“I tuoi amici palestinesi hanno massacrato ancora dei civili innocenti!” Urla il commento al mio blog riferendosi all’uccisione di quattro coloni a Hebron. I coloni di Hebron e l’innocenza sono un accostamento altamente improbabile, ma il fatto è che sono dei civili, sia pure armati, e soprattutto sono israeliani. Dieci anni fa, nel pieno dell’Intifada mi trovavo a cena a casa di amici, una ragazza parente dei miei ospiti aveva acceso la televisione e subito si erano riversate nei nostri occhi le immagini insanguinate della rivolta. La notizia che ascoltavamo era quella di un omicidio “mirato” ma i militi avevano mirato a largo raggio e dei passanti erano morti assieme alla vittima designata. Avevo espresso la mia indignazione e subito arrivò la risposta della giovane “Chi ti dice che quei passanti erano innocenti? Chi ti dice che erano lì per caso?”. Da ciò si deduce che ogni civile israeliano, sia esso un ex militare, sia esso un violento colono, un giovane che non starebbe nella stessa scuola di un “arabo” o una fanciulla che tira pietre sui bambini di At Tuwani sono tutti innocenti. Al contrario i palestinesi sono per definizione colpevoli. Anche quando sono palesemente vittime non si usa questa espressione “vittime civili innocenti”, ma semmai passanti, essi non vengono assassinati, ma “rimangono uccisi”. Nel loro caso quindi non si può parlare di presunzione di innocenza neppure a livello giuridico, ma essi che siano bambini, adolescenti, madri di famiglia o vecchi cadenti dovranno dimostrare ogni volta di non essere colpevoli.
Il sindaco di Roma e quelli di altre città italiane hanno esposto un enorme poster con la faccia di Gilad Shalit, il caporale catturato da alcuni membri di Hamas. La sua faccia giovane e sorridente è la quintessenza dell’innocenza. Shalit è diventato famoso in tutto il mondo suscitando commozione e partecipazione. Perché il sindaco di Roma non espone il ritratto di Mohammad Halabiyeh? E’ innocente Mohammad Halabiyeh, 16 anni, ma ne dimostra 13, rastrellato per strada mentre camminava con due amici e poi massacrato di botte, torturato dai militari perfino in ospedale, approfittando della distrazione dei sanitari, minacciato di morte e di violenza carnale e infine gettato in prigione e messo in una stanza con una rete chiamata gabbia? E’ innocente Abu Rhame che lotta per la sopravvivenza della sua famiglia e del suo villaggio? E’ innocente Sa’adat il leader del Fronte di liberazione che ha passato la vita tra una prigione e l’altra, compresa quella dell’ANP che non accetta critiche a sinistra? E’ innocente quest’uomo cui non si può imputare nessun’altro delitto che l’impegno politico? La risposta è no. Essi sono palestinesi e quindi “entità nemica” “terroristi” “cancro interno” scarafaggi e subumani.
Chi conosce i volti e le storie di quei diecimila all’incirca prigionieri palestinesi, tra cui donne e bambini, che marciscono nelle carceri israeliane, la maggior parte in detenzione amministrativa? Le loro storie sono cancellate, le loro labbra murate.
Ma non per chi li conosce, non per chi vede le cose per quelle che sono.
A giugno, quando si annunciava la manifestazione della comunità ebraica per la liberazione del soldato israeliano, è stato organizzato un sit-in per ricordare anche i diecimila prigionieri nelle carceri israeliane. La piazza del campidoglio si è popolata di candele e uno striscione ricordava che non uno, ma diecimila esseri umani si trovavano a soffrire una crudele detenzione con tutta probabilità più crudele di quella del soldato Shalit.
Non avevo potuto partecipare perché ero già impegnata nell’organizzazione della fiera della piccola editoria con una delle mie associazioni a Bassano. Il mattino dopo, era il secondo giorno della fiera e mi stavo affrettando ad aprire il locale quando mi ha raggiunto la telefonata di una compagna che aveva partecipato al sit-in. Era sconvolta e mi ha raccontato di un gruppo di energumeni armati di tirapugni che prendendoli alle spalle li ha massacrati di botte accanendosi particolarmente sui due palestinesi presenti, uno dei due, Ahmed, è stato ferito abbastanza gravemente e si trova tutt’ora in ospedale. A causa dell’aggressione ha perso la casa e il lavoro. Il gruppo si era staccato dalla manifestazione della comunità ebraica e l’aggressione si è ripetuta una seconda volta da parte di altri manifestanti in mezzo ai quali c’erano gli aggressori di prima, ben noti alle forze dell’ordine che non hanno chiesto loro neppure i documenti. La seconda aggressione è stata soprattutto verbale: parolacce, insulti, minacce e sputi. Sui giornali il giorno dopo abbiamo letto una storia completamente diversa. Si scriveva di famigliole innocenti aggredite da manifestanti pro-Palestina mentre ritornavano dal corteo. E’ successo a Roma quello che accade in Palestina e in Israele: non si può mettere in dubbio l’innocenza dell’”esercito più morale del mondo”. In un certo senso la Palestina è un laboratorio dove si sperimentano le varie tecniche di emarginazione, apartheid, repressione che poi potranno essere esportate in tutto il mondo affinché i buoni e gli innocenti possano tenere a freno la marmaglia dei colpevoli. Perché la categoria morale dell’innocenza richiama sempre quella opposta della colpa. E i colpevoli sono i poveri, i migranti, i clandestini, gli zingari, i popoli oppressi e tutti coloro che si oppongono all’interpretazione della realtà di chi si ritiene innocente e cioè l’occidente civilizzato, imperialista, bianco e colonizzatore.
Da che mi ricordo non mi sono mai sentita innocente, semmai mi ha accompagnato sempre un oscuro senso di colpa, un presagio di manchevolezza di incompletezza, la sensazione di non essere al mio posto, di mancare di legittimità. Caratteristiche dell’animo ebraico si diceva una volta. Ora l’animo ebraico è cambiato, in spregio al fatto incontestabile che la popolazione ebraica è costituita da gente di ogni sorta e cultura, tra cui arabi e africani e perfino cinesi e indiani, si sente non più il ponte tra Oriente e occidente, ma occidente e basta, occidente bianco, guerriero e sicuro di se. Non ha perso l’innocenza perché l’innocenza non esiste, a meno di essere perfettamente ignorante. Ma forse è proprio questa l’innocenza degli israeliani, non tutti, ma la maggioranza degli israeliani e degli ebrei della diaspora che li sostengono: ignoranza. L’ignoranza di chi non interroga più se stesso, di chi non conosce i propri fantasmi, di chi non vede più il nemico dentro di se e perciò non ha dubbi che il nemico sia fuori, anche mentre lo massacra. Dio ci scampi da questa “innocenza”!
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