Avihai ha 27 anni e vive a Gerusalemme. È ebreo e cittadino israeliano. Nel 2001 è reclutato nell’esercito del suo Paese, il famoso e temuto Idf (Israeli Defence Force). È il secondo anno della Seconda Intifada e Avihai viene mandato in una delle unità di stanza a South Hebron Hills, nel cuore dei Territori Palestinesi Occupati.
Avihai racconta le sue giornate da giovane soldato di stanza ad Hebron: “Nei primi sette mesi di formazione, ci hanno insegnato come sparare, come disperdere la folla, come perquisire una casa. Ma una volta arrivati ad Hebron, capisci di non sapere nemmeno da dove cominciare. E allora, ricevendo pochissimi ordini dall’alto, ti adegui al comportamento dei tuoi commilitoni. Venivamo lasciati per ore e giorni senza fare nulla e allora per combattere la noia prendevamo d’assalto un villaggio. Lanciavamo pietre e piccole granate, devastavamo le case, arrestavamo gli uomini per la strada. Come in un videogame”.
Oppure si divertiva con i compagni a picchiare i fermati: “Una volta abbiamo arrestato un uomo, Fatrinaja, responsabile di aver ucciso alcuni coloni. Lo abbiamo preso a pugni e a calci. Io mi dicevo: è giusto punirlo, ha ammazzato la tua gente. Ma in realtà lo facevamo con tutti. Picchiavamo a sangue e tenevamo chiusi per giorni bambini colpevoli di aver tirato un sasso. A volte arrestavamo persone senza neppure sapere il perché, solo per indebolire la resistenza dei villaggi”.
Il clima di violenza e machismo che si respira a vent’anni nell’esercito ha condotto molti ex soldati a togliersi la vita: il suicidio è la prima causa di morte tra ex militari dell’Idf, uccide più del conflitto israelo-palestinese.
Per Avihai l’angoscia è la stessa. L’orrore delle urla degli uomini palestinesi che picchia nelle caserme e il dolore delle donne a cui devasta la casa gli entrano dentro. Non riesce più a ricacciarli indietro. Finché tre anni fa trova uno strumento di liberazione e espiazione: Breaking The Silence. L’associazione, creata nel 2004 da ex soldati israeliani, è oggi una delle organizzazioni per i diritti umani più nota nel Paese. Negli anni ha raccolto le testimonianze di oltre 700 giovani combattenti, reclutati poco più che ventenni e lanciati in prima linea.
Il bagaglio di violenza che hanno visto e che hanno commesso ha finito per fargli aprire gli occhi sull’occupazione della Cisgiordania e l’assedio di Gaza. E hanno cambiato il loro obiettivo: raccontare all’opinione pubblica israeliana le violenze quotidiane dei coloni e dell’esercito contro il popolo palestinese. “Il nostro primo obiettivo – racconta Avihai all’Alternative Information Center – è stato quello di portare Hebron a Tel Aviv, di far conoscere al cuore del nostro Paese che cos’è la Cisgiordania. Ora l’obiettivo è portare Tel Aviv a Hebron”.
Come? Attraverso visite guidate dagli stessi ex soldati. I tour del Sud della Cisgiordania sono rivolti soprattutto a scuole, gruppi di giovani e studenti prossimi ad entrare nell’esercito: “Prima di indossare la divisa non avevo lontanamente idea di cosa ci fosse al di là del confine con la Palestina – continua Avihai –. Per questo so che molti dei miei concittadini si formano idee e opinioni sull’ignoranza. Li portiamo a South Hebron Hills per mostrargli l’apartheid che abbiamo creato, la sofferenza di cui siamo responsabili”.
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