di Richard Falk
Certamente, il The New York Times non oserebbe rifiutare un pezzo al nuovo Richard Goldstone che si era già riproposto come guardiano della reputazione mondiale di Israele proprio come in precedenza era stato consacrato quale insigne giurista che, mirabilmente, aveva messo da parte la propria identità etnica e le personali appartenenze quando si era trattato di svolgere il compito professionale di specialista in diritto penale internazionale o di eseguire missioni di alto profilo investigativo e di accertamento dei fatti sulla scena internazionale. All’apparenza, Goldstone era perfino disposto a confrontarsi con le furie sioniste di Israele quando era stato criticato da uno dei loro epigoni per il fatto di presiedere una commissione delle Nazioni Unite incaricata di valutare le accuse sui crimini di guerra israeliani durante la guerra di Gaza del 2008-09.
Pochi mesi fa, Goldstone ha compiuto il passo irresponsabile di ritrattare unilateralmente una conclusione fondamentale del “Rapporto Goldstone” nel corso di quegli attacchi a Gaza. L’ex giudice ha scritto, in quell’occasione in una rubrica del Washington Post, che il Rapporto sarebbe stato diverso se avesse saputo allora quello di cui ora era venuto a conoscenza, Un’affermazione arrogante dal momento che era solo uno dei quattro membri della commissione incaricata dal Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e in considerazione del fatto che gli altri tre avevano ribadito pubblicamente la loro certezza sulla conclusione iniziale nel modo in cui era formulata nel rapporto scritto e pubblicato mesi prima. Quello che avrebbe dovuto screditare questo primitivo tentativo di Goldstone di ripristinare le sue credenziali sioniste intaccate è stata la mancata consultazione con gli altri membri della commissione prima di precipitarsi a pubblicare il suo cambiamento, all’apparenza opportunistico, di posizione. E’ pure interessante che abbia scelto di rivelare questo nuovo ruolo sulle pagine dei più importanti giornali statunitensi e, secondo quanto viene riferito, che abbia rafforzato il tono e la sostanza della sua ritrattazione dopo che il The Times aveva respinto la versione originale dell’articolo presumibilmente in quanto troppo blanda. Per andare in stampa con questo traballante cambiamento di posizione, deve aver fatto uno sforzo straordinario.
Ora, alla vigilia della terza sessione del Tribunale Russell sulla Palestina, che si terrà a Città del Capo tra il 5 e il 7 novembre, Goldstone ha nuovamente preso le difese di Israele in un modo altamente fazioso che esclude ogni pretesa di ragionevole rispetto sia degli obblighi di legge da parte di coloro che detengono il potere, che del diritto giuridico di quelli che si trovano in condizioni di vulnerabilità. Il ricorso della gente a un tribunale di qualità, in questo caso costituito, e con la partecipazione di coloro che posseggono la più elevata autorità morale e cognizione specialistica, è una risposta costruttiva e seria al fallimento dei governi e delle istituzioni internazionali nell’affermare e applicare nel corso di molti anni il diritto penale internazionale, e la indisponibilità sia della Corte Internazionale di Giustizia che della Corte Penale Internazionale. Le persone di buona volontà dovrebbero accogliere con favore tali lodevoli tentativi della ONG Russell, anche se in ritardo, piuttosto che rigettarli, come fa Goldstone, per la loro supposta interferenza con inesistenti e altrettanto irrilevanti trattative tra le parti. Coloro che faranno la parte dei giurati per valutare queste accuse di apartheid nei confronti di Israele sono persone dall’autorità morale di prima classe il cui responso nei confronti di tale accusa sarà sorretto dalla testimonianza di esperti del conflitto e da giuristi di statura mondiale. Goldstone dovrebbe sentirsi in imbarazzo per il modo derisorio in cui scrive di queste personalità sudafricane, quasi icone, quali l’Arcivescovo Emerito Desmond Tutu e Ronnie Kasrils o di figure di fama internazionale come la scrittrice attivista morale Alice Walker, la vincitrice del Premio Nobel per la Pace Mairead Maguire, l’ex membro del Congresso degli Stati Uniti Cynthia McKinney, il 93enne sopravissuto all’olocausto ed ambasciatore francese, Stephane Hessel, così come molte altre personalità di chiara fama.
Un ulteriore imprimatur di rispettabilità al Tribunale Russell è fornito dalla partecipazione all’evento di John Dugard, una volta intimo collega di Goldstone, che a livello internazionale è considerato come la voce più autorevole del Sud Africa tutte le volte che viene fatto un confronto giuridico tra l’apartheid praticato in Sud Africa e quello presunto in Palestina. Il professor Dugard svolgerà un ruolo di primo piano negli atti Russell, fornendo testimonianze di esperti a sostegno delle argomentazioni giuridiche per accusare Israele di quel crimine. Il professor Dugard, avvocato molto stimato a livello internazionale e funzionario delle Nazioni Unite, è stato scrupoloso nell’impegno di riferire fedelmente sulla situazione della Palestina occupata, finché ha svolto per sette anni la funzione di Relatore Speciale per il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che proprio in questo ruolo, nonostante il suo temperamento giuridico prudente, lo ha portato ad affermare, nei rapporti ufficiali presentati diversi anni fa alle Nazioni Unite, il carattere di apartheid dell’occupazione.
Goldstone condanna l’iniziativa prima che abbia inizio, senza citare la presenza di tali insigni partecipanti, facendo oggetto di scherno questa indagine sull’ingiustizia e la criminalità delle pratiche discriminatorie israeliane connesse alla prolungata occupazione della Palestina, col sostenere che va intesa come un “aggressione” a Israele al “fine di isolare, demonizzare e delegittimare” il paese. Nello stile più aggressivo della pubblica accusa, Goldstone demonizza questi giurati Russell senza nome come individui prevenuti che hanno un “punto di vista intollerante nei confronti di Israele”. Il nuovo Goldstone adotta la usuale prassi israeliana di denigrare le previsioni e di condannare qualsiasi voce critica, per quanto possa essere qualificata e sincera, senza preoccuparsi di prendere in seria considerazione la plausibilità delle accuse di apartheid. Il fatto che coloro che conoscono bene le politiche israeliane siano nettamente critici non invalida la constatazione delle stesse, ma solleva problemi sostanziali che possono essere affrontati solo esibendo prove convincenti e controbilancianti. Realtà sbilanciate possono essere accuratamente descritte solo da una valutazione di parte se la veridicità deve essere la guida per decidere se c’è o meno parzialità. Se il messaggio contiene realtà spiacevoli, allora merita considerazione proprio perché è consegnato da un corriere di fiducia. Lo si dovrebbe considerare con rispetto piuttosto che scartarlo in modo sommario in quanto questo particolare messaggero ha credibilità associata ad una reputazione professionale impeccabile, e rafforzata nel contesto del Tribunale Russell dalla ricchezza di una precedente esperienza che ha predisposto e istruito lei o lui a comporre un messaggio con un taglio particolare.
La principale tesi di Goldstone è che l’accusa a Israele del crimine di apartheid è un tipo di “calunnia” che nelle sue parole non è solo “falsa e malevola”, ma anche “che preclude, piuttosto che promuovere , la pace e la concordia.”
Naturalmente, è necessario attendere le deliberazioni del Tribunale Russell per stabilire se le imputazioni di Apartheid sono accuse irresponsabili da parte di critici ostili o risultano fondate, come ritengo, nella realtà di un sistematico regime giuridico di separazione discriminatoria di israeliani privilegiati, soprattutto diverse centinaia di migliaia di coloni illegali, da palestinesi privi di diritti e spesso espropriati, nativi nel territorio così a lungo occupato da Israele. Lo Statuto di Roma del Tribunale Penale Internazionale considera l’apartheid come uno tra i diversi tipi di crimini contro l’umanità e associa la sua perpetuazione ad una discriminazione grave e sistematica.
Anche se il crimine deriva il suo nome dall’esperienza sudafricana che si è conclusa nel 1994, ora è stato generalizzato per far riferimento a qualsiasi condizione che impone un regime oppressivo basato sull’identità di gruppo e progettato a beneficio di una collettività dominante che, coercitivamente, attraverso il controllo del sistema giuridico usa violenza a una soggiogata. E’ vero che ‘razza’ è la base per disegnare la linea di demarcazione tra le due collettività, ma la definizione giuridica di razza è stata ampliata per chiarire, oltre ogni ragionevole dubbio, che la pratica dell’apartheid può essere adeguatamente associata a ogni antagonismo di gruppo che si traduce in un regime giuridico che incorpora la diversità come caratteristica principale. Ciò include regimi che basano la loro classificazione umana di appartenenza a un gruppo facendo riferimento all’identità nazionale ed etnica, come è il caso che riguarda israeliani e palestinesi. Il governo stesso di Israele ha attirato l’attenzione su questo divario etnico/religioso con la richiesta che la sua minoranza palestinese e l’Autorità palestinese accettino ufficialmente il suo carattere di “Stato ebraico”.
Le prove schiaccianti di discriminazione sistematica sono impossibili da trascurare in qualsiasi oggettiva descrizione dell’attuale occupazione da parte di Israele della West Bank, e, in misura minore, di Gerusalemme Est. Il modello di fondare colonie per israeliani in tutta la West Bank non solo viola il divieto, contenuto nel diritto internazionale umanitario, del trasferimento di membri della popolazione occupante in un territorio occupato. Esso crea, inoltre, la razionalizzazione operativa per l’istituzione, da parte di Israele, di un regime giuridico di separazione e sottomissione. Da questo fenomeno coloniale ne deriva una comunità israeliana protetta da forze di sicurezza, dotata di una rete ad alto costo di strade per i soli coloni, che fruisce della tutela costituzionale israeliana, a alla quale è dato accesso diretto senza controllo in Israele. Quello che segue è pure una comunità, palestinese, soggetta a un’amministrazione militare spesso abusiva, senza la tutela di diritti reali, che vive ogni giorno con grande difficoltà per le molte e gravose restrizioni alla mobilità, sottoposta a una vasta gamma di condizioni pericolose e umilianti che comprendono l’uso frequente di una forza arbitraria ed eccessiva da parte israeliana, le demolizioni di case, gli arresti notturni, e le incarcerazioni, che tutte espongono i palestinesi nel loro insieme all’esperienza traumatica di una vita fatta di umana grave insicurezza. Il contrasto tra queste due serie di condizioni, tradotto nei termini di regimi giuridici operativi, per due popoli che vivono l’uno accanto all’altro fa sì che le accuse di apartheid risultino convincenti, e se c’è calunnia, allora questa va attribuita a quelli che, come Goldstone, tentano di diffamare e screditare l’eroico tentativo del Tribunale Russell di sfidare lo scandalo del silenzio che ha permesso a Israele di perpetrare l’ingiustizia senza esserne ritenuto responsabile.
L’attacco preventivo di Goldstone contro il Tribunale Russell è difficile da prendere sul serio. E’ formulato in modo tale da indurre in errore e confondere un pubblico generalmente poco informato. Ad esempio, nell’articolo dedica molto spazio a dipingere un’immagine in generale rosea ( e falsa) delle attuali condizioni di vita della minoranza palestinese in Israele, senza nemmeno prendere nota della loro storica esperienza di espulsione, la Nakba. Sottovaluta drammaticamente lo status degli israeliani-palestinesi che vivono come minoranza discriminata, nonostante godano di alcune delle prerogative della cittadinanza israeliana. Il principale argomento diversivo del contendere di Goldstone è che l’apartheid non può essere ritenuto credibile in un contesto istituzionale nel quale, attualmente, ai palestinesi è stato accordato il diritto di cittadinanza; ma non ha mai il coraggio di sollevare la questione di ciò che significhi chiedere a palestinesi cristiani e musulmani di giurare fedeltà a ‘uno stato ebraico’, per sua natura equivalente a un incrinarsi della comunità fondata su di una disuguaglianza su base razziale. Pochi sosterrebbero che questo modello di inaccettabile disuguaglianza aggiunga qualcosa a una struttura di apartheid all’interno di Israele, e l’accusa di Russell non lo sostiene, ed è probabile che lasci perdere l’accusa di apartheid connessa con le vicende concomitanti la fondazione di Israele alla fine degli anni ’40 perché, dal punto di vista del diritto internazionale, sono avvenute prima che l’apartheid fosse riconosciuto come un crimine a metà degli anni ’70.
Il Tribunale sta concentrando la sua attenzione sulla situazione esistente nella West Bank che è stata occupata fin dal 1967. John Dugard per chiarire la situazione ha rilasciato una dichiarazione, con la quale fa sapere che la sua testimonianza sarà destinata esclusivamente a verificare la sussistenza delle condizioni di apartheid nei Territori Occupati, campo nel quale si riflette la sua specifica competenza. [ Vedi Dichiarazione di John Dugard, “Testimonianza al Tribunale Russell sulla Palestina: Apartheid nei Territori Palestinesi Occupati”, 1 nov 2011]. Che Dugard abbia dovuto rilasciare tale dichiarazione è una sorta di ambiguo omaggio al successo del tentativo hasbara [propagandistico] di Goldstone di sviare e stravolgere. Per Goldstone, il confutare la tesi dell’apartheid ricorrendo all’attuale situazione all’interno di Israele, senza considerare al tempo stesso che praticamente l’accusa riguarda principalmente l’occupazione, è una strabiliante manifestazione di malafede. Lo sa bene. Egli evita qualsiasi riferimento all’espulsione di massa dei palestinesi dalle loro terre nel 1948 da parte di Israele e la successiva distruzione di centinaia di villaggi, quando tenta di confutare l’accusa di apartheid, che probabilmente sarebbe stata considerata giuridicamente dubbia a causa della sua retroattività.
Con spudorato abbandono, nella sua diatriba si affida a un altro trucco processuale con l’insistere che l’apartheid è un crimine strettamente circoscritto al campo razziale, dell’esatto tipo di quello che esisteva nel Sud Africa, il che è senz’altro falso. Tiene in scarso conto l’esplicito intento giuridico, come sancito nell’autorevole Statuto di Roma e nella Convenzione Internazionale sul Crimine di Apartheid, di concepire la razza in senso molto più ampio, applicabile al conflitto israelo/palestinese, se può essere stabilito in modo convincente che il carattere discriminatorio è sistematico e giuridicamente legittimato, come ritengo sia il caso.
La triste saga della discesa di Richard Goldstone dai pinnacoli del rispetto e della fiducia a questo squallido ruolo di gladiatore giuridico che giostra avventatamente a favore di Israele è tanto disdicevole quanto poco convincente. Indubbiamente, si tratta di un processo più complesso e personale che dovuto alla capitolazione alle pressioni sioniste, le quali sono state ancor più sgradevoli ed evidenti del solito, oltre a essere chiaramente diffamatorie; ma ciò che ha portato esattamente al suo cambiamento radicale di posizione resta un mistero. Al momento non c’è né un racconto autobiografico e neppure un’interpretazione convincente di terze parti. Goldstone stesso è rimasto in silenzio su questo punto, sembra volerci far credere di essere ora un uomo di legge come sempre, ma che solo persevera nel suo tentativo imparziale, e di tutta una vita, di agire senza pensare troppo alle conseguenze. Considerata la sua manipolazione polemica di fatti e di argomenti, ci viene da dubitare di una spiegazione autoreferenziale di questo tipo basata su di una presunta linearità nell’attività professionale. E’ mio avviso che ora sia un fatto abbastanza definito riconoscere la giustificabile caduta in disgrazia di Goldstone, ed è di per se stesso un peccato che non abbia scelto di ritirarsi in silenzio dalla mischia piuttosto che reinventarsi come apologeta israeliano di primo piano.
La sofferenza palestinese e la negazione dei diritti giuridici sono sufficientemente ancorate alla realtà tanto che la defezione di un tale autorevole testimone equivale a una ulteriore aggressione non solo al benessere palestinese ma anche alla più ampia lotta per ottenere giustizia, pace, e sicurezza per entrambi i popoli. Contrariamente alle proteste di Goldstone secondo le quali il Tribunale Russell da un colpo alle speranze di risolvere il conflitto, sono i Goldstone di questo mondo che producono le cortine di fumo dietro le quali la reale possibilità di una soluzione a due-stati è stata deliberatamente distrutta dalle tattiche dilatorie di Israele mentre si accelerano le politiche di espansione e di usurpazione.
Alla fine, se mai emergerà una pace giusta e sostenibile, si dovranno ringraziare le molteplici forme di resistenza dei palestinesi e una campagna correlata di solidarietà mondiale alla quale il Tribunale Russell promette di dare un notevole contributo. Dovremmo ricordare tutti che è difficile fornire la verità finché non lo facciamo per quanto sgradevole essa possa rivelarsi!
(tradotto da mariano mingarelli)
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