venerdì 19 novembre 2010

ONU A ISRAELE: STOP USO RISORSE NATURALI ARABE

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite chiede a Tel Aviv di interrompere lo sfruttamento delle risorse naturali palestinesi e arabe nei territori che occupa dal 1967.

Roma, 19 novembre 2010 (foto dal sito biology.clc.uc.edu), Nena News – La Commissione per l’economia e la finanza dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato ieri una risoluzione che chiede a Israele di interrompere lo sfruttamento e il danneggiamento delle risorse naturali nei territori palestinesi ed arabi che ha occupato nel 1967, al termine della Guerra dei Sei Giorni. Lo riferisce l’agenzia di stampa palestinese «Wafa».

Il testo è stato approvato con il voto favorevole di 162 paesi membri, sette contrari (Australia, Canada, Israel, Marshall Islands, Federated States of Micronesia, Nauru, United States) e tre astensioni (Costa d’Avorio, Panama, Papua New Guinea).

Prima del voto, il rappresetante israeliano aveva affermato «l’impegno» del suo paese nella difesa della natura e dell’ambiente e ricordato che diverse intese in questo campo sono stati raggiunte proprio con l’Autorità nazionale palestinese. Il rappresentante della missione permanente palestinese alle Nazioni Unite ha replicato che «l’aver organizzato seminari e conferenze sull’acqua e l’ambiente» non da’ a Israele il diritto di violare e controllare le risorse naturali palestinesi. Ha quindi ringraziato i paesi che hanno approvato il testo per aver riaffermato il «rifiuto» dell’occupazione israeliana.

Tel Aviv afferma di tutelare l’ambiente ma i dati sembrano indicare un atteggiamento diverso, almeno nei territori palestinesi ed arabi che occupa da 42 anni. A causare i maggiori rischi per la natura e le risorse naturali sono le colonie israeliane. Il centro per i diritti umani Betselem ha riferito nel 2009 che dei 121 insediamenti ebraici in Cisgiordania 81 sono dotati di impianti per il trattamento delle acque reflue, alcuni dei quali però usano metodologie superate, non seguono gli standard adottati nello stesso Stato di Israele o sono inadatti a coprire le necessità di colonie in forte boom demografico.

In un servizio pubblicato da Nena News lo scorso 1 luglio (http://www.nena-news.com/?p=2083), Barbara Antonelli e Nicolas Helms Grovas riferivano che le acque reflue prodotte annualmente in Cisgiordania, sia dalle colonie israeliane che dai palestinesi, ammontano a circa 91 milioni di metri cubi: l’equivalente dell’acqua contenuta in 36.400 piscine olimpiche. La maggior parte di queste acque di scarico non riceve alcun trattamento di depurazione. Gli agenti contaminanti – aggiungevano Antonelli e Helms Grovas – si riversano direttamente in Cisgiordania, con conseguenze devastanti per il territorio e l’Acquifero, la più importante risorsa di approvvigionamento idrico per israeliani e palestinesi. In 43 anni di occupazione – proseguivano i due giornalisti – le autorità israeliane non si sono curate minimamente di installare impianti per il trattamento delle acque di scarico. Soltanto le colonie producono 17,5 milioni metri cubi all’anno di acque impure. Altri impianti non funzionano a pieno regime o sono stati parzialmente o del tutto disattivati, con la conseguenza che 5,5 milioni di metri cubi di acque reflue prodotte dalle colonie non ricevono alcun trattamento, riversandosi nelle vallate palestinesi.

Ma anche il 90% delle acque reflue prodotte dai palestinesi non viene trattato. In questo caso le regole del gioco le detta ancora Israele: la cosiddetta Amministrazione civile (formata da militari) negli ultimi 15 anni non ha approvato progetti per gli impianti di depurazione dei liquami urbani, presentati da istituzioni palestinesi, con i fondi europei o internazionali; in altri casi li avrebbe approvati solo con la condizione di poter collegare a quegli stessi impianti anche le colonie. Sempre Israele ha imposto all’Autorità Palestinese di costruire impianti all’avanguardia (non usati nemmeno in Israele) che rispondono a parametri che neanche l’Organizzazione Mondiale della Sanità richiede; cosa che fa aumentare i costi di costruzione, operativi e di mantenimento. Con la conseguenza che sia USA che Germania, principali finanziatori di tali impianti, hanno ridotto in modo considerevole i finanziamenti ai palestinesi per questo tipo di progetti.

Sempre ieri la Seconda Commissione dell’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato una risoluzione che per il quinto anno consecutivo chiede a Israele di risarcire il Libano per il bombardamento sulla costa mediterranea della centrale elettrica di El-Jiyeh – durante la guerra del 2006 – che ha causato enormi danni all’ambiente marino e inquinato ampie porzioni del territorio circostante. Nena News

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