giovedì 12 agosto 2010

CREPUSCOLO

Crepuscolo/Gli invasori

La scorsa settimana un intero villaggio beduino “non-riconosciuto”è stato demolito, lontano dalla vista del pubblico. Ma gli abitanti non si arrenderanno: Hanno già cominciato a ricostruirlo.

di Gideon Levy



Tra le rovine, in mezzo a utensili domestici di una casa distrutta, a biciclette da bambini schiacciate e a medicinali dispersi, tra le pareti che sono crollate su quanto contenuto nelle case, tra alberi sradicati e giocattoli rotti, ho trovato una scatola di cartone marrone sulla quale c’era scritto in ebraico:”libri sacri.”

Ho aperto la scatola: un volume dell’Enciclopedia Ebraica, e sotto di esso “Tutto ciò che rimane”, la monumentale opera dello storico Walid Khalidi sui villaggi palestinesi perduti nel 1948 e un libro sugli Accordi di Oslo. Coloro che hanno distrutto il villaggio sembra che abbiano avuto pietà di questi libri, impacchettandoli e risparmiandoli dai bulldozer.


sheikh sayyah abu drimab




All’alba del martedì della settimana scorsa, questi bulldozer, accompagnati da circa 1.500 poliziotti, hanno fatto irruzione e demolito un villaggio in Israele. Non-riconosciuto, ma pur sempre un villaggio. Una non-storia in Israele, ma che il quotidiano britannico The Guardian ha definito come “pulizia etnica nel Negev”. Il video riportato sul sito web del giornale mostra immagini che qui non si sono viste: I bulldozer che si facevano strada dentro a dozzine di case e a costruzioni di altro tipo, la crudezza delle centinaia di poliziotti armati e le espressioni addolorate sui volti degli abitanti che guardavano in silenzio e con sorprendente sottomissione mentre il loro stato demoliva le loro case.

Le pecore che cercano di sfuggire al sole cocente tra le tombe del villaggio. Anche i loro recinti sono stati demoliti. Pure i bulldozer hanno avuto pietà del cimitero, dove la prima tomba è stata scavata decine di anni fa e l’ultima questa settimana. Israele ha avuto sempre pietà degli edifici sacri. Moschee e cimiteri sono stati gli unici resti che sono sopravissuti nel 1948.

“Invasori” è il termine che lo stato usa per definire gli abitanti del villaggio. E che cosa ci sta a fare qui un cimitero? Anche quello è “illegale”? “Non-riconosciuto”? Un “invasore”? E pure le tombe? Naturalmente, si può restare impressionati dalla gran quantità delle sentenze giuridiche riguardanti il destino del villaggio, Araqib, a nord di Be’er Sheva. Presso il tribunale di Kiryat Gat gli atti legali sono andati avanti fino a tarda notte, mentre le forze stavano già preparandosi a fare l’irruzione. Israele li chiama invasori e ladri di terre; gli abitanti sostengono di possedere documenti e atti di proprietà e che l’esistenza del cimitero e delle tombe sono una prova dei loro diritti di proprietà su questa terra.

Un abitante mostra un atto di proprietà che risale al tempo dei turchi. Un altro fa vedere la sentenza del tribunale che rimanda ogni decisione sul destino della sua casa fino all’inizio del prossimo anno, ma i rappresentanti dello stato fanno pressione sul tribunale perché la faccia finita – l’operazione di demolizione sta aspettando.

La terra era terra loro. Negli anni 1950 ne erano stati sfrattati e loro vi erano ritornati negli anni 1990. Invasori, occupanti abusivi. Ma la battaglia legale era persa prima ancora che avesse inizio. Israele cerca di “purificare” il Negev dai beduini, concentrandoli in misere città – e in questo ha la legge dalla sua parte. Le fattorie individuali sono solo per ebrei. L’evacuazione delle colonie illegali riguarda solo gli arabi. Demolizioni di case senza che ci sia un risarcimento e senza che ci sia un’assistenza terapeutica per i bambini scioccati e senza casa – sono solo per i beduini.

Lo Stato d’Israele contro Arakib: Per conto dello stato di Israele, attorno al villaggio è già stata piantata da parte del Ministero degli Affari Esteri e del Fondo Nazionale Ebraico, la “Foresta degli Ambasciatori.” E’ in dubbio che le dozzine di ambasciatori che hanno dato una mano in questo abuso – l’espulsione dei beduini dalle loro terre, l’occultamento delle rovine con la vegetazione, il mascheramento dell’onta con gli alberi, proprio la stessa cosa che successe nel 1948 – abbiano saputo che Israele li stava trasformando in ambasciatori di mala fede.

Ecco, dunque, come informazione per il corpo diplomatico: Ricordate l’imponente cerimonia tenutasi nel 2005 in vostra presenza? Sappiate che questa vostra foresta era destinata ad essere soltanto il punto di partenza per l’appropriazione della terra da parte dello stato, a discapito dei beduini del posto.

I progetti di distruzione nei territori, come quello attualmente in corso nella Valle del Giordano, di solito lasciano alle spalle le rovine di povere catapecchie e di miserabili recinti per pecore. Qui è diverso. Ad Arakib fumano Malboro e Kent, bevono acqua minerale in bicchieri usa e getta e parlano l’ebraico in modo eccellente. Tra le macerie si possono vedere librerie ed eleganti divani in pelle. Due veicoli Mercedes di proprietà di una persona ricca del paese, Muhammad Jum’a Abu Madian, sono parcheggiati a lato delle macerie. I suoi figli al momento sono sparsi tra i suoi amici: Shaul Shai di Ashdod, Danny Hananel di Mabu’im e Yaakov Ron del kibbutz Shoval. Jum’a è un uomo d’affari che impiega centinaia di lavoratori – ai mattatoi di polli dei quali è uno dei soci, a Kedma Street nell’area industriale settentrionale di Ashdod, nelle sue ditte di generi alimentari sparse in tutto il Negev e negli altri suoi affari. Un israeliano di tutto rispetto. Inoltre è nato qui e vuole continuare a vivere qui.

Ora sta facendo la doccia all’ombra di un suo camion. Il suo vestito e il suo profumo sono nel bagagliaio della Mercedes 550, una personale importazione.

“Avevo una casa di 300 metri quadrati. Ora ne ho una di un metro quadrato,” dice. Degli operai stanno già ricostruendo la sua casa. Sabato scorso, giunsero qua centinaia di attivisti israeliani per la pace per fare una dimostrazione e per dare un aiuto nella ricostruzione.

Colombe e oche vagano a giro in quello che era il loro villaggio di prima, che ora ha l’aspetto di una zona disastrata. “Persino le oche non se ne vogliono andare,” afferma Sheikh Sayyah Abu Drim. Con grandi mustacchi e indosso una galabiya e una kefiyah bianca, lo sheikh racconta la storia del villaggio con una passione quasi biblica. Come era nato lì, come i suoi antenati avevano pagato le tasse ai turchi per questo terreno, come nella sua fanciullezza l’area era rigogliosa di alberi di ulivo, di fichi d’India, di uva e di fichi, come erano stati cacciati via da lì negli anni 1950, come lo stato aveva cominciato a piantare foreste nell’area tutt’attorno alla fine degli anni 1990 e come, all’inizio del 2000 Israele aveva cosparso il loro campi di sostanze misteriose spruzzate dall’aria.

“Non abbiamo alcuna fiducia nel tribunale e non abbiamo alcuna fiducia nelle unità di criminali note come polizia e non abbiamo alcuna fiducia nei nostri avvocati,” dichiara lo sheikh. “la polizia ha applaudito quando hanno terminato la demolizione e hanno detto: Lunga vita allo stato d’Israele. Ma che razza di stato è mai questo? E’ uno stato puzzolente.”

E subito si corregge: “Non è lo stato. Lo sono invece l’Amministrazione della Terra d’Israele (ILA) e la polizia.”

Jum’a ci racconta che una volta nell’ILA qualcuno gli disse: “Va da Nasrallah.”

“All’ILA di Be’er Sheva un certo numero di persone sono in conflitto con noi, ma noi non odieremo tutte le persone di Be’er Sheva. Siamo compagni nel bene e nel male. Se qualcuno di noi dovesse parlare in nome di Nasrallah, dovrebbe essere cacciato in galera. Ma è la persona che è incaricata di risolvere i problemi che ci sta spingendo verso Nasrallah. Guardate quella tenda laggiù. Chi l’ha costruita? Il Movimento Islamico. Il movimento che si contrappone allo stato sta costruendo per noi, e lo stato sta demolendo per noi. Ma noi dimostreremo a quelli che odiano lo stato e a quelli che ci stanno espellendo che noi continueremo a lavorare insieme.”

Il danno per la demolizione di 35 edifici e di centinaia di alberi di ulivo ammonta a 5 milioni di NIS.

Lo sheikh: “Non so quando il popolo ebraico si renderà conto delle azioni di questo governo. Perché la gente tace? I governi precedenti non presero la decisione di distruggere un villaggio. Demolirono una casa qui e una casa là, ma un intero villaggio a cielo aperto? Venire nel mezzo della notte con una dichiarazione di guerra, con dichiarazioni di distruzione? E dopo tutto questo, devo raccontare ai miei figli che gli ebrei sono persone per bene, che sono nostri cugini? Non faremo del male allo stato o a noi stessi. Non verseremo sangue, ma costruiremo 100 volte di più. Siamo preparati ad altre 100 demolizioni sino a che non riconosceranno i nostri diritti. Noi non siamo degli invasori e neppure degli occupanti abusivi. E’ lo stato che ci ha invaso.”

(tradotto da mariano mingarelli)

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