I MONOLOGHI DI GAZA
DI ILARIA LUPO
Gaza – L’attacco militare israeliano della Striscia di Gaza nel dicembre 2008 – gennaio 2009 è stato estremamente violento a ha portato in 22 giorni alla morte
di 1380 palestinesi tra i quali 431 bambini. Almeno 5380 persone furono ferite, di cui 1872 bambini. Si stima a 100 000 il numero di persone evacuate
(World Health Organization, Gaza strip, Initial health needs assessments, Health Cluster, 16/02/2009.).
Case, scuole, ospedali, luoghi di culto e centri culturali sono stati distrutti. Un anno più tardi il blocco di Gaza continua e la sua separazione dalla Cisgiordania aumenta perché i cisgiordani sono stati totalmente impotenti di fronte al massacro e non hanno potuto venire in soccorso dei loro compatrioti palestinesi ghazawi.
I media contavano i morti e i feriti. Il mondo stava a guardare.
Qualcuno ha sentito?
Si presenta così il progetto “The Gaza Mono-logues” che ha aperto domenica a Gaza City in contemporanea a 50 città del mondo intero con i monologhi di 33 adolescenti palestinesi recitati da loro coetanei in 30 Paesi. Localmente lo spettacolo ha avuto luogo anche a Ramallah, Hebron, Deishe, Aida, Jenin e Nazareth.
Promosso da Ashtar Theatre, l’evento intende diffondere la voce delle vittime per non dimenticare e anche per sovvertire gli stereotipi dell’informazione internazionale, che riporta solo numeri e statistiche.
Il lancio a Gaza è avvenuto ieri mattina al porto, dove i ragazzi hanno messo in mare i testi sotto forma di barchette di carta.
La presentazione al Rashad Al-Shawa Theatre ha incluso l’intervento di John King – direttore di UNRWA – che ha espresso parole accese dichiarando di essere solidale con la sofferenza dei palestinesi e di condividere con loro la speranza di vedere Gaza finalmente liberata.
Mi ha ricevuto la direttrice artistica Iman Aoun. Abbiamo voluto coinvolgere il mondo intero data la rilevanza dell’iniziativa, perché se una parte del tuo corpo soffre non puoi semplicemente ignorarla – spiega – Siamo parte di una comunità internazionale e per noi è importante comunicare. Non si può avere l’ambizione di liberare una Nazione senza liberare le persone e non si possono liberare le persone se non si liberano le loro voci. -
Iman mi racconta che il profondo senso di paralisi verso il loro popolo ha mosso i palestinesi della Cisgiordania a cercare dei mezzi per trasmettere le testimonianze a culture anche lontanissime. La rete internazionale di Ashtar Theatre si è notevolmente espansa in questi mesi grazie al coinvolgimento di giovani che – da ogni parte – hanno sentito l’urgenza di partecipare e hanno risposto non solo nell’impegno teatrale, ma anche nel Forum del sito che ha permesso scambi a distanza tra adolescenti cresciuti in contesti completamente diversi.
La forza del progetto sta infatti in quest’apertura e nella possibilità di raccontarsi al di là di questioni politiche specifiche. I giovani ghazawi hanno sogni nel cassetto come tutti i giovani del mondo – mi dice Iman – e noi vogliamo dare rilievo a quest’aspetto in particolare, al fatto che i palestinesi non sono solo numeri per la stampa internazionale, ma che hanno gli stessi desideri dei loro coetanei in altri luoghi.
Per noi questo progetto “apolitico” è molto politico – continua Iman- Ashtar Theatre è nato a Gerusalemme Est nel 1991 e ha sedi anche a Ramallah e Gaza. Viviamo ogni giorno una realtà durissima. Lo spettacolo di Gerusalemme non ha avuto luogo perché uno degli attori è un martire ucciso da un colono a Silwan poco tempo fa. Ma anche di fronte alle circostanze più estreme, noi crediamo nel teatro come mezzo di cambiamento. E in questo caso soprattutto anche mezzo di incontro interculturale, che ci ha permesso di dialogare con il mondo e con le istituzioni internazionali. Ci esibiremo presso la sede delle Nazioni Unite a New York, il 29 novembre (Giornata di Solidarietà Internazionale con il Popolo Palestinese) dove performeranno insieme i giovani coinvolti, un rappresentante per Paese – e anche al Parlamento Europeo e all’Unesco. Chi prende le decisioni politiche deve ricordarsi che ha a che fare con esseri umani. -
L’origine dell’iniziativa sono sette mesi di seminari terapeutici che abbiamo svolto a Gaza con il gruppo di ragazzi per sostenerli nel loro cammino post-trauma. I risultati sono stati eccellenti e i monologhi sono nati proprio dalla chance che i giovani hanno avuto di affrontare i loro drammi sbloccando stati di shock e potendosi esprimere. C’è ancora molto lavoro e per noi quest’iniziativa è solo il primo passo. Continueremo i percorsi psico-terapeutici e gli spettacoli, coinvolgendo un sempre maggior numero di organizzazioni nel progetto. –
E ieri sera, i giovani testimoni dell’Inferno hanno avuto pubblicamente diritto di parola :
Gaza è una scatola di fiammiferi, e noi siamo i fiammiferi dentro la scatola (…) Quando è iniziata la guerra tutti i media erano focalizzati su di noi (..) Il mondo intero era occupato con quello che ci stava succedendo. Improvvisamente Aj.Jazeera scrisse “Breaking news : morte di Mohammed Al Hindi…” e ciò non era normale perchè quel Mohammed è mio zio, il fratello di mia madre. Questa televisione è orrenda, ancora prima che una persona sia colpita, mentre la pallottola è sulla strada verso il suo petto, la televisione ha già diffuso la notizia.
Mi piacerebbe essere il Presidente della Palestina per un giorno per arricchire di amore e pace le persone (…) Ma purtroppo io non sono il Presidente ed è per questo che c’è stata una guerra.
Il telefono squillò…La linea saltava durante la guerra…quindi eravamo contenti di sentire il suono del telefono…
- Pronto?
- Si?
- Qui parla l’esercito israeliano. Avete 5 minuti per lasciare la casa. Vi abbiamo avvertiti.
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