Ritengo particolarmente interessante questa lettera, che ho tradotto perché i
lettori del Manifesto possano conoscere una realtà interna allo Stato
Israeliano poco pubblicizzata e poco nota. Prendono la parola i giovani
Mizrachi, i figli e i nipoti, come loro stessi dicono, di quegli ebrei che
sbarcarono spesso non volontariamente in Israele tra la fine degli anni 40 e
gli anni 60 del secolo scorso provenienti da una larga gamma di paesi del mondo
arabo e musulmano, dal Marocco all’Irak, alla Siria, allo Yemen, alla Turchia,
all’Iran e addirittura all’India. Questi ebrei arabi, che negli anni ’60- ’70
cominciarono ad essere designati con l’etichetta unificante (e fuorviante) di
“Mizrachi”, ebrei orientali, erano parte integrante del mondo musulmano ed
arabo e lo erano stati da tempo spesso immemorabile, ma furono costretti ad
assumere una identità “israeliana” e finirono per essere discriminati,
considerati dei paria all’interno della stessa Israele, che rinnegava ogni suo
legame (costituzionale, come giustamente Asor Rosa diceva qualche anno fa :
Israele era oriente e si fa occidente) con il mondo arabo e musulmano,
antagonizzato e demonizzato ai fini della costruzione dello stato sionista. In
tutti questi anni i Mizrachi sono spesso stati usati strumentalmente come
burattini e truppe d’assalto dalla destra israeliana più estrema, che ne
sfruttava il loro complesso di inferiorità nei confronti delle elites
israeliane discendenti dagli ebrei dell’Europa “bianca” e soprattutto dell’
Europa dell’Est (Askenaziti) al potere. Alcuni Mizrachi che hanno raggiunto
posizioni di potere lo hanno fatto incrementando i ranghi della estrema destra.
Per questo, la presa di coscienza dei profondi legami culturali e sociali
con i loro coetanei arabi e l’ammirazione per la loro rivolta politica è
estremamente importante: può far emergere una nuova spaccatura di classe
nella società israeliana e inserire un cuneo di lotta sociale che crei un
fronte di rivendicazioni comuni, sia con gli altri cittadini israeliani arabi,
circa il 20% della popolazione, che con le lotte palestinesi contro l’
occupazione. La “cementificazione” della società israeliana contro un comune
nemico arabo e palestinese può così cominciare a franare dall’interno.
Stefania Sinigaglia, rete Ebrei contro l’Occupazione (ECO)
Lettera aperta dei giovani Mizrachi ai loro coetanei Arabi (Jewish Peace
News, 25 aprile 2011)
“Ruh Jedida: un nuovo spirito per il 2011”
(tradotta dall’ebraico in inglese da Chana Morgenstern)
“Noi, in quanto discendenti delle comunità ebraiche del mondo arabo e
musulmano, del Medio Oriente e del Maghreb, e in quanto seconda e terza
generazione degli ebrei Mizrachi d’Israele, guardiamo con grande esaltazione e
curiosità al ruolo di primo piano che uomini e donne della nostra generazione
stanno svolgendo con tanto coraggio nelle manifestazioni a favore della libertà
e del cambiamento in tutto il mondo arabo. Noi ci identifichiamo con voi e
siamo pieni di speranza per il futuro di rivoluzioni che hanno già avuto
successo in Tunisia e in Egitto. Noi siamo egualmente addolorati e preoccupati
per le grandi perdite di vite umane in Libia, in Bahrain, in Yemen, in Siria e
molti altri luoghi della regione. La protesta della nostra generazione contro
la repressione e regimi oppressivi e crudeli, le sue invocazioni di
cambiamento, libertà e instaurazione di governi democratici che alimentino la
partecipazione ai processi politici, segna un momento drammatico nella storia
del Medio Oriente e del Nord Africa, una regione che per generazioni è stata
lacerata tra varie forze, internamente ed esternamente, e i cui leader hanno
spesso calpestato i diritti politici, economici e culturali dei loro
cittadini.
Noi siamo Israeliani, i figli e i nipoti degli ebrei che vissero in Medio
Oriente e in Nord Africa per centinaia e migliaia di anni. I nostri antenati,
uomini e donne, contribuirono allo sviluppo della cultura di quell’area, e ne
furono parte integrante. Quindi la cultura del mondo islamico, i legami multi-
generazionali e l’identificazione con questa regione è una componente
essenziale della nostra identità.
Noi siamo parte della storia religiosa, culturale, linguistica del Medio
Oriente e del Nord Africa, sebbene piuttosto ci sembra di essere i figli
dimenticati della sua storia: prima di tutto, in Israele, che proietta se
stesso e la sua cultura in una terra di mezzo tra Europa e Nord America. E poi
nel mondo arabo, che spesso accetta la dicotomia tra arabi e ebrei e la
visione fantasmatica di tutti gli ebrei come europei, e che ha preferito
reprimere la storia degli ebrei arabi in quanto capitolo minore o persino
inesistente della sua storia. Ed infine, tra le stesse comunità dei Mizrachi,
che sulla scia del colonialismo occidentale, del nazionalismo ebraico e del
nazionalismo arabo, hanno cominciato a vergognarsi del loro passato nel mondo
arabo.
Di conseguenza, noi abbiamo provato a fonderci con la corrente culturalmente
dominante (della società israeliana), cancellando o minimizzando il nostro
passato. Gli influssi reciproci e i rapporti tra cultura araba e cultura
ebraica sono stati sottoposti a violente forzature, volte a cancellarli nelle
generazioni più giovani, ma testimonianze (di tali incroci) si possono ancora
trovare in molte sfere della nostra vita, comprese la musica, la preghiera, la
lingua e la letteratura.
Desideriamo esprimere la nostra identificazione e la nostra speranza in questa
fase di transizione, nella nostra generazione, della storia del Medio Oriente
e del Nord Africa, e ci auguriamo che aprirà le porte alla libertà e alla
giustizia, ed a una equa distribuzione delle risorse di questa regione.
Noi ci rivolgiamo a voi, nostri coetanei nel mondo arabo e musulmano, e
cerchiamo un dialogo leale che ci potrà includere nella storia e nella cultura
della regione. Guardavamo con invidia alle immagini che venivano dalla Tunisia
e da Piazza Al-Tahrir, ammirando la vostra capacità di esprimere e organizzare
una resistenza civile non-violenta che ha portato centinaia di migliaia di
persone nelle strade e nelle piazze, e che ha infine costretto i vostri leader
a dimettersi.
Anche noi viviamo in un regime che in realtà, a dispetto delle sue pretese di
essere “illuminato” e “democratico”, non rappresenta larghe fette della sua
popolazione effettiva nei Territori Occupati e dentro i confini della Linea
Verde. Questo regime calpesta i diritti economici e sociali della maggior parte
dei suoi cittadini, sta riducendo le libertà democratiche, e costruisce
barriere razziste contro gli ebrei arabi, il popolo arabo, e la cultura araba.
A differenza dei cittadini di Tunisia e Egitto, siamo ben lontani dall’avere la
capacità di costruire il tipo di solidarietà tra vari gruppi che vediamo nei
vostri paesi, un movimento solidale che ci permetterebbe di unirci e di
marciare insieme – tutti noi che viviamo qui – nelle pubbliche piazze, per
chiedere un regime civile che sia giusto e inclusivo dal punto di vista
culturale, sociale ed economico.
Noi crediamo che, in quanto ebrei Mizrachi israeliani, la nostra lotta per
avere diritti economici, sociali e culturali, deve basarsi sull’idea che un
cambiamento politico non può dipendere dalle potenze occidentali che hanno
sfruttato la nostra regione e i suoi abitanti per molte generazioni. Un vero
cambiamento può solo venire da un dialogo intra-regionale e inter-religioso che
si riconnetta alla diverse lotte e ai movimenti attualmente attivi nel mondo
arabo. Nello specifico, dobbiamo dialogare ed essere solidali con le lotte dei
cittadini Palestinesi di Israele che combattono per eguali diritti economici e
politici e per l’abolizione delle leggi razziste, e con la lotta del popolo
palestinese che vive sotto occupazione israeliana nella West Bank e a Gaza,
quando chiede la fine dell’occupazione e l’indipendenza nazionale Palestinese.
Nella nostra precedente lettera scritta in seguito al discorso di Obama al
Cairo nel 2009, noi auspicavamo la nascita di una identità democratica medio-
orientale e una nostra inclusione in essa. Ora esprimiamo la speranza che la
nostra generazione, attraverso il mondo arabo, musulmano ed ebraico, sia una
generazione di ponti rinnovati che travalichi i muri e le ostilità create dalla
generazioni precedenti e possa rinverdire il profondo dialogo umano senza il
quale non ci possiamo capire: tra ebrei, sunniti, shiiti e cristiani, tra
curdi, berberi, turchi e persiani, tra mizrachi e askenaziti, e tra palestinesi
e israeliani. Noi facciamo riferimento al passato che abbiamo in comune con
voi, per guardare speranzosi ad un futuro in comune.
Noi abbiamo fede in un dialogo intra-regionale, il cui fine sarà quello di
riparare e riabilitare ciò che è stato distrutto durante le generazioni
precedenti, come catalizzatore di un rinnovamento del modello Andaluso di una
cultura partecipata musulmano-ebraico-cristiana, se Dio vorrà, Insha’Allah, e
di un sentiero che conduca ad un’epoca d’oro per i nostri paesi. Ma una tale
epoca non potrà arrivare senza eguali diritti di cittadinanza democratica,
eguale distribuzione di risorse, di opportunità, di educazione, eguaglianza tra
donne e uomini, senza l’accettazione di ognuno a prescindere dalla fede, razza,
posizione sociale, genere, orientamento sessuale o appartenenza etnica. Tutti
questi diritti hanno la stessa importanza nella costruzione della nuova società
cui aspiriamo. Noi ci impegnamo a raggiungere questi obiettivi all’interno di
un processo di dialogo tra i popoli del Medio Oriente e del Nord Africa, e un
dialogo interno tra le diverse comunità ebraiche dentro Israele e nel mondo.
(Seguono una sessantina di firme)
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