* Israele: un altro colpo di pulizia etnica
Svuotarla dei palestinesi
Reema ha paura, parla con un filo di voce. «Sono palestinese, nata a Ramallah - racconta dopo averci chiesto di non rivelare la sua completa identità - ma ho vissuto con i miei genitori per molti anni negli Stati uniti e gli israeliani hanno annullato la mia residenza in Cisgiordania. Dopo il matrimonio, sette anni fa, sono tornata in Palestina e tutti i tentativi che ho fatto per recuperare la residenza non sono serviti». Per tre anni Reema, forte del suo passaporto americano, lasciava ogni tre mesi la Cisgiordania per rinnovare il visto turistico. «Poi - prosegue la donna - quando è nato il mio primo figlio ho rinunciato a queste partenze periodiche e da quattro anni sono illegale per la legge militare israeliana». Reema è palestinese, vive nella sua terra, nella città dove è nata. Eppure per gli occupanti è una «inflitrata» in Cisgiordania e da quando, due giorni fa, è entrata in vigore la versione aggiornata di un provvedimento militare del 1969 per la lotta ai «clandestini», Reema corre il rischio concreto di finire in manette, separata dal marito e dai figli, e deportata nel giro di 72 ore o di essere incarcerata. Come Reema tremano decine di migliaia di palestinesi che vivono in Cisgiordania senza aver mai ottenuto il riconoscimento israeliano. Uomini e donne di Gaza e di Gerusalemme Est, in non pochi casi sono nati e cresciuti all'estero e rientrati nella loro terra da adulti, il più delle volte dopo il matrimonio.
Il provvedimento militare ha provocato forti reazioni tra i palestinesi e nei paesi arabi. Dura la protesta dei centri per i diritti umani, anche israeliani. «Questi nuovi ordini di fatto sono un via libera all'arresto ed espulsione di migliaia di palestinesi», spiega Sara Bashi, del Centro di assistenza legale «Gisha», «sono parte di una serie di passi volti a svuotare la Cisgiordania dei palestinesi. Decine di migliaia di persone innocenti rischiano il carcere e lo stravolgimento totale della loro vita nonostante siano nella loro terra».
Sono passati 43 anni dall'inizio dell'occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est ma Israele continua a gestire il registro della popolazione civile palestinese, riservandosi il diritto di stabilire i criteri per la residenza nei Territori occupati. Il premier dell'Anp Salam Fayyad si affanna in queste ore a protestare ma quest'ultima mossa israeliana mette a nudo ancora una volta il fallimento del «governo autonomo palestinese» nato 16 anni fa, dopo gli accordi di Oslo. Ancora oggi il ministero dell'interno palestinese per emettere una carta d'identità deve ottenere l'autorizzazione delle autorità israeliane.
Nael è nato e cresciuto a Khan Yunis (Gaza). «A Ramallah sono arrivato nel 1996 - racconta - a quel tempo lavoravo per il ministero del lavoro ma da qualche anno ho una attività commerciale privata. Non ho la residenza e temo di essere riportato con la forza a Gaza e di non rivedere più moglie e figli». In pericolo sono anche i cittadini stranieri, sposati con palestinesi e privi di carta d'identità. Gli studenti originari di Gaza potrebbero seguire la sorte toccata nei mesi scorsi alla loro collega Berlanty Azzam, fermata ad un posto di blocco tra Ramallah e Betlemme e riportata nel giro di poche ore nella Striscia. I giudici israeliani non le hanno neppure riconosciuto il diritto di completare il corso di studi all'Università Cattolica di Betlemme.
Tel Aviv difende la sua politica. Mark Regev, portavoce del governo Netanyahu, nega che il provvedimento sia volto ad espellere palestinesi. «Al contrario - afferma - i giudici garantiranno i diritti legali di coloro che verranno trovati con i documenti non in regola. E in ogni caso le deportazioni non verranno eseguite prima di 72 ore, in modo da garantire la presentazione del ricorso». Le sue parole ieri sono state smentite categoricamente da HaMoked, il Centro per i diritti dell'individuo. «Gli ultimi ordini militari sono ambigui e, in realtà, prevedono la deportazione di una persona senza alcuna revisione da parte dei giudici - ha scritto HaMoked in un comunicato -, se da un lato un comandante militare deve riferire entro otto giorni ai giudici il provvedimento di deportazione, dall'altro le nuove disposizioni gli danno la possibilità di eseguire l'espulsione entro 72 ore, anche perché la persona arrestata non ha la possibilità di presentare ricorso su sua iniziativa». I nuovi provvedimenti, naturalmente, non si applicano nei confronti dei 450mila coloni israeliani che, risoluzioni internazionali alla mano, risiedono illegamente in Cisgiordania e Gerusalemme Est.
1 commento:
Sarà il tempo che ci dirà cosa sono nell'essenza questi bandi militari di cui tanto si parla. Ci sono 30.000 Gazzesi in Cisgiordania ed è impossibile espellerli a Gaza. Chi sarà forse espulso? Chi si macchia di terrorismo e non ha le carte in regola.
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