Partirà tra pochi giorni la flotta degli attivisti determinati a rompere l'assedio di Gaza
Gaza 06 maggio 2010 (foto dal sito imeu.net) Nena-News – Nella Striscia di Gaza sotto assedio, il necessario utilizzo dei generatori di corrente elettrica ha provocato nell’ultimo anno oltre cento morti.
A partire dal 2007, Israele ha limitato sempre più la quantità di combustibile per uso industriale consentito nella Striscia, e le consegne di carburante sono scese anche ben al di sotto dei 2,2 milioni di litri permessi ogni settimana, causando lunghe e frequenti interruzioni di corrente, anche di 16 ore consecutive.
I generatori fabbricati in Cina hanno portato un po’ di luce per gli abitanti di Gaza lasciati spesso al buio, ma hanno anche lasciato numerose famiglie in lutto. Lo sa bene Naseem Abu Jamaei, che ha perso tre dei suoi sei figli in un incendio causato dalla fuoriuscita del carburante immagazzinato nella sua cucina per alimentare un generatore. “L’anno scorso – secondo Muawiya Hassanein, capo dei servizi d’emergenza della Striscia di Gaza – 87 persone sono state uccise dagli incendi o da avvelenamento da monossido di carbonio e altre 23 persone sono state uccise nei primi quattro mesi del 2010″.
La ONG Oxfam sta distribuendo 20.000 opuscoli nelle cliniche, nelle scuole e in altri luoghi pubblici per dare istruzioni sull’uso sicuro dei generatori, che molti abitanti di Gaza non hanno mai usato prima che le interruzioni diventassero insopportabili. “Spesso ci sono vittime perché le persone fumano accanto ai generatori, o non si rendono conto dei rischi provocati dalle emissioni di monossido di carbonio”, ha affermato Karl Shembri.
Le organizzazioni per i diritti umani, sia internazionali che israeliane, continuano a puntare il dito sull’assedio parlando di “punizione collettiva” per l’intera popolazione di Gaza, che è considerata, malgrado il ritiro delle truppe di occupazione nel 2005, ancora sotto l’occupazione israeliana dal momento che Israele controlla l’accesso alla Striscia via mare e via terra ed esercita, insieme agli Stati Uniti, pressioni sull’Egitto per la chiusura del valico di Rafah.
Con l’isolamento di Gaza imposto dall’assedio si confronterà tra pochi giorni la flotta della coalizione internazionale delle ONG determinate a raggiungere via mare la Striscia. Martedì 5 maggio John Ging, direttore dell’Agenzia dell’ONU per i profughi palestinesi (UNRWA) ha fatto riferimento al progetto degli attivisti internazionali: “Crediamo che Israele non potrà intercettare le navi perché non ha alcuna giurisdizione sul mare aperto, e le organizzazioni dei diritti umani, portando a buon fine analoghe operazioni precedenti, hanno dimostrato che rompere l’assedio di Gaza è possibile”, ha detto Ging.
Nel corso di questo mese, la flotta partirà con tre cargo carichi di aiuti e cinque navi passeggeri nella più grande iniziativa coordinata a livello internazionale con lo sforzo di sfidare direttamente la violenza israeliana contro la popolazione palestinese della Striscia. Le navi salperanno dalla Grecia, dall’Irlanda e dalla Turchia con 5000 tonnellate di materiali da ricostruzione, materiale scolastico, e attrezzature mediche, e con circa 600 passeggeri provenienti da oltre 40 paesi. “Diamo il benvenuto alla dichiarazione di Ging, che riconosce la responsabilità della comunità internazionale di opporsi al blocco illegale che Israele ha imposto a Gaza – ha affermato Denis Halliday, ex vice segretario generale delle Nazioni Unite, che parteciperà al viaggio della flotta – A seguito del mancato intervento in corso dai nostri governi per costringere Israele al rispetto del diritto internazionale noi, cittadini del mondo, ci stiamo adoperando per difendere la giustizia”.
Aspetta giustizia anche Munir Abu Hisera, che gestisce un ristorante di pesce a Gaza City: “Le interruzioni di corrente ci stanno causando molte perdite – dice Hisera, che prima di chiudere il ristorante, di notte, riempie i suoi frigoriferi di ghiaccio – Cerco di non immagazzinare grandi quantità di pesce, perché non so quanto possono durare le interruzioni di corrente. A volte 8 ore, a volte 12, a volte anche 24 ore” afferma preoccupato. (red) Nena-News
2 commenti:
Uccide molto di più il rifiuto dei palestinesi di qualsiasi proposta di pace, e la loro perseveranza nel non accettare di convivere con Israele in pace.
Ho notato da tempo che tu parli sempre a vanvera o come una macchinetta propagandistica. Cosa vuol dire per te pace? Per i palestinesi significa prima di tutto rispetto dei diritti umani, come può esserci pace tra padroni e schiavi? Ma si, un bell'abbraccio amoroso, solo che non sarebbe amore, ma stupro. Quale pace ha proposto Israele ai palestinesi? Quella dell'assedio, del genocidio di Gaza, del disprezzo di ogni diritto o la pace eterna.
Se fossi un palestinese non potrei accettare la pax israeliana e lotterei fino alla morte
Mirko
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