Osservatorio Iraq, 21 ottobre 2010
Ci troviamo seduti in una delle case di Jeb al Theeb, un villaggio a sud di Betlemme, dove una donna palestinese ci descrive le condizioni di vita. Lei è un’insegnante, ma non riusciamo a distinguere la sua età perché l’abitazione, come tutto il villaggio, è al buio. L’unica luce che arriva, proviene dalla super illuminazione delle adiacenti colonie israeliane di Zebar, Al David e Nokdim.
Ci racconta la vita del villaggio?
Jeb al Theeb è un modesto villaggio palestinese, abitato da 150 persone di cui la maggior parte di giovane età; non ci sono molti anziani. Le infrastrutture sono scarse e le strade, completamente inaccessibili, obbligano gli abitanti a muoversi a piedi. Non c’è una scuola, i bambini devono fare parecchia strada per raggiungere quella più vicina, anche d’inverno sotto la pioggia. Non abbiamo più accesso alle nostre terre, i pastori non possono portar a pascolo le pecore e i bambini non possono andarci a giocare. Inoltre manca l’elettricità e di conseguenza non possiamo usare computer e televisione. I bambini non possono studiare dopo la scuola; come potete vedere già alle ore 17 fa buio. Studiare a lume di candela crea problemi alla vista.
Noi stiamo in una casa qui vicino dove, come nelle altre case in zona, c’è la corrente elettrica. Perché voi non potete averla?
Le case un po’ più distanti dalle colonie sono tranquillamente rifornite di elettricità perché non rappresentano un fastidio diretto; il nostro villaggio invece si trova in una zona a ridosso delle colonie israeliane, la cui strategia è palesemente quella di lasciarci senza corrente, negandoci i generi di prima necessità.
Oltre alla corrente elettrica, vi sono negati altri generi di prima necessità?
Sì. Spesso ci chiudono l’acqua e danneggiano le condutture, creandoci non poche difficoltà; già l’acqua scarseggia, per di più siamo costretti a razionare le poche scorte che ci rimangano.
Chi chiamate quando ci sono problemi con l’acqua?
Ci troviamo nell’Area C quindi non ci resta che chiamare gli israeliani. Vengono ma non fanno niente, non cambia mai nulla. Noi non abbiamo alcuna fiducia nelle autorità israeliane.
In questi mesi si parla molto della costruzione e dell’ampliamento delle colonie. A voi è permesso costruire?
Assolutamente no. Non solo non possiamo costruire né completare lavori già iniziati, ma addirittura le case vengono demolite dalle autorità israeliane, come ad esempio quella di mio fratello.
L’altro giorno abbiamo visto entrare nel villaggio un camioncino dei coloni. Vengono spesso?
È come se vivessero qui, fanno quello che vogliono, quando vogliono.
Vengono per intimidirvi? Per spaventarvi? Per provocarvi?
Vengono per tutti questi motivi. Giusto l’altro giorno mentre mi recavo al lavoro nelle prime ore del mattino ho visto un colono portare un centinaio delle sue capre tra gli ulivi di un abitante delle case intorno al villaggio che solo il giorno prima aveva rivendicato il suo diritto ad accedere alle proprie terre. Le capre hanno danneggiato sia le piante che i loro frutti.
Vediamo girare armati i coloni. Avete subito delle aggressioni da parte loro?
Purtroppo sì. Uno dei casi più gravi è stato quello di questo signore anziano qui accanto a me che è stato preso a bastonate e colpito con le pietre solo perché ha tentato di portare al pascolo le pecore nei suoi campi. Come vedete ha una profonda ferita alla testa. Non ha ricevuto cure immediate a causa dell’isolamento del villaggio. Solo successivamente è stato portato all’ospedale di Ramallah dove è stato sottoposto ad un difficile intervento chirurgico, il cui risultato fortunatamente è stato positivo.
Il colono che l’ha aggredito è stato perseguito legalmente?
Abbiamo chiamato le autorità israeliane. Sono venute e hanno scritto un verbale dell’accaduto, senza però prendere alcun provvedimento. È evidente che esiste una connivenza tra i coloni e le forze dell’ordine.
Quando il vostro villaggio ha cominciato ad avere problemi?
Più o meno 15 anni fa, quando hanno cominciato a costruire le colonie. Da piccola andavo a giocare nei campi. Ricordo che c’erano i fiori in primavera.
In che modo vi è stato comunicato che non potevate più andare nei vostri campi?
Sono venuti da noi mostrandoci un documento ufficiale del governo in base al quale da quel momento in poi ci veniva vietato accedere alle nostre terre. Lo stesso documento consentiva di sparare a chiunque di noi ci avesse provato. Ce l’hanno comunicato faccia a faccia.
Chi è che vi ha comunicato l’ordine? I soldati israeliani?
No.
L’amministrazione civile?
No, sono stati i coloni stessi. Come sapete ricevono ordini dall’alto. Inoltre, il governo gli dà tutta una serie di incentivi grazie ai quali stanno bene economicamente. Hanno pecore, trattori, cavalli e dromedari, insomma hanno di tutto.
Visto che tu non puoi più accedervi, qual è lo stato attuale delle tue terre?
Credo che i coloni ci vanno per prendersi le nostre olive. Di sicuro ci portano le pecore al pascolo, che poi si mangiano anche le foglie e le olive stesse.
Cos’è quel grande capannone illuminato che vediamo a poche centinaia di metri da qui?
È un impianto per produrre fertilizzante che è stato costruito due anni fa. Come avrete notato emana un cattivissimo odore per non parlare del fumo che fuoriesce dalle sue ciminiere. Noi chiudiamo sia porte che finestre ma il fumo penetra ugualmente nelle nostre case. Inoltre si tratta di sostanze chimiche che provocano anche gravi problemi di salute, specialmente ai nostri bambini.
Secondo te questo impianto è stato collocato lì di proposito?
Può darsi. Di certo a loro non gli importa niente di noi. Vogliono solo che ce ne andiamo e saranno contenti quando lo faremo.
E la gente se ne va?
Come avrete visto molte case sono state abbandonate dai loro proprietari stanchi dei continui soprusi e privazioni cui sono sottoposti. La vita qui è impossibile, come si fa nel XXI secolo a vivere senza corrente elettrica? Non abbiamo internet, non possiamo inviare email, i bambini non possono vedere i cartoni animati. Ma io non me ne vado. Potrei sicuramente avere una vita più confortevole altrove ma qui c’è la mia famiglia, questa è la mia terra. Rimango anche per tenere viva la speranza.
Intervista a cura dei volontari di “Raccogliendo la pace”, un progetto di interventi civili di pace in Palestina a sostegno della raccolta delle olive e a supporto del lavoro dei Comitati popolari di resistenza, promosso da Servizio civile internazionale, Associazione per la pace e Un Ponte Per
Nessun commento:
Posta un commento