24 luglio 2010
Betlemme, Deieshe
Questa giornata si è svolta in modo un po’ caotico, a partire dal mattino quando il pullman si è ingolfato costringendoci a una performance imprevista, siamo dovuti scendere a spingere. A Betlemme avevamo appuntamento alla chiesa della Natività con Abir, una nostra amica che avrebbe dovuto farci da guida e poi ci avrebbe invitato a pranzo, ma non a casa sua perché nella sua zona mancava completamente l’acqua quindi saremmo andati a casa di sua madre. Siamo entrati nella chiesa della Natività, ma non abbiamo fatto in tempo a vedere alcunché perché Yousef ci ha detto che aveva preso appuntamento con la MLR locale, quindi abbiamo lasciato la piazza della Mangiatoia per dirigerci alla MLR di Betlemme. La sezione locale è nuova, come tutte le altre sedi fa attività a livello sociale e fornisce servizi a tutti coloro che ne hanno bisogno. I volontari cercano di diffondere la conoscenza del pronto soccorso, sono presenti nelle scuole e nelle fabbriche, ha rapporti a livello istituzionale ma soprattutto con la popolazione. Il servizio di pronto soccorso è centrale, la MLR ha la responsabilità ufficiale del pronto soccorso in tutta la Palestina. I volontari hanno dato sempre una pronta risposta dopo ogni disastro compiuto dagli israeliani. In modo particolare dopo l’aggressione a Gaza sono state organizzate due carovane. “Dopo la chiusura delle scuole” ci dice Salwa, responsabile del settore sociale, “organizziamo i campi estivi, abbiamo cominciato nel giugno 2010, il nostro obiettivo è far vivere ai nostri scolari un momento di svago. Per quanto riguarda i bambini handicappati stiamo cercando di avvicinarli ai bambini sani per far sentire loro meno il peso del loro handicap. Stiamo lavorando anche sulle donne, ci sono donne che hanno studiato e altre no, cerchiamo di coinvolgerle tutte nelle nostre attività. Offriamo assistenza ai bambini ospedalizzati con tumori o altre malattie. Stiamo cercando di estendere la nostra attività anche ai campi e ai villaggi più lontani. Vogliamo raggiunger tutte le categorie della società civile, bambini, handicappati, giovani, casalinghe, lavoratori disoccupati, anziani anche per le zone più sperdute della nostra provincia.
Abbiamo in programma il coinvolgimento delle università con il Ministero della pubblica istruzione, i rapporti con il Ministero dell’educazione e della sanità sono buoni, come anche quelli con le ONG presenti nella zona.”
Visitiamo la sartoria dove un volontario è intento al lavoro sulla macchina da cucire, accanto ha un cesto pieno di vestiti. Sono molto colorati e ne prendiamo qualcuno per osservarlo da vicino, questo è un vestito da ballo rosa, ci sembra somigliante a quelli indossati dalle giovani danzatrici che abbiamo visto ieri sera.
Dopo la visita usciamo, con Abir che è venuta con noi, per andare a pranzo, sua madre ci aspetta.
Non troviamo però solo sua madre, ma anche i suoi tre bambini, dei fratelli, insomma siamo un sacco di gente, ma la signora ha preparato una ricca tavola imbandita. Noto dei ritratti su una parete, uno è più grande, la foto di un bambino, è il fratello di Abir morto a 12 anni, non di morte naturale.
Non solo siamo in ritardo ma dobbiamo anche sbrigarci, vogliamo infatti andare al campo profughi di Deieshe. Dopo l’ultimo brindisi e l’ultima foto ci dirigiamo al pullman verso la nostra meta.
Deieshe, come tutti i campi profughi è costellata di murales, però qui ce n’è più che altrove e alcuni sono proprio belli. Ci vivono 13mila persone che provengono dai villaggi del ‘48, è uno dei campi più grandi del sud della Palestina. Visitiamo la struttura dell’UNWRA all’interno del campo. I due giovani funzionari ci accompagnano a visitarlo e ci danno alcune informazioni. Nel campo ci sono scuole elementari e medie con 2600 studenti, c’è una percentuale elevatissima di laureati, che però non trovano lavoro. Giriamo per le stradine, le case sono una attaccata all’altra, con bambini che ci guardano dalle finestre. “Le case possono crescere solo in altezza” ci dice la nostra accompagnatrice “data la mancanza di spazio”. Ci parla anche della mancanza dì acqua, a Betlemme manca da 25 giorni. L’acqua viene deviata negli insediamenti, qui, sopra ogni casa c’è una cisterna per sfruttare l’acqua piovana. Ci parla anche delle incursioni notturne dell’esercito e del suo modo di battere rumorosamente alle porte con il deliberato scopo di spaventare i bambini. Nel campo ci sono molti bambini con disturbi da stress. Ci dice anche che le case non sono state costruite dall’UNWRA ma dalla gente, qui l’UNWRA si occupa soprattutto della formazione.
La visita al campo è abbastanza frettolosa perché abbiamo anche un altro appuntamento alla sede politica della provincia di Betlemme di due deputati del consiglio legislativo di Fatah.
“Non abbiamo esercito, ma la ragione e il diritto” ci dice Fayez A. Saqqa. “I milioni di persone amanti della pace e della giustizia stanno con il popolo palestinese, verrà il giorno in cui avrà i suoi diritti legittimi. Voi siete parte della nostra lotta, noi siamo parte della vostra lotta per la giustizia e la democrazia nel mondo.” Ci parla del problema dell’acqua e di come stanno cercando di risolverlo. Le falde acquifere sono controllate da Israele ma nel 2000, dopo l’intervento degli USA, ci fu la possibilità tramite l’ente per l’acqua palestinese di scavare pozzi ad Abu Dis e zone limitrofe. Il problema però rimane perché il controllo dei pozzi non è al 100%, la questione dell’acqua è stata rimandata alla fase finale degli accordi. Le quote d’acqua sono uguali a quelle del ‘67 benché la popolazione sia aumentata, i coloni hanno 4 volte l’acqua dei palestinesi. D’estate il problema aumenta. Poi ci informa di come stanno cercando di mettere riparo. “Stiamo sistemando una vecchia pompa per migliorare il pompaggio dell’acqua, dal primo agosto avremo una pompa nuova per aumentare il flusso della rete. Forse la prossima settimana la crisi finirà ma…La questione dell’acqua è molto importante e si risolverà solo con la fine dell’occupazione.”
Il secondo argomento cruciale è quello dell’espansione delle colonie: “Dal ‘92 al ‘93 la presenza dei coloni si è moltiplicata di 10 volte e non bastavano gli insediamenti ora c’è anche il muro che carpisce territorio e impedisce a uno stato palestinese di nascere. Malgrado tutti gli sforzi palestinesi e internazionali la costruzione di insediamenti continua, il colonialismo sionista è diverso dagli altri perché vuole svuotare la Palestina dai palestinesi per sostituirla con un altro popolo.” Ribadisce che “la questione palestinese si risolverà solo con ritorno dei profughi (circa cinque milioni sparsi per il mondo arabo, Europa e America) e la fine dell’occupazione del ‘67. Il popolo palestinese sta conducendo la lotta da 100 anni contro il colonialismo e l’occupazione, abbiamo settemila anni di civiltà e di storia, continueremo a lavorare per realizzare i nostri obiettivi. Gli interessi del popolo palestinese sono i nostri obiettivi.”
Nelle domande viene affrontato il problema dell’unità nazionale, il consigliere risponde “L’unità del nostro popolo è condizione essenziale per raggiungere i nostri obiettivi, ma bisogna fare i conti con vari fattori. Uno è il fallimento del processo di Oslo, che non ha portato alla pace, poi divisioni ci sono sempre state. Risalgono a due punti di vista, uno pragmatico, l’altro che ritiene di doversi riappropriare con la forza di ciò che è stato tolto con la forza. Con il fallimento di Oslo la parte dell’opposizione si è rafforzata e ricevuto aiuto da altri paesi arabi più a sinistra. C’è una discussione interna tra i palestinesi su questo. Ora abbiamo aperto un dialogo con Hamas, il Fronte Popolare e altri gruppi. Gli egiziani hanno fatto una proposta, Al Fatah ha firmato subito il documento ma finora Hamas non ha firmato. Pensiamo che non firmerà perché si pone alcune domande: “Questo processo politico di pace soddisferà i diritti dei palestinesi o no?”
“C’è ancora utilità a parlare con gli israeliani o no?” Queste domande non se le fa solo Hamas ma anche la maggioranza di Fatah. Uno stato palestinese vanifica il sionismo nei suoi progetti. Siamo in crisi entrambi. (L’ANP e Israele). E’ un conflitto tra due volontà che andrà avanti per altri 20 anni. Stiamo prendendo in giro noi e il mondo. Gli israeliani ci hanno chiesto di cancellare la dicitura “democratica” dalla nostra Carta e Clinton era venuto a controllare.”
A questo punto mi corre l’obbligo di porre la domanda se non sarebbe meglio avere come obiettivo uno stato unico democratico per tutti invece di quello di uno stato palestinese così impossibile da realizzare. Il consigliere sorride tra i baffi un sorriso ironico e accattivante come se volesse dirmi che ho scoperto l’acqua calda.
“ Lo stato palestinese è una fase, ma l’ideale è lo stato democratico binazionale già proposto dall’OLP e rifiutato sia da Israele che a livello internazionale.”
“La società civile” conclude “è più matura dei suoi dirigenti.”
Concordo sull’ultima affermazione, non sono però soddisfatta della risposta perché non sono convinta della necessità di passare per la conquista dello stato palestinese per arrivare allo stato unico. Al momento comunque sembrano impossibili entrambi.
Dopo l’incontro con i consiglieri di Fatah torniamo di nuovo a Deieshe, per fortuna non eravamo lontani, perché abbiamo un incontro con l’associazione IBDA’A che lavora nel Centro Culturale del campo. Jiad Ramadan, un giovane attivista, ci racconta tutta la storia della Palestina. Nella sala ci sono altri internazionali, fa un gran caldo e rimpiango di non avere più il mio ventaglio. Ci ricorda infine che l’UNWRA3), creata appositamente per assistere i palestinesi, non fa parte dell’ONU ma sopravvive con donazioni e per questo spesso è in crisi. “Sicuramente quelli dell’UNWRA vi hanno detto che ci sono 3 medici nel campo, ma in realtà c’è n’è solo uno per 13mila persone. L’UNWRA ha ridotto tutti i suoi servizi” specifica. “Riceviamo i servizi solo dall’UNWRA, come rifugiati non possiamo usufruire dei servizi dell’ANP, del Ministero della sanità ecc. Solo le associazioni del campo possono collaborare con la MLR e altri, ma solo per singoli progetti e il 60% della popolazione del campo è costituita da bambini, il 15% da anziani. Per 13mila abitanti non ci sono asili nido, spazi verdi, uno spazio per i giochi. Certo con tutto ciò siamo più fortunati dei profughi del Libano, ma bambini e giovani vivono reclusi. D’estate abbiamo problemi con l’acqua, d’inverno con l’elettricità.” Poi ci parla dell’alto livello d’istruzione e dice che un professore dell’università ebraica di Gerusalemme ha fatto uno studio da cui è risultato che il livello d’istruzione di Deieshe è più elevato di quello di Gerusalemme ovest. “Siamo orgogliosi di questo risultato ma la situazione economica è legata all’occupazione. L’occupante ha preso di mira le nostre scuole e ha fatto di tutto per boicottare lo studio dei ragazzi con incursioni e arresti. Quando prendevano i ragazzi che avevano libri, anche di politica non palestinese, li condannavano a pene amministrative (durante l’Intifada). Se un bambino soffre nella sua vita quotidiana figuriamoci durante il coprifuoco. E’ in questa situazione che è nata l’associazione del campo per il campo, in particolare per i bambini. Nel ‘94 abbiamo cominciato con un gruppo folk che coinvolgeva 30 bambini. E’ cominciato tutto da due persone che sono partite da zero, come sede la strada e 34 dollari. Ci ha aiutato il contatto con un gruppo francese. E’ stato molto utile un viaggio in Francia dei bambini del campo, al ritorno è stato fondato il gruppo folk che poi si è esibito di nuovo in Francia come scambio culturale. In seguito abbiamo ricevuto aiuto e richiesta di esibizioni in vari paesi dell’Europa, abbiamo visitato con queste esibizioni 25 paesi e questo gruppo folk è diventato il nostro investimento. Partendo dai bambini siamo riusciti poi a interessare le famiglie così abbiamo realizzato progetti con altri partner. Studiamo le esigenze del campo per organizzare i nostri progetti. Dopo sedici anni di attività abbiamo sedici progetti, gestiamo un asilo nido, una libreria, una biblioteca, un centro femminile, un centro sanitario e un club sportivo.”
Faccio un giro per il centro, vorrei andare a guardare tutti i dipinti che istoriano le pareti della scala e avanzo per un po’, ma non faccio in tempo ad esplorare il piano di sopra, tutti sono ansiosi di andare a fare un giro a Betlemme.
Alla chiesa della Natività i più entrano, ma io con Patrizia e Yousef preferiamo andare a sederci al bar a bere qualcosa. Mi sembra che la mia consumazione sia cara, ma poi traducendo gli shekel in euro mi rassicuro. (Lo shekel è la moneta israeliana, ma i palestinesi non ne hanno una propria). Decido di comprare una pianta della città (che però contiene anche quella di Gerusalemme) che è il massimo delle compere che posso permettermi. Quando i visitatori della Natività escono ci ricongiungiamo e ci disperdiamo per il centro storico di Betlemme che è molto suggestivo. Ancora un po’ di shopping poi si torna tutti a Ramallah. E’ il tramonto e in quella luce Betlemme è davvero poetica viene voglia di viverci e di dimenticare il muro che la offende e tutti i soprusi quotidiani.
Durante la cena al ristorante della MLR facciamo la conoscenza di Kifah, una simpatica e graziosa ragazza che ci accompagnerà il giorno successivo a Gerusalemme. Vogliamo prendere un autobus di linea invece che il pullman della MLR e Kifah si offre di andare a cercarne uno con 20 posti e portarcelo “sotto casa”. Ci sembra incredibile ma lei dice “qui è normale”. La Palestina è proprio una terra di meraviglie.
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