestinesi d'Israele non vogliono traslocare) in un insieme di bantustan non è un po' razzista?
Internazionale
‘Another paediatrician and another baker
Got a bullet in the face from a paratroopers unit
All day we search houses and kill children’
- Extract from a song of an Israeli paratroopers’ unit that participated in Operation Calm Waters in Nablus, beginning of 2004.
Marcia su Umm al Fahm la principale città arabo-israeliana.Liberman e altri criminali come lui faranno di tutto per cacciare e deportare il 20% della popolazione di Israele con motivazioni razziste
http://www.philipweiss.org/mondoweiss/2009/03/umm-alfahm-violence-is-a-sign-of-things-to-come-in-liebermans-israel.html
Due piccoli ritocchi razzisti
La sua retorica di fuoco e la richiesta di un attestato di lealtà allo Stato ebraico in cambio del diritto di voto sono inaccettabili. Però... Però l'altra proposta del razzista Lieberman - due piccoli ritocchi alla Linea verde - è una «brillante idea». Parola del demografo Sergio DellaPergola, che la sottoscrive in un commento su «Forward». DellaPergola spiega che nel 2008 gli arabi costituivano il 21% dei cittadini d'Israele, nel 2020 saranno il 23% e nel 2050 il 27%: per evitare la nascita di uno stato binazionale bisogna cedere le città del «triangolo» arabo in Israele e Gerusalemme est in cambio dei principali blocchi di colonie in Cisgiordania. I calcoli del professor Della Pergola per preservare il carattere ebraico dello Stato non fanno una piega. Ma l'idea che a 500.000 cittadini di uno stato possa essere imposto il transfer (i palestinesi d'Israele non vogliono traslocare) in un insieme di bantustan non è un po' razzista?
Internazionale
‘Another paediatrician and another baker
Got a bullet in the face from a paratroopers unit
All day we search houses and kill children’
- Extract from a song of an Israeli paratroopers’ unit that participated in Operation Calm Waters in Nablus, beginning of 2004.
Marcia su Umm al Fahm la principale città arabo-israeliana.Liberman e altri criminali come lui faranno di tutto per cacciare e deportare il 20% della popolazione di Israele con motivazioni razziste
http://www.philipweiss.org/mondoweiss/2009/03/umm-alfahm-violence-is-a-sign-of-things-to-come-in-liebermans-israel.html
L'ETHOS DEI MILITARI ISRAELIANI
Israele, le magliette della vergogna
conflitti globali
Le guerre israeliane, con tutto il loro portato di violenza e distruzione dell'altro incarnato nel/la palestinese, continuano ben oltre la materialità delle morti lasciate sul campo, investendo massicciamente anche il campo del simbolico.
E il razzismo di un'intera società si salda col marketing.
Bambini palestinesi trucidati, madri in lacrime sulla tomba dei loro figli, foto di ragazzini con una pistola puntata alla testa, moschee bombardate. Sono queste le macabre immagini che i soldati israeliani chiedono di stampare sulle magliette, accompagnate da slogan agghiaccianti.
"One shot, two kills" (un colpo, due morti) e' l'inquietante frase stampata sulla t-shirt di un militare in borghese, ripreso di spalle dal quotidiano israeliano 'Haaretz' che ha pubblicato la scandalosa inchiesta. Sopra la scritta, la foto di una donna palestinese incinta, centrata in un mirino. Gli uffici di 'Adiv', il negozio di magliette nella zona sud di Tel Aviv, stanno ricevendo un numero crescente di richieste da parte di militari israeliani. Una maglietta appena uscita dalla stampante e' stata prenotata da un cecchino dell'esercito. Sotto la foto del corpo di un bambino palestinese, con accanto la madre in lacrime, campeggia la scritta "Better use Durex" (meglio usare il profilattico). "Scommetti che sarai violentata?", e' la domanda stampata sulla maglia di un altro soldato, accanto all'immagine di una ragazza piena di lividi.
Diverse magliette portano la scritta "confirming the kill" (verifica di aver ucciso), con l'invito a sparare un colpo di pistola alla testa alle proprie vittime. Su altre t-shirt, le immagini di moschee bombardate. Poi, cadaveri e devastazioni.
L'orrore quotidiano di questo male così banale e normalizzato - non a caso - investe anche un campo particolare del simbolico, quello cioè della strutturazione di genere dei rapporti sociali (e del sottostante linguaggio) su cui si fondano tutte le società oggi esistenti.
Proprio nei momenti (o in società di) guerra queste strutturazioni del campo sociale assumono un peso determinante; un esempio su tutti: il corpo della donna come campo di battaglia (e proprietà), con lo stupro etnico come strumento rituale di guerra.
E' gia' la seconda volta in una settimana che l'esercito israeliano finisce nella bufera. Giovedi' scorso, sempre il quotidiano 'Haaretz' ha sostenuto che le forze armate israeliane durante l'offensiva nelle Striscia hanno ucciso "civili palestinesi grazie a regole di ingaggio tolleranti" e "distrutto deliberatamente le loro proprieta'".
L'inchiesta si basava sulle testimonianze di alcuni soldati che parteciparono all'operazione 'Piombo Fuso'. Uno dei militari di Tsahal aveva raccontato di una donna e dei suoi figli uccisi per errore da un cecchino che, per un difetto di comunicazione, non era stato informato in tempo che le vittime erano state autorizzate a uscire dalla casa nella quale erano state chiuse da giorni. In un altro caso, "il comandante di una compagnia ordino' di sparare a un'anziana donna palestinese" che mori' sul colpo. La sua unica colpa, scriveva 'Haaretz', era stata quella di camminare "a 100 metri da una casa dove i soldati (israeliani) avevano installato il loro comando". Gia' allora un portavoce dell'esercito aveva annunciato l'apertura di un'inchiesta.
conflitti globali
Le guerre israeliane, con tutto il loro portato di violenza e distruzione dell'altro incarnato nel/la palestinese, continuano ben oltre la materialità delle morti lasciate sul campo, investendo massicciamente anche il campo del simbolico.
E il razzismo di un'intera società si salda col marketing.
Bambini palestinesi trucidati, madri in lacrime sulla tomba dei loro figli, foto di ragazzini con una pistola puntata alla testa, moschee bombardate. Sono queste le macabre immagini che i soldati israeliani chiedono di stampare sulle magliette, accompagnate da slogan agghiaccianti.
"One shot, two kills" (un colpo, due morti) e' l'inquietante frase stampata sulla t-shirt di un militare in borghese, ripreso di spalle dal quotidiano israeliano 'Haaretz' che ha pubblicato la scandalosa inchiesta. Sopra la scritta, la foto di una donna palestinese incinta, centrata in un mirino. Gli uffici di 'Adiv', il negozio di magliette nella zona sud di Tel Aviv, stanno ricevendo un numero crescente di richieste da parte di militari israeliani. Una maglietta appena uscita dalla stampante e' stata prenotata da un cecchino dell'esercito. Sotto la foto del corpo di un bambino palestinese, con accanto la madre in lacrime, campeggia la scritta "Better use Durex" (meglio usare il profilattico). "Scommetti che sarai violentata?", e' la domanda stampata sulla maglia di un altro soldato, accanto all'immagine di una ragazza piena di lividi.
Diverse magliette portano la scritta "confirming the kill" (verifica di aver ucciso), con l'invito a sparare un colpo di pistola alla testa alle proprie vittime. Su altre t-shirt, le immagini di moschee bombardate. Poi, cadaveri e devastazioni.
L'orrore quotidiano di questo male così banale e normalizzato - non a caso - investe anche un campo particolare del simbolico, quello cioè della strutturazione di genere dei rapporti sociali (e del sottostante linguaggio) su cui si fondano tutte le società oggi esistenti.
Proprio nei momenti (o in società di) guerra queste strutturazioni del campo sociale assumono un peso determinante; un esempio su tutti: il corpo della donna come campo di battaglia (e proprietà), con lo stupro etnico come strumento rituale di guerra.
E' gia' la seconda volta in una settimana che l'esercito israeliano finisce nella bufera. Giovedi' scorso, sempre il quotidiano 'Haaretz' ha sostenuto che le forze armate israeliane durante l'offensiva nelle Striscia hanno ucciso "civili palestinesi grazie a regole di ingaggio tolleranti" e "distrutto deliberatamente le loro proprieta'".
L'inchiesta si basava sulle testimonianze di alcuni soldati che parteciparono all'operazione 'Piombo Fuso'. Uno dei militari di Tsahal aveva raccontato di una donna e dei suoi figli uccisi per errore da un cecchino che, per un difetto di comunicazione, non era stato informato in tempo che le vittime erano state autorizzate a uscire dalla casa nella quale erano state chiuse da giorni. In un altro caso, "il comandante di una compagnia ordino' di sparare a un'anziana donna palestinese" che mori' sul colpo. La sua unica colpa, scriveva 'Haaretz', era stata quella di camminare "a 100 metri da una casa dove i soldati (israeliani) avevano installato il loro comando". Gia' allora un portavoce dell'esercito aveva annunciato l'apertura di un'inchiesta.
DALLA FIOM
Giustizia e pace in Palestina/Israele
30 marzo: Giornata della terra in Palestina
Giornata globale di azione nel mondo
Finmeccanica: dove finisce il nostro lavoro? Vogliamo chiarezza!
Da troppi anni Israele gode di impunità da parte della comunità internazionale per la sua politica di occupazione illegale dei territori palestinesi, per la costruzione di un muro di centinaia di km. che produce un regime di apartheid, per le discriminazioni verso i cittadini e le cittadine palestinesi di Israele, per i crimini di guerra e contro l'umanità.
Le prime indagini svolte da associazioni israeliane, palestinesi ed internazionali sull'attacco israeliano su Gaza (oltre 1300 vittime e migliaia di feriti, prevalentemente civili, tra la popolazione palestinese) confermano l’uso di armi non convenzionali, violazioni delle convenzioni internazionali e dei diritti umani.
Per questo, dall'Inghilterra al Canada e agli Stati Uniti, dal Sud Africa alla Francia, sta prendendo avvio una campagna di “boicottaggio, disinvestimento, sanzioni” nei confronti della politica illegale e di guerra dello Stato di Israele (Campagna BDS). Questa campagna, le cui caratteristiche sono condivise dalla coalizione Action for Peace, di cui la Fiom fa parte, è uno strumento di azione nonviolente, rivolta non contro i/le cittadini/e di Israele, ma la sua politica. Essa viene realizzata tenendo conto dei diversi contesti nazionali. La campagna mira anche ad informare sull'illegalità della colonizzazione e dell'occupazione, del muro e dell'apartheid in Palestina, sui crimini commessi contro la sua popolazione, recentemente denunciati anche da militari dell'Esercito israeliano. Anche per questi motivi, la Fiom ritiene che la “questione militare” debba avere particolare rilievo.
Nel 2005, in seguito al voto dei Parlamenti, israeliano e italiano, è entrato in vigore l'accordo quadro di cooperazione militare Italia-Israele. L’accordo prevede forme di collaborazione fra le industrie belliche e il personale militare dei due Paesi, con un palese aggiramento della legge sul commercio delle armi italiane (la 185/90) che vieta le esportazioni a Paesi belligeranti o i cui governi si siano macchiati di accertate violazioni delle convenzioni di tutela dei diritti umani. Sosteniamo la richiesta di sospensione di tale accordo, fatta da molte associazioni pacifiste italiane, finché Israele non rispetterà il diritto internazionale e i diritti umani della popolazione palestinese.
Il Gruppo Finmeccanica è in parte proprietà del Governo italiano e, in
particolare per quanto riguarda le attività militari, opera su commesse
pubbliche. Gode quindi di finanziamenti pubblici, che vengono dalle casse
dello Stato, ovvero dai contribuenti. Nel novembre 2008 la stampa israeliana
ha dato notizia dell’intenzione di Finmeccanica di stipulare accordi di
collaborazione con le principali aziende militari israeliane (Elbit, Iai,
Rafael). Risulta che diverse aziende del Gruppo hanno già direttamente e/o
indirettamente rapporti di collaborazione con almeno una di queste aziende.
E' noto che esistono rapporti commerciali tra Finmeccanica e Israele per le
forniture di sistemi d'arma, così come nell'ambito delle forniture di aziende
israeliane verso l'esercito italiano.
Le lavoratrici ed i lavoratori delle aziende del Gruppo hanno il diritto di sapere che uso viene fatto del risultato del loro lavoro e che ciò avvenga nel più rigoroso rispetto della legge 185 e della legalità internazionale. Nulla può giustificare che tali regole e principi vengano violati o aggirati.
Chiediamo chiarezza e trasparenza sui rapporti commerciali e industriali tra il Gruppo Finmeccanica, il governo israeliano e le industrie militari locali, sia per quanto riguarda le aziende del Gruppo che si trovano sul territorio italiano, che la nuova controllata statunitense DRS.
E' inaccettabile che una realtà industriale - a maggior ragione perché parzialmente pubblica e finanziata da denaro pubblico - possa essere complice di violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani. Chiediamo su questo informazioni esaurienti e garanzie a Finmeccanica.
Per sostenere queste richieste
3 aprile 2009 dalle ore 11.00 alle ore 13.00
presidio davanti alla sede di Finmeccanica in
Piazza Montegrappa a Roma.
30 marzo: Giornata della terra in Palestina
Giornata globale di azione nel mondo
Finmeccanica: dove finisce il nostro lavoro? Vogliamo chiarezza!
Da troppi anni Israele gode di impunità da parte della comunità internazionale per la sua politica di occupazione illegale dei territori palestinesi, per la costruzione di un muro di centinaia di km. che produce un regime di apartheid, per le discriminazioni verso i cittadini e le cittadine palestinesi di Israele, per i crimini di guerra e contro l'umanità.
Le prime indagini svolte da associazioni israeliane, palestinesi ed internazionali sull'attacco israeliano su Gaza (oltre 1300 vittime e migliaia di feriti, prevalentemente civili, tra la popolazione palestinese) confermano l’uso di armi non convenzionali, violazioni delle convenzioni internazionali e dei diritti umani.
Per questo, dall'Inghilterra al Canada e agli Stati Uniti, dal Sud Africa alla Francia, sta prendendo avvio una campagna di “boicottaggio, disinvestimento, sanzioni” nei confronti della politica illegale e di guerra dello Stato di Israele (Campagna BDS). Questa campagna, le cui caratteristiche sono condivise dalla coalizione Action for Peace, di cui la Fiom fa parte, è uno strumento di azione nonviolente, rivolta non contro i/le cittadini/e di Israele, ma la sua politica. Essa viene realizzata tenendo conto dei diversi contesti nazionali. La campagna mira anche ad informare sull'illegalità della colonizzazione e dell'occupazione, del muro e dell'apartheid in Palestina, sui crimini commessi contro la sua popolazione, recentemente denunciati anche da militari dell'Esercito israeliano. Anche per questi motivi, la Fiom ritiene che la “questione militare” debba avere particolare rilievo.
Nel 2005, in seguito al voto dei Parlamenti, israeliano e italiano, è entrato in vigore l'accordo quadro di cooperazione militare Italia-Israele. L’accordo prevede forme di collaborazione fra le industrie belliche e il personale militare dei due Paesi, con un palese aggiramento della legge sul commercio delle armi italiane (la 185/90) che vieta le esportazioni a Paesi belligeranti o i cui governi si siano macchiati di accertate violazioni delle convenzioni di tutela dei diritti umani. Sosteniamo la richiesta di sospensione di tale accordo, fatta da molte associazioni pacifiste italiane, finché Israele non rispetterà il diritto internazionale e i diritti umani della popolazione palestinese.
Il Gruppo Finmeccanica è in parte proprietà del Governo italiano e, in
particolare per quanto riguarda le attività militari, opera su commesse
pubbliche. Gode quindi di finanziamenti pubblici, che vengono dalle casse
dello Stato, ovvero dai contribuenti. Nel novembre 2008 la stampa israeliana
ha dato notizia dell’intenzione di Finmeccanica di stipulare accordi di
collaborazione con le principali aziende militari israeliane (Elbit, Iai,
Rafael). Risulta che diverse aziende del Gruppo hanno già direttamente e/o
indirettamente rapporti di collaborazione con almeno una di queste aziende.
E' noto che esistono rapporti commerciali tra Finmeccanica e Israele per le
forniture di sistemi d'arma, così come nell'ambito delle forniture di aziende
israeliane verso l'esercito italiano.
Le lavoratrici ed i lavoratori delle aziende del Gruppo hanno il diritto di sapere che uso viene fatto del risultato del loro lavoro e che ciò avvenga nel più rigoroso rispetto della legge 185 e della legalità internazionale. Nulla può giustificare che tali regole e principi vengano violati o aggirati.
Chiediamo chiarezza e trasparenza sui rapporti commerciali e industriali tra il Gruppo Finmeccanica, il governo israeliano e le industrie militari locali, sia per quanto riguarda le aziende del Gruppo che si trovano sul territorio italiano, che la nuova controllata statunitense DRS.
E' inaccettabile che una realtà industriale - a maggior ragione perché parzialmente pubblica e finanziata da denaro pubblico - possa essere complice di violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani. Chiediamo su questo informazioni esaurienti e garanzie a Finmeccanica.
Per sostenere queste richieste
3 aprile 2009 dalle ore 11.00 alle ore 13.00
presidio davanti alla sede di Finmeccanica in
Piazza Montegrappa a Roma.
mercoledì 25 marzo 2009
BAMBINI IN SOVRANNUMERO
I bambini. I bambini e le bambine. Martoriati, dileggiati, bistrattati, discriminati. I leghisti vogliono impedire che i bambini, figli di immigrati senza permesso di soggiorno, possano ricevere cure, possano avere accesso ai servizi che garantiscono diritti alle persone, possano essere registrati all'anagrafe. I bambini vengono trattati da clandestini. La clandestinità sta per diventare un reato. I bambini vengono trattati come fossero delinquenti. Schedati, imbrattati di inchiostro per rubare loro le impronte.
Penserete che per i bambini figli di immigrati con permesso di soggiorno le cosa vadano meglio. Invece no. La gelmini e brunetta hanno avuto una gran brutta idea.
Gel-mini, si. Quella della riforma scolastica. Quella che se ne frega degli studenti, della ricerca, del diritto allo studio, al futuro, ad una prospettiva migliore per chi investe nell'istruzione e che tiene forbici in mano per tagliare tutto.
Bru-netta, si. Quello dello sciopero virtuale, dei disoccupati trentenni bamboccioni, degli impiegati fannulloni, degli studenti guerriglieri.
Questi due geniali rappresentanti del governo hanno partorito la altrettanto geniale idea di creare un ulteriore discriminazione tra le discriminazioni.
Non bastava il fatto che in alcuni comuni governati dalla lega vorrebbero impedire che il bonus bebe' possa essere destinato anche ai figli degli immigrati. Non bastava che già gli immigrati fossero regolati da flussi e da preferenze sulla base delle necessità (le badanti prima che gli operai) di figure professionali delle quali ha bisogno la classe medio-ricca in italia. Non bastava che a questi immigrati "regolari" la lega iniziasse a fare storie perchè secondo loro bisognerebbe fare due graduatorie per i posti dei bimbi all'asilo, alla scuola materna e per le case popolari. Non bastava che si parlasse di classi separate, classi ponte, di divieto di matrimoni misti (cosa inserita nel decreto sicurezza e già ordinata da alcuni sindaci), di divieto di accesso ad alcune professioni, alle attività imprenditoriali, al possesso di proprietà. Non bastava questo e molte altre cose ancora. Bisognava toccare il fondo.
Si tratta di bambini, soprattutto loro (la frequenza scolastica per gli immigrati diminuisce dopo il periodo obbligatorio). I due ministri vogliono limitare la frequenza scolastica di immigrati al 30%. Stabilire la percentuale per loro è garanzia di mantenimento dell'egemonia culturale italica e soprattutto religiosa e cattolica. Che persino tra gli studenti italiani vi siano differenze di tipo etnico, culturale e religioso non importa poichè dovranno fare esattamente come loro ordinano. Sono caserme, mica scuole. E non dovrà mai avvenire un sorpasso della razza inferiore su quella superiore.
Dopo una proposta di questo genere ci aspettiamo anche che specifichino le caratteristiche di questi bambini: che altezza dovranno avere? Che colore degli occhi? Che capelli? Come avverrà la selezione sulla base della razza? Chi avrà diritto e accesso all'istruzione in un paese nel quale l'istruzione è obbligatoria per tutti fino ai 16 anni? Per tutti ma non per gli immigrati? Come accerteremo che sul territorio italiano restera' solo un 30% di bambini da far accedere a scuola? E gli altri? Li abbattiamo? Li mandiamo al m
cero? Aborti preventivi? Niente gravidanze oltre il 30%? Deportiamo le donne in fretta e furia per farle partorire appena oltrepassato il confine con la spagna o la francia?
Follia per follia: non si potrebbe fare una roba a peso invece che a numero di soggetti? A chili invece che a percentuali? Andrebbe già meglio no? Cioè: facciamo che nella scuola pubblica possano accedere fino a - ci teniamo bassi - 200 kg di carne immigrata. Li teniamo magri, così mangiano meno e ci costano meno, possiamo anche abbassare gli stipendi ai loro genitori, così vedete che ricaviamo anche qualche etto e ci resta spazio per qualche avanzo di immigrato comunitario. Che ne dite? Non vi sembra geniale?
Ci dica gelmini e ci dica brunetta, perchè siamo curiosissime, insomma: dove li mettiamo quelli in sovrannumero? Ma la scuola non doveva essere un diritto per tutti? Gli immigrati regolari pagano le tasse, ci sembra, quindi pagano anche il diritto alla scuola pubblica. Allora gli faremo pagare meno tasse?
Come si risolve questa questione? Davvero non comprendiamo. Oppure si. Toh. guarda. Non si tratterà mica di un'altra legge razziale? Chi furono gli ultimi di razza, etnia, religione diversa cui venne impedito di frequentare la scuola pubblica? Gli ebrei ci sembra... e quello che accadde dopo non fu granchè carino. Proprio no. Preoccupiamoci.
Ecco quello che accadde, tra le altre innumerevoli cose, in nome della difesa della razza:
31 Marzo 1933: Agli ebrei fu negata l’assistenza medica statale
1 Aprile 1933: Gli insegnanti ebrei furono esclusi dall’insegnamento nelle scuole municipali (statali)
Aprile 1933: Ai bambini non ariani fu vietato giocare con i bambini ariani
7 Aprile 1933: Gli impiegati ebrei furono esclusi dagli uffici pubblici
22 Agosto 1933 Agli ebrei fu vietato l’accesso in spiaggia
Aprile 1935 Gli ebrei potevano sedere solo su panchine contrassegnate da un segno giallo
10 Luglio 1935 Ai giovani ebrei fu vietato passeggiare in gruppi composti da più di 20 persone
15 Settembre 1935 I matrimoni e rapporti extra-matrimoniali tra tedeschi ed ebrei furono dichiarati punibili con la carcerazione.
22 Marzo 1938 Solo i tedeschi ariani avevano il diritto di avere delle proprietà
26 Aprile 1938 Gli ebrei furono obbligati a dichiarare la loro situazione finanziaria così che i loro averi potessero essere acquisiti dal governo
12 Novembre 1938 Agli ebrei fu vietato l’esercizio del commercio e dell’attività imprenditoriale
15 Novembre 1938 Ai bambini ebrei fu vietata la frequenza nella scuola pubblica
24 Marzo 1939 Gli ebrei furono obbligati a rimuovere le rovine delle sinagoghe che erano state distrutte e fu vietato loro di ricostruirle
30 Aprile 1939 Gli ebrei potevano essere allontanati dalla loro abitazione senza motivo e senza preavviso
24 Marzo 1941 I bambini ebrei avevano accesso all’uso dei trasporti pubblici solo se la loro scuola distava più di 5 chilometri da casa
1 Settembre 1941 Tutti gli ebrei al di sopra dei 6 anni furono obbligati a portare la stella gialla con la scritta ‘ebreo’.
20 Giugno 1942 Ai bambini ebrei fu vietata la frequenza scolastica
1 Comments on "Bambini immigrati a scuola? Solo un 30%. I sovrannumerari vanno al macero..." wonderely said:
22/03/2009, at 04:09
1.e poi sappiamo bene com'è andata a finire con i campi di sterminio...
sapete, io ne ho visto uno, esattamente quello di Dachau; l'ho visto a marzo di due anni fa, in una giornata di sole, ma vi assicuro che è stato terribile entrarci, vedere le fotografie, le camere a gas, i forni crematori, le "camere da letto" (se così possono essere definite) dove stavano tutti ammassati a dormire.
mio nonno è anche stato deportato in un campo di concentramento, ci è stato per sei mesi, poi la guerra è finita ed è tornato a casa, vivo per fortuna...
si spera sempre che si possa imparare dagli errori del passato per non ricommetterli più in futuro...la verità è che qui nessuno impara niente e la storia si sta ripetendo...
per tutte le altre persone leggere il paragone con le leggi razziali contro gli ebrei sembra un'esagerazione, in realtà è proprio questo che sta succedendo, niente di più, niente di meno...
è agghiacciante e la cosa più raccapricciante è che stanno facendo sembrare questa vergogna una cosa giusta e normale...
2.http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2009/03/21/bambini-in-sovrannumero
Penserete che per i bambini figli di immigrati con permesso di soggiorno le cosa vadano meglio. Invece no. La gelmini e brunetta hanno avuto una gran brutta idea.
Gel-mini, si. Quella della riforma scolastica. Quella che se ne frega degli studenti, della ricerca, del diritto allo studio, al futuro, ad una prospettiva migliore per chi investe nell'istruzione e che tiene forbici in mano per tagliare tutto.
Bru-netta, si. Quello dello sciopero virtuale, dei disoccupati trentenni bamboccioni, degli impiegati fannulloni, degli studenti guerriglieri.
Questi due geniali rappresentanti del governo hanno partorito la altrettanto geniale idea di creare un ulteriore discriminazione tra le discriminazioni.
Non bastava il fatto che in alcuni comuni governati dalla lega vorrebbero impedire che il bonus bebe' possa essere destinato anche ai figli degli immigrati. Non bastava che già gli immigrati fossero regolati da flussi e da preferenze sulla base delle necessità (le badanti prima che gli operai) di figure professionali delle quali ha bisogno la classe medio-ricca in italia. Non bastava che a questi immigrati "regolari" la lega iniziasse a fare storie perchè secondo loro bisognerebbe fare due graduatorie per i posti dei bimbi all'asilo, alla scuola materna e per le case popolari. Non bastava che si parlasse di classi separate, classi ponte, di divieto di matrimoni misti (cosa inserita nel decreto sicurezza e già ordinata da alcuni sindaci), di divieto di accesso ad alcune professioni, alle attività imprenditoriali, al possesso di proprietà. Non bastava questo e molte altre cose ancora. Bisognava toccare il fondo.
Si tratta di bambini, soprattutto loro (la frequenza scolastica per gli immigrati diminuisce dopo il periodo obbligatorio). I due ministri vogliono limitare la frequenza scolastica di immigrati al 30%. Stabilire la percentuale per loro è garanzia di mantenimento dell'egemonia culturale italica e soprattutto religiosa e cattolica. Che persino tra gli studenti italiani vi siano differenze di tipo etnico, culturale e religioso non importa poichè dovranno fare esattamente come loro ordinano. Sono caserme, mica scuole. E non dovrà mai avvenire un sorpasso della razza inferiore su quella superiore.
Dopo una proposta di questo genere ci aspettiamo anche che specifichino le caratteristiche di questi bambini: che altezza dovranno avere? Che colore degli occhi? Che capelli? Come avverrà la selezione sulla base della razza? Chi avrà diritto e accesso all'istruzione in un paese nel quale l'istruzione è obbligatoria per tutti fino ai 16 anni? Per tutti ma non per gli immigrati? Come accerteremo che sul territorio italiano restera' solo un 30% di bambini da far accedere a scuola? E gli altri? Li abbattiamo? Li mandiamo al m
cero? Aborti preventivi? Niente gravidanze oltre il 30%? Deportiamo le donne in fretta e furia per farle partorire appena oltrepassato il confine con la spagna o la francia?
Follia per follia: non si potrebbe fare una roba a peso invece che a numero di soggetti? A chili invece che a percentuali? Andrebbe già meglio no? Cioè: facciamo che nella scuola pubblica possano accedere fino a - ci teniamo bassi - 200 kg di carne immigrata. Li teniamo magri, così mangiano meno e ci costano meno, possiamo anche abbassare gli stipendi ai loro genitori, così vedete che ricaviamo anche qualche etto e ci resta spazio per qualche avanzo di immigrato comunitario. Che ne dite? Non vi sembra geniale?
Ci dica gelmini e ci dica brunetta, perchè siamo curiosissime, insomma: dove li mettiamo quelli in sovrannumero? Ma la scuola non doveva essere un diritto per tutti? Gli immigrati regolari pagano le tasse, ci sembra, quindi pagano anche il diritto alla scuola pubblica. Allora gli faremo pagare meno tasse?
Come si risolve questa questione? Davvero non comprendiamo. Oppure si. Toh. guarda. Non si tratterà mica di un'altra legge razziale? Chi furono gli ultimi di razza, etnia, religione diversa cui venne impedito di frequentare la scuola pubblica? Gli ebrei ci sembra... e quello che accadde dopo non fu granchè carino. Proprio no. Preoccupiamoci.
Ecco quello che accadde, tra le altre innumerevoli cose, in nome della difesa della razza:
31 Marzo 1933: Agli ebrei fu negata l’assistenza medica statale
1 Aprile 1933: Gli insegnanti ebrei furono esclusi dall’insegnamento nelle scuole municipali (statali)
Aprile 1933: Ai bambini non ariani fu vietato giocare con i bambini ariani
7 Aprile 1933: Gli impiegati ebrei furono esclusi dagli uffici pubblici
22 Agosto 1933 Agli ebrei fu vietato l’accesso in spiaggia
Aprile 1935 Gli ebrei potevano sedere solo su panchine contrassegnate da un segno giallo
10 Luglio 1935 Ai giovani ebrei fu vietato passeggiare in gruppi composti da più di 20 persone
15 Settembre 1935 I matrimoni e rapporti extra-matrimoniali tra tedeschi ed ebrei furono dichiarati punibili con la carcerazione.
22 Marzo 1938 Solo i tedeschi ariani avevano il diritto di avere delle proprietà
26 Aprile 1938 Gli ebrei furono obbligati a dichiarare la loro situazione finanziaria così che i loro averi potessero essere acquisiti dal governo
12 Novembre 1938 Agli ebrei fu vietato l’esercizio del commercio e dell’attività imprenditoriale
15 Novembre 1938 Ai bambini ebrei fu vietata la frequenza nella scuola pubblica
24 Marzo 1939 Gli ebrei furono obbligati a rimuovere le rovine delle sinagoghe che erano state distrutte e fu vietato loro di ricostruirle
30 Aprile 1939 Gli ebrei potevano essere allontanati dalla loro abitazione senza motivo e senza preavviso
24 Marzo 1941 I bambini ebrei avevano accesso all’uso dei trasporti pubblici solo se la loro scuola distava più di 5 chilometri da casa
1 Settembre 1941 Tutti gli ebrei al di sopra dei 6 anni furono obbligati a portare la stella gialla con la scritta ‘ebreo’.
20 Giugno 1942 Ai bambini ebrei fu vietata la frequenza scolastica
1 Comments on "Bambini immigrati a scuola? Solo un 30%. I sovrannumerari vanno al macero..." wonderely said:
22/03/2009, at 04:09
1.e poi sappiamo bene com'è andata a finire con i campi di sterminio...
sapete, io ne ho visto uno, esattamente quello di Dachau; l'ho visto a marzo di due anni fa, in una giornata di sole, ma vi assicuro che è stato terribile entrarci, vedere le fotografie, le camere a gas, i forni crematori, le "camere da letto" (se così possono essere definite) dove stavano tutti ammassati a dormire.
mio nonno è anche stato deportato in un campo di concentramento, ci è stato per sei mesi, poi la guerra è finita ed è tornato a casa, vivo per fortuna...
si spera sempre che si possa imparare dagli errori del passato per non ricommetterli più in futuro...la verità è che qui nessuno impara niente e la storia si sta ripetendo...
per tutte le altre persone leggere il paragone con le leggi razziali contro gli ebrei sembra un'esagerazione, in realtà è proprio questo che sta succedendo, niente di più, niente di meno...
è agghiacciante e la cosa più raccapricciante è che stanno facendo sembrare questa vergogna una cosa giusta e normale...
2.http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2009/03/21/bambini-in-sovrannumero
DA HAARETZ SULLE T-SHIRT
Le magliette che mostrano la disposizione mentale che ha portato ai crimini di Guerra a Gaza - 24/03/09
(481 letture)
di Adam Horowitz – da Mondoweiss
«Ha'aretz» prosegue con la pubblicazione delle testimonianze dei soldati impiegati a Gaza. L'articolo completo si trova qui. È interessante perché mostra senza riserve il fervore messianico che alimentava la politica di punizione collettiva perseguita dal governo israeliano durante l'Operazione Piombo Fuso. Non lo commenterò ulteriormente, andate a leggerlo.
Voglio parlare di un altro articolo, pubblicato proprio oggi da «Ha'aretz». Il pezzo è firmato da Uri Blau ed è intitolato "Se non lasciate vergini non ci saranno attentati". Si incentra sull'abitudine dei soldati israeliani di farsi stampare maglie personalizzate che recano il logo della loro unità insieme a slogan di vario tipo. Di seguito, potete vedere qualche esempio di queste magliette e della grafica che le adorna. Queste immagini sono comparse solo sull'edizione in lingua ebraica del sito di «Ha'aretz»:
- Una T-shirt per cecchini di fanteria reca la frase “Meglio usare Durex” vicino al disegno di un bambino palestinese morto, con accanto sua madre in lacrime ed un orsacchiotto.
- Un'altra maglietta per cecchini della Brigata Givati mostra una donna palestinese incinta con un mirino stampato sul ventre e lo slogan, scritto in inglese, "1 proiettile, 2 morti."
- Dopo l'Operazione Piombo Fuso, i soldati dello stesso battaglione hanno incominciato ad indossare una maglia che mostra il primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, che viene penetrato per via anale da un avvoltoio.
- Una T-shirt dedicata ai soldati che hanno completato il corso di cecchino: si vede un bimbo palestinese che cresce fino a diventare un teenager aggressivo e poi un adulto armato. Lo slogan: "Non importa come comincia, noi lo concluderemo.”
- Ci sono anche magliette dal contenuto spodoratamente sessuale. Il battaglione Lavi, ad esempio, ha diffuso una T-shirt che mostra un soldato con accanto una ragazza contusa e la frase: "Scommetto che ti hanno stuprata!"
- Alcune delle immagini sottolineano azioni che l'esercito ha ufficialmente negato, come la pratica di “confermare i morti” (sparare in testa ai cadaveri, per assicurarsi della loro effettiva dipartita), o quella di danneggiare i luoghi di culto, o di uccidere donne e bambini.
La maglietta con lo slogan "Fai sì che ogni madre araba sappia che il futuro di suo figlio è nelle mie mani!" è stata recentemente bandita. Comunque, un soldato della Brigata Givati ha dichiarato che, negli ultimi mesi dell'anno scorso, il suo plotone ha fatto stampare dozzine di magliette, felpe e pantaloni con questa dicitura.
"Vi era disegnato un soldato come fosse l'Angelo della Morte, con accanto una città araba ed un'arma da fuoco." dice un soldato "Il messaggio era molto forte. La cosa più divertente è che quando uno dei nostri è andato a ritirare le magliette, l'uomo che le aveva stampate era un arabo. Il soldato si è sentito in colpa ed ha chiesto ad una ragazzina al bancone di portargliele."
Nel 2006, i soldati che avevano partecipato al corso "Carmon Team" per cecchini d'elite hanno stampato una T-shirt che mostrava il disegno di un arabo armato di coltello e la frase "Dovrai correre molto, molto, molto veloce prima che sia finita”. Sotto, il disegno di una donna araba che piange su una lapide e lo slogan: "E dopo piangerai, piangerai." [Queste frasi sono prese dal testo di una canzone pop.]
Un'altra maglia per cecchini mostra un ennesimo arabo nel mirino e l'annuncio: "Lo facciamo con le migliori intenzioni."
Una T-shirt stampata dopo l'Operazione Piombo Fuso per il Battaglione 890 dei paracadutisti mostra un soldato con le fattezze di King Kong in una città sotto attacco. Il messaggio non lascia spazio ad ambiguità: "Se credi che si possa aggiustare, allora convinciti che si può distruggere!"
Queste magliette, prima di essere stampate, devono essere approvate dai comandanti dell'esercito. Sono una tradizione militare, anche se la loro natura esplicita è per certi versi nuova. Orna Sasson-Levy, sociologo dell'Università di Bar-Ilan, afferma che le T-shirt “fanno parte di una radicalizzazione del processo che l'intera nazione sta attraversando: i soldati sono solo l'avanguardia”. L'attivista israeliano Sergeiy Sandler, impegnato da anni in campagne contro il militarismo insieme all'associazione New Profile, ci ha mandato questo articolo via mail, spiegandoci che le magliette sono “una duratura tradizione delle unità militari israeliane; si possono trovare ovunque, sulle bancarelle, anche se generalmente hanno slogan meno oltraggiosi. Un immagine vale mille parole, non trovi?”
Non credo che questo tipo di T-shirt siano un'esclusiva di Israele. Scommetto che ne sono state create anche per i soldati statunitensi in Iraq. Ma le maglie indicano un ambiente in cui è permesso, se non incoraggiato, il compiere crimini di guerra. Riflettono una mentalità in cui la vita palestinese è vista con disdegno e spesso non è neanche riconosciuta come tale. Uno dei soldati lo ha spiegato chiaramente, durante la testimonianza in cui ha descritto l'omicidio di una madre e dei suoi due bambini: "...l'atmosfera generale, per quello che ho capito dalla gran parte dei colleghi con cui ho parlato... non so come descriverla... diciamo che le vite dei palestinesi hanno molta, molta meno importanza delle vite dei nostri soldati. Per quello che li riguarda, giustificano in questo modo ogni loro azione."
Articolo originale: http://www.philipweiss.org/mondoweiss/2009/03/racist-and-sexist-military-shirts-show-the-fruits-of-israeli-militarism.html
Traduzione a cura di Massimo Spiga per Megachip
(481 letture)
di Adam Horowitz – da Mondoweiss
«Ha'aretz» prosegue con la pubblicazione delle testimonianze dei soldati impiegati a Gaza. L'articolo completo si trova qui. È interessante perché mostra senza riserve il fervore messianico che alimentava la politica di punizione collettiva perseguita dal governo israeliano durante l'Operazione Piombo Fuso. Non lo commenterò ulteriormente, andate a leggerlo.
Voglio parlare di un altro articolo, pubblicato proprio oggi da «Ha'aretz». Il pezzo è firmato da Uri Blau ed è intitolato "Se non lasciate vergini non ci saranno attentati". Si incentra sull'abitudine dei soldati israeliani di farsi stampare maglie personalizzate che recano il logo della loro unità insieme a slogan di vario tipo. Di seguito, potete vedere qualche esempio di queste magliette e della grafica che le adorna. Queste immagini sono comparse solo sull'edizione in lingua ebraica del sito di «Ha'aretz»:
- Una T-shirt per cecchini di fanteria reca la frase “Meglio usare Durex” vicino al disegno di un bambino palestinese morto, con accanto sua madre in lacrime ed un orsacchiotto.
- Un'altra maglietta per cecchini della Brigata Givati mostra una donna palestinese incinta con un mirino stampato sul ventre e lo slogan, scritto in inglese, "1 proiettile, 2 morti."
- Dopo l'Operazione Piombo Fuso, i soldati dello stesso battaglione hanno incominciato ad indossare una maglia che mostra il primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, che viene penetrato per via anale da un avvoltoio.
- Una T-shirt dedicata ai soldati che hanno completato il corso di cecchino: si vede un bimbo palestinese che cresce fino a diventare un teenager aggressivo e poi un adulto armato. Lo slogan: "Non importa come comincia, noi lo concluderemo.”
- Ci sono anche magliette dal contenuto spodoratamente sessuale. Il battaglione Lavi, ad esempio, ha diffuso una T-shirt che mostra un soldato con accanto una ragazza contusa e la frase: "Scommetto che ti hanno stuprata!"
- Alcune delle immagini sottolineano azioni che l'esercito ha ufficialmente negato, come la pratica di “confermare i morti” (sparare in testa ai cadaveri, per assicurarsi della loro effettiva dipartita), o quella di danneggiare i luoghi di culto, o di uccidere donne e bambini.
La maglietta con lo slogan "Fai sì che ogni madre araba sappia che il futuro di suo figlio è nelle mie mani!" è stata recentemente bandita. Comunque, un soldato della Brigata Givati ha dichiarato che, negli ultimi mesi dell'anno scorso, il suo plotone ha fatto stampare dozzine di magliette, felpe e pantaloni con questa dicitura.
"Vi era disegnato un soldato come fosse l'Angelo della Morte, con accanto una città araba ed un'arma da fuoco." dice un soldato "Il messaggio era molto forte. La cosa più divertente è che quando uno dei nostri è andato a ritirare le magliette, l'uomo che le aveva stampate era un arabo. Il soldato si è sentito in colpa ed ha chiesto ad una ragazzina al bancone di portargliele."
Nel 2006, i soldati che avevano partecipato al corso "Carmon Team" per cecchini d'elite hanno stampato una T-shirt che mostrava il disegno di un arabo armato di coltello e la frase "Dovrai correre molto, molto, molto veloce prima che sia finita”. Sotto, il disegno di una donna araba che piange su una lapide e lo slogan: "E dopo piangerai, piangerai." [Queste frasi sono prese dal testo di una canzone pop.]
Un'altra maglia per cecchini mostra un ennesimo arabo nel mirino e l'annuncio: "Lo facciamo con le migliori intenzioni."
Una T-shirt stampata dopo l'Operazione Piombo Fuso per il Battaglione 890 dei paracadutisti mostra un soldato con le fattezze di King Kong in una città sotto attacco. Il messaggio non lascia spazio ad ambiguità: "Se credi che si possa aggiustare, allora convinciti che si può distruggere!"
Queste magliette, prima di essere stampate, devono essere approvate dai comandanti dell'esercito. Sono una tradizione militare, anche se la loro natura esplicita è per certi versi nuova. Orna Sasson-Levy, sociologo dell'Università di Bar-Ilan, afferma che le T-shirt “fanno parte di una radicalizzazione del processo che l'intera nazione sta attraversando: i soldati sono solo l'avanguardia”. L'attivista israeliano Sergeiy Sandler, impegnato da anni in campagne contro il militarismo insieme all'associazione New Profile, ci ha mandato questo articolo via mail, spiegandoci che le magliette sono “una duratura tradizione delle unità militari israeliane; si possono trovare ovunque, sulle bancarelle, anche se generalmente hanno slogan meno oltraggiosi. Un immagine vale mille parole, non trovi?”
Non credo che questo tipo di T-shirt siano un'esclusiva di Israele. Scommetto che ne sono state create anche per i soldati statunitensi in Iraq. Ma le maglie indicano un ambiente in cui è permesso, se non incoraggiato, il compiere crimini di guerra. Riflettono una mentalità in cui la vita palestinese è vista con disdegno e spesso non è neanche riconosciuta come tale. Uno dei soldati lo ha spiegato chiaramente, durante la testimonianza in cui ha descritto l'omicidio di una madre e dei suoi due bambini: "...l'atmosfera generale, per quello che ho capito dalla gran parte dei colleghi con cui ho parlato... non so come descriverla... diciamo che le vite dei palestinesi hanno molta, molta meno importanza delle vite dei nostri soldati. Per quello che li riguarda, giustificano in questo modo ogni loro azione."
Articolo originale: http://www.philipweiss.org/mondoweiss/2009/03/racist-and-sexist-military-shirts-show-the-fruits-of-israeli-militarism.html
Traduzione a cura di Massimo Spiga per Megachip
martedì 24 marzo 2009
ISRAELE ARRESTATO GIORNALISTA E ALCUNI ATTIVISTI
Israele, arrestato giornalista e alcuni attivisti
L'esercito impedisce una conferenza stampa su pacifista ferito in una manifestazione
L'esercito israeliano ha effettuato 11 arresti tra i partecipanti alla conferenza stampa tenuta dai genitori di Tristan Anderson.
L'agenzia di stampa Maan riporta la notizia degli arresti effettuati nel pomeriggio di lunedì. Anderson è stato ferito il 13 marzo da un lacrimogeno sparato dall'esercito israeliano, che gli ha aperto una profonda ferita sul viso, mentre si trovava ad una manifestazione nel villaggio di Ni'lin. Trasportato in un ospedale di Tel Aviv ha subìto vari interventi chirurgici, ma non ha ancora ripreso completamente conoscenza. I genitori dell'attivista americano sono arrivati in Israele poco dopo l'incidente e avevano organizzato per oggi una conferenza stampa. L'esercito israeliano ha chiesto che l'evento fosse cancellato e ha impedito ad alcuni giornalisti di raggiungere il luogo dove si sarebbe dovuta tenere la conferanza stampa. Una dozzina di presenti si sono rifiutati di lasciare la zona, i soldati hanno arrestato 11 persone tra cui alcuni pacifisti e un giornalista del network PalMedia.
Categoria: Diritti
Luogo: Israele - Palestina
L'esercito impedisce una conferenza stampa su pacifista ferito in una manifestazione
L'esercito israeliano ha effettuato 11 arresti tra i partecipanti alla conferenza stampa tenuta dai genitori di Tristan Anderson.
L'agenzia di stampa Maan riporta la notizia degli arresti effettuati nel pomeriggio di lunedì. Anderson è stato ferito il 13 marzo da un lacrimogeno sparato dall'esercito israeliano, che gli ha aperto una profonda ferita sul viso, mentre si trovava ad una manifestazione nel villaggio di Ni'lin. Trasportato in un ospedale di Tel Aviv ha subìto vari interventi chirurgici, ma non ha ancora ripreso completamente conoscenza. I genitori dell'attivista americano sono arrivati in Israele poco dopo l'incidente e avevano organizzato per oggi una conferenza stampa. L'esercito israeliano ha chiesto che l'evento fosse cancellato e ha impedito ad alcuni giornalisti di raggiungere il luogo dove si sarebbe dovuta tenere la conferanza stampa. Una dozzina di presenti si sono rifiutati di lasciare la zona, i soldati hanno arrestato 11 persone tra cui alcuni pacifisti e un giornalista del network PalMedia.
Categoria: Diritti
Luogo: Israele - Palestina
domenica 22 marzo 2009
DOPO LA STRAGE ISRAELE CORRE AI RIPARI
Restiamo umani, Israele corre ai ripari
Chiunque digiti in questi giorni su Google la parola “Israele” ha ottime probabilità di ricevere dal motore di ricerca una lista di documenti e immagini su “Piombo fuso”, l’ultima offensiva contro la Striscia di Gaza che ha causato la morte di 1.342 palestinesi. Se ne sono accorti anche gli strateghi della comunicazione di Tel Aviv, che hanno deciso di mettere in atto al più presto contromisure, perché nell’era della comunicazione globale ogni guerra si combatte non solo sul campo di battaglia ma anche negli snodi del web, dagli schermi delle tv e sulle colonne dei giornali. Il ministero degli esteri dello Stato ebraico, in collaborazione col consolato generale di New York, sta mettendo in piedi una campagna di pubbliche relazioni per arginare la valanga d’immagini di bambini palestinesi uccisi e mutilati dai razzi dell’aviazione e delle immense distruzioni subite dalla Striscia. Secondo quanto riferito nei giorni scorsi dal quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, sette esperti di comunicazione e nuovi media verranno spediti dagli States a Tel Aviv. La loro missione sarà quella di riempire i siti più popolari di internet - Wikipedia, Facebook e Flickr tra gli altri – di fotografie, video e riferimenti ipertestuali alle meraviglie paesaggistiche e archeologiche d’Israele. Il ministero degli esteri manterrà i diritti sugli scatti, che saranno disponibili gratuitamente per la pubblicazione. «Abbiamo protestato con Google perché ha permesso che fotografie dei bombardamenti di gaza fossero inclusi nei risultati di ricerca della parola chiave “Israele”, ma ci hanno risposto chiaramente che gli utenti possono immettere nella rete qualsiasi immagine e che su questa non c’è alcun controllo» ha dichiarato David Saranga, consulente per i media e le pubbliche relazioni del consolato di New York, da cui è partita la missione.
Chiunque digiti in questi giorni su Google la parola “Israele” ha ottime probabilità di ricevere dal motore di ricerca una lista di documenti e immagini su “Piombo fuso”, l’ultima offensiva contro la Striscia di Gaza che ha causato la morte di 1.342 palestinesi. Se ne sono accorti anche gli strateghi della comunicazione di Tel Aviv, che hanno deciso di mettere in atto al più presto contromisure, perché nell’era della comunicazione globale ogni guerra si combatte non solo sul campo di battaglia ma anche negli snodi del web, dagli schermi delle tv e sulle colonne dei giornali. Il ministero degli esteri dello Stato ebraico, in collaborazione col consolato generale di New York, sta mettendo in piedi una campagna di pubbliche relazioni per arginare la valanga d’immagini di bambini palestinesi uccisi e mutilati dai razzi dell’aviazione e delle immense distruzioni subite dalla Striscia. Secondo quanto riferito nei giorni scorsi dal quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, sette esperti di comunicazione e nuovi media verranno spediti dagli States a Tel Aviv. La loro missione sarà quella di riempire i siti più popolari di internet - Wikipedia, Facebook e Flickr tra gli altri – di fotografie, video e riferimenti ipertestuali alle meraviglie paesaggistiche e archeologiche d’Israele. Il ministero degli esteri manterrà i diritti sugli scatti, che saranno disponibili gratuitamente per la pubblicazione. «Abbiamo protestato con Google perché ha permesso che fotografie dei bombardamenti di gaza fossero inclusi nei risultati di ricerca della parola chiave “Israele”, ma ci hanno risposto chiaramente che gli utenti possono immettere nella rete qualsiasi immagine e che su questa non c’è alcun controllo» ha dichiarato David Saranga, consulente per i media e le pubbliche relazioni del consolato di New York, da cui è partita la missione.
NOTIZIE
In una casa di Gaza trovata la nota di un comandante che ordina di sparare anche ai soccorritori. (Amira Hass)
In Israele decuplicati in un anno gli attacchi razzisti di ebrei contro arabi (Ynetnews)
Incendiato il centro musicale Al Kamandjati di Jenin. Ho visto le foto, violini e pianoforti bruciati,i locali distrutti. Si alternavano in me nausea e sgomento, indignazione e profondo senso di pena...Israele ha paura anche della musica? Certo l'incendio non è un incidente casuale. Qualche anno fa Ramzi, il fondatore, fu obbligato a suonare il violino che portava con se a un check-point. Questo aveva richiamato in Israele ,e non solo, alla mente altre cupe immagini del passato.
Comunicato stampa di Vittorio Agnoletto sul voto odierno a Bruxelles
> sullo spazio aereo comune UE-Israele
>
> "E' inaccettabile che l'Europa
> approvi proprio ora nuovi accordi con Israele"
>
> " Come puo' l'UE "premiare" un Paese come Israele che, nella recente
> guerra contro la popolazione di Gaza, ha calpestato ogni convenzione
> internazionale sui diritti umani e si e' reso responsabile di crimini di
> guerra e della morte di centinaia di civili,di donne e bambini?"
>
> Con queste parole Vittorio Agnoletto commenta l'approvazione da parte del
> Parlamento Europeo della risoluzione presentata dal Luca Romagnoli,
> parlamentare dell' estrema destra,sullo sviluppo di uno spazio aereo
> comune tra UE e Israele.
>
> "Il voto odierno rappresenta un episodio molto grave che lancia un
> messaggio profondamente sbagliato.
>
> E' infatti inaccettabile che l'europarlamento abbia praticamente deciso
> di rafforzare ulteriormente il trattato di associazione tra UE e
> Israele ampliandolo alla cooperazione nel traffico aereo e istituendo
> tra l'UE e Tel Aviv uno spazio aereo comune; e' incredibile che
> questo avvenga proprio quando le associazioni dei diritti umani di
> tutto il mondo chiedono all'Europa di sospendere il trattato di
> associazione con Israele fino a quando questo Paese non rispettera' i
> diritti umani dei palestinesi.
>
> L'Europa con questo voto si e' assunta una grave reponsabilita': infatti
> e' proprio la garanzia dell'impunita' sempre e comunque,che spinge Israele
> a commettere atrocita' e ad ignorare tutte le risoluzioni dell'ONU."
>
> Vittorio Agnoletto
> parlamentare europeo PRC/Sinistra Europea gruppo GUE
>
In Israele decuplicati in un anno gli attacchi razzisti di ebrei contro arabi (Ynetnews)
Incendiato il centro musicale Al Kamandjati di Jenin. Ho visto le foto, violini e pianoforti bruciati,i locali distrutti. Si alternavano in me nausea e sgomento, indignazione e profondo senso di pena...Israele ha paura anche della musica? Certo l'incendio non è un incidente casuale. Qualche anno fa Ramzi, il fondatore, fu obbligato a suonare il violino che portava con se a un check-point. Questo aveva richiamato in Israele ,e non solo, alla mente altre cupe immagini del passato.
Comunicato stampa di Vittorio Agnoletto sul voto odierno a Bruxelles
> sullo spazio aereo comune UE-Israele
>
> "E' inaccettabile che l'Europa
> approvi proprio ora nuovi accordi con Israele"
>
> " Come puo' l'UE "premiare" un Paese come Israele che, nella recente
> guerra contro la popolazione di Gaza, ha calpestato ogni convenzione
> internazionale sui diritti umani e si e' reso responsabile di crimini di
> guerra e della morte di centinaia di civili,di donne e bambini?"
>
> Con queste parole Vittorio Agnoletto commenta l'approvazione da parte del
> Parlamento Europeo della risoluzione presentata dal Luca Romagnoli,
> parlamentare dell' estrema destra,sullo sviluppo di uno spazio aereo
> comune tra UE e Israele.
>
> "Il voto odierno rappresenta un episodio molto grave che lancia un
> messaggio profondamente sbagliato.
>
> E' infatti inaccettabile che l'europarlamento abbia praticamente deciso
> di rafforzare ulteriormente il trattato di associazione tra UE e
> Israele ampliandolo alla cooperazione nel traffico aereo e istituendo
> tra l'UE e Tel Aviv uno spazio aereo comune; e' incredibile che
> questo avvenga proprio quando le associazioni dei diritti umani di
> tutto il mondo chiedono all'Europa di sospendere il trattato di
> associazione con Israele fino a quando questo Paese non rispettera' i
> diritti umani dei palestinesi.
>
> L'Europa con questo voto si e' assunta una grave reponsabilita': infatti
> e' proprio la garanzia dell'impunita' sempre e comunque,che spinge Israele
> a commettere atrocita' e ad ignorare tutte le risoluzioni dell'ONU."
>
> Vittorio Agnoletto
> parlamentare europeo PRC/Sinistra Europea gruppo GUE
>
giovedì 19 marzo 2009
A POCHI GIORNI DALL'ANNIVERSARIO DELL'ASSASSINIO DI RACHEL CORRIE UN'ALTRA VITTIMA DI ISRAELE TRA I PACIFISTI INTERNAZIONALI
Venerdì scorso un attivista americano, Tristan Anderson, è stato colpito
alla testa da un candelotto lacrimogeno, mentre partecipava ad una
manifestazione non violenta contro la costruzione del Muro e l'esproprio
di terre nel villaggio di Ni'lin, in Cisgiordania.
Il candelotto, sparato da un militare israeliano ad altezza d'uomo,
nonostante le leggi internazionali lo vietino, ha frantumato il cranio
di Anderson che da allora è in coma.
Se ci riuscite guardate il video. L'operazione di recupero del ferito
avviene in una nuvola di gas lacrimogeno. In seguito l'ambulanza è
rimasta bloccata per più di mezzora ad un checkpoint. Questo lo ha
raccontato la compagna di Anderson, non ci sono immagini.
E' una triste casualità che questo sia avvenuto pochi giorni prima del
sesto anniversario dell'assassinio di Rachel Corrie. I genitori Corrie
hanno mandato una lettera sul ferimento di Anderson. La potete leggere
tra altre cose, video, notizie ecc nel link qui sotto.
http://palsolidarity.org/2009/03/5324
Anche se per tutti noi la vita di una americano vale naturalmente quanto
quella di chiunque altro, trovo inquietante che anche per i nostri media
ormai, se questo americano è un attivista, valga quanto quella di un
palestinese. Cioè niente.
A Ni'lin sono stati uccisi, nel corso di manifestazioni non-violente:
Ahmed Mousa, 10 anni, colpito alla testa da un proiettile il 29 Luglio
2008.
Yousef Amira, 17 anni, colpito da un proiettile rivestito di plastica il
30 Luglio 2008.
Arafat Rateb Khawaje, 22 anni e Mohammed Khawaje, 20 anni, entrambi
colpiti da proiettili il 28 Dicembre 2008.
Naturalmente nè della loro morte nè di quella di altre decine di
palestinesi uccisi nel corso di manifestazioni nonviolente contro la
costruzione del Muro e l'espoprio delle terre nei vari villaggi, dal
2003 ad oggi, abbiamo mai letto una riga sui giornali mainstream o
sentito una parola in tv.
I genitori di Tristan chiedono di pregare per il figlio. Io non credo e
dunque non prego, ma vorrei che tante persone parlassero di lui in
questi giorni, lo nominassero. Fino a che non uscirà dall'ospedale sano
e salvo.
Un abbraccio, ricke.
alla testa da un candelotto lacrimogeno, mentre partecipava ad una
manifestazione non violenta contro la costruzione del Muro e l'esproprio
di terre nel villaggio di Ni'lin, in Cisgiordania.
Il candelotto, sparato da un militare israeliano ad altezza d'uomo,
nonostante le leggi internazionali lo vietino, ha frantumato il cranio
di Anderson che da allora è in coma.
Se ci riuscite guardate il video. L'operazione di recupero del ferito
avviene in una nuvola di gas lacrimogeno. In seguito l'ambulanza è
rimasta bloccata per più di mezzora ad un checkpoint. Questo lo ha
raccontato la compagna di Anderson, non ci sono immagini.
E' una triste casualità che questo sia avvenuto pochi giorni prima del
sesto anniversario dell'assassinio di Rachel Corrie. I genitori Corrie
hanno mandato una lettera sul ferimento di Anderson. La potete leggere
tra altre cose, video, notizie ecc nel link qui sotto.
http://palsolidarity.org/2009/03/5324
Anche se per tutti noi la vita di una americano vale naturalmente quanto
quella di chiunque altro, trovo inquietante che anche per i nostri media
ormai, se questo americano è un attivista, valga quanto quella di un
palestinese. Cioè niente.
A Ni'lin sono stati uccisi, nel corso di manifestazioni non-violente:
Ahmed Mousa, 10 anni, colpito alla testa da un proiettile il 29 Luglio
2008.
Yousef Amira, 17 anni, colpito da un proiettile rivestito di plastica il
30 Luglio 2008.
Arafat Rateb Khawaje, 22 anni e Mohammed Khawaje, 20 anni, entrambi
colpiti da proiettili il 28 Dicembre 2008.
Naturalmente nè della loro morte nè di quella di altre decine di
palestinesi uccisi nel corso di manifestazioni nonviolente contro la
costruzione del Muro e l'espoprio delle terre nei vari villaggi, dal
2003 ad oggi, abbiamo mai letto una riga sui giornali mainstream o
sentito una parola in tv.
I genitori di Tristan chiedono di pregare per il figlio. Io non credo e
dunque non prego, ma vorrei che tante persone parlassero di lui in
questi giorni, lo nominassero. Fino a che non uscirà dall'ospedale sano
e salvo.
Un abbraccio, ricke.
mercoledì 18 marzo 2009
CONNIVENZE
C'è¨ il ministro della difesa La Russa che posa con un "camerata" di una famiglia mafiosa siciliana, i Crisafulli, narcotraffico e spaccio di droga a Quarto Oggiaro, periferia nord di Milano. C'è¨ il suo collega di partito e di governo, il ministro per le politiche europee Ronchi, con uno dei fondatori del circolo nazifascista Cuore nero: quelli del brindisi all'Olocausto. Lui si chiama Roberto Jonghi Lavarini e presiede il comitato Destra per Milano (confluito nel Partito della libertà ). Sostiene le "destre germaniche", il partito boero sudafricano pro-apartheid - il simbolo è una svastica a tre braccia sormontata da un'aquila - e rivendica con orgoglio l'appartenenza alla fondazione Augusto Pinochet. In un'altra foto compare a fianco del sindaco di Milano, Letizia Moratti. Poi ci sono gli stretti rapporti del sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, con l'ultra-destra violenta e xenofoba del Veneto Fronte Skinhead. Ruoli istituzionali, incarichi, poltrone distribuiti ai leader delle teste rasate venete, già arrestati per aggressioni e istigazione all'odio razziale. Fascisti del terzo millennio Almeno 150 mila giovani italiani sotto i 30 anni vivono nel culto del fascismo o del neofascismo. E non tutti, ma molti, nel mito di Hitler. Un'area geografica che attraversa tutta la penisola: dal Trentino Alto Adige alla Calabria, dalla Lombardia al Lazio, da Milano a Roma passando per Verona e Vicenza, culle della destra estrema o, come amano definirla i militanti, radicale. Cinque partiti ufficiali (Forza Nuova, Fiamma Tricolore, la Destra, Azione Sociale, Fronte Sociale Nazionale) - sei, se si considera anche il robusto retaggio di An ormai sciolta nel Pdl. I primi cinque raccolgono l'1,8 per cento di voti (tra i 450 e i 480 mila consensi). Ma a parte le formazioni politiche, l'onda "nera" - in fermento e in espansione - si allunga attraverso un paio di centinaia di circoli e associazioni, dilaga nelle scuole, trae linfa vitale negli stadi.
lunedì 9 marzo 2009
BARZELLETTA
Une jeune journaliste de CNN avait entendu parler d'un très, très
vieux juif qui se rendait deux fois par jour prier au mur des
lamentations, depuis toujours.
Pensant tenir un sujet, elle se rend sur place et voit un très vieil
homme marchant lentement vers le mur.
Après trois quarts d'heure de prière et alors qu'il s'éloigne
lentement, appuyé sur sa canne, elle s'approche pour l'interviewer.
- "Excusez-moi, Monsieur, je suis Rebecca Smith de CNN.
Quel est votre nom ?"
- "Moshe Rosenberg" répond-t-il.
- "Depuis combien de temps venez-vous prier ici ?"
- "Plus de 60 ans" répond-t-il.
- "60 ans ! C'est incroyable ! Et pour quoi priez-vous ?"
- "Je prie pour la paix entre les Chrétiens, les Juifs et les Musulmans.
Je prie pour la fin de toutes les guerres et de la haine.
Je prie pour que nos enfants grandissent en sécurité et deviennent des
adultes responsables, qui aiment leur prochain."
- "Et que ressentez-vous après 60 ans de prières ?"
- "... J'ai l'impression de parler à un mur............" ! !
vieux juif qui se rendait deux fois par jour prier au mur des
lamentations, depuis toujours.
Pensant tenir un sujet, elle se rend sur place et voit un très vieil
homme marchant lentement vers le mur.
Après trois quarts d'heure de prière et alors qu'il s'éloigne
lentement, appuyé sur sa canne, elle s'approche pour l'interviewer.
- "Excusez-moi, Monsieur, je suis Rebecca Smith de CNN.
Quel est votre nom ?"
- "Moshe Rosenberg" répond-t-il.
- "Depuis combien de temps venez-vous prier ici ?"
- "Plus de 60 ans" répond-t-il.
- "60 ans ! C'est incroyable ! Et pour quoi priez-vous ?"
- "Je prie pour la paix entre les Chrétiens, les Juifs et les Musulmans.
Je prie pour la fin de toutes les guerres et de la haine.
Je prie pour que nos enfants grandissent en sécurité et deviennent des
adultes responsables, qui aiment leur prochain."
- "Et que ressentez-vous après 60 ans de prières ?"
- "... J'ai l'impression de parler à un mur............" ! !
DEMOLIZIONI A GERUSALEMME EST
GERUSALEMME EST, TARGET DELLE POLITICHE COLONIALI E DI PULIZIA ETNICA DI ISRAELE Lâ™UE, il Quartetto e lâ™intera Comunità Internazionale hanno il potere e il dovere di fermarle.
Lo facciano!
Roma, 6 marzo 2009 La Municipalità di Gerusalemme sta pianificando la demolizione di 88 unità residenziali incluse 114 case abitate da circa 1500 residenti palestinesi del Quartiere al-Bustan a Silwan –Gerusalemme Est- per sostituirle con un parco archeologico in un luogo in cui, anche se in modo controverso, si ritiene che 3000 anni fa vi avesse vissuto re David. Inoltre altre 36 famiglie palestinesi, circa 230 persone, hanno ricevuto nuovi ordini di demolizione per le loro case nel quartiere di Abbasieh, sempre a Silwan, e altre 55 famiglie nel Campo profughi di Shu’fat devono evacuare le loro abitazioni, alzando a 179 il numero totale delle case palestinesi che secondo i piani dovranno essere demolite: ancora una volta, colpendo Gerusalemme Est, Israele mostra chiaramente la continuità della sua politica illegale e coloniale e distrugge ogni possibilità per la pace. Se queste demolizioni a Silwan, dove gruppi di coloni sono da tempo impiantati, saranno realizzate, si tratterebbe del più grande progetto di demolizioni sin dall’inizio dell’occupazione israeliana nel 1967, per di più in un’area storica e simbolica di Gerusalemme Est, a meno di 400 metri dalla Moschea di Al-Aqsa e dal Muro del Pianto. Secondo un’organizzazione israeliana per i diritti umani B'Tselem, le Autorità Israeliane hanno demolito circa 350 case a Gerusalemme Est dal 2004. Inoltre, per rapporti recenti (Peace Now) almeno 73.300 unità abitative israeliane saranno costruite in tutta la West Bank, raddoppiando il numero già esistente. Persino un gruppo di venti scrittori e ricercatori Israeliani – tra cui Amos Oz e David Grossman- in una lettera indirizzata al sindaco di Gerusalemme Nir Barkat hanno chiesto con urgenza di revocare le ordinanze di evacuazione di quelle persone dalle loro case perché tali politiche violano “i più elementari diritti umaniâ€ン hanno dichiarato. Demolire quelle case – le più recenti costruite più di 15 anni fa ma la gran parte costruite più di 80 anni fa, unico rifugio per generazioni e generazioni di palestinesi- rappresenterebbe un trasferimento forzato per migliaia di palestinesi, una catastrofe per molte famiglie –bambini, donne e anziani che saranno le persone che soffriranno di più- e anche un grande ostacolo per la ripresa di ogni negoziato di pace. Il comitato dei residenti di Silwan (più di 40,000 palestinesi), in una lettera indirizzata al nuovo Segretario di Stato americano Hillary Clinton hanno chiesto sforzi reali per fermare questi attacchi organizzati contro Silwan e altre aree di Gerusalemme, che sono azioni “contro la moralità di tutte le religioni e i popoliâ€ン: ovvero stanno semplicemente reclamando i propri diritti in nome della giustizia e della legalità . Il segretario di Stato americano Clinton, durante la sua visita in Cisgiordania, incontrando il Presidente Palestinese Mahmoud Abbas e il Primo Ministro (uscente) Salam Fayyad, ha definito le demolizioni israeliane delle case a Gerusalemme Est come “di nessun aiutoâ€ン per il processo di pace: ma la parola “unhelpfulâ€ン non è abbastanza e non cambia i fatti sul terreno. L’UE, il Quartetto e l’intera Comunità Internazionale hanno il potere e il dovere di fermare queste politiche. L’ultima delegazione di Membri del Parlamento Europeo ha potuto essere testimone della situazione durante una missione a Gaza e nella West Bank dal 26 febbraio al primo marzo: dopo la loro visita a Gerusalemme Est e l’incontro con la famiglia Al Kurd – che ancora vive in una tenda- hanno inviato una lettera di protesta a diverse autorità . Info: Luisa Morgantini + 39 348 39 21 465 o Ufficio + 39 06 69 95 02 17 luisa.morgantini@europarl.europa.eu; www.luisamorgantini.net
Lo facciano!
Roma, 6 marzo 2009 La Municipalità di Gerusalemme sta pianificando la demolizione di 88 unità residenziali incluse 114 case abitate da circa 1500 residenti palestinesi del Quartiere al-Bustan a Silwan –Gerusalemme Est- per sostituirle con un parco archeologico in un luogo in cui, anche se in modo controverso, si ritiene che 3000 anni fa vi avesse vissuto re David. Inoltre altre 36 famiglie palestinesi, circa 230 persone, hanno ricevuto nuovi ordini di demolizione per le loro case nel quartiere di Abbasieh, sempre a Silwan, e altre 55 famiglie nel Campo profughi di Shu’fat devono evacuare le loro abitazioni, alzando a 179 il numero totale delle case palestinesi che secondo i piani dovranno essere demolite: ancora una volta, colpendo Gerusalemme Est, Israele mostra chiaramente la continuità della sua politica illegale e coloniale e distrugge ogni possibilità per la pace. Se queste demolizioni a Silwan, dove gruppi di coloni sono da tempo impiantati, saranno realizzate, si tratterebbe del più grande progetto di demolizioni sin dall’inizio dell’occupazione israeliana nel 1967, per di più in un’area storica e simbolica di Gerusalemme Est, a meno di 400 metri dalla Moschea di Al-Aqsa e dal Muro del Pianto. Secondo un’organizzazione israeliana per i diritti umani B'Tselem, le Autorità Israeliane hanno demolito circa 350 case a Gerusalemme Est dal 2004. Inoltre, per rapporti recenti (Peace Now) almeno 73.300 unità abitative israeliane saranno costruite in tutta la West Bank, raddoppiando il numero già esistente. Persino un gruppo di venti scrittori e ricercatori Israeliani – tra cui Amos Oz e David Grossman- in una lettera indirizzata al sindaco di Gerusalemme Nir Barkat hanno chiesto con urgenza di revocare le ordinanze di evacuazione di quelle persone dalle loro case perché tali politiche violano “i più elementari diritti umaniâ€ン hanno dichiarato. Demolire quelle case – le più recenti costruite più di 15 anni fa ma la gran parte costruite più di 80 anni fa, unico rifugio per generazioni e generazioni di palestinesi- rappresenterebbe un trasferimento forzato per migliaia di palestinesi, una catastrofe per molte famiglie –bambini, donne e anziani che saranno le persone che soffriranno di più- e anche un grande ostacolo per la ripresa di ogni negoziato di pace. Il comitato dei residenti di Silwan (più di 40,000 palestinesi), in una lettera indirizzata al nuovo Segretario di Stato americano Hillary Clinton hanno chiesto sforzi reali per fermare questi attacchi organizzati contro Silwan e altre aree di Gerusalemme, che sono azioni “contro la moralità di tutte le religioni e i popoliâ€ン: ovvero stanno semplicemente reclamando i propri diritti in nome della giustizia e della legalità . Il segretario di Stato americano Clinton, durante la sua visita in Cisgiordania, incontrando il Presidente Palestinese Mahmoud Abbas e il Primo Ministro (uscente) Salam Fayyad, ha definito le demolizioni israeliane delle case a Gerusalemme Est come “di nessun aiutoâ€ン per il processo di pace: ma la parola “unhelpfulâ€ン non è abbastanza e non cambia i fatti sul terreno. L’UE, il Quartetto e l’intera Comunità Internazionale hanno il potere e il dovere di fermare queste politiche. L’ultima delegazione di Membri del Parlamento Europeo ha potuto essere testimone della situazione durante una missione a Gaza e nella West Bank dal 26 febbraio al primo marzo: dopo la loro visita a Gerusalemme Est e l’incontro con la famiglia Al Kurd – che ancora vive in una tenda- hanno inviato una lettera di protesta a diverse autorità . Info: Luisa Morgantini + 39 348 39 21 465 o Ufficio + 39 06 69 95 02 17 luisa.morgantini@europarl.europa.eu; www.luisamorgantini.net
sabato 7 marzo 2009
I FRATELLI NEUMAN: TOGLIETE IL NOME DI NOSTRA NONNA DALLO YAD VASHEM
Al Presidente dello Stato di Israele e al Direttore di Yad Vashem (Museo dell’Olocausto)
Togliete il nome di nostra nonna dal muro di Yad Vashem.
20 febbraio 2009
Michael Neumann e Osha Neumann
http://www.counterpunch.org/neumann02202009.html
Seguendo l’esempio di Jean-Moïse Braitberg, chiediamo che il nome di nostra nonna sia rimosso dal muro di Yad Vashem. Si chiamava Gertrud Neumann, e dai vostri registri risulta nata a Kattowicz il 6 giugno 1875 e morta a Theresienstadt.
Braitberg accompagna la sua richiesta con ottime motivazioni e con una significativa testimonianza personale. Le sue parole sono illuminanti, ma concedono a voi – e a quanti stanno con voi – troppa considerazione.
Io sarò breve. Per favore, consideratelo come un segno del mio disgusto e del mio disprezzo per il vostro Stato e tutto ciò che esso rappresenta.
Nostra nonna è stata vittima di quello stesso ideale di predominio etnico nel cui nome Israele da lungo tempo sparge sangue. Sono stato uno dei molti ebrei che hanno abbracciato quell’ideale senza pensarci troppo, malgrado le sofferenze che aveva inflitto al nostro popolo. Ci sono volute migliaia di vite palestinesi perché mi rendessi conto di quanto siamo stati stupidi.
La nostra complicità è stata spregevole. Non credo che il popolo ebraico, nel cui nome avete commesso una tale quantità di crimini, con tale scandaloso compiacimento, potrà mai liberarsi dalla vergogna che voi avete gettato su di noi. La propaganda nazista, nonostante tutte le sue calunnie, non è mai riuscita a screditare e corrompere gli ebrei; vi siete riusciti voi. Non avete il coraggio di assumere la responsabilità dei vostri atti sadici: con ineguagliabile insolenza, vi ponete come portavoce di un’intera razza, come se la nostra stessa esistenza avallasse la vostra condotta. E infangate i nostri nomi non soltanto con le vostre azioni, ma con le menzogne, con gli evasivi pretesti, con la compiaciuta arroganza e la puerile presunzione con cui tessete la nostra storia.
Alla fine, darete ai palestinesi uno straccio di Stato. Non pagherete mai per i vostri crimini e continuerete a pavoneggiarvi, a crogiolarvi nelle vostre illusioni di supremazia morale. Ma da adesso fino ad allora, voi ammazzerete, ammazzerete e ammazzerete, senza ottenere nulla con la vostra brutalità da marmocchi viziati.
In vita, nostra nonna ha sofferto abbastanza; da morta, smettete di renderla parte di questo orrore.
Michael Neumann
Mi unisco a mio fratello, Michael Neumann, nel chiedere che ogni riferimento a nostra nonna sia rimosso da Yad Vashem, il museo in memoria dell’Olocausto. Sono stato a quel museo commemorativo. I suoi edifici, i cortili lastricati e le piazze si estendono imponenti su molti acri di terreno ben curato. Inquadra l’Olocausto come preludio alla creazione dello Stato di Israele. Imbalsama i cimeli dei campi della morte, e li preserva come tesori nazionali. Quel tesoro non appartiene a Israele. È un tesoro solo se serve come monito a non permettere mai a nessuna nazione di rivendicare per il proprio popolo eletto una dispensa dai vincoli della moralità e della decenza.
Israele ha deformato l’Olocausto in una scusa per perpetrare altri olocausti. Ha speso il tesoro della simpatia del mondo verso le vittime dell’Olocausto in uno sforzo infruttuoso per proteggersi da ogni critica quando massacra e tortura i palestinesi e li soffoca sotto una brutale occupazione. Non desidero che la memoria di mia nonna sia inscritta in questo progetto illegittimo.
Sono cresciuto con la convinzione che gli ebrei fossero il gruppo etnico la cui missione storica era trascendere l’etnicità in un fronte unito contro il fascismo. Essere ebrei era essere antifascisti. Da tempo Israele mi ha svegliato dal mio torpore dogmatico riguardo l’immutabile relazione tra ebrei e fascisti. E’ riuscito a creare una fusione tra l’immagine di torturatori e criminali di guerra ebrei e quella di emaciate vittime dei campi di concentramento. Trovo questa fusione oscena e non voglio assolutamente esserne coinvolto. Avete perso il diritto a essere custodi della memoria di mia nonna. Non voglio che Yad Vashem sia il suo memoriale.
Osha Neumann
(Traduzione di Federico Lastaria)
Michael Neumann insegna filosofia alla Trent University (Ontario, Canada). E’ autore di What's Left: Radical Politics and the Radical Psyche (1988, Broadview Press), The Rule of Law: Politicizing Ethics (2002, Ashgate Press), The Case Against Israel (2005, AK Press), What is anti-semitism, www.counterpunch.org/neumann0604.html
Osha Neumann, avvocato a Berkeley, è anche scrittore e scultore. E’ autore di Up Against the Wall MotherF**ker: a Memoir of the 60s with Notes for Next Time.
La lettera di Jean-Moïse Braitberg, in francese, si trova al sito:
http://www.lemonde.fr/opinions/article/2009/01/28/effacez-le-nom-de-mon-grand-pere-a-yad-vashem_1147635_3232.html
Una traduzione in inglese al sito:
http://www.bilin-village.org/english/articles/different-look/Erase-my-grandfather-s-name-at-Yad-Vashem
Togliete il nome di nostra nonna dal muro di Yad Vashem.
20 febbraio 2009
Michael Neumann e Osha Neumann
http://www.counterpunch.org/neumann02202009.html
Seguendo l’esempio di Jean-Moïse Braitberg, chiediamo che il nome di nostra nonna sia rimosso dal muro di Yad Vashem. Si chiamava Gertrud Neumann, e dai vostri registri risulta nata a Kattowicz il 6 giugno 1875 e morta a Theresienstadt.
Braitberg accompagna la sua richiesta con ottime motivazioni e con una significativa testimonianza personale. Le sue parole sono illuminanti, ma concedono a voi – e a quanti stanno con voi – troppa considerazione.
Io sarò breve. Per favore, consideratelo come un segno del mio disgusto e del mio disprezzo per il vostro Stato e tutto ciò che esso rappresenta.
Nostra nonna è stata vittima di quello stesso ideale di predominio etnico nel cui nome Israele da lungo tempo sparge sangue. Sono stato uno dei molti ebrei che hanno abbracciato quell’ideale senza pensarci troppo, malgrado le sofferenze che aveva inflitto al nostro popolo. Ci sono volute migliaia di vite palestinesi perché mi rendessi conto di quanto siamo stati stupidi.
La nostra complicità è stata spregevole. Non credo che il popolo ebraico, nel cui nome avete commesso una tale quantità di crimini, con tale scandaloso compiacimento, potrà mai liberarsi dalla vergogna che voi avete gettato su di noi. La propaganda nazista, nonostante tutte le sue calunnie, non è mai riuscita a screditare e corrompere gli ebrei; vi siete riusciti voi. Non avete il coraggio di assumere la responsabilità dei vostri atti sadici: con ineguagliabile insolenza, vi ponete come portavoce di un’intera razza, come se la nostra stessa esistenza avallasse la vostra condotta. E infangate i nostri nomi non soltanto con le vostre azioni, ma con le menzogne, con gli evasivi pretesti, con la compiaciuta arroganza e la puerile presunzione con cui tessete la nostra storia.
Alla fine, darete ai palestinesi uno straccio di Stato. Non pagherete mai per i vostri crimini e continuerete a pavoneggiarvi, a crogiolarvi nelle vostre illusioni di supremazia morale. Ma da adesso fino ad allora, voi ammazzerete, ammazzerete e ammazzerete, senza ottenere nulla con la vostra brutalità da marmocchi viziati.
In vita, nostra nonna ha sofferto abbastanza; da morta, smettete di renderla parte di questo orrore.
Michael Neumann
Mi unisco a mio fratello, Michael Neumann, nel chiedere che ogni riferimento a nostra nonna sia rimosso da Yad Vashem, il museo in memoria dell’Olocausto. Sono stato a quel museo commemorativo. I suoi edifici, i cortili lastricati e le piazze si estendono imponenti su molti acri di terreno ben curato. Inquadra l’Olocausto come preludio alla creazione dello Stato di Israele. Imbalsama i cimeli dei campi della morte, e li preserva come tesori nazionali. Quel tesoro non appartiene a Israele. È un tesoro solo se serve come monito a non permettere mai a nessuna nazione di rivendicare per il proprio popolo eletto una dispensa dai vincoli della moralità e della decenza.
Israele ha deformato l’Olocausto in una scusa per perpetrare altri olocausti. Ha speso il tesoro della simpatia del mondo verso le vittime dell’Olocausto in uno sforzo infruttuoso per proteggersi da ogni critica quando massacra e tortura i palestinesi e li soffoca sotto una brutale occupazione. Non desidero che la memoria di mia nonna sia inscritta in questo progetto illegittimo.
Sono cresciuto con la convinzione che gli ebrei fossero il gruppo etnico la cui missione storica era trascendere l’etnicità in un fronte unito contro il fascismo. Essere ebrei era essere antifascisti. Da tempo Israele mi ha svegliato dal mio torpore dogmatico riguardo l’immutabile relazione tra ebrei e fascisti. E’ riuscito a creare una fusione tra l’immagine di torturatori e criminali di guerra ebrei e quella di emaciate vittime dei campi di concentramento. Trovo questa fusione oscena e non voglio assolutamente esserne coinvolto. Avete perso il diritto a essere custodi della memoria di mia nonna. Non voglio che Yad Vashem sia il suo memoriale.
Osha Neumann
(Traduzione di Federico Lastaria)
Michael Neumann insegna filosofia alla Trent University (Ontario, Canada). E’ autore di What's Left: Radical Politics and the Radical Psyche (1988, Broadview Press), The Rule of Law: Politicizing Ethics (2002, Ashgate Press), The Case Against Israel (2005, AK Press), What is anti-semitism, www.counterpunch.org/neumann0604.html
Osha Neumann, avvocato a Berkeley, è anche scrittore e scultore. E’ autore di Up Against the Wall MotherF**ker: a Memoir of the 60s with Notes for Next Time.
La lettera di Jean-Moïse Braitberg, in francese, si trova al sito:
http://www.lemonde.fr/opinions/article/2009/01/28/effacez-le-nom-de-mon-grand-pere-a-yad-vashem_1147635_3232.html
Una traduzione in inglese al sito:
http://www.bilin-village.org/english/articles/different-look/Erase-my-grandfather-s-name-at-Yad-Vashem
venerdì 6 marzo 2009
ULTIME RIVOLTANTI NOTIZIE
Seguendo l'esempio degli Stati Uniti, L'Italia berlusconiana non parteciperà alla conferenza sul razzismo delle Nazioni Unite per la stessa ragione di Obama: potrebbero esserci critiche ad Israele. Ma va! D'altra parte se gli Stati Uniti hanno all'attivo negli ultimi anni cosucce come l'invenzione della guerra preventiva che ha distrutto l'Iraq,le basi di Bagram, Guantanamo, la tortura di Abu Graib ecc ecc ecc. anche l'Italia si sta portando avanti niente male in materia di violenza e razzismo: Ripristino delle leggi razziali, detenzione amministrativa per migranti, istigazione al linciaggio di zingari e liste di senzatetto , ultimamente anche la riesumazione delle squadracce o "ronde". Come possono entrambi non essere amici di Israele e non preoccuparsi per questo povero paese così denigrato dagli insolenti che gli rimproverano ogni mossa che fa, per esempio il genocidio di Gaza,definendolo razzista, e vabbè, intere famigliole si godevano lo spettacolo degli "scarafaggi" stanati col fosforo bianco modificato (vedi Lancet) da una collinetta, armati di binocolo, e vabbè sono stati massacrati 1500 civili e altri 5000 feriti gravemente, sono state distrutte decine di migliaia di case provocando centomila senza tetto, sono state bombardate moschee e ospedali, schiacciate autoambulanze e uccisi medici, sono stati massacrati migliaia di animali, tra polli, cani, gatti, ecc ecc, infine sono stati lasciati sul terreno resti di fosforo bianco che continua a bruciare ed ha già provocato altre vittime infantili che ci si sono avvicinate e che in presenza di acqua rilascia una nube bianca tossica, poi sono stati chiusi di nuovo i valichi come prima e tuttora delegazioni che vanno a portare aiuti non vengono fatte entrare. Ma come si può definire tutto questo razzismo? Come si può sempre criticare Israele, in modo antisemita, come se non ci fossero anche altri paesi che commettono crimini? Perchè c'è l'hanno tutti con Israele? Per fortuna che qualcuno difende lo stato ebraico per fortuna ci sono l'Italia col valoroso Berlusca e gli USA col deludente Obama.
Risultato dell'incontro di Sharm el Sheikh: i due terzi degli aiuti non serviranno per ricostruire Gaza, ma per sostenere l'AP. Se mai si fossero avuti dei dubbi sul ruolo dell'AP e di Abu Mazen. Israele e i suoi sostenitori sono riusciti ad escludere dagli aiuti Hamas, cioè coloro che governano a Gaza essendo stati legittimamente eletti e che sono stati bombardati assieme alla popolazione civile.
Shawan Jabarin è un signore che dirige l'associazione per i diritti umani "Al-Haq" distintasi in particolare durante la seconda Intifada per la protezione e l'aiuto attivo alla popolazione civile sotto assedio cui era impedito perfino di seppellire i morti. Ora AL-Haq ha vinto un premio per i diritti umani assieme all'associazione israeliana B'Tselem. Il premio dovrebbe essere consegnato alle due associazioni in Olanda, ma Israele impedisce al direttore di Al-Haq di partire per l'Olanda e quindi di ricevere il premio.
Risultato dell'incontro di Sharm el Sheikh: i due terzi degli aiuti non serviranno per ricostruire Gaza, ma per sostenere l'AP. Se mai si fossero avuti dei dubbi sul ruolo dell'AP e di Abu Mazen. Israele e i suoi sostenitori sono riusciti ad escludere dagli aiuti Hamas, cioè coloro che governano a Gaza essendo stati legittimamente eletti e che sono stati bombardati assieme alla popolazione civile.
Shawan Jabarin è un signore che dirige l'associazione per i diritti umani "Al-Haq" distintasi in particolare durante la seconda Intifada per la protezione e l'aiuto attivo alla popolazione civile sotto assedio cui era impedito perfino di seppellire i morti. Ora AL-Haq ha vinto un premio per i diritti umani assieme all'associazione israeliana B'Tselem. Il premio dovrebbe essere consegnato alle due associazioni in Olanda, ma Israele impedisce al direttore di Al-Haq di partire per l'Olanda e quindi di ricevere il premio.
"SOS GAZA" BLOCCATA A RAFAH
Gaza. Ancora bloccata dalle autorità egiziane la delegazione italiana "SOS Gaza". Da stasera presidio notturno al valico di Rafah ancora chiuso. Domani manifestazione di tutte le delegazioni internazionali
"Si sentono distintamente le esplosioni dei missili lanciati dagli aerei militari israeliani sulla Striscia di Gaza ma il cancello del valico di Rafah che separa l´Egitto da Gaza continua a rimanere chiuso per la delegazione di medici ed attivisti italiani intenzionata a raggiungere l´ospedale Al Awda di Jabalya per consegnare i fondi raccolti in Italia e per affiancare i medici palestinesi nella cura dei feriti". Ai microfoni di Radio Città Aperta Mila Pernice riassume in diretta la situazione.
Tutti i passaggi formali sono stati espletati ma le autorità egiziane continuano a tenere chiuso il valico di Rafah mentre fuori al cancello si concentrano le delegazioni internazionali che chiedono di entrare. Per domani - tra l´altro - è atteso anche l´arrivo della Carovana Viva Palestina partita dalla Gran Bretagna due settimane e mezzo fa.
Stasera la delegazione italiana insieme a quella statunitense cominceranno un presidio anche notturno davanti al cancello del valico di Rafah. Domani si terrà una manifestazione delle delegazioni internazionali proprio davanti al cancello del valico di Rafah per tornare a chiedere di poter entrare e portare così a termine i progetti di solidarietà con i palestinesi di Gaza.
La delegazione italiana, costituita da medici di varie città e da attivisti del Forum Palestina, ha tenuto una conferenza stampa insieme alla delegazione statunitense e al Comitato Popolare della regione del Sinai per denunciare l´atteggiamento delle autorità egiziane che continuano a rendersi complici del blocco israeliano di Gaza impedendo l´accesso alla Striscia. Motivo questo - spiega Mila Pernice - che porterà alla contestazione della edizione 2009 della Fiera del Libro di Torino dedicata quest´anno proprio all´Egitto dopo lo scippo dello scorso anno che vide l´edizione dedicata a Israele in occasione dei sessanta anni della sua nascita (e della conseguente pulizia etnica contro i palestinesi).
E´ arrabbiato e frustrato al telefono Filippo Bianchetti, medico di Varese e membro della delegazione italiana: "Siamo davanti a un muro di gomma. Gli egiziani rimpallano ad altri le loro responsabilità e il cancello rimane chiuso. La nostra documentazione è perfettamente in regola ma i poliziotti egiziani non ci fanno passare". Intanto ad Al Arish si accumulano gli aiuti umanitari per i palestinesi arrivati da tutto il mondo. Il tempo passa, i palestinesi restano chiusi nella gabbia di Gaza, giornalisti, medici, attivisti arrivati per dare una mano e rendere testimonianze non possono entrare...e gli aerei israeliani hanno bombardato Gaza per il secondo giorno di seguito: tre palestinesi uccisi e sei feriti è il bilancio della mattinata di oggi.
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Mail: forumpalestina@libero.it
Sito: http://www.forumpalestina.org
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"Si sentono distintamente le esplosioni dei missili lanciati dagli aerei militari israeliani sulla Striscia di Gaza ma il cancello del valico di Rafah che separa l´Egitto da Gaza continua a rimanere chiuso per la delegazione di medici ed attivisti italiani intenzionata a raggiungere l´ospedale Al Awda di Jabalya per consegnare i fondi raccolti in Italia e per affiancare i medici palestinesi nella cura dei feriti". Ai microfoni di Radio Città Aperta Mila Pernice riassume in diretta la situazione.
Tutti i passaggi formali sono stati espletati ma le autorità egiziane continuano a tenere chiuso il valico di Rafah mentre fuori al cancello si concentrano le delegazioni internazionali che chiedono di entrare. Per domani - tra l´altro - è atteso anche l´arrivo della Carovana Viva Palestina partita dalla Gran Bretagna due settimane e mezzo fa.
Stasera la delegazione italiana insieme a quella statunitense cominceranno un presidio anche notturno davanti al cancello del valico di Rafah. Domani si terrà una manifestazione delle delegazioni internazionali proprio davanti al cancello del valico di Rafah per tornare a chiedere di poter entrare e portare così a termine i progetti di solidarietà con i palestinesi di Gaza.
La delegazione italiana, costituita da medici di varie città e da attivisti del Forum Palestina, ha tenuto una conferenza stampa insieme alla delegazione statunitense e al Comitato Popolare della regione del Sinai per denunciare l´atteggiamento delle autorità egiziane che continuano a rendersi complici del blocco israeliano di Gaza impedendo l´accesso alla Striscia. Motivo questo - spiega Mila Pernice - che porterà alla contestazione della edizione 2009 della Fiera del Libro di Torino dedicata quest´anno proprio all´Egitto dopo lo scippo dello scorso anno che vide l´edizione dedicata a Israele in occasione dei sessanta anni della sua nascita (e della conseguente pulizia etnica contro i palestinesi).
E´ arrabbiato e frustrato al telefono Filippo Bianchetti, medico di Varese e membro della delegazione italiana: "Siamo davanti a un muro di gomma. Gli egiziani rimpallano ad altri le loro responsabilità e il cancello rimane chiuso. La nostra documentazione è perfettamente in regola ma i poliziotti egiziani non ci fanno passare". Intanto ad Al Arish si accumulano gli aiuti umanitari per i palestinesi arrivati da tutto il mondo. Il tempo passa, i palestinesi restano chiusi nella gabbia di Gaza, giornalisti, medici, attivisti arrivati per dare una mano e rendere testimonianze non possono entrare...e gli aerei israeliani hanno bombardato Gaza per il secondo giorno di seguito: tre palestinesi uccisi e sei feriti è il bilancio della mattinata di oggi.
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Mail: forumpalestina@libero.it
Sito: http://www.forumpalestina.org
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lunedì 2 marzo 2009
PULIZIA ETNICA A GERUSALEMME
Una etnocrazia , una cosiddetta democrazia fondata sull'appartenenza etnica, difende la propria identità o "purezza" cacciando 1500 famiglie dalle loro case dopo averle demolite.purtroppo non si può prevedere un esito diverso. dal 1967 18mila case sono state demolite dagli israeliani. la scusa è sempre quella, abusivismo. il massacro di Gaza, le incursioni in Cisgiordania, le demolizioni di case, il ritiro di 8 mila carte d'identità , è un processo di "pace" inarrestabile che spingerà inevitabilmente a situazioni di rivolta drammatiche... Obama non ha cambiato politica, gli USA non vanno a Ginevra alla conferenza Durban sul razzismo organizzato dalle nazioni unite. Non rimane altro che usare il boicottaggio fino a costringere l'Europa e qualche altro stato ad emettere sanzioni contro Israele.
Carlo
La serrata in solidarietà con gli arabi cacciati da Gerusalemme est
Una giornata particolare
Ramallah chiusa per sciopero
Irene Ghidinelli Panighetti
Ramallah
E' davvero una giornata particolare a Ramallah. Non tanto per il cielo plumbeo e i nuvoloni neri densi di pioggia (del resto fatto non inusuale in questo mese), quanto per i negozi tutti chiusi, evento eccezionale che non accede nemmeno di venerdì, giorno di preghiera e teoricamente di riposo per i Musulmani. Ma stavolta i negozianti della capitale dei Territori Occupati, così come quelli di gran parte delle altre città, hanno deciso di non aprire, rispondendo all'appello allo sciopero generale lanciato da diverse realtà politiche e religiose in solidarietà con le persone di Gerusalemme est minacciate da immediata deportazione dalle loro case.
La vicenda è di lunga data, ma in questi giorni sta avendo una accelerazione, come ha spiegato mercoledì in una conferenza stampa Amad Al-masri, capo del consiglio islamico di Gerusalemme: il comune della città (istituzione israeliana che amministra anche la parte palestinese) ha infatti deciso di iniziare la demolizione di 88 case e la deportazione delle famiglie ivi residenti, nel quartiere di Al-Bustan, oltre 1500 persone in prevalenza donne, anziani e bambini che da anni vivono in una situazione di guerra a bassa intensità sferrata dalle istituzioni comunali che vogliono cacciare la popolazione araba, nella speranza di costruire una grande città ebraica.
Nel corso degli anni interi quartieri arabi sono stati evacuati per far posto alle colonie, che oggi cingono quasi interamente la Gerusalemme storica; una strategia di deportazione messa in campo per vincere con la forza ciò che invece gli israeliani stanno perdendo con la demografia: «nel 1973 il comune di Gerusalemme decise che gli arabi non potevano superare il 22% della popolazione cittadina», spiega l'ing. Kalid Tafakje, ma nel 2008 gli arabi sono saliti al 35% e nel 2050 si prevede che saranno oltre il 50%. Per impedire tutto ciò il comune si è mosso sia ritirando le carte di identità a 8mila persone, che quindi ora non hanno più il permesso di vivere in città, sia attuando una vera e propria politica di demolizione di case dei quartieri di Gerusalemme est. In questo momento e'sotto pressione quello di Al-Bustan, che dal 22 febbraio è in concreto pericolo di sgombero.
La vicenda di questo quartiere iniziò nel 1976, quando il comune decise di designare la zona come area verde, e quindi di distruggere le case dei Palestinesi che vi vivevano da oltre cent'anni. I residenti si opposero in ogni modo, anche per vie legali ricorrendo alla Corte Israeliana, che però temporeggia da anni.
Nel 2005 allora gli abitanti prpposero in ogni modo, anche per vie legali ricorrendo alla Corte Israeliana, che però temporeggia da anni.
Nel 2005 allora gli abitanti proposero al comune un loro piano: si impegnavano ad accettare la costruzione della zona verde, ma in cambio volevano continuare a viverci e gestire loro stessi la riserva naturale. Pochi giorni fa, il 17 febbraio, il comune e il ministero degli interni hanno comunicato il loro rifiuto della proposta e il 22 sono iniziati i lavori di monitoraggio per demolire le case. Per resistere a questo ennesimo crimine israeliano la mobilitazione è iniziata, e si sta estendendo; «chiediamo la solidarietà internazionale» dice Adnan Husseini, del comitato in difesa di Al-Bustan, «e facciamo appello al consiglio di sicurezza dell'Onu, sperando che questa volta non metta il veto». Ma non sarà affatto facile fermare le ruspe, anche perché il quartiere sorge vicino alla Spianata delle Moschee, ed è noto l'intento israeliano di impossessarsi dei luoghi sacri musulmani, per altro letteralmente adiacenti a quelli ebraici.
Al posto di Al-Bustan il comune incoraggia e finanzia l'espansione di una colonia, Maale Zeitim, che però «è illegale secondo le leggi internazionali» ricorda Zyad Qu'war, la cui casa è sotto la minaccia della demolizione. «Noi vogliamo la pace e restare nella terra dei nostri padri» aggiunge con il pacato ardore tipico di chi ha vissuto tante sofferenze Mazen Abu Diab, rappresentante del comitato di quartiere; «che la comunità internazionale ci aiuti», conclude questo anziano dal viso solcato da profonde rughe di dolore.
In attesa di improbabili mosse internazionali, sono stati i Palestinesi a mobilitarsi oggi, con uno sciopero sentito e partecipato: è davvero raro vedere negozi chiusi da queste parti, soprattutto nella Ramallah centro di traffici commerciali vivaci e incessanti. Ma era importante esprimere la solidarietà ai fratelli di Gerusalemme est, non farli sentire soli in un momento in cui i riflettori sono puntati su Gaza o sui colloqui del Cairo, situazioni sicuramente tragiche e fondamentali che però spesso mettono in ombra le battaglie e le resistenze che da anni, quotidianamente, sono vive in tutta la Palestina.
Liberazione
01/03/2009
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Carlo
La serrata in solidarietà con gli arabi cacciati da Gerusalemme est
Una giornata particolare
Ramallah chiusa per sciopero
Irene Ghidinelli Panighetti
Ramallah
E' davvero una giornata particolare a Ramallah. Non tanto per il cielo plumbeo e i nuvoloni neri densi di pioggia (del resto fatto non inusuale in questo mese), quanto per i negozi tutti chiusi, evento eccezionale che non accede nemmeno di venerdì, giorno di preghiera e teoricamente di riposo per i Musulmani. Ma stavolta i negozianti della capitale dei Territori Occupati, così come quelli di gran parte delle altre città, hanno deciso di non aprire, rispondendo all'appello allo sciopero generale lanciato da diverse realtà politiche e religiose in solidarietà con le persone di Gerusalemme est minacciate da immediata deportazione dalle loro case.
La vicenda è di lunga data, ma in questi giorni sta avendo una accelerazione, come ha spiegato mercoledì in una conferenza stampa Amad Al-masri, capo del consiglio islamico di Gerusalemme: il comune della città (istituzione israeliana che amministra anche la parte palestinese) ha infatti deciso di iniziare la demolizione di 88 case e la deportazione delle famiglie ivi residenti, nel quartiere di Al-Bustan, oltre 1500 persone in prevalenza donne, anziani e bambini che da anni vivono in una situazione di guerra a bassa intensità sferrata dalle istituzioni comunali che vogliono cacciare la popolazione araba, nella speranza di costruire una grande città ebraica.
Nel corso degli anni interi quartieri arabi sono stati evacuati per far posto alle colonie, che oggi cingono quasi interamente la Gerusalemme storica; una strategia di deportazione messa in campo per vincere con la forza ciò che invece gli israeliani stanno perdendo con la demografia: «nel 1973 il comune di Gerusalemme decise che gli arabi non potevano superare il 22% della popolazione cittadina», spiega l'ing. Kalid Tafakje, ma nel 2008 gli arabi sono saliti al 35% e nel 2050 si prevede che saranno oltre il 50%. Per impedire tutto ciò il comune si è mosso sia ritirando le carte di identità a 8mila persone, che quindi ora non hanno più il permesso di vivere in città, sia attuando una vera e propria politica di demolizione di case dei quartieri di Gerusalemme est. In questo momento e'sotto pressione quello di Al-Bustan, che dal 22 febbraio è in concreto pericolo di sgombero.
La vicenda di questo quartiere iniziò nel 1976, quando il comune decise di designare la zona come area verde, e quindi di distruggere le case dei Palestinesi che vi vivevano da oltre cent'anni. I residenti si opposero in ogni modo, anche per vie legali ricorrendo alla Corte Israeliana, che però temporeggia da anni.
Nel 2005 allora gli abitanti prpposero in ogni modo, anche per vie legali ricorrendo alla Corte Israeliana, che però temporeggia da anni.
Nel 2005 allora gli abitanti proposero al comune un loro piano: si impegnavano ad accettare la costruzione della zona verde, ma in cambio volevano continuare a viverci e gestire loro stessi la riserva naturale. Pochi giorni fa, il 17 febbraio, il comune e il ministero degli interni hanno comunicato il loro rifiuto della proposta e il 22 sono iniziati i lavori di monitoraggio per demolire le case. Per resistere a questo ennesimo crimine israeliano la mobilitazione è iniziata, e si sta estendendo; «chiediamo la solidarietà internazionale» dice Adnan Husseini, del comitato in difesa di Al-Bustan, «e facciamo appello al consiglio di sicurezza dell'Onu, sperando che questa volta non metta il veto». Ma non sarà affatto facile fermare le ruspe, anche perché il quartiere sorge vicino alla Spianata delle Moschee, ed è noto l'intento israeliano di impossessarsi dei luoghi sacri musulmani, per altro letteralmente adiacenti a quelli ebraici.
Al posto di Al-Bustan il comune incoraggia e finanzia l'espansione di una colonia, Maale Zeitim, che però «è illegale secondo le leggi internazionali» ricorda Zyad Qu'war, la cui casa è sotto la minaccia della demolizione. «Noi vogliamo la pace e restare nella terra dei nostri padri» aggiunge con il pacato ardore tipico di chi ha vissuto tante sofferenze Mazen Abu Diab, rappresentante del comitato di quartiere; «che la comunità internazionale ci aiuti», conclude questo anziano dal viso solcato da profonde rughe di dolore.
In attesa di improbabili mosse internazionali, sono stati i Palestinesi a mobilitarsi oggi, con uno sciopero sentito e partecipato: è davvero raro vedere negozi chiusi da queste parti, soprattutto nella Ramallah centro di traffici commerciali vivaci e incessanti. Ma era importante esprimere la solidarietà ai fratelli di Gerusalemme est, non farli sentire soli in un momento in cui i riflettori sono puntati su Gaza o sui colloqui del Cairo, situazioni sicuramente tragiche e fondamentali che però spesso mettono in ombra le battaglie e le resistenze che da anni, quotidianamente, sono vive in tutta la Palestina.
Liberazione
01/03/2009
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