giovedì 28 febbraio 2013

Stéphan Hessel, un grande amico della giustizia e del popolo palestinese ci ha lasciati.

Stéphan Hessel, un grande amico della giustizia e del popolo palestinese ci ha lasciati. Dieci anni fa quest’uomo, realmente straordinario, credeva che la sua vita si sarebbe conclusa col secolo che l’aveva visto sopravvivere al nazismo e ai campi di concentramento. Per fortuna non fu così e a novantatre anni c’ha regalato ancora 30 straordinarie pagine e l’incitazione che ha mosso le piazze di mezzo mondo: “Indignez vous!”. Come ogni figura veramente grande, Hessel ci lascia la sua eredità di parole, di impegno, di lotte e di esempi. Il libricino che ha segnato i movimenti di piazza di questi ultimi anni è stato la sintesi del suo quasi centenario impegno e la denuncia contro “un’epoca in cui trionfano l’economia capitalista neoliberale, il disprezzo delle popolazioni più deboli e l’impoverimento delle risorse del pianeta” e in cui “i valori della Resistenza rischiano di essere dimenticati o trascurati”. Hessel non ha soltanto partecipato significativamente alla elaborazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma per tutta la sua vita si è battuto per l’applicazione del diritto internazionale denunciandone le violazioni e concentrandosi, in particolare negli ultimi quarantacinque anni, sui crimini israeliani verso la popolazione palestinese, fino a creare – dopo l’ultima enorme e incredibilmente impunita strage denominata “piombo fuso” – il Tribunale Russel per la Palestina, così come il filosofo Bertrand Russel aveva fatto negli anni “70 per il Vietnam. Da ieri siamo tutte e tutti orfani del suo fondatore, ma anche tutte e tutti tenuti a raccoglierne il testimone. Non dimentichiamo la grande onestà umana e politica che quest’Uomo, ebreo sopravvissuto all’olocausto, ha mostrato anche nel riconoscere il suo primo entusiasmo per la creazione dello Stato di Israele: fino al “67 il fascino per i kibbutz e i moshav, copriva la consapevolezza “che questo Stato non potesse esistere che cacciando un numero considerevole di palestinesi dalle loro terre”. Quella consapevolezza che, una volta conquistata, lo ha portato a definire la situazione palestinese come il “suo principale” motivo d’indignazione per i crimini quotidiani commessi da Israele, e a denunciare “… un’impunità scandalosa … (che) ridicolizza il diritto internazionale … (e che) UE e Usa considerano Israele come loro alleato e lo difendono anche quando fa delle cose riprovevoli”. Salutiamo Stéphan Hessel ricordando a noi stessi e, vorremmo dire, al mondo, le sue parole di sopravvissuto a “quell’insidioso e progressivo avvilimento dell’uomo” che prova vergogna per “aver permesso che l’orrore ricominciasse, qua e là, in questo mondo che pensavamo non avrebbe mai più visto niente del genere”. Seguiteremo a lottare per la giustizia, amico e compagno Stéphane, e quando la Palestina avrà il suo vero Stato, seguiteremo ancora a farlo. Patrizia Cecconi Presidente dell’Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus

La rete ECO per Arafat Jaradat assassinato da Israele

La rete Ebrei Contro l'Occupazione (ECO) esprime tutta la sua solidarietà e simpatia alla famiglia ed agli amici del giovane Arafat Jaradat, assassinato in un carcere israeliano per effetto delle torture subite durante un arresto illegale, come riportato anche dal gruppo Gush Shalom (da Occupation Magazine, ieri 26.2): Palestinian prisoner`s autopsy reveals `extensive signs of beatings` Hugh Naylor - The National - "The report, by a Palestinian doctor who attended the autopsy yesterday at Israel`s main forensics institute, said the injuries to Arafat Jaradat`s body - that included bruising, signs of lashings and broken ribs - show he died of `shock` and not from a heart attack as the Israeli prison authorities claimed" La rete ECO condanna la continua violazione dei diritti umani e dei diritti politici da parte di Israele nei territori palestinesi occupati militarmente ed invasi dai coloni israeliani. Vogliamo oggi, in occasione di questo ennesimo crimine di Israele, ribadire che queste azioni ci indignano, assicurando i nostri amici palestinesi che siamo loro vicini in questo lutto, in difesa dei loro diritti alla giustizia, libertà ed indipendenza. Rete-ECO

martedì 26 febbraio 2013

Medici israeliani conniventi e torturatori

Traduzione del testo di Derek Summerfield che ha organizzato la campagna internazionale contro la collusione con la tortura dei medici e dell' Associazione medici israeliani: "le autorità palestinesi stanno chiedendo un' indagine sulla morte del prigioniero palestinese Arafat Jaradat di 30 anni, che è morto mentre era sotto interrogatorio il weekend scorso, 5 giorni dopo essere stato arrestato con il sospetto di aver tirato delle pietre l' anno scorso. Le autorità israeliane hanno detto su vari giornali londinesi che è morto per " un improvviso attacco cardiaco" mentre era interrogato, aggiungendo che due giorni prima era stato visitato dai medici ( cioè medici che lavorano all' interno dei centri per gli interrogatori) che lo avevano trovato in buone condizioni di salute.. Il ministro per le prigioni dell' Autorità Palestinese dichiara che gli interrogatori israeliani hanno usato tecniche come "appendere" e privazione del sonno per torturare Jaradat nella prigione di al-Jalameh nel giorno precedente la sua morte nella prigione di Megiddo. Riportano da un testimone: " quando mi sedetti vicino a lui mi disse che aveva tremendi dolori alla schiena e ad altre parti del corpo perché era stato picchiato e "appeso" per molte lunghe ore durante l' interrogatorio" : Sono state descritti lividi e fratture al suo torace che sono consistenti con la tortura subita anche se le autorità israeliane dicono che sono il risultato del tentativo di risuscitarlo. Un uomo di 30 anni in buone condizioni di salute è arrestato e dopo 5 giorni muore. In un uomo giovane come è plausibile che la sua morte sia il risultato di un attacco cardiaco non collegato al trattamento subito, come sostengono le autorità israeliane. Quindi per ammissione degli stessi israeliani, Jaradat era stato visitato dai medici israeliani due giorni prima e lo avevano trovato in buone condizioni di salute. La domanda etica fondamentale è perché questi medici lo visitavano se non per stabilire se poteva sopravvivere alla tortura. Questa è proprio la ragione fondamentale per la quale la campagna riguardante la collusione dei medici con la tortura in israele fu iniziata nel 2009 e continua tuttora. Mi ricordo che nel 1993 venimmo a conoscenza di un formulario " abilitazione all' interrogatorio" che il medico doveva firmare dopo aver visitato il prigioniero, attestando la possibilità medica di essere sottoposto a tortura. La visita a Jaradat non può avere altre motivazioni e questa è una pratica usuale, anche se " l' abilitazione all' interrogatorio" non è più usata ( al tempo della scoperta del formulario, l' Associazione Medica Israeliana finse sorpresa per l' esistenza di tale formulario, disse pubblicamente che tale formulario non doveva essere usato- non potevano fare altrimenti una volta che questa notizia era diventata di pubblico dominio- ma non affermò che i medici israeliani dovevano opporsi a voce alta e rifiutarsi di cooperare con gli interrogatori che utilizzano la tortura. Ciò era in linea con la lunga e documentata difesa da parte dell' Associazione Medici Israeliani delle pratiche correnti, inclusa la tortura come pratica dello Stato. Negli anni '90 inoltre, un documento di Amnesty International sulla tortura in Israele, portando prove di ciò che Amnesty chiamò la totale istituzionalizzazione della collusione dei medici israeliani, si intitolava con voluta ironia " sotto costante supervisione medica". Ciò in riferimento a ciò che le autorità israeliane avevano dichiarato in difesa delle condizioni delle prigioni israeliane e dei diritti dei prigionieri, in seguito a denunce pubbliche sui maltrattamenti e sulla tortura dei prigionieri palestinesi. Come Amnesty commentò, questo era una non- intenzionale ammissione del ruolo dei medici durante l' intero processo. Forse ricorderete il report "Ticking bombs = bombe che stanno per esplodere" scritto dal Comitato Pubblico contro la Tortura in Israele che si riferiva a dettagliate testimonianze rese da 7 ex prigionieri palestinesi. Risultava chiaro che di routine i medici israeliani visitavano prima, durante e dopo gli interrogatori nei quali veniva usata la tortura, non prendevano nota della storia medica ( sapevano naturalmente come erano state inflitte le ferite che, in un caso, era danno alla spina dorsale), rimandavano i prigionieri agli interrogatori e se ne stavano zitti. Questi medici erano parte integrante del processo che ogni giorno includeva la tortura, allora come ora e, senza dubbio, nel caso di Jaradat e la loro presenza dà licenza e legittimità ai torturatori. Essi, e ancora più colpevolmente l' Associazione Medici Israeliani, infrangono le regole stabilite a Tokyo dall' Associazione Mondiale Medici che ordina ai medici non solo di non avere nulla a che fare con la tortura ma anzi di protestare e di denunciarla quando a conoscenza. È uno scandalo che la nostra campagna ha rivelato come l' Associazione Mondiale dei medici sia stata castrata quando è Israele ad essere coinvolto mentre sia pronta ad agire quando i presunti colpevoli sono in Bahrein, in Iran o in Nigeria. Fine traduzione flavia

Nono giorno di sciopero della fame in solidarietà con Samer Issawi e i prigionieri nelle carceri israeliane.

Martedì 26 febbraio Nono giorno di sciopero della fame in solidarietà con Samer Issawi e i prigionieri nelle carceri israeliane. Ieri sera ho ricevuto la visita del mio amico medico Gianni, insieme abbiamo partecipato nel 2005 alla “Carovana dei Diritti” da Strasburgo verso Gerusalemme per chiedere in particolare l'applicazione delle risoluzioni Onu sulla Palestina. La Carovana fu bloccata da Israele sul ponte di Allenby e neanche in questa occasione le bandiere della pace, consegnate da decine di associazioni dei paesi attraversati dal convoglio, raggiunsero Gerusalemme. Gianni mi ha trovato in buona salute. Ieri sera nella Casa Umanista c’è stato un breve incontro con altre associazioni torinesi ed insieme abbiamo concordato un momento informativo per Mercoledi 27 in piazza Castello angolo via Garibaldi, l’appuntamento è alle ore 17, chi vuole potrà poi partecipare al momento di preghiera contro tutte le guerre, organizzato dal Centro Sereno Regis nelle stesso luogo fino alle 19. In questi giorni sono arrivate molte mail , la maggior parte di solidarietà all’iniziativa di sostegno ai prigionieri palestinesi altre di critica all’iniziativa partita dalla Calabria: Qualcuno suggerisce di fare scioperi della fame per i problemi italiani e occupandosi di politica estera non ritiene opportuno pubblicizzare l’iniziativa anche se scrive su un giornale nazionale. Qualcuno ha anche ritenuto inopportuna e poco rispettosa la lettera scritta a Samer Issawi. Io resto convinto che lo sciopero della fame di Samer Issawi, insieme ad altri eventi accaduti negli ultimi giorni, è stato causa scatenante delle rivolte in atto, è riuscito anche a creare uno sciopero più ampio, si parla di oltre 4000 detenuti che hanno aderito alla stessa forma di lotta. A questo punto è necessario il martirio? Io penso di NO. Lunedì 25 febbraio Ottavo giorno di sciopero della fame in solidarietà con Samer Issawi e i prigionieri nelle carceri israeliane. Ho dormito al caldo della "Casa Umanista" in via Martini 4/b Torino. Questa mattina c'è molto silenzio, il pc è sempre acceso e scorro le pagine della posta elettronica e Ringrazio Giorgio della Casa Umanista per i comunicati alla stampa, Antonino ed Enrico ISM-Italia per le informazioni postate alle varie organizzazioni. Poi scorro la bacheca di FaceBook e penso a Vittorio! Penso a quanti ne parlano e a quanto lo usano per aumentare la propria notorietà, ma quanti lo imitano? Il Centro Invictapalestina nasce in Calabria con un bellissimo intervento di Wasim Dahmash e Marco Ramazzotti, non sono tardati ad arrivare gli auguri di Vittorio, in quell'epoca era a GAZA e ci siamo meravigliati di vederci raccontati nel suo BLOG da lui, così lontano ma cosi vicino e attento. Oggi apro le pagine di FaceBook e ritrovo Daria & Maksim: Messaggi scritti col cuore e foto spiritose, poi scorro col mouse sulle tristezze della quotidianità... chi "scende il cane", chi augura buon giorno al mondo, chi prende l'ombrello intonato alle calze per andare a votare, chi ci descrive come ammazza il tempo tra un divano e una poltrona, e poi notizie più importanti che scorrono veloci e non riesci ad acchiappare in tempo per leggerle. Josè Saramago molti anni fa ci aveva avvertiti che saremmo diventati la società del mouse, molti click ma poche azioni, utenti anziché cittadini. Il 25 febbraio 1994 il colono ebreo fondamentalista Baruch Goldstein, membro del partito estremista Kach, entrò nella sala di preghiera riservata ai fedeli musulmani, indossando la sua divisa da soldato. Aprì il fuoco sui fedeli col fucile d’assalto Galil, uccidendo trenta persone e ferendone 125. I superstiti lo picchiarono a morte. Non venne scelto un giorno a caso per il massacro. Il 25 febbraio era infatti il giorno in cui nel 1994 cadeva la festa del Purim (che commemora la liberazione del popolo ebraico nell’antico Impero Persiano, come riportato nel libro di Ester). Oggi Samer Issawi è in fin di vita isolato in una cella della prigione di Ramle, il fratello Fadi morì in quel massacro.

lunedì 25 febbraio 2013

Cresce la protesta per la morte di Arafat Jaradat

Cresce la protesta per la morte di Arafat Jaradat E' forte la rabbia per la morte del detenuto palestinese. Scontri a Hebron e in altre citta'. Oggi si prevedono nuovi incidenti in occasione dei funerali. adminSito lunedì 25 febbraio 2013 07:00 Commenta Gerusalemme, 25 febbraio 2013, Nena News - E' alta la tensione in Cisgiordania, in particolare nella zona di Hebron dove oggi si terranno i funerali di Arafat Jaradat, il palestinese di 35 anni morto due giorni fa nella prigione Megiddo in circostanze non ancora chiarite. L'autopsia effettuata ieri, secondo il rapporto fatto dai medici israeliani, non ha rivelato segni di violenza sul corpo di Jaradat ma neppure della malattia cardiaca che ne avrebbe provocato la morte. Per i palestinesi invece il detenuto era stato picchiato e torturato da chi lo ha interrogato dopo il suo arresto. Qadura Fares, dell'associzone dei prigionieri, ha detto che il medico legale palestinese che ha assistito all'autopsia ha riferito di aver riscontrato ferite e contusioni che non lascerebbero dubbi sulle sevizie e percosse inferte a Jaradat. Anche il padre del detenuto che ha visto il corpo ha detto che il figlio è stato picchiato. L'accaduto ha subito infiammato la Cisgiordania dove già da alcune settimane si ripetono manifestazioni e raduni in appoggio a Samer Issawi e altri tre prigionieri palestinesi che attuano lo sciopero della fame ad oltranza. A Hebron e alla periferia di Betlemme e Ramallah sono divampati scontri violenti tra gruppi di giovani e soldati israeliani che hanno provocato diversi feriti. Oltre 4mila detenuti palestinesi hanno rifiutato il cibo in segno di protesta per la morte di Jaradat. La stampa dello Stato ebraico già parla di Terza Intifada palestinese ed è intervenuto il premier Netanyahu che chiesto, di fatto intimato, al presidente palestinese Mahmud Abbas di arginare le proteste e di ricordarsi "che è compito dell'Autorità nazionale palestinese mantenere l'ordine" (nei Territori occupati). E per allentare la tensione il primo ministro ha autorizzato il trasferimento al governo di Salam Fayyad di 100 milioni di dollari palestinesi che aveva congelato dopo l'accoglimento della Palestina alle Nazioni Unite. "Concessioni" che forse accontenteranno la leadership dell'Anp ma non la popolazione palestinese sotto occupazione militare che sta dando sfogo ad una frustrazione che cova da lungo tempo. Nena News 5

In ricordo di Jaradat Arafat.

Sempre, veramente sempre, l’ultimo istante della vita si chiude con l’arresto cardiaco. Anche ad Arafat Jadarat la morte è arrivata perché gli si è fermato il cuore. Lo sostengono gli opinion maker di mezzo mondo, a partire da Rights Reporter, cui fanno eco anche più democratiche testate. Ma il cuore di Jaradat era sano fino a cinque giorni prima della morte nel carcere israeliano di Megiddo, dove era stato portato dai soldati dell’esercito occupante israeliano, perché reo di legittime proteste contro l’illegale occupazione del suo paese. Conoscete Al Khalil, vale a dire Hebron? Chiunque sia stato nella zona di Hebron non può che chiedersi come sia possibile sostenere l’occupazione israeliana, l’appropriarsi di terre e case da parte di fuorilegge integralisti ebrei, detti coloni, coperti e protetti dall’IDF. La polizia israeliana ha aperto un’inchiesta dalla quale emergerà che Arafat è morto per infarto, lo sappiamo, conosciamo bene la legalità israeliana, l’abbiamo vista all’opera per la strage sulla Mavi Marmara, per il massacro di piombo fuso e per tante altre stragi e violazioni di diversa gravità che da oltre 64 anni accompagnano l’esistenza dello Stato di Israele. In queste ore, nelle strade della Cisgiordania si grida forte contro l’occupante, e il primo ministro israeliano, l’uomo amato dalla destra di tutto il mondo e giustificato dai democratici di mezzo mondo, ha intimato al presidente dello Stato di Palestina, Abu Mazen, di far cessare i disordini e in cambio restituirà i soldi sequestrati illegalmente, ovvero momentaneamente rubati ai palestinesi. Ricatto tanto più odioso in quanto basato sullo scambio tra un furto di denaro e un tentato furto di dignità e di diritti. E invece che suggerire a Netanyahu di vergognarsi, sentiamo le voci lamentose dei filo sionisti nostrani, e non solo, parlare di pretesto per la terza intifada e di odio antiebraico. Se non fosse un leit motif inflazionato e stantìo ci sarebbe da stupirsi per l’assurdo rovesciamento dei ruoli che vorrebbe trasformare in odio religioso quello che è solo il legittimo agire di un popolo che chiede il rispetto dei propri diritti. Arafat Jaradat è un martire. Uno dei numerosissimi martiri palestinesi. Martire, etimologicamente, significa testimone, e Jaradat vorremmo fosse l’ultimo testimone dell’ingiuria alla vita e al diritto universale che Israele commette con la tolleranza e/o la complicità del mondo democratico. Nell’Università in cui studiava, nella famiglia che ha lasciato orfana, nella regione in cui viveva, nella Palestina tutta e nella società civile che conosce le violazioni commesse da Israele contro il popolo palestinese, si leva un grido che va a ricongiungersi con quello dei prigionieri politici in sciopero della fame che stanno rischiando di morire. Se questo grido si chiama Resistenza, ribellione o, tradotto in arabo, “Intifada”, non può che essere un segno di Dignità umana alta, nobile, che chiunque abbia a cuore i diritti umani è chiamato a sostenere. Patrizia Cecconi Presidente dell’Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus

domenica 24 febbraio 2013

Lampi di terza Intifada

Mobilitati dallo sciopero della fame dei detenuti politici, migliaia di palestinesi sono scesi in strada con manifestazioni e raduni. Il ruolo dei Comitati popolari adminSito sabato 23 febbraio 2013 10:10 Commenta di Michele Giorgio Gerusalemme, 23 febbraio 2013, Nena News - Lampi di terza Intifada. A Gerusalemme, Ramallah, Hebron, Nabi Saleh e altre località. Cresce nelle dimensioni e nei contenuti la protesta popolare palestinese contro l'occupazione, innescata dagli scioperi della fame osservati dai prigionieri politici nelle carceri israeliane. Manifestazioni e raduni che raccontano la rabbia e la frustrazione che covano sotto quella calma apparente che da tempo regna in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Allo stesso tempo sono anche il segnale più limpido del crescente protagonismo dei comitati popolari palestinesi. Dai villaggi agricoli, lungo il Muro israeliano in Cisgiordania, la lotta non violenta si sta trasferendo a ridosso dei centri urbani e dei campi profughi. Le iniziative si moltiplicano, a cominciare dalla creazione di «avamposti palestinesi» nelle aree che Israele ha destinato all'espansione delle colonie. Sono enormi le potenzialità di questo movimento. Lo hanno capito i comandi militari israeliani, che ieri hanno schierato ingenti forze per contrastare i manifestanti. In mezzo, tra le parti contrapposte, c'è la goffa polizia dell'Autorità nazionale del presidente Abu Mazen che tenta di fare interposizione e di riportare la calma. Ieri sulla spianata delle moschee di Gerusalemme, al termine della preghiera islamica del venerdì, dozzine di giovani palestinesi hanno scandito slogan a sostegno dei detenuti politici. Ad un certo punto qualche giovane ha lanciato sassi contro la polizia che è intervenuta arrestando diversi manifestanti. A Hebron circa mille palestinesi e gruppetti di attivisti internazionali si sono riuniti in Bab Zawye, all'ingresso della zona H2 - controllata da Israele e dove 600 coloni vivono in mezzo a 25mila palestinesi - per chiedere la riapertura di Shuhada Street, la strada commerciale più importante della casbah, chiusa dalle autorità di occupazione nel 2000. Gli attivisti hanno marciato verso l'ingresso di Shuhada Street, dove però sono stati bloccati dall'esercito israeliano che ha lanciato candelotti di gas lacrimogeno e granate assordanti. Un giovane è stato portato in ospedale perché colpito ad una gamba da un proiettile. Una ventina di palestinesi sono rimasti feriti o intossicati dal gas lacrimogeno. Ad Anata, tra Ramallah e Gerusalemme, un palestinese avrebbe forzato un posto di blocco della polizia, ferendo un agente, ed è poi riuscito a fuggire. Ci sono scontri a Nabi Saleh e vicino alla prigione di Ofer (Ramallah) dove centinaia di giovani hanno manifestato per il terzo giorno consecutivo a sostegno dei detenuti in sciopero della fame, in particolare di Samer Issawi, liberato con lo scambio di prigionieri della fine del 2011 in cambio del soldato Ghilad Shalit e condannato a 8 mesi di carcere per essersi recato in Cisgiordania violando le restrizioni ai suoi movimenti. Considerando il periodo già trascorso in prigione, Issawi, che fa lo sciopero della fame da oltre 200 giorni, dovrebbe uscire il 6 marzo. Rischia però di dover scontare condanne ricevute in precedenza e di rimanere in carcere per molti anni ancora. Il detenuto perciò continua la sua protesta. L'altra notte Jafar Ezzedine e Ayman Sharawna, due dei quattro prigionieri in sciopero della fame, sono stati ricoverati in ospedale. Intanto la Federazione di calcio palestinese ha detto che è «troppo presto» per organizzare una partita contro Israele come aveva proposto Sandro Rosell, presidente del Barcellona FC. «Questa idea provocherebbe un terremoto nella regione se venisse attuata, è troppo presto e la palla è nel campo israeliano», ha detto il presidente della Federazione, Jibril Rajoub. Nena News

Dalla Calabria a Torino SCIOPERO DELLA FAME A SOSTEGNO DEI PRIGIONIERI PALòESTINESI IN SCIOPERO DELLA FAME, TRA CUI SAMER ISSAWI.

> > Data: 23 febbraio 2013 10:46:39 GMT+01:00 > A: news@invictapalestina.org > Oggetto: 6° giorno in solidarietà con i prigionieri palestinesi > > Cari amici, oggi è il 6° giorno di sciopero in solidarietà con Samer. > > Ieri sera ho partecipato alle funzioni religiose anche senza essere credente/praticante. Prima di iniziare il percorso della Via Crucis il Parroco ha letto un messaggio di denuncia sull'occupazione israeliana, alla fine delle 14 stazioni sono stato invitato a spiegare le ragioni della protesta, ho avuto così occasione di parlare nei dettagli di Samer Issawi nelle carceri israeliani ad appena 16 anni, poi ho letto "la denuncia", brano scritto da Don Nandino Capovilla per la 10° stazione della Via Crucis. > > Riporto i 2 brani di seguito. > > Finita la funzione religiosa grande sorpresa: Davanti alla tenda la 4° classe della scuola elementare al completo, armati di notes e matita pronti a riportare le mie risposte alle loro 10 domande, faranno un elaborato in classe e poi lo recapiteranno ad Invictapalestina. Il Centro ha donato alla maestra libri sull'argomento e un Premio per l'elaborato più impegnativo e completo. > > Abbiamo poi smontato la tenda e il digiuno è proseguito nel "Centro di documentazione" Invictapalestina finalmente al caldo. > > Oggi alle 14.40 aereo da Lamezia per Torino, dove lo scioperò continuerà insieme ad altri amici in una tenda che nel frattempo sarà allestita in via Garibaldi nei pressi del Centro Studi Sereno Regis. > > > Lettura del Parroco ai fedeli. > > Le Vie Crucis che celebriamo, non sono semplicemente archeologie devozionali o particolari spiritualità, che variegano il mondo cattolico. Esse sono scritte, ancora oggi, con il sangue di migliaia di oppressi che lottano per la loro liberazione. Tra questi ci sono i palestinesi che sono ogni giorno costretti in interminabili checkpoint, in uno stato di umiliazione continua e terribile. La Palestina è fatta di gente scacciata dalle proprie case, di agricoltori senza terra, di artigiani senza bottega. Il ripercorrere i passi di Cristo, sotto il peso di una condanna ingiusta, ci dovrebbe immerge proprio in quell’atmosfera quotidiana della Terra Santa, dove il dolore e l’umiliazione sono un dato costante per un popolo che percorre le stesse strade di Gesù, divenute calvario di morte, di paura e di insicurezza totale. > > Su tutto questo, domina il tristissimo segno del muro. Quel muro che in Europa commemoriamo caduto, venti anni dopo, perché ci siamo accorti che era un terribile segno di inciviltà e di ingiustizia. Ma quello stesso muro, ben più raffinato e ben più ingiusto, divide ora ancor più di due popoli, due lingue, due culture, due religioni. > > Purtroppo, la passione di Gesù non ha spazi privilegiati. Si ricompone in ogni angolo della terra. Perciò, la Via crucis diventa vivente, ogni giorno su strade che portano ai calvari di oggi. > > > Don Nandino Capovilla: 10° stazione, In prigione, in prigione > > E' una montagna di dolore questo calvario su cui arrancano più di diecimila famiglie palestinesi. > Una serie di norme, in gran parte contrarie al diritto internazionale, condanna persino i ragazzini a marcire nelle prigioni israeliane anche per vent'anni, senza processo né capo d'imputazione. > Ragazzini rei di aver scagliato pietre contro i carri armati, ragazzini che una volta uomini, potrebbero imbracciare le armi per mal riposto desiderio di riscatto. > > Sette famiglie su 10 piangono i loro parenti senza sapere dove sono, ignorando le torture che subiscono, le volte in cui verra rinnovata "la detenzione amministrativa", quella forma di arresto senza accusa su cui nemmeno gli avvocati potranno indagare. > > Le madri di quanti sono in carcere si ritrovano spesso sulle piazze di Ramallah o di Nablus, per affidare a un megafono gracchiante tutto il grido che il cuore non contiene più, e tengono sul petto un piccolo quadro con la foto del figlio, come se fosse morto.

giovedì 21 febbraio 2013

Prosegue lo sciopero della fame indetto da INVICTAPALESTINA

PROSEGUE LO SCIOPERO DELLA FAME IN cALABRIA LETTERA AD YSSAWII

Oggi 4°giorno di sciopero in solidarietà a Sami (mi hanno detto che è il suo diminuitivo) Piove dalle ore 14, alcune donne hanno portato latte, acqua, tè, altre hanno portato via coperte e guanciali da asciugare in casa, Enzo ha portato 2 teli provvidenziali di plastica che Vincenzo e Marta hanno steso sulla tenda per evitare ulteriori infiltrazioni d'acqua. Ieri sera ho ricevuto visite da Mario, Antonio, Nicolas, Francesco, Peppe, Michele, Raffaele, Manuel, Matias. Il più piccolo 9 anni il più grande 14, con grande curiosità hanno fatto domande sulla Palestina, sono andati via tardi poi alcuni sono ritornati con i giubottini gonfi, poi un po' timidi hanno svuotato le tasche lasciandomi succhi e latte caldo in un microscopico termos. La salute è buona e il morale alto, la lettera che segue è indirizzata a Sami, sarebbe da tradurre in arabo/inglese e recapitarla con le proprie organizzazioni direttamente a Sami. I Link che seguono aggiornano quotidianamente la situazione in Palestina e in Calabria, Grazie Mirca e Gabriella, altre notizie sul sito di Palestinarossa. Per contatti info@invictapalestina.org o segreteria@invictapalestina.org , risponderà a tutti Simonetta. http://nuke.alkemia.com/MedioOriente/RosarioCitrinitiinizialoscioperodellafame/tabid/1277/Default.aspx https://sites.google.com/site/parallelopalestina/sciopero-della-fame Caro fratello, Caro Sami L’eco della tua lotta è arrivata in Calabria (ITALIA). In un piccolo paese di questa regione abbiamo montato una tenda della speranza nella quale da quattro giorni anch’io faccio lo sciopero della fame in solidarietà con la tua lotta che poi è quella di tanti fratelli e sorelle palestinesi che ogni giorno s’impegnano per la fine dell’occupazione sionista che con crudeltà inaudita cerca di piegare le vostre speranze di libertà e la vostra ferrea volontà. Io, in questo piccolo paese della Calabria, ho fondato InvictaPalestina, Palestina indomita, Palestina mai vinta e in questi giorni di lotta sono molte le persone che vogliono sapere, informarsi, conoscere la bellissima terra di Palestina. Hanno bisogno di me per continuare ad informare con manifestazione, video, racconti, hanno bisogno di te come valoroso testimone della violenza israeliana che hai incontrato a soli sedici anni. Il sionismo ha la necessità di spegnere la speranza, spegnere le vite, per poter affermare il suo dominio con espulsioni, pulizia etnica e apartheid, per contrastare questo progetto ti faccio una proposta. Caro Sami, ti propongo di scegliere la vita al martirio, scegliendo di comune accordo di sospendere il nostro sciopero per camminare insieme nella lotta di liberazione del popolo palestinese, t’invito a sospendere insieme, io in Italia tu nelle carceri israeliane, lo sciopero in corso e sostituirlo con la lotta collettiva, quotidiana, che un giorno, insieme a tutti le persone che resistono e solidarizzano col tuo popolo, porterà sicuramente alla liberazione della tua terra. Come fratelli aspetteremo insieme la tua liberazione, divideremo poi lo stesso boccone, la stessa casa. Condivideremo la tua casa in Palestina ricostruita con i colori della primavera e gli ulivi della Calabria, la mia in Calabria con i colori e la bandiera della tua terra. Quello che ti chiedo non è la rinuncia alla lotta, è un appello alla vita per poter lottare con più energia, abbracceremo insieme le nostre mamme, le nostre sorelle e i nostri fratelli, insieme, io in Italia e tu in Palestina. Una volta liberato dalle catene israeliane, faremo di tutto per farti venire in Italia per raccontare la tua storia di resistenza, ti accoglieremo con le canzoni dei nostri partigiani che ci liberarono dal nazifascismo, io ti seguirò, poi, in Palestina e tu mi guiderai nei villaggi simbolo delle rivolte, della resistenza, dell’arte, della musica della tua adorata Palestina. Concludo con le parole Mahmud Darwsh: Se gridi con tutte le tue forze e l’eco ti risponde: “Chi c’è” Dì alla tua identità: Grazie! In attesa di una tua risposta, un grande abbraccio Rosario - Invictapalestina

Issawi Samer

"Salvate Samer Issawi"

"Salvate Samer Issawi" Si moltiplicano gli appelli per la liberazione immediata di Samer Issawi in sciopero della fame e in condizioni critiche. Da Israele nessun segnale di flessibilità. di Michele Giorgio Gerusalemme, 19 febbraio 2013, Nena News - Corrono sulla rete gli appelli per salvare la vita di Samer Issawi e degli altri detenuti politici palestinesi in sciopero della fame nelle carceri israeliane. E assieme agli appelli si moltiplicano le manifestazioni in Cisgiordania e Gaza a sostegno dei prigionieri, alle quali i militari israeliani reagiscono con la forza. Ieri Israele ha anche smentito le voci che vorrebbero la scarcerazione del leader di Fatah Marwan Barghouti e del segretario del Fronte popolare Ahmed Saadat, durante la visita che il presidente americano Barack Obama farà in Israele tra poco più di un mese. Samer Issawi, 33 anni di Gerusalemme Est, porta avanti la battaglia contro la detenzione amministrativa (il carcere senza processo e accuse provate) già condotta da Khader Adnan, Hana Shalabi e altri prigionieri. Anche a costo della vita. Digiuna da oltre 200 giorni ed è ancora vivo solo perchè nell'infermeria del carcere di Ramle gli iniettano flebo con glucosio, sali minerali e altri nutrimenti. Poco per tenerlo in vita ancora a lungo. Issawi, che ha perduto 47 kg e vive su di una sedia a rotelle, nelle foto appare poco più di uno scheletro. A fine gennaio aveva anche smesso di bere acqua, per poi ricominciare convinto dalla Croce Rossa. «Il suo cuore potrebbe fermarsi in qualsiasi momento», ha avvertito Dalin el Shaer della campagna "Free Samer Issawi". Arrestato e incarcerato nel 2002 per appartenenza a un gruppo armato, Issawi era stato rilasciato nell'ottobre del 2011 nel quadro dello scambio tra il soldato israeliano Ghilad Shalit e un migliaio di detenuti palestinesi. A luglio 2012 però è stato accusato di aver violato i termini dell'accordo di rilascio: non uscire da Gerusalemme. Quindi è stato arrestato e incarcerato. Da allora protesta senza che da Israele arrivino segnali di flessibilità. I giudici si riuniranno solo tra un mese per esaminare la sua richiesta di scarcerazione. Intanto viene presa di mira anche la sua famiglia. Secondo Dalin el Shaer le autorità hanno tagliato l'acqua alla casa della sorella e l'abitazione di suo fratello è stata demolita. Un altro fratello, Shadi, è stato arrestato tre giorni fa. Ma Samer Issawi è sempre più convinto di portare avanti la sua battaglia. Assieme a lui continuano lo sciopero della fame Tareq Qadan, Jaffar Ezzedin e Ayman Sharawneh. Si è mossa anche l'Anp: il presidente Abu Mazen ha fatto appello alla comunità internazionale affinché intervenga e salvi la vita dei prigionieri in sciopero della fame. E' sceso in campo con un appello simile il deputato palestinese Mustafa Barghouti mentre il Rapporteur delle Nazioni Unite per i diritti umani, Richard Falk, ha parlato di «detenzione disumana». «Se Israele - ha detto Falk - non è in grado di portare prove di una loro colpevolezza, allora devono essere scarcerati subito». Nena News

mercoledì 20 febbraio 2013

Testimonianza dalla Siria lacerata dal conflitto

Testimonianza dalla Siria lacerata dal conflitto Crudele ipocrisia delle sanzioni: la guerra che voi state facendo Editoriale delle sorelle trappiste in Siria da Avvenire (pg.26) di domenica 17 Febbraio 2013 Ancora un bollettino di guerra. Ma stavolta non quella che stanno combattendo esercito e ribelli, una guerra che è diretta da grandi potenze e grandi interessi, e che ci supera, noi e voi che leggete. Vi imploriamo di riflettere su una guerra a cui si dà il consenso in nome di una sedicente prassi democratica. Stiamo parlando delle sanzioni internazionali, e della strage quotidiana che provocano. Ci commuoviamo e ci indigniamo (giustamente) alla notizia che in un bombardamento sono morti bambini e donne. Perché non ci sconvolge il fatto che ci siano intere famiglie ridotte alla fame a causa nostra ? Pensate sia più duro morire improvvisamente sotto le bombe o morire di inedia, un giorno dopo l’ altro ? E’ più crudele raccogliere il corpo dei propri figli sotto le macerie, o vederli lamentarsi e soffrire per giorni per mancanza di medicine ? Le sanzioni stanno uccidendo molto più delle bombe. Uccidono i corpi; uccidono la speranza. Uomini che da mesi non hanno, e non hanno prospettive di trovarne: nella sola zona di Aleppo, 1.500 officine, laboratori, piccole industrie distrutte. I macchinari rubati, e trasportati in Turchia. Una vera razzia. Con cosa si lavora, se manca tutto ? In città ci si inventa qualcosa, si vende di tutto pur di guadagnare almeno il pane. Si affitta un’ auto, ci si improvvisa trasportatori verso destinazioni pericolose, dove nessuno accetta di andare. Come George, padre di tre figli, che pur di lavorare è morto in questo modo ai confini della Turchia, ucciso da cecchini, “liberatori della Siria”. In molte campagne i contadini non osano seminare: troppo pericoloso. Manca il gasolio, senza gasolio non vanno le pompe dell’ acqua, con cosa si irriga ? E i trattamenti e i concimi, molti dei quali importati, soprattutto dopo che sono state bruciate fabbriche chimiche e magazzini, sono costosissimi e, anche se si dispone di denaro, spesso introvabili. I più poveri, che hanno solo qualche mucca, la stanno vendendo: tra mangimi e foraggi il costo degli alimenti è al minimo 60-70 lire siriane al chilo, quando un litro di latte si vende a 25. I rapimenti, in rapida crescita, e la delinquenza, sono un’ altra conseguenza delle sanzioni. Certo, direte: che ingenuità ! Le sanzioni sono fatte apposta per esasperare un Paese, e un Paese esasperato significa pressione sui suoi politici e quindi un intervento democratico efficace. E’ ciò che vogliono i nostri politici. Ma la nostra domanda è: lo volete anche voi ? Volete davvero questo ? Volete avere responsabilità sulla sofferenza e la morte di tante persone innocenti, in nome di un “intervento” che loro non vi hanno chiesto ? Si, il popolo siriano vuole la sua libertà e i suoi diritti, ma non così, non in questo modo. Così si uccide la speranza, la dignità, e anche la vita fisica di un popolo. Siete convinti che bisogna pur pagare un prezzo per ottenere libertà e democrazia ? Allora digiunate, voi, nelle piazze europee, a favore della Siria. E lasciate che qui ognuno scelga se e come dare la vita per ciò che crede. Costringere un popolo alla fame, alla rabbia, alla disperazione, perché si ribelli, è forse metterlo in grado di esercitare una scelta democratica ? Che razza di idea di democrazia e di libertà è mai questa ? Il lavoro è una grande forza per un popolo, dà dignità, crea prospettive, educa alla libertà vera. Uccidere il lavoro è un altro modo di uccidere vite. Le sanzioni internazionali sono uno strumento iniquo, perché ipocrita: lascia l’ illusione di non sporcarsi le mani con il sangue altrui. La Siria stava crescendo, lentamente, anche contraddittoriamente, ma con continuità. E’ tornata cinquant’ anni indietro. E adesso si raccolgono milioni di dollari di aiuti umanitari, con spese enormi di invio, di distribuzione. Per dare cibo là dove si è lasciato bruciare il grano, per dare coperte là dove si sono lasciati distruggere i magazzini. Che senso ha ? Certo, deve esserci un guadagno per qualcuno, altrimenti che interesse avrebbe il mondo politico internazionale a dirigere le cose in questo modo ? Ma, alla fine, la nostra domanda è ancora: voi volete davvero questo ? Volete combattere questa guerra contro un intero popolo ? Se la vostra risposta è “no”, fate qualcosa. Ve lo chiediamo con tutte le nostre forze e la nostra preghiera, a nome di tanti siriani. Raccogliete firme, fate petizioni a livello europeo, promuovete incontri per sensibilizzare la gente, create associazioni di persone e di imprenditori che facciano pressione per riaprire il commercio con la Siria. Pensate voi agli strumenti, ma fate qualcosa. E in fretta. C’e’ gente che muore, tanta. E tanta che se ne va, per sempre.

martedì 19 febbraio 2013

Continua la lotta non violenta a rischio della loro vita dei detenuti palestinesi contro la detenzione amministrativa

continua la lotta non violenta a rischio della loro vita dei detenuti palestinesi contro la detenzione amministrativa praticata da Israele. Una pratica che cancella i principi dell'habeas corpus presa in prestito dai paesi occidentali ( vedi gli Usa con Guantanamo, con l'uso dei droni, l'Inghilterra nei confronti dell'IRA). carlo http://lepersoneeladignita.corriere.it/2013/02/17/israele-detenuto-palestinese-in-fin-di-vita-dopo-oltre-200-giorni-di-sciopero-della-fame/ Samer Issawi, 34 anni, è uno dei sei detenuti palestinesi in sciopero della fame nelle carceri israeliane. Dopo 209 giorni di protesta, la sua vita è in grave pericolo. Portato al centro di detenzione di Moscobiyya, è stato interrogato per 28 giorni, per i primi 23 dei quali senza poter contattare il suo avvocato. In seguito, è stato trasferito nel carcere di Nafha, nel deserto del Negev. Il 1° agosto, di fronte al rifiuto delle autorità militari israeliane di rendere noti i motivi dell’arresto, ha iniziato lo sciopero della fame. Secondo l’istituto della detenzione amministrativa praticata dall'occupante, quelle condizioni sono segrete e dunque né Issawi né il suo avvocato possono sapere in che modo sarebbero state violate. Se i giudici concludessero che effettivamente vi è stata quella violazione, Issawi dovrebbe riprendere a scontare la condanna, interrotta al momento del rilascio. Il tribunale di primo grado di Gerusalemme, dopo una prima udienza tenutasi il 18 dicembre, si è riservato di decidere. Quel giorno Issawi è entrato in aula legato a una sedia a rotelle e scortato dalle forze speciali di polizia. Quando ha cercato di salutare la madre e la sorella, presenti in aula, gli agenti lo hanno colpito al collo, al torace e allo stomaco. Mentre veniva portato fuori dal tribunale, è caduto dalla sedia a rotelle. Poco dopo, l’esercito israeliano ha fatto irruzione nella casa di famiglia, a Issawiya, arrestando la sorella Shirin. È stata rilasciata 24 ore dopo dietro pagamento di una cauzione di 650 euro, con l’obbligo di restare agli arresti domiciliari per 10 giorni e il divieto di far visita al fratello per sei mesi. Dall’inizio dello sciopero della fame Issawi ha trascorso la maggior parte del tempo nella clinica del carcere di Ramleh, salvo assistere all’udienza del 18 dicembre ed essere trasferito diverse volte in ospedali civili per per essere sottoposto a esami clinici urgenti. Secondo quanto riferito dal suo avvocato, nelle ultime settimane la salute di Issawi si è deteriorata rapidamente: il 31 gennaio pesava 47 chili. Il personale medico della clinica di Ramleh ha reso noto che potrebbe morire presto. Le manifestazioni di sostegno a Issawi crescono, in alcuni casi affrontate con la forza dall’esercito israeliano. L’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navy Pillay, ha espresso preoccupazione per la sorte di Issawi e ha chiesto che tutti i palestinesi in detenzione amministrativa siano rilasciati o incriminati e processati. Amnesty International teme che nella clinica del carcere di Ramleh Issawi non riceva cure urgenti e specialistiche di cui ha bisogno una persona in sciopero della fame da sei mesi. Per questo, l’organizzazione per i diritti umani ha lanciato un appello rivolto al direttore delle carceri israeliane, chiedendo che Issawi riceva cure mediche appropriate o che sia immediatamente rilasciato affinché possa ricevere i trattamenti medici urgenti e necessari di cui ha bisogno. In una lettera ricevuta dai familiari il 14 febbraio scorso Issawi ha assicurato che il suo sciopero proseguirà “fino alla libertà o al martirio”, aggiungendo di non essere intenzionato a “tradire i martiri del popolo palestinese, quelli di Gaza in particolare e nello specifico l’artefice dell’accordo di scambio, Ahmed al-Ja’abari e gli eroi dell’operazione Illusione svanita*, che hanno sacrificato la propria vita per portare a termine l’accordo di scambio”. Al-Issawi ha sottolineato che la sua libertà “è tutt’uno con quella del popolo palestinese”, aggiungendo che la sua non è una causa personale, bensì “è la causa di tutta la nazione”. ********************** Le iniziative in corso LIBERTA' PER SAMIR ISSAWI! PRIGIONIERO PALESTINESE, DETENUTO ILLEGALMENTE, IN SCIOPERO DELLA FAME DAL 1 AGOSTO 2012 PRESIDIO SABATO 23 FEBBRAIO DALLE ORE 10,30 VIA MONTEBELLO ANGOLO VIA VERDI - TORINO è possibile firmare l'appello di Amnesty International: http://www.amnesty.it/israele-Samer-Issawi-sciopero-della-fame "Non torno indietro". Lettera di Samer Issawi http://www.forumpalestina.org/news/2013/Febbraio13/18-02-13LetteraIssawi.htm La solidarietà attiva a Pontone in Calabria Martedì 19 febbraio Secondo giorno di sciopero della fame sulle gradinate della chiesa San Nicola di Bari a Pentone (CZ) Sveglia alle ore 6,30 con la visita della guardia medica che ha confermato lo stato di buona salute. Visite di Michele, Enzo Marino e Lauretta detta da biccherara, madre di 13 figli 3 dei quali emigrati negli Stati Uniti, ha portato latte e tè col silenzio della mamma consapevole della sofferenza altrui, mentre altri nel chiacchiericcio vuoto quotidiano, con la discarica di Alli a pochi chilometri strapiena di rifiuti, un progetto di centrale biomasse nel vicino parco della Sila, con i giovani senza nessuna prospettiva di lavoro, polemizzano sulla opportunità dell'iniziativa. Molti in paese sono preoccupati per il freddo soprattutto notturno, ma come si può sentire freddo se fra una incursione israeliana e l'altra si sogna la Palestina libera? Grazie per i messaggi di solidarietà di Miriam da Viterbo, Pina da Padova, Enrico, Giorgio e Consolata da Torino, Criss da Lisbona, Enrico da Roma, Silvia da Padova, Francesco da Milano, Patrizia da Gaza, Pati e Pamela da Lecce, Apicella da Londra, sicuramente ho dimenticato qualcuno! Per informazioni, risposte, materiale da diffondere: info@invictapalestina.org

sabato 16 febbraio 2013

Se questi morti sono solo nostri...

Una lettera del nuovo Sindaco di Lampedusa. Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa. Eletta a maggio 2012, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola? Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l'idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l'inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce. Sono indignata dall'assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell'Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull'immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l'unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l'Europa motivo di vergogna e disonore. In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l'unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche. Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all'accoglienza, che dà dignità di esseri umani a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all'Europa intera. Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza". Giusi Nicolini

lunedì 11 febbraio 2013

Aggiornamento del 10 febbraio: attivista ISM in sciopero della fame!

Marco ha deciso di resistere alla deportazione ed urgono DONAZIONI per far fronte alle spese legali Aggiornamento del 10 febbraio: attivista ISM in sciopero della fame! Dave e Marco sono detenuti nel carcere di Givon e rischiano la deportazione. Uno di loro, Marco Di Renzo (54 anni), ha deciso di iniziare uno sciopero della fame da stasera(ieri sera per chi legge) in solidarietà con i prigionieri politici palestinesi e per protestare contro la sua espulsione illegittima. Ha deciso anche di smettere di prendere i sui farmaci per la pressione sanguigna, esponendo la sua vita a seri rischi date le sue condizioni di salute dovute ad una precedente tiroidectomia. Le accuse contro di lui sono la presenza in una zona militare chiusa e l’aver aggredito un soldato con la sua macchina fotografica, accusa questa completamente falsa. 10 Febbraio 2013 | International Solidarity Movement, South Hebron Hills, Palestina Occupata. Due attivisti dell’ISM (International Solidarity Movement), sono stati arrestati nel villaggio di Canaan e si trovano ora di fronte ad un procedimento di espulsione. Ci si aspetta che giungano di fronte al tribunale a Gerusalemme nel corso della giornata. Forze di occupazione israeliane ieri hanno sventato due tentativi da parte di attivisti palestinesi di stabilire un nuovo villaggio vicino Yata, nelle colline a sud di Hebron, per protestare contro la politica d’insediamenti illegali di Israele. L'avamposto, denominato "Canaan Village", è il quinto di una serie di accampamenti di protesta che sono stati messi in atto in seguito alla costruzione di Bab Al-Shams il mese scorso. L'obiettivo di questi villaggi improvvisati è quello di riappropriarsi della proprietà palestinese della terra, attraverso azioni concrete, e di protestare contro gli insediamenti illegali di Israele. Sabato mattina presto, circa 30 attivisti sono stati bloccati nel loro tentativo di costruire le tende, vicino all’insediamento Karmel, dai soldati israeliani che sono arrivati sulla scena per rimuovere il telaio in acciaio delle tende e confiscare parte del materiale. "Siamo venuti qui per costruire un villaggio palestinese su terra palestinese, e per utilizzare liberamente la nostra terra nel modo che vogliamo. In quanto palestinesi, abbiamo il diritto di possedere questa terra." Dichiara Younis Araar, attivista e coordinatore dei comitati popolari nel sud della West Bank. Per nulla scoraggiati dal rapido intervento dell'esercito e la demolizione delle tende, gli attivisti si sono riorganizzate e si sono spostati vicino a Tuwani per ricostruire il villaggio intorno alle ore 9. Circa 40 attivisti, utilizzando il materiale residuo, hanno costruito una tenda e l’hanno circondata con dei muri di pietra, piantando nel suolo la bandiera palestinese. Così il villaggio di Canaan è stato ripristinato come proprietà palestinese in una zona di terra che si trova sotto la minaccia di confisca a causa delle estensioni previste per il vicino insediamento di Ma'on. Il numero dei manifestanti è cresciuto, a poco a poco la popolazione nelle vicinanze e altri attivisti si sono aggiunti e sono entrati in azione, fino a raggiungere circa le 120 persone. Mezz'ora dopo l’arrivo dei manifestanti, l'esercito è arrivato sul posto ed ha dichiarato l'area, fra i canti degli attivisti palestinesi, zona militare chiusa. L'esercito ha poi utilizzato grandi quantità di “skunk water”(l’acqua chimica puzzolente) contro i manifestanti. Dopo aver disperso la folla, i soldati hanno sparato il getto d’acqua direttamente contro la tenda e gli attivisti che si erano rifiutati di abbandonarla, nonostante l'odore terribile, causando il crollo della tenda stessa sotto la pressione dell’acqua. Gli attivisti hanno abbandonato la tenda e l'esercito ha assunto il controllo dello spiazzo dove era situata la tenda, ormai distrutta. Tuttavia, i manifestanti si sono rifiutati di abbandonare la zona ed hanno continuato a cantare rivolti verso i soldati. Vari giornalisti, fotografi e videoreporter si trovavano sul posto ed hanno documentato gli eventi. Senza alcun motivo apparente, i soldati improvvisamente balzarono in avanti, afferrando un videoreporter palestinese nel tentativo di arrestarlo, il che ha suscitato l’intervento della folla di attivisti che hanno funto da scudo nel tentativo d’impedire l’arresto. Sono seguiti scontri tra decine di manifestanti ed i soldati, che hanno condotto a numerosi arresti, tra cui almeno tre giornalisti ed un volontario italiano dell’ISM. Poco dopo, una donna è rimasta ferita a causa del tentativo di arresto da parte dei soldati, suscitando, di conseguenza, ulteriori scontri tra esercito ed i manifestanti che hanno cercato di proteggerla. Il risultato è stato un ulteriore arresto di un altro palestinese ed un volontario inglese dell’ISM. Secondo un portavoce dell'esercito, sono stati arrestati cinque palestinesi durante l’azione. In seguito alla tenda rubata dall'esercito, ed ai diversi fotografi e videoreporter arrestati ed intimiditi, la protesta sembra perdere il suo vigore e la sua organizzazione intorno alle ore 11. Anche se gli abitanti dei villaggi e altri attivisti hanno continuato a manifestare, non sono state coordinate ulteriori azioni e l’esercito non è intervenuto ulteriormente per disperdere i manifestanti. Nel corso delle successive 3 o 4 ore, le persone erano per lo più sedute nella zona, sparse nel campo e nella strada che porta ad esso, chiacchierando tra loro, con l'esercito in piedi a guardare. Solo un paio di dozzine di persone sono rimaste davanti, di fronte alla fila dei soldati. Queste ultime, tuttavia, sono riuscite a raccogliersi in due lunghe file, proprio di fronte ai soldati, per recitare la preghiera Dhuhr, in un magnifico atto di resistenza non-violenta. Nonostante la breve esistenza del villaggio Canaan, questa è parte di una serie incoraggiante di villaggi di protesta sorti nel corso dell'ultimo mese. Mentre la Cisgiordania ha visto un aumento delle azioni di attivismo diretto nel corso delle ultime settimane, la comunità internazionale sta diventando sempre più critica nei confronti della politica degli insediamenti illegali di Israele e delle altre azioni in netta violazione del diritto internazionale. Segni questi di speranza per il popolo palestinese e per la loro lotta per la giustizia e la dignità. Nel giorno del boicottaggio dei prodotti agricoli israeliani, Marco decide di resistere all’espulsione e di unirsi in sciopero della fame in solidarietà con i prigionieri politici palestinesi. Le spese legali hanno un costo di qualche migliaia di euro, chi volesse dare il suo contributo lo può fare attraverso questo link https://www.paypal.com/it/webapps/mpp/send inserendo luposolo@libero.it come e-mail. Dave e Marco sono detenuti nel carcere di Givon e rischiano la deportazione. Uno di loro, Marco Di Renzo (54 anni), ha deciso di iniziare uno sciopero della fame da stasera(ieri sera per chi legge) in solidarietà con i prigionieri politici palestinesi e per protestare contro la sua espulsione illegittima. Ha deciso anche di smettere di prendere i sui farmaci per la pressione sanguigna, esponendo la sua vita a seri rischi date le sue condizioni di salute dovute ad una precedente tiroidectomia. Le accuse contro di lui sono la presenza in una zona militare chiusa e l’aver aggredito un soldato con la sua macchina fotografica, accusa questa completamente falsa. 10 Febbraio 2013 | International Solidarity Movement, South Hebron Hills, Palestina Occupata. Due attivisti dell’ISM (International Solidarity Movement), sono stati arrestati nel villaggio di Canaan e si trovano ora di fronte ad un procedimento di espulsione. Ci si aspetta che giungano di fronte al tribunale a Gerusalemme nel corso della giornata. Forze di occupazione israeliane ieri hanno sventato due tentativi da parte di attivisti palestinesi di stabilire un nuovo villaggio vicino Yata, nelle colline a sud di Hebron, per protestare contro la politica d’insediamenti illegali di Israele. L'avamposto, denominato "Canaan Village", è il quinto di una serie di accampamenti di protesta che sono stati messi in atto in seguito alla costruzione di Bab Al-Shams il mese scorso. L'obiettivo di questi villaggi improvvisati è quello di riappropriarsi della proprietà palestinese della terra, attraverso azioni concrete, e di protestare contro gli insediamenti illegali di Israele. Sabato mattina presto, circa 30 attivisti sono stati bloccati nel loro tentativo di costruire le tende, vicino all’insediamento Karmel, dai soldati israeliani che sono arrivati sulla scena per rimuovere il telaio in acciaio delle tende e confiscare parte del materiale. "Siamo venuti qui per costruire un villaggio palestinese su terra palestinese, e per utilizzare liberamente la nostra terra nel modo che vogliamo. In quanto palestinesi, abbiamo il diritto di possedere questa terra." Dichiara Younis Araar, attivista e coordinatore dei comitati popolari nel sud della West Bank. Per nulla scoraggiati dal rapido intervento dell'esercito e la demolizione delle tende, gli attivisti si sono riorganizzate e si sono spostati vicino a Tuwani per ricostruire il villaggio intorno alle ore 9. Circa 40 attivisti, utilizzando il materiale residuo, hanno costruito una tenda e l’hanno circondata con dei muri di pietra, piantando nel suolo la bandiera palestinese. Così il villaggio di Canaan è stato ripristinato come proprietà palestinese in una zona di terra che si trova sotto la minaccia di confisca a causa delle estensioni previste per il vicino insediamento di Ma'on. Il numero dei manifestanti è cresciuto, a poco a poco la popolazione nelle vicinanze e altri attivisti si sono aggiunti e sono entrati in azione, fino a raggiungere circa le 120 persone. Mezz'ora dopo l’arrivo dei manifestanti, l'esercito è arrivato sul posto ed ha dichiarato l'area, fra i canti degli attivisti palestinesi, zona militare chiusa. L'esercito ha poi utilizzato grandi quantità di “skunk water”(l’acqua chimica puzzolente) contro i manifestanti. Dopo aver disperso la folla, i soldati hanno sparato il getto d’acqua direttamente contro la tenda e gli attivisti che si erano rifiutati di abbandonarla, nonostante l'odore terribile, causando il crollo della tenda stessa sotto la pressione dell’acqua. Gli attivisti hanno abbandonato la tenda e l'esercito ha assunto il controllo dello spiazzo dove era situata la tenda, ormai distrutta. Tuttavia, i manifestanti si sono rifiutati di abbandonare la zona ed hanno continuato a cantare rivolti verso i soldati. Vari giornalisti, fotografi e videoreporter si trovavano sul posto ed hanno documentato gli eventi. Senza alcun motivo apparente, i soldati improvvisamente balzarono in avanti, afferrando un videoreporter palestinese nel tentativo di arrestarlo, il che ha suscitato l’intervento della folla di attivisti che hanno funto da scudo nel tentativo d’impedire l’arresto. Sono seguiti scontri tra decine di manifestanti ed i soldati, che hanno condotto a numerosi arresti, tra cui almeno tre giornalisti ed un volontario italiano dell’ISM. Poco dopo, una donna è rimasta ferita a causa del tentativo di arresto da parte dei soldati, suscitando, di conseguenza, ulteriori scontri tra esercito ed i manifestanti che hanno cercato di proteggerla. Il risultato è stato un ulteriore arresto di un altro palestinese ed un volontario inglese dell’ISM. Secondo un portavoce dell'esercito, sono stati arrestati cinque palestinesi durante l’azione. In seguito alla tenda rubata dall'esercito, ed ai diversi fotografi e videoreporter arrestati ed intimiditi, la protesta sembra perdere il suo vigore e la sua organizzazione intorno alle ore 11. Anche se gli abitanti dei villaggi e altri attivisti hanno continuato a manifestare, non sono state coordinate ulteriori azioni e l’esercito non è intervenuto ulteriormente per disperdere i manifestanti. Nel corso delle successive 3 o 4 ore, le persone erano per lo più sedute nella zona, sparse nel campo e nella strada che porta ad esso, chiacchierando tra loro, con l'esercito in piedi a guardare. Solo un paio di dozzine di persone sono rimaste davanti, di fronte alla fila dei soldati. Queste ultime, tuttavia, sono riuscite a raccogliersi in due lunghe file, proprio di fronte ai soldati, per recitare la preghiera Dhuhr, in un magnifico atto di resistenza non-violenta. Nonostante la breve esistenza del villaggio Canaan, questa è parte di una serie incoraggiante di villaggi di protesta sorti nel corso dell'ultimo mese. Mentre la Cisgiordania ha visto un aumento delle azioni di attivismo diretto nel corso delle ultime settimane, la comunità internazionale sta diventando sempre più critica nei confronti della politica degli insediamenti illegali di Israele e delle altre azioni in netta violazione del diritto internazionale. Segni questi di speranza per il popolo palestinese e per la loro lotta per la giustizia e la dignità. Nel giorno del boicottaggio dei prodotti agricoli israeliani, Marco decide di resistere all’espulsione e di unirsi in sciopero della fame in solidarietà con i prigionieri politici palestinesi. Le spese legali hanno un costo di qualche migliaia di euro, chi volesse dare il suo contributo lo può fare attraverso questo link https://www.paypal.com/it/webapps/mpp/send inserendo luposolo@libero.it come e-mail.

domenica 10 febbraio 2013

Funerali di Bealid

Addio a Bealid, la piazza brucia

Manifestazioni e scontri violenti con la polizia. Il partito islamista Ennahda si spacca sulla decisione del premier di formare un governo tecnico. Oggi i funerali del leader d'opposizione di Marta Bellingreri TUNISI - Saracinesche abbassate, gente in corsa e panifici pieni. Non di gente che vuole comprare il pane, ma di chi si è infilato per proteggersi da fuoco, sassi e lacrimogeni. Camionette della polizia: ne conto sedici in una strada la cui ampiezza non supera i venti metri. Terrore scatenato da parte delle forze dell'ordine, repressione dei giovanissimi con le pietre in mano contro i gas lanciati ad altezza d'uomo: caos e barricate nelle strade interne del centro della città, alla stazione centrale di Place Barcelone, dove sono stati bloccati i treni verso la periferia, e nell'arteria principale, l'Avenue Bourghiba. Sono giorni di choc a Tunisi e in tutto il Paese. Mercoledì mattina, alla notizia dell'omicidio a sangue freddo di Chokri Belaid, leader del Movimento Patriottico Democratico Unito, marxista e panarabista, dirigente del Fronte Popolare, i cittadini si sono riversati di fronte al Ministero dell'Interno, come ieri davanti al Teatro Municipale. Prima della reazione violenta della polizia, c'era una massa abbattuta moralmente, ma decisa al grido: «Il popolo vuole la caduta del governo e la rivoluzione di nuovo» ma anche i cartelli «Belaid non è morto sotto la dittatura di Ben Ali, ma è stato assassinato col governo Ennahda» e le scritte sull'asfalto dell'Avenue: «Svegliatevi, l'Iran ha dato l'esempio». In effetti, le accuse partono verso il partito al governo, Ennahda. L'opposizione ha annunciato per oggi lo sciopero generale, che è indetto ora dal maggiore sindacato del paese, l'Ugtt, nello stesso giorno in cui si svolgeranno i funerali del leader. Per l'ultimo saluto al cimitero di Djellaz ci si aspetta una folla oceanica. Freddato alle otto del mattino con quattro colpi di arma da fuoco, di fronte al proprio domicilio, a quarantotto anni, Belaid, perseguitato dalle minacce già da qualche mese, lascia moglie e quattro figli e un vuoto nel paese per un popolo che lo stimava e non conosceva gli omicidi politici. La reazione e l'indignazione erano state forti già a fine ottobre, quando un altro leader di un partito laico, il Nidaa Tounes, era rimasto ucciso durante una manifestazione, nella città di Tataouine, nel sud della Tunisia, per mano della Lega di Protezione della Rivoluzione, considerato da molti il braccio armato del governo e fino a oggi ritenuto responsabile di vari episodi di violenza degli ultimo mesi. belaid c Era proprio contro la violenza politica che Belaid, figura di spicco, insieme al dirigente del Partito Comunista Hamma Hammami, della recente coalizione di sinistra, si schierava negli ultimi mesi. La sera prima che gli sparassero, al canale televisivo nazionale Nesma Tv, aveva dichiarato che Ennahda stava dando il via agli omicidi politici. Gli esecutori non hanno aspettato ventiquattro ore dalla sua affermazione per farlo fuori. Non appena diffusa la notizia della sua morte, in tutto il Paese sono scoppiate le rivolte e in alcuni casi le sedi del partito Ennahda sono state bruciate. Altissima la tensione nelle città di Sfax, Monastir, Beja, il Kef e a Gafsa, dove alla manifestazione sono confluiti in massa i giovani dai paesi circostanti, un ragazzo sarebbe morto negli scontri con la polizia, ma la notizia non è stata confermata. Il governo è nel caos, il partito islamista Ennahda, che da quasi un anno e mezzo guida la Tunisia (grazie anche a due alleati deboli, Ettakatol e Congresso per la Repubblica) si è spaccato dopo l'annuncio del primo ministro Hamadi Jebali di sostituire i suoi ministri con dei tecnocrati senza nessuna appartenenza politica. Il portavoce del partito guidato da Rached Gannouchi ha ribadito la necessità di rimanere al governo. E anche il presidente della repubblica tunisina, Moncef Marzouki, si è detto contrario alla decisione del premier, oltre a contestare la proposta di sciogliere l'Assemblea costituente sostenendo che si configurerebbe un colpo di Stato per aprire la strada ai militari. La notizia del fermo dell'autista di Belaid non ha trovato riscontri e al di là delle accuse, non ci sono ancora prove dell'omicidio di Belaid, le indagini sono aperte. Oggi si preannuncia un venerdì di fuoco mentre verrà celebrato il nuovo martire della Rivoluzione, ricordato ora in Tunisia con la sua frase: «Preferisco morire per le mie idee che di lassismo e vecchiaia».

sabato 2 febbraio 2013

Al Manatir tende

uno, due , mille Bab Al Shams, oggi è Al Manatir

da WWW.ASSOPACEPALESTINA.ORG uno, due , mille Bab Al Shams, oggi è Al Manatir Centinaia di residenti di Burin, villaggio nei pressi di Nablus, in collaborazione con i comitati popolari e attivisti palestinesi , hanno costruito un nuovo villaggio sulle terre minacciate dalla confisca e sotto continuo attacco da parte di fanatici coloni ebrei israeliani dell'insediamento di Har Brakha Gli hanno dato il nome di Al-Manatir, le capanne di pietra tradizionali costruite sui loro terreni agricoli, utilizzati come rifugio e ripostiglio Negli ultimi anni, il villaggio di Burin ha sofferto di frequenti attacchi dei coloni, sia dai coloni di Har Brakha che da quelli di Yitzhar. Gli attivisti sottolineano che il loro obiettivo principale è quello di sostenere la presenza sul territorio, proteggere dalla confisca e affermare sul terreno i diritti dei residenti Burin alla loro terra. Intanto gruppi di coloni di Har Brakha iniziato ad attaccare i palestinesi lanciandogli pietre . L'esercito, presente in grandi forze, ha sparato gas lacrimogeni e granate assordanti contro i palestinesi, ma fino ad ora, non è stato in grado allontanare i palestinesi "Questa attività mette in evidenza l'assoluta necessità di promuovere e rafforzare la cultura di base di auto-difesa della nostra terra", ha detto uno degli organizzatori. "Inoltre, l'azione mira a rimuovere i coloni e gli insediamenti di terra palestinese", ha aggiunto. Burin è un villaggio palestinese situato a 7 chilometri a sud-ovest della città di Nablus. Il villaggio di 2.500 abitanti su un area di 1.300 dunams. Terra e risorse idriche di Burin sono stati gradualmente ridotti dopo l'occupazione del 1967 israeliana a causa dell' espropriazione delle terre per far posto a insediamenti israeliani e basi militari. Dal 1982 più di 2.000 dunum di terra Burin sono stati dichiarati "terra di stato" dall'Amministrazione Civile Israeliana, e poi consegnato ai coloni di Har Brakha. Il paese è continuamente posto sotto attacco dei coloni, compreso l'uso di munizioni vere contro i residenti e l'incendio e la distruzione di proprietà e ulivi. Lunga vita Al Manatir, libertà per la palestina. lmorgantiniassopace@gmail.com www.assopacepalestina qui sotto comunicato dei comitati popolari Saturday, 2 February 2013 Palestinians Build Tents and Huts in Burin Village to Ward off Settlement Expansion Hundreds built the Manatir Neighborhood on the lands of the village, south-west of Nablus, which is routinely the target of settler attacks. Activists establishing the neighborhood of al-Manatir in Burin Activists establishing the neighborhood of al-Manatir in Burin Hundreds of Burin’s residents, together with Palestinian activists from across Palestine, established a new makeshift neighborhood of huts and tents in the village today, on lands threatened by confiscation by the adjacent Jewish-only settlement of Har Brakha. The new neighborhood is named Al-Manatir, after the traditional stone huts Palstinians built in their agricultural lands, which were used as shelter for the watchmen of the fields. In recent years, the village of Buring has suffered from frequent Settler attacks, launched from both the Har Brakha and the Yitzhar settlements. Activists stress that their main goal is to sustain presence on the land, as means of protecting it from confiscation and establishing the rights of Burin’s residents to their land. Shortly after the structures were established, groups of settlers from Har Brakha started to convene in the area and attack the Palestinians by throwing stones at them. The army, present in large forces, shot tear-gas and stun grenades at the Palestinians, but as of yet, was not able to drive the residents away. Media Contact: 0592400300 “This activity highlights the crucial need of enhancing and strengthening the culture of grassroots self-defense of our land”, said one of the organizers. “Furthermore, the action aims at removing settlers and settlements from Palestinian land”, she added. Israeli settlements and land-grab in the Occupied Territory has recently been highlighted by a report submitted to the UN’s Human Rights Council’s by an independent Fact-Finding Mission on Israeli Settlements in the Occupied Palestinian Territory. The report called has called on Israel to halt all settlement activity and to ensure accountability for the violations of Palestinians’ human rights, resulting from the settlements. The report also called on all relevant international actors, private or state-connected, to take “all necessary steps” to ensure that they were respecting human rights, “including by terminating their business interests in the settlements”. Burin is a Palestinian village in the Nablus District, located 7 kilometers south-west of the city of Nablus. The village’s 2500 residents reside on approximately1300 dunams (320 acres, 130 hectares). Land and water resources of Burin have gradually been reduced since the 1967 Israeli occupation due to expropriation for Israeli settlements and military bases. Since 1982 more than 2,000 dunams of Burin’s land have been declared "state land" by the Israeli Civil Administration, and then handed over to the settlers of Har Brakha. The village suffers from ongoing settler attacks, including the use of live ammunition against residents and the burning and destruction of property and olive trees.

Israele attacca la Siria e fomenta nuovi scenari di guerra

Mo, Israele, Siria, guerra Asia Times 130201 L’attacco aereo israeliano è solo un preludio By Victor Kotsev + Ha’aretz 130131 Assad, sotto assedio, trova improbabili alleati: Israele e un leader dell’opposizione leader Jack Khoury + Die Welt 130131 Nebbia fitta su un presunto attacco di Israele Michael Borgstede -------------------------------- - Inizialmente i militari libanesi hanno parlato di 12 aerei da guerra israeliani che hanno violato lo spazio aereo libanese in 24 ore, - poi giornali esteri hanno parlato di un attacco ad un convoglio siriano con missili anti-aerei russi SA-17; - poi di attacco ad un centro di ricerca militare siriano, con 2 soldati uccisi e 5 feriti; - poi che il centro presso Jermana era usato per produrre e immagazzinare armi chimiche. - Il think-tank americano, Strafor chiarisce che l’operazione aerea israeliana è durata dalle 4 pomeridiane del 29 alle 8 serali del 30 gennaio, alla ricerca di un obiettivo non fisso, non noto; potrebbe essere un convoglio di armi … o oppure un avvertimento per scoraggiare Hezbollah dal trasferire armi in Libano, mentre la crisi siriana peggiora. - Gli attacchi sarebbero in realtà stati due, o il governo siriano ha parlato di attacco israeliano contro un laboratorio di ricerca, o Hezbollah di un attacco contro un centro di ricerca militare, su armi chimiche? Nell’area attorno al centro di Djamraja ci sono scontri tra soldati del governo e ribelli, e Israele non vuole che armi non convenzionali finiscano nelle mani sbagliate (!!). - Il governo israeliano nelle scorse settimane ha lanciato diversi avvertimenti sulla possibilità che armi chimiche siriane finiscano a Hezbollah, e ha preparato un’operazione militare, con il dispiegamento di almeno due batterie antimissili Iron Dome nel Nord di Israele. Gli SA-17 preoccupano gli israeliani non meno delle armi chimiche; sono diffusi e non sotto il controllo del regime. - Quadro internazionale: o un alto diplomatico iraniano ha dichiarato che un attacco alla Siria è considerato un attacco all’Iran e ai suoi alleati. § Qualche art. della stampa israeliana dice che l’Iran potrebbe aver appositamente costruito il caso per distrarre l’attenzione dalla guerra civile in Siria (finora costata più 60 000 vittime), e dal nucleare iraniano. o La Russia, un altro alleato della Siria, sta facendo le maggiori esercitazioni navali dal crollo dell’Urss, al largo delle coste siriane. Gli Usa (secondo Ha’aretz, 27/28.01.2013) hanno di recente aggiornato i caccia F-22 negli Emirati Arabi uniti, e chiesto a Giordania a Turchia di entrare in azione se la Siria usa armi chimiche. Dure critiche all’attacco israeliano anche da parte della Lega Araba e della Russia, che parla di violazione della “carta ONU”. - NYT: funzionari governativi americani hanno confermato l’attacco israeliano, il governo israeliano avrebbe preventivamente informato quello americano, il primo ministro israeliano avrebbe inviato a Mosca il consigliere per la sicurezza nazionale. - La notizia dell’attacco israeliano è giunta mentre il presidente della Coalizione Nazionale Siriana (CoalNazSir), Moaz al-Khatib, a sorpresa ha dichiarato di essere disposto a negoziare con rappresentanti del regime siriano, per fermare i massacri e avviare un governo ad interim. - Il Consiglio Nazionale Siriano (CNS), membro della CoalNazSir diretta da Khatib, ha reagito dichiarando che la posizione di Khatib non rappresenta la CoalNazSir, e va contro la dichiarazione della conferenza di Doha: niente negoziati con un regime criminale come quello di Assad. - Per la stampa araba la dichiarazione di Khatib o è un’ammissione dell’opposizione di non essere riuscita a convincere la comunità internazionale ad intervenire in Siria, come ha fatto per la Libia e il Mali; o esprime un accordo di principio alla proposta del regime di un dialogo nazionale multilaterale. - la richiesta di un dialogo nazionale ha ricevuto appoggio da o Syrian National Coordination Body (Organismo di coordinamento nazionale siriano) capeggiato da Haytham Mana’a, un membro dell’opposizione che non fa parte della coalizione delle forze di opposizione all’estero, e che da Ginevra ha chiesto a Usa e Russia di appoggiare il piano. da intellettuali e scrittori siriani di primo piano, dichiarando che la Siria è diventata teatro di guerra in cui si combatte per gli interessi strategici dei paesi della regione invece che per il benessere della popolazione siriana. [R+T]