lunedì 25 febbraio 2013

In ricordo di Jaradat Arafat.

Sempre, veramente sempre, l’ultimo istante della vita si chiude con l’arresto cardiaco. Anche ad Arafat Jadarat la morte è arrivata perché gli si è fermato il cuore. Lo sostengono gli opinion maker di mezzo mondo, a partire da Rights Reporter, cui fanno eco anche più democratiche testate. Ma il cuore di Jaradat era sano fino a cinque giorni prima della morte nel carcere israeliano di Megiddo, dove era stato portato dai soldati dell’esercito occupante israeliano, perché reo di legittime proteste contro l’illegale occupazione del suo paese. Conoscete Al Khalil, vale a dire Hebron? Chiunque sia stato nella zona di Hebron non può che chiedersi come sia possibile sostenere l’occupazione israeliana, l’appropriarsi di terre e case da parte di fuorilegge integralisti ebrei, detti coloni, coperti e protetti dall’IDF. La polizia israeliana ha aperto un’inchiesta dalla quale emergerà che Arafat è morto per infarto, lo sappiamo, conosciamo bene la legalità israeliana, l’abbiamo vista all’opera per la strage sulla Mavi Marmara, per il massacro di piombo fuso e per tante altre stragi e violazioni di diversa gravità che da oltre 64 anni accompagnano l’esistenza dello Stato di Israele. In queste ore, nelle strade della Cisgiordania si grida forte contro l’occupante, e il primo ministro israeliano, l’uomo amato dalla destra di tutto il mondo e giustificato dai democratici di mezzo mondo, ha intimato al presidente dello Stato di Palestina, Abu Mazen, di far cessare i disordini e in cambio restituirà i soldi sequestrati illegalmente, ovvero momentaneamente rubati ai palestinesi. Ricatto tanto più odioso in quanto basato sullo scambio tra un furto di denaro e un tentato furto di dignità e di diritti. E invece che suggerire a Netanyahu di vergognarsi, sentiamo le voci lamentose dei filo sionisti nostrani, e non solo, parlare di pretesto per la terza intifada e di odio antiebraico. Se non fosse un leit motif inflazionato e stantìo ci sarebbe da stupirsi per l’assurdo rovesciamento dei ruoli che vorrebbe trasformare in odio religioso quello che è solo il legittimo agire di un popolo che chiede il rispetto dei propri diritti. Arafat Jaradat è un martire. Uno dei numerosissimi martiri palestinesi. Martire, etimologicamente, significa testimone, e Jaradat vorremmo fosse l’ultimo testimone dell’ingiuria alla vita e al diritto universale che Israele commette con la tolleranza e/o la complicità del mondo democratico. Nell’Università in cui studiava, nella famiglia che ha lasciato orfana, nella regione in cui viveva, nella Palestina tutta e nella società civile che conosce le violazioni commesse da Israele contro il popolo palestinese, si leva un grido che va a ricongiungersi con quello dei prigionieri politici in sciopero della fame che stanno rischiando di morire. Se questo grido si chiama Resistenza, ribellione o, tradotto in arabo, “Intifada”, non può che essere un segno di Dignità umana alta, nobile, che chiunque abbia a cuore i diritti umani è chiamato a sostenere. Patrizia Cecconi Presidente dell’Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus

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