domenica 17 gennaio 2010

Gli insediamenti sono in espansione

martedì 12 Gennaio 2010 07:08 Mustafa Barghouthi |

The New York Times | International Herald Tribune, 16 dicembre 2009



Ramallah, West Bank. Ho vissuto l’intera mia vita di adulto sotto l’occupazione israeliana, mentre sui miei movimenti, sulla mia vita di tutti i giorni gli israeliani esercitavano un controllo assoluto.

Quando agenti di polizia israeliani mi costringono a sedermi per terra e i soldati mi picchiano durante una manifestazione pacifica, io reprimo il mio odio. Chi esercita diritti riconosciuti in tutto l’Occidente non dovrebbe mai essere costretto a sedersi per terra.



E’ profondamente preoccupante che l’amministrazione Obama non sia ancora in grado di tener testa a Israele e alla lobby filoisraeliana. Il nostro sogno di libertà è schiacciato sotto il peso degli insediamenti israeliani, sempre più grandi e inamovibili.



Giorni or sono, tutto quello che il portavoce del Dipartimento di Stato, Ian Kelly, è riuscito a dire di quelle costruzioni illegali è stato che incutono sgomento. Ogniqualvolta George Mitchell, l’inviato americano, parla di Gerusalemme Est, il ministro degli esteri israeliano, Avigdor Lieberman, si alza e se ne va.



E Javier Solana, vicino a lasciare la carica di capo della politica estera dell’Unione Europea, pretende che i palestinesi debbano fare passi avanti verso la creazione di uno Stato gradualmente, con calma, al momento opportuno. Aggiunge: non credo che questo sia il momento di parlarne.



Quando, per l’esattezza, è il momento opportuno per la libertà dei palestinesi? Mi appello alla persona che succede a Solana, Catherine Ashton, perché compia azioni concrete capaci di portare alla pace palestinese anziché posporla.



Se Israele persiste a rifarsi alle vecchie nozioni circa la determinazione della libertà di un altro popolo, allora incombe ai palestinesi di organizzarsi e dimostrare come sia moralmente ripugnante un tale modo di vedere.



Attraverso i decenni di occupazione e spossessamento, il 90 per cento della lotta palestinese è stato di carattere non violento, e la grande maggioranza dei palestinesi ha sostenuto questo metodo di lotta. Oggi i palestinesi che prendono parte alla resistenza organizzata non violenta sono sempre più numerosi.



Di fronte all’inerzia europea e americana, è cruciale per noi continuare a tenere viva la nostra cultura di impegno collettivo, mettendo in atto una vigorosa resistenza non violenta contro la dominazione che Israele esercita su di noi.



Sono azioni che chiunque, uomo, donna o bambino, può compiere. Il movimento non violento si sta sviluppando nei villaggi di Jayyous, Bilin e Naalin, dove il muro di separazione israeliano minaccia di cancellare la vita produttiva.



Il presidente Obama, forse involontariamente, ha incoraggiato i nostri sforzi in questo senso, nell’invocare nel suo discorso del Cairo la non violenza palestinese. I palestinesi, ha detto, devono metter fine alle azioni violente. Per secoli, i neri d’America hanno sofferto l’umiliazione e la segregazione. Ma non è stato con la violenza che hanno ottenuto pieni e pari diritti. E’ stato grazie a una pacifica e determinata insistenza sugli ideali che sono al centro della fondazione degli Stati Uniti.



Eppure, nei dieci mesi della presidenza Obama, senza che si facesse sentire la minima protesta da parte degli americani, i soldati israeliani hanno ucciso e ferito molti palestinesi non violenti, tra i quali ricordo soprattutto Bassem Abu Rahme, ucciso in aprile da un proiettile di gas lacrimogeno ad alta velocità. Con un proiettile simile in marzo è stato gravemente ferito dall’esercito israeliano il cittadino americano Tristan Anderson, che è tuttora in coma profondo. Entrambi protestavano contro il sequestro di terra da parte di Israele e contro il muro israeliano. Sono centinaia gli altri casi analoghi, sconosciuti all’esterno.



Una nuova generazione di leader palestinesi tenta di parlare al mondo il linguaggio della campagna non violenta di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, proprio come fecero Martin Luther King Junior e migliaia di altri afroamericani con il boicottaggio del bus di Montgomery a metà degli anni 50.



Riteniamo legittimo usare la stessa tattica per far rispettare i nostri diritti. Il mondo che respinge l’uso della violenza da parte dei palestinesi, anche nel caso di evidente autodifesa, non dovrebbe rimproverarci la non violenza a cui prima di noi ricorsero uomini come King e Gandhi.



Data la letargia dell’Occidente può essere ormai troppo tardi per la soluzione dei due Stati. Se davvero sarà così, la colpa ricadrà su chi non è stato capace di bloccare l’edificazione degli insediamenti da parte di Israele. Dichiarando che gli insediamenti a Gerusalemme Est continueranno a svilupparsi e nella West Bank vi saranno edifici pubblici e migliaia di unità abitative vi sono già in costruzione, Benjamin Netanyahu volge in ridicolo il termine “congelamento”.



Noi palestinesi siamo abituati agli avvertimenti di Netanyahu e non abbiamo nessuna intenzione di accettarli.



Se la soluzione dei due Stati si rivelerà impraticabile, la sola alternativa sarà una nuova lotta per la parità dei diritti, all’interno di un unico Stato. Israele, che così disastrosamente è per la supremazia anziché per l’integrazione dei suoi vicini palestinesi, avrà attirato su di sé la nuova lotta con il portare avanti inesorabilmente gli insediamenti. Nessuno potrà dire che non sia stato messo in guardia.



Alla fine saremo liberi nel nostro paese, sia nel caso si realizzi la soluzione dei due Stati ovvero in un nuovo Stato integrato.



C’è un momento in cui non si può più subire l’ingiustizia, e per i palestinesi questo momento è giunto.







Il dottor Mustafa Barghouthi è segretario generale della Palestinian National Initiative (Iniziativa nazionale palestinese) e membro del Consiglio Legislativo palestinese.



Testo originale in http://www.nytimes.com/2009/12/17/opinion/17iht-edbarghouthi.html?_r - tradotto da Marilla Boffito

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