22 luglio 2010 Jenin
La nostra prossima meta è Jenin, ci affrettiamo con i saluti perché siamo in ritardo.
Attraversiamo la città, 265mila abitanti, ma non abbiamo tempo per vedere molto, il governatore ci aspetta. Sono stupita dalla presenza di funzionari di chiara origine africana, tra qualche giorno mi spiegherò il perché. Il distretto di Jenin ha 12 municipalità, 4 campi profughi e 5 insediamenti, due fuori e tre dentro i muro. E’ a 75 km dalla linea verde. Ci sono anche due università, una delle quali araba-americana, insegnano materie scientifiche, umanistiche, agricoltura. Il governatore, Qadoura Mousa, ci parla di 500 martiri palestinesi (ma io temo ricordando il massacro del 2002 che siano molti di più) dice che il 20% dei feriti ha riportato handicap permanenti. In questa provincia sono state distrutte 6500 case, alcune in parte altre totalmente. Durante l’assedio la disoccupazione era al 72% che in due anni è scesa al 42% “Abbiamo progetti per abbassare il livello della disoccupazione” dice il governatore, poi ci parla dell’amicizia del popolo italiano fin dalla prima Intifada (1987) con l’associazione “Salaam, ragazzi dell’ulivo” e delle relazioni create tra le famiglie italiane e palestinesi, amicizia che continua tuttora anche attraverso il gemellaggio con città italiane. “Tanti” continua il governatore, “sono venuti durante l’assedio per portare solidarietà. Noi diciamo ai nostri amici - ambasciatori di pace -di vedere la Palestina come un popolo che subisce ingiustizie e ha pagato per tutto il mondo, che ha approfittato del nostro petrolio. Noi abbiamo applicato la road map speriamo che il mondo faccia altrettanto. Dicono che Jenin è il centro del terrorismo, ma fino a questo momento non c’è stata neppure una denuncia.” Poi ci parla dell’istruzione: l’analfabetismo non esiste, ma ci sono 4mila laureati senza lavoro, le studentesse universitarie sono il 54%, negli 83 punti di insediamento palestinese le donne sono rappresentate..
“Abbiamo in comune con voi italiani due cose” dice il governatore “la bandiera e l’ulivo” (la bandiera palestinese ha gli stessi colori di quella italiana con l’aggiunta del nero). C’è anche una terzo fatto che accomuna il governatore alla nostra delegazione, è membro del comitato centrale della MLR.
“Noi siamo stati contro il genocidio della Shoah, ma non possiamo capire quello che ora fanno passare a noi. Abbiamo accettato la pace per noi e loro e per tutti i bambini del mondo. Non ci sarà mai una stabilità nel mondo senza la soluzione della questione palestinese.”
Per quanto riguarda i progetti con l’Italia (non le istituzioni o le regioni, ma le ONG) alla fine di settembre avrà luogo un incontro a Verona per creare tre fabbriche di vestiti a Jenin e spaghetti e pelati da esportare nel mondo arabo, come pure il marmo. Il marmo locale è abbastanza pregiato, molte case della Cisgiordania hanno la copertura con questa pietra bianca, che dà loro una certa bellezza e particolarità. Comunque l’esportazione dei prodotti di Jenin è difficile come del resto per qualunque altro distretto della Cisgiordania.
E’ giunto il momento delle domande e qualcuno chiede “Perché vi fu tanta violenza a Jenin nel 2002?”
“La zona tra Jenin e Nablus fu chiamata “I monti del fuoco” da Napoleone Bonaparte e fin dai tempi di Salah Al Din è stata una zona fiera e combattente, la distruzione di Jenin (il campo profughi) funse anche da addestramento per la successiva occupazione di Bagdad.” Risponde il governatore. In quel periodo invasero il campo con 450 carri armati merkava, attraversarono le case distruggendo le pareti, la devastazione era pari a un terremoto di vaste proporzioni.
“Ci sentiamo ancora l’unico popolo al mondo occupato così.” Malgrado ciò “il 21 agosto rifaremo rivivere il cinema invitando 400 registi da tutto il mondo, stiamo ricostruendo il teatro per i bambini e per il settore privato.- Siamo come l’araba fenice - faremo rivivere la vita, la cultura, la poesia” . Si parla infine della resistenza non-violenta che dilaga di villaggio in villaggio. Il governatore sorride:
“vogliamo giocare a scacchi con gli israeliani”.
Dopo l’incontro visitiamo il Centro sociale giovanile del campo profughi. Il responsabile del centro che ha partecipato alla battaglia di Jenin, ci dice che il centro fu distrutto nel 2005 e ricostruito poi con gli aiuti dei paesi arabi, (Emirati Arabi Uniti). Viene utilizzato dai ragazzi dagli 8 anni all’università. Vi si svolgono attività sportiva culturale e sociale, oltre a conferenze, corsi di recupero, attività di appoggio psicologico e svago. Il centro ha una biblioteca e una postazione di computer. “Ci mancano tante cose” dice il responsabile del centro “per esempio la palestra, la sala che vedete è fatta per questo ma mancano gli attrezzi. Oggi abbiamo finito un campo estivo di tre mesi per ragazzi dagli 8 ai 12 anni che hanno potuto seguire attività culturali e di svago.
Nel 2002 quando c’è stata l’invasione per 12 giorni di continuo sono state distrutte 400 case e tutta una zona del campo profughi. 64 martiri caddero nella battaglia. “
Ci accompagna poi nella visita del Campo profughi. Visitiamo la zona che fu rasa al suolo nel 2002. Ci stupiamo di non vedere neppure una casa distrutta. Nei nostri occhi è rimasta l’immagine del campo dopo il massacro, quando i carri armati ne allargarono le strette vie distruggendo le case per poter entrare. Ci ricordiamo di una visione apocalittica. Il responsabile del centro ci dice che le 400 case abbattute nel 2002 sono state completamente ricostruite in due anni con finanziamenti dei paesi arabi. Mi dispiace di non fare in tempo a vedere il Freedom Theatre. La storia di questo teatro è la storia stessa del campo. Durante la prima Intifada fu fondato da Arna Mer, un’attivista israeliana che avviò corsi di recitazione e di psicodramma per i bambini del campo. Quasi la totalità di quei bambini furono uccisi nella seconda Intifada, molti morirono combattendo. Successivamente il teatro fu abbattuto dagli israeliani, ma nel 2005 si avviò la ricostruzione, ora è diretto dal figlio di Arna, Juliano Mer Khamis e vi si tengono rappresentazioni teatrali oltre a seminari, attività multimediali e corsi di regia.
Questa zona del campo di Jenin ha strade e piazzette larghe per un campo profughi, la ragione è che gli israeliani, prima della ricostruzione, hanno voluto vedere il piano regolatore imponendo strade più ampie nell’eventualità di entrare con i carri armati.
All’uscita del campo profughi in una piazzetta c’è uno strano monumento, un cavallo di cartapesta colorata.
Nessun commento:
Posta un commento