Gideon Levy è un giornalista israeliano. Scrive per il quotidiano Ha’aretz.
Boicottare chi boicotta
* 21 maggio 2010
* 12:12
La maggioranza degli israeliani inorridisce all’idea che qualcuno, fuori dei confini di Israele, possa pensare di boicottare il loro paese, i loro prodotti o le loro università. Diciamo pure che qui in Israele tutti i boicottaggi sono considerati illegittimi. Chiunque ne proponga uno contro Israele viene considerato un antisemita, uno che odia lo stato ebraico e ne mette in discussione l’esistenza, mentre chi lo invoca dall’interno è accusato di tradimento.
Qui l’idea che un boicottaggio, per quanto limitato, possa convincere Israele a cambiare linea (e per il suo bene) non è tollerata. E l’ipocrisia fa apparire provocatoria agli occhi degli israeliani anche una mossa logica e scontata come l’invito, da parte dell’Autorità palestinese, a non comprare i prodotti fabbricati negli insediamenti ebraici. Perfino le sanzioni internazionali contro il Sudafrica, a cui di solito si riconosce il merito di aver favorito la caduta del regime dell’apartheid, qui da noi sono considerate irrilevanti e offensive come termine di paragone.
Si potrebbero anche condividere queste reazioni intolleranti, il problema però è che Israele pratica attivamente varie forme di boicottaggio. E non solo le pratica, ma le consiglia agli altri e a volte li costringe persino ad accodarsi. Israele ha imposto il boicottaggio culturale, accademico, politico, economico e militare dei Territori occupati, eppure qui non c’è quasi nessuno che lo critichi. Quando però si evoca la possibilità di boicottare chi boicotta, tutti reagiscono dicendo: inconcepibile! Il blocco più aperto e brutale, naturalmente, è l’assedio di Gaza e l’ostracismo verso Hamas.
Su richiesta ufficiale di Israele, quasi tutti i paesi occidentali l’hanno sottoscritto con inspiegabile prontezza. Non si tratta solo di un assedio che tiene Gaza da tre anni in uno stato permanente di difficoltà, né solo di un boicottaggio completo (e inutile) di Hamas, tranne per i contatti sul caporale Gilad Shalit, il militare israeliano rapito. No, si tratta di tutta una serie di boicottaggi: culturali, accademici, umanitari ed economici.
Israele minaccia quasi tutti i diplomatici stranieri che cercano di entrare a Gaza per vederne di persona la terribile situazione, e impedisce l’ingresso a chi tenta di portare aiuti umanitari. E il boicottaggio colpisce non solo Hamas, ma tutta Gaza e tutti i suoi abitanti. Sta per partire dall’Europa un convoglio di navi che cercherà di spezzare l’assedio portando a Gaza migliaia di tonnellate di materiali edili, prefabbricati e farmaci, e Israele ha detto di volerlo fermare. Medici, professori, artisti, giuristi, intellettuali, economisti, ingegneri: nessuno di loro può entrare a Gaza.
È un boicottaggio totale con il marchio “made in Israel”: il paese che accusa i boicottaggi di essere immorali e inefficaci, e poi non batte ciglio quando si tratta di Gaza.
Per di più Israele invita il mondo a isolare il regime iraniano. Ma la questione non riguarda solo Gaza e Teheran, perché l’ultima raffica di boicottaggi investe anche l’ingresso in Israele e in Cisgiordania. Chiunque sia sospettato di sostenere i palestinesi o di preoccuparsi per la loro sorte viene bloccato ed espulso: un clown venuto a organizzare una conferenza, un militante pacifista che avrebbe dovuto partecipare a un convegno, scienziati, artisti e intellettuali sospettati di sostenere la causa palestinese.
Siamo di fronte a un boicottaggio culturale e accademico totale: proprio quel genere di provvedimento che ci scandalizza quando è applicato contro di noi.
Ma l’elenco delle vittime del boicottaggio del paese antiboicottaggio non finisce qui. Anche un’organizzazione di ebrei americani come J-Street, che pure si dice filoisraeliana, è stata vittima dell’ostracismo israeliano. Insomma, è lecito boicottare J-Street perché è a favore della pace, ma non possiamo tollerare chi invita a non comprare i prodotti fabbricati negli insediamenti ebraici costruiti su terre occupate con la forza.
Negare a un visiting professor l’ingresso a Gaza per partecipare a un incontro universitario non merita la definizione di boicottaggio, ma gli altri non devono interrompere i rapporti con le università israeliane che offrono dei percorsi di laurea abbreviati per ufficiali dell’esercito e agenti dello Shin Bet addetti agli interrogatori, personaggi spesso giudicati da tutto il mondo complici di crimini di guerra.
In effetti è dura per un israeliano predicare agli altri le virtù del boicottaggio se poi non lo accetta verso il suo paese o la sua università. Ma dovrebbe essere un suo diritto credere che un boicottaggio possa indurre il suo governo a porre fine all’occupazione.
Finché gli israeliani non pagheranno un prezzo per l’occupazione, non cambierà niente. Questa è una posizione legittima e morale almeno quanto quella di chi sostiene che il boicottaggio è un’arma immorale e inefficace, ma poi lo usa contro gli altri. E allora: siete contrari al boicottaggio contro Israele? D’accordo, ma prima smettiamola noi di boicottare gli altri.
Traduzione di Marina Astrologo.
Internazionale, numero 847, 21 maggio 2010
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